Percorso : HOME > Scriptorium > Ileana Tozzi

Ileana Tozzi: L'eredità varroniana in sant'Agostino

domus romana di stile africano

Domus romana

 

L'EREDITA' VARRONIANA IN SANT'AGOSTINO IN ORDINE ALLE "DISCIPLINE LIBERALES"

dott. ssa Ileana Tozzi

 

 

 

Nota presentata dal m. e. Benedetto Riposati (Adunanza del 25 novembre 1976)

SUNTO. - Questa indagine tende a dimostrare quel che S. Agostino trasse ed utilizzò dalla tradizione letteraria, particolarmente da Varrone, in ordine alla trattazione delle artes liberales.

 

 

E' un vero peccato che i disciplinarum libri novem di Varrone siano andati perduti, e che S. Agostino non abbia portato al termine la sua opera, che poteva aprirci chiaramente il pensiero enciclopedico dello scrittore pagano e di quello cristiano. Tuttavia, dalle testimonianze degli Antichi e dall'analisi interna di alcuni documenti collaterali possiamo ricomporre abbastanza adeguatamente il disegno di Agostino, che fu quello di ricostruire in forma sistematica e nuova l'enciclopedia varroniana. Nel rinnovato fervore di studi intorno a Marco Terenzio Varrone, in occasione delle celebrazioni bimillenarie della sua morte, la figura del grande Reatino si è arricchita di nuove esplorazioni, che hanno allargato di molto le sue già vaste dimensioni di doctissimus Romanorum. Tra i molteplici problemi che hanno richiamato l'attenzione degli studiosi, un posto di preminenza occupa la figura «enciclopedica» di Varrone e gli influssi che egli con i suoi disciplinarum libri novem ha esercitato nelle artes liberales posteriori, e in sant'Agostino in particolare.

Questa ricerca infatti mira soprattutto a porre di fronte i due Grandi, a studiarne il problema enciclopedico, a vagliare le ipotesi più probanti circa la genesi, l'evoluzione e l'affermarsi del disegno costruttivo delle artes liberales nella mentalità dei due scrittori, di cui l'uno, Varrone, portò a termine la sua impresa, l'altro, Agostino, sulle orme di Varrone, l'impostò solo parzialmente. Purtroppo il naufragio medievale fu particolarmente nefasto per queste due opere, e noi ci troviamo spesso nelle condizioni di formulare soltanto ipotesi più o meno attendibili, secondo la validità dei frammenti e delle testimonianze degli Antichi. Partendo da una visione d'insieme sulla concezione enciclopedica di Varrone, raccogliendo e formulando ipotesi sui motivi che dovettero spingere Agostino a rielaborare il modello varroniano, il discorso si muove nel prendere in considerazione le singole disciplinae e procede parallelamente fra i due, vagliando derivazioni, convergenze, disparità. Quello che Agostino compie è, come osserva il Pizzani (1), «il primo sistematico tentativo di ricostruire in forma nuova l'enciclopedia varroniana ». Agostino dunque opera una scelta ben precisa, decidendo di mutuare dalla cultura, anzi, più esattamente, dalla civiltà pagana quanto di positivo essa ha saputo generare, e di trasferire tutto ciò entro gli schemi della nuova civiltà cristiana. Perciò, quello che per gli altri studiosi è il punto di arrivo, l'acquisizione della cultura, per Agostino è il punto di partenza, la base, su cui impostare una conoscenza più spaziosa. Di qui consegue che gli elementi fondamentali della natura delle artes liberales non sono per Agostino da ricercarsi in una concezione nè originale, nè desunta dalla tradizione cristiana, sibbene frutto di elaborazione culturale, che ha le sue propaggini nei filoni dottrinali anteriori. E qui ci incontriamo direttamente con Varrone.

E' Claudiano Mamerto (de stat. An. 11, 8) a darcene notizia certa. Dice egli: «M. Varro ,... Quid in musicis, quid in geometricis, quid in arithmeticis, quid in philosophumenon libris divina quadam disputatione contendit nisi uti a visibilibus ad invisibilia, a localibus ad inlocalia, a corporeis ad incorporea, miris aeternae artis modis abstrahat animum, et incorporea, hoc est in adversa sibi dilapsum compotem facit ». Un'opera enciclopedica, quindi, che, come è stato ben detto, rappresenta «un'illuministica lotta contro l'incertezza in favore della certezza e della precisione» (2). Non solo perciò siamo portati a credere che Agostino abbia tenuto presenti la traccia e lo schema enciclopedico, escogitato cinque secoli prima da Varrone, ma possiamo con quasi certezza affermare che quel «passaggio dal corporeo all'incorporeo» fosse per il cristiano Agostino un'eredità spirituale e culturale ricevuta dal pagano Varrone: quasi una splendida continuità letteraria e filosofica, superatrice persino del divario religioso, altrimenti incolmabile. Una conferma indiretta di questa affermazione ci viene dall'analisi dell'epistola XXVI, scritta da Agostino verso il 395, alla vigilia della sua elezione a vescovo di Ippona, in risposta all'antico discepolo Licenzio (3), che gli chiedeva, tra l'altro, in un poemetto di 154 esametri, dilucidazioni per approfondire lo studio delle disciplina e varroniane. E' questo un documento importante, perché in esso, oltre tutto, si evidenziano più che altrove i rapporti agostiniani tra fede cristiana e retorica pagana; a ragione perciò il Balmus ritiene questa: epistola «le document littéraire par lequel saint Augustin commence sa lutte contre l'art de dire, contre les valeurs esthétiques de la rhétorique payenne, considerée comme un idéal en elle-même» (4).

Quest'affermazione del Balmus può aprirci la strada a comprendere quale sia stata e in che sia consistita per Agostino la scoperta dei limiti di Varrone in quanto pagano, e il loro superamento in clima cristiano. Gli è che Agostino, dal primo momento che si pose il problema tra l'antico e il moderno, o meglio, della convergenza del filone tradizionale nella temperie culturale della nuova civiltà, nella sua apertura di spirito e con la sua intuizione geniale ne trovò subito la soluzione, esprimendola nella maniera più convinta e persuasiva. Infatti anche più tardi questo allacciamento e questo superamento tra cultura pagana e cristiana si risentirà chiaramente nella frase delle confessiones: Non accuso verba, quasi vasa lecta atque pretiosa, sed vinum erroris, quod in eis nobis propinabatur ab ebriis doctoribus (1, 16, 26). E' comunque, questo, un problema di fondo, che investe tutta la personalità del dotto Agostino, e che, se esaminato nei suoi singoli aspetti, ci porterebbe lontani dalla nostra indagine specifica, che mira a porre in evidenza contatti determinati di Agostino col mondo dottrinale che lo precede. A questo riguardo vale la pena sottolineare subito che lo Speyer (5), prendendo in esame, col Dahlmann, il carmen Licentii ad Augustinum, coglie tra questo e il cap. 13 del de die natali di Censorino una strettissima relazione. Tale capitolo riprende infatti un motivo classico della musicologia antica, quello dell'armonia delle sfere. E qui torna in campo Varrone. Licenzio infatti così si esprime a proposito del Reatino:

quis numerum dedit ille tonos mundumque

Tonanti disseruit canere et pariles agitare choreas.  

 

Appare evidente un preciso riferimento «sia alla valutazione matematica dell'armonioso moto astrale (numerum), sia alla sua interpretazione in chiave di danza (agitare choreas) », come è stato ben rilevato dal Pizzani, che inoltre ricorda come da Platone in poi, la stretta dipendenza tra suoni e danza « ritorna in tutta la tradizione del τόπος e in Varrone in particolare; ne è rivelazione un frammento della Menippea Marcipor 271 B, con l'espressione chorean astricen ». Sempre lo Speyer individua ancora in un'altra frase di Censorino (quare Dorylus scripsit esse mundum organum Dei: alii addiderunt esse id έπτάχορδου) la riprova che Varrone avrebbe ricollegato direttamente la dottrina dell'armonia degli astri alla struttura degli strumenti musicali. A prova della sua ipotesi, lo Speyer tiene presente il fatto che due dei frammenti, sicuramente ascrivibili al de musica di Varrone, trattano di strumenti musicali e della loro struttura. Questa convergenza, per quanto discutibile, consiglia tuttavia di non limitare l'indagine della ricerca ai soli rapporti tra le disciplinae varroniane e l'analoga opera di Agostino, ma di tenere presenti anche le testimonianze che possono derivare da altri testi della tarda tradizione enciclopedica, quali il de institutione musica di Boezio, le inst tutiones di Cassiodoro, il de nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella. Esplorazioni in questo senso sono state già compiute da studiosi di valore nel recente «Congresso Internazionale di Studi Varroniani », particolarmente dal Riposati, dal Boyancé, dal Dahlmann, dal Waszink e dal Traglia (6), il quale, dopo aver esaminato i legami intercorrenti tra ars grammatica e le altre artes liberales nel contesto dell'έγχύχλιος παιδεία  varroniana, individua la finalità enciclopedica di Varrone in un «ritorno all'intellettualismo socratico-platonico », per cui «la virtù è sapere, e le arti liberali sono la propedeutica che guida alla virtù ». E qui cita un indovinato pensiero del Bignone, che suona: «la vita attiva (in Varrone) si unisce intimamente a quella dello studioso, e la vita scientifica doveva essere per lui un'educazione vivente» (7).

Ma quoello che preme notare e che il Traglia ben mette a punto, è la sostanza del pensiero di Varrone, «rettamente interpretata da sant'Agostino: tutto il sapere umano caratterizzante l'uomo libero, - in una organizzazione unitaria ed enciclopedica - ha il suo sbocco nel saldo possesso della virtù morale, a cui esso deve cospirare ed a cui è propedeutico, chè questo è il fine ultimo di ogni nostra attività soprattutto culturale e di studio ». Perciò il merito di Varrone è di aver trasformato «l'eclettismo filosofico del suo tempo in enciclopedismo filosofico, ideando un'organizzazione delle arti liberali finalizzata al bene: organizzazione che si rifletterà per tutto il medioevo, sia pure con naturali ed inevitabili modificazioni, nell'insegnamento e nella diffusione del sapere, attraverso le arti del Trivio e del Quadrivio ». Gli scrittori cristiani, assumendo come presupposto la concezione varroniana della «virtù come sapere », e delle arti liberali come « propedeutica che guida alla virtù », confermano con le opere l'intento di Varrone, che fu quello di associare, di rendere imprescindibili la vita attiva e l'attività scientifica in una vera e propria «educazione vivente ». Il passaggio dal corporeo all'incorporeo, testimoniato da Claudiano Mamerto, è riaffermato da Agostino nel noto passo delle retractationes (1, 6); ed è ulteriormente ribadito da Isidoro (orig. 11, 71, 41) il quale dice che ardo ... iste septem saecularium disciplinarum ideo a philosophis usque ad astra perductum est, scilicet ut animos saeculari sapientia implicatos a terrenis rebus abducerent et in superna contemplatione conlocarent.

 

Ma Agostino arriva fino ad inserire la filosofia nel novero delle arti liberali. L'importanza di questo fatto non chiama direttamente in causa i disciplinarum libri novem di Varrone, dato che tra di essi possiamo soltanto postulare l'esistenza di un liber de philosophia (8). Il legame con Varrone si evidenzia però proprio attraverso la funzione, che sia il pagano, sia il cristiano Agostino reputano propria della filosofia come disciplina. Già per Varrone la filosofia costituisce la disciplina cui tendono e convergono tutte le altre, la disciplina che realizza la finalizzazione delle artes liberales al bene, in breve, il vertice della piramide formata dalle varie disciplinae.

E' appunto il Traglia (9) ad individuare in Varrone una concezione piramidale del sapere, in un certo senso analoga alla concezione aristotelica, per cui al sommo di ogni conoscenza era la metafisica, intesa come scienza dell'essere, in quanto tale. Ma nell'έγχύχλιος παιδεία  varroniana alla circolarità si sovrappone, fino a sostituirsi ad essa, un'altra immagine, pure desunta dalla geometria: quella della sua struttura piramidale. Il primo grado, la base, è costituito dalle tre arti letterarie, grammatica, dialettica, retorica. E qui ricordiamo che per Varrone la grammatica rappresenta quasi un cardine per le altre due arti letterarie, che a loro volta sono ampliamento della grammatica stessa. Nel loro complesso, le tre arti letterarie, grammatica, dialettica, retorica, costituiscono il presupposto necessario per attingere alle altre disciplinae, fornendo per esse i mezzi di espressione più validi. Da questo primo si accede al secondo grado, costituito dalle altre disciplinae che concorrono alla formazione dell'uomo: geometria, aritmetica, musica, astronomia, medicina, architettura. La dottrina del numero rappresenta il filo conduttore che lega in senso orizzontale le sei arti maggiori, ma d'altra parte è questa stessa dottrina a costituire, in senso verticale stavolta, il legame tra l'ars grammatica e le altre artes.

Spiega il Traglia come «etimologia» sia un termine stoico, indicante la ricerca del «significato vero» dei vocaboli, studiato attraverso i vari, successivi sviluppi formali e semantici, fino a risalire al valore originario di essi (10). E giova qui ricordare come per Varrone l'interesse linguistico fosse dominante anche nei trattati che con la grammatica di per sè avevano ben poco da dividere. La stessa metodologia accomuna la grammatica alle altre arti, soprattutto alle scienze che indagano sui fatti della natura. Si legge infatti nel de lingua Latina che «il discorso è composto di parole e le parole sono composte di lettere, ma i grammatici queste parole e queste lettere illustrano col discorso, ossia partono da ciò che è dopo, per risalire a ciò che è prima: si servono degli effetti per illustrare le cause» (de l. L. X, 56) (11).

Dunque, come dicevamo, le artes liberales sono collegate tra loro orizzontalmente, ma «lo stesso filo le lega verticalmente alla grammatica, la quale, come elemento fondamentale di tutto il sapere, entra in tutte le altre arti e le permea di sè ». La struttura piramidale delle artes è concepita priva di compartimenti stagni: «si parte dalla grammatica, o meglio dalla triade delle arti letterarie (grammatica, dialettica, retorica, che costituiscono in fondo un unico tutto) e si sale al secondo grado del sapere, cioè alle sei arti maggiori che costituiscono una più vasta espansione dell'έγχύχλιος παιδεία.» Ma il vertice della piramide non è ancora raggiunto: questo vertice è rappresentato dalla filosofia, che per Varrone è essenzialmente filosofia morale.

Una concezione delle arti come preparazione alla virtù è presente anche in Posidonio, secondo una testimonianza senecana (Sen. epist. 88, 20 segg.); ma Seneca tende a dimostrare come la filosofia sia di per sè sufficiente alla pratica della virtù: philosophia nihil ab alio petit, totum opus a solo excitt; tutto il resto del sapere, anche in matematica, in alieno aedificat, non essendo ars sui iuris, cui precarium fundamentum est, ... una re consumatur animus, scientia bonorum, ac malorum: nihil autem ulla ars alia de bonis ac malis quaerit ». Ma la posizione di Varrone è diversa, e soprattutto non limitante: così le artes liberales acquisiscono il valore di propedeutica alla morale. Dall'esame delle singole artes liberales risulta con evidenza il fatto innegabile che la varroniana concezione dell'έγχύχλιος παιδεία  come armonica e reciproca compenetrazione delle disciplinae, tutte ugualmente finalizzate alla formazione dell'homo novus, e dunque di un'umanità indubbiamente migliore, potè affascinare la mente di Agostino e suscitare in lui un nuovo interesse alla luce della religione cristiana. Questo recupero dei valori culturali ed ideologici di Varrone fu possibile ad Agostino per la stessa vastità umanistica del Reatino. Agostino mantenne costante la considerazione e il rispetto per Varrone, pur difendendo contro di lui la dottrina cristiana. Agostino fu insomma reprehensorem, sed etiam admiratorem, debitorem, defensorem, aemulatorem nei confronti di Varrone.

Il Trapè individua l'esprimersi dell'influenza della personalità di Varrone su Agostino nel momento in cui quest'ultimo assume un atteggiamento critico nei confronti delle dottrine manichee, che pure lo avevano attratto (12). Non il solo Cicerone avrebbe esercitato un notevole influsso sul giovane retore pagano Agostino, ma lo stesso Varrone avrebbe avuto un ruolo di rilievo sulla sua conversione: Cicero enim in amorem philosophiae totum incendit, Varro autem ita liberalibus disciplinis illum navit ut Manichaeos, in quos inciderat, graves docuisse errores primo suspicaretur. E qui il Trapè individua proprio nelle artes liberales il tramite tra Varrone e Agostino, dando una breve traccia della struttura e dei contenuti dei disciplinarum libri dei due autori (13). La mancanza dei testi, perduti nel naufragio medievale, ci impedisce di documentare, di suffragare ulteriormente le nostre tesi, ma certo è da condividere la conclusione accennata da questo studioso: le disciplinae, sia le varroniane, sia le agostiniane, determinano miram ... convenientiam inter duos latinos scriptores, quorum alter paganus, alter Christianus; ambo tamen ii summi reputandi sunt humanitatis cultores, qui nos per scientiam ad sapientiam, id est, ad Deum pervenire docuerunt, diversa quidem via diversoque exitu, cadem vero animi contentione eademque mentis nobilitate. Una bella pagina al riguardo è stata scritta da Riposati (14), che giova qui opportunamente risentire: «(Varrone) varcò le soglie della cultura tradizionale, schematica, dispersa e frammentaria, per lanciarsi, solitario ed audace esploratore, alla conquista di nuovi spazi nell'intricato mondo latino ».

Quella di Varrone fu una «concezione elevata di ... humanitas-cultura e di cultura-civiltà, dove rifluiscono gli spiriti vivificatori dell'umanistico circolo degli Scipioni e più, della Weltanschauung dell'ultima παιδεία  greca, che trasmise limpide le voci di quella litteraria societas con a capo Panezio, Polibio, Posidonio, Filone di Larissa, Antioco di Ascalona, la quale, riplasmando in sintesi di nuova spiritualità gli elementi culturali anteriori, preparò quel fertile terreno, donde eruppero i germogli vitali della humanitas romana. Di quella humanitas, di cui lo stesso Varrone diede, nei suoi rerum humanarum libri, una precisa definizione, che Aulo Gellio, nel II sec. d. C., illustrò e sintetizzò nella frase espressiva: eruditionem institutionemque in bonas artes: erudizione e formazione spirituale nelle discipline liberali; aggiungendo che del tutto umanissimi sono da ritenersi coloro che aspirano con ogni sforzo a conseguirla. Un'humanitas, quindi, che, puntando sull'affinamento interiore dell'individuo, mirava alla conquista di tutto l'uomo: con la sua intelligenza e la sua volontà, con la sua coscienza morale e civile, con la sua attività spirituale e culturale, con i suoi ideali etici, filosofici, religiosi ed artistici, che, al di là di ogni particolarismo etnico e nazionale, allargavano le dimensioni della stessa personalità umana, e conferivano una nuova forma plasmatrice al pensiero ». Questo è il patrimonio, non semplicemente culturale e filosofico, ma soprattutto morale, che sant'Agostino potè ereditare, a distanza di cinque secoli, dal pagano Varrone; queste le ragioni per cui il Waszink (15), prendendo in considerazione l'importanza che il Reatino ebbe e l'influenza che esercitò sugli scrittori cristiani dei primi secoli, può giungere alla conclusione che nelle opere di sant'Agostino si afferma un interesse non solo legato alla struttura, ma anche allo spirito dell'erudizione e della filosofia delle opere di Varrone. C'è qui la conferma che alcuni dei più alti valori umani, culturali e spirituali, non vanno soggetti alla contingenza nè all'usura del tempo, ma si ingrandiscono e si perfezionano e si arricchiscono di sempre nuovi elementi nella meditazione dei dotti attraverso i secoli.  

 

 

NOTE

 

(1) U. PIZZANI, Il filone enciclopedico nella patristica, da sant'Agostino a sant'Isidoro di Siviglia, Augustinianum, 14 (1974) pp. 667-696.

(2) F. DELLA CORTE, Varrone,il terzo gran lume romano, Firenze 1970 2 ed., p. 231.

(3) Ep. XXVI ad Licentium, in Sancti Aurelii Augustini Epistulae, rec. Al. Goldbacher, pars I, Vindobonnae 1895, pp. 83-88.

(4) C. I. BALMUS, La lettre de saint Augustin à Licentius (ep. XXVI). Mélanges V. Pârvan ... Bucuresti 1934, pp. 21-27; Ricorda il Balmus che fin dal periodo di Cassiciacum il giovane Licenzio manifestava un'accesa passione per la poesia, al punto che il maestro Agostino sentiva la necessità di reprimere il suo slancio poetieo: Licentius in poeticae studium sic inflammatus est, ut aliquantum mihi etiam reprimendus videretur. (Contra Academicos, 11, 4, l0). «Il aurait voulu que son jeune élève étudiât aussi la philosophie, c'est-à-dire qu'il s'abandonnat à la perfection chrétienne et à l'ascetisme ... car tel est le sens du mot philosophia et sapientia chez saint Augustin. (cfr. C. BOYER, Christianisme et néoplatonisme dans la formation de saint Augustin, Parigi, 1920). Circa dieci anni dopo, Licenzio, da vero umanista cristiano, indirizza a sant'Agostino la lettera poetica in 154 esametri, nella quale egli prega l'antico maestro di inviargli i suoi libri de musica; egli non aveva compreso l'armonia dei numeri dell'enciclopedia di Varrone ed attende con ansia febbrile i libri di Agostino: nam ferveo totus in illos (v. 151). Agostino risponde «attristé et décu » ; la lettera XXVI «c'est la plus touchante lettre qu'un professeur ait jamais adressée à son élève ». L'idea dominante di questa lettera è racchiusa in una frase antitetica, formata da due metafore: quo mihi linguam auream et cor ferreum, che non soltanto ci presenta una delle forme particolari dell'espressione di Agostino, «mais qui nous laisse encore voir l'abîme terrible qui s'ouvrait dans la conscience d'un chrétien entre la forme et le contenu de la littérature payenne ».

(5) W. SPEYER, in H. DAHLMANN-W. SPEYER, Varronische Studien, II: Zu den Logistorici, Abh. Ak. Mainz 1959, pp. 758 segg.

(6) B. RIPOSATI, M. Terenzio Varrone, l'uomo e lo scrittore, in «Atti del Congresso Internazionale di Studi Varroniani", Rieti 1976, pp. 59-89; P. BOYANCÈ, Les implications philosophiques des recherches de Varron etc., in «Atti del Congresso Internazionale di Studi Varroniani ", Rieti 1976, pp. 137-161; H. DAHLMANN, Zu Varros antiquarisch-historischen Werken, besonders den Antiquitates Rerum Humanarum et Divinarum, in «Atti del Congresso Internazionale di Studi Varroniani ", Rieti 1976, pp. 163-176; J. H. WASZINK, Varrone nella letteratura cristiana dei primi secoli, in «Atti del Congresso Internazionale di Studi Varroniani ", Rieti 1976, pp. 209-223; A. TRAGLIA, L'ars grammatica vista da Varrone in rapporto con le altre artes, in «Atti del Congresso Internazionale di Studi Varroniani ", Rieti, 1976, pp. 177-195.

(7) E. BIGNONE, Storia della letteratura latina, III, Firenze, 1950 pag. 377.

(8) Tra le varie ipotesi di attribuzione, ricordiamo quella del Della Corte (o. c. pp. 240-241, nota 1l), che propende per l'inserimento della filosofia tra le disciplinae varroniane; quella del Bolisani, espressa nel libro I Logistorici varroniani, Padova 1937, pp. 76 segg., che riprende una teoria del Chappuis (cfr. «Fragments des ouvrages intitulés Logistorici") secondo cui il Liber de philosophia andrebbe identificato con un logistorico dal titolo Antiochus de philosophia, e la posizione del Traglia (o. c., pp. 192-195) che, pur affermando esplicitamente di non avere «nessuna difficoltà ad ammettere che il de philosophia fosse uno dei dieci libri singulares varroniani, e non entrasse nel novero dei novem disciplinarum libri, pocò dopo prosegue: «quello che conta è la sostanza ... del pensiero (di Varrone) rettamente interpretata da sant'Agostino: tutto il sapere umano caratterizzante l'uomo libero - in una organizzazione unitaria ed enciclopedica - ha il suo sbocco nel saldo possesso della virtù morale, a cui esso deve cospirare ed a cui è propedeutico, chè questo è il fine ultimo di ogni nostra attività culturale e di studio."

(9) A. TRAGLIA, o. c., pp. 185 segg.

(10) A questo proposito, ricordiamo ancora le pagine del Traglia, o. c., p. 177 segg. Riguardo al problema etimologico, una interessante pagina del Della Corte (F. DELLA CORTE, La filologia latina dalle origini a Varrone, Torino, 1937, p. 113) puntualizza: «l'etimologia non era che un metodo, una forma euristica per scoprire più facilmente gli argomenti suffraganti una data tesi; ... le varie tesi, alle quali questo metodo etimologico era asservito, costituivano invece un complesso di storia culturale, che Varrone si era venuto formando: un intero mondo filologico con le sue tesi programmatiche, quali quelle del provincialismo arcaizzante e conservativo; della latinità come forma di linguaggio ottenuto con processi logici, del tutto simili a quelli dell'ellenismo; dell'eolismo come concezione di un substrato linguistico preesistente alla parlata dei Dori e perciò coevo e affine all'italico antichissimo e altre tesi minori e corollari."

(11) Ancora il TRAGLIA. o. c.. D. 192.

(12) A. TRAPÈ, Varro et Augustinus praecipui humanitatis cultores, in «Atti del Congresso Internazionale di Studi Varroniani), Rieti 1976, pp. 553-563.

(13) Si esprime così il Trapè: ... haec autem sunt quae consideration digna videntur: primo quidem, disciplinae de quibus sermo instituendus statuitur septem erant numero - sicut postea in medio aevo factum est, cum disciplinae trivii et quadrivii appellatae sunt - dum apud Varronem novimus novem fuisse disciplinas, quibus singulis singuli dedicabantur libri; secundo vero, disciplinae quae omittuntur sunt medicina, astronomia, architectura; additur tamen philosophia, et iure quidem cum artes liberales ad philosophiam reducuntur, philosophia vero ad amorem sapientiae; tertio tandem, mens Augustini non fuit opus conficere quod tantum ad eruditionem pertinet, sed etiam immo potissimum ad religionem. «Per corporalia cupiens, inquit, ad incorporalia ... pervenire), ad Deum nempe, qui est sapientia et initium sapientiae."

(14) B. RIPOSATI, o. c., p. 67 segg.

(15) J. H. WARZINK. o. c. pp. 209-223.