Percorso : HOME > Associazione > Settimana agostiniana > Settimana 1991 > Triacca

AchilLe Triacca: ORDINAZIONE PRESBITERALE NELL'ANTICHITA' CRISTIANA

 S. Agostino e amici a Cassiciaco: immagine dalla Historia Augustini

Historia Augustini: a rus Cassiciacum

 

 

 

ORDINAZIONE PRESBITERALE NELL'ANTICHITA' CRISTIANA

di Achille Triacca

 

 

 

Accenni ai metodi e ai criteri

Ciò che nel tessuto e nel vissuto ecclesiale oggi esiste in luce pur darsi che ieri fosse solo in nuce (1). A sua volta quanto per noi sembra essere già chiarito dopo di noi forse apparirà ancora in ombra (2). Effettivamente la vita della Chiesa animata dallo Spirito Santo proprio nei riguardi dei sacramenti beneficia di un processo di progressivo arricchimento che parte sempre dalla comprensione della Parola di Dio e percorrendo il tracciato della tradizione in ogni epoca va sempre di più organizzandosi in modo organico (3). E questo resti detto subito perchè nell'affrontare le modalità e i criteri per l'ammissione all'ordinazione presbiterale nell'antichità cristiana cioè dalle origini del cristianesimo ai secoli quinto-sesto deve essere messo in evidenza che l'oggi si differenzia dallo ieri non nella sostanza ma solo in concrete manifestazioni esterne.

Esse a volte sono state rette e motivate dalla funzionalità pastorale cioè da contingenti questioni pratiche senza mai intaccare l'intimo della realtà. Al caso nostro trattando dell'evento dell'ordinazione presbiterale si sa che esso proviene da Cristo. La Chiesa celebra sempre la stessa realtà per non tradire la volontà di Gesù. Anzi per interpretarla sempre più in modo esatto riveste e orna la stessa realtà con modalità differenti ma sempre canalizzate e finalizzate ad impreziosire il diamante inestimabile del Sacramento ricevuto dal Cristo. La Chiesa quale depositaria lo incastona in una corona di perle della cui preziosità giudica sempre di volta in volta e quando necessita farlo. Proprio per sintetizzare i dati che non sono molti e di non facile interpretazione articolerei il contributo in quattro punti: premesse, dati, considerazioni, conclusioni. Premesse: quasi un prevenire equivoci Queste premesse servono anche a stabilire i limiti e il metodo della "succinta" indagine.

Essa parte da:

 

1. "Professione-confessione-celebrazione" della fede

Il periodo della vita della Chiesa apostolica e subapostolica come anche quella dell'epoca dei Padri vede l'attività degli Apostoli e dei loro Successori quale attività eminentemente di Pastori. La stragrande maggioranza dei Padri della Chiesa almeno fino a tutto il periodo aureo della patristica (cioè fino ai secoli V-VI ci testimonia che i Vescovi agivano da "catechetimistagoghi" da interpreti autorevoli della Parola di Dio (4) da formatori di autentici fedeli da "liturghi" nel senso più pieno del termine. Anzi tra le differenti modalità dell'attività dei Padri esiste un'osmosi vitale ed operativa ed un mutuo interscambio dei reciproci ruoli che la liturgia (nel caso l'ordinazione presbiterale nella celebrazione eucaristica espleta come culmine e fonte del loro agire (5. Infatti dalla "professione" di fede suscitata dalla Parola di Dio alla "confessione" della fede nelle sue diverse modalità quali: con il cuore con la bocca con la mente con le opere con la vita (6) alla "celebrazione" della fede l'attività dei Padri della Chiesa risulta modulata in modo che a noi appare una mirabile compenetrazione tra fede creduta (=lex credendi e fede vissuta (=lex vivendi) filtrata dalla fede celebrata (=lex orandi). Ed è proprio nel contesto della liturgia di cui i Padri della Chiesa erano i moderatori (7) che si inserisce la presente trattazione che vuole mettere in risalto solo per accenni le modalità per l'ordinazione presbiterale (dunque non diaconale nè episcopale) nell'antichità cristiana.

Ovviamente non si intende qui rifare il cammino già percorso da eminenti studiosi o ritessere la storia dell'ordinazione presbiterale già tracciata anche di recente sia da studiosi cattolici (8) (specialmente in rapporto al contenuto delle preghiere (9) di ordinazione) sia da studiosi protestanti (10).D'altra parte in un convegno di teologia sacramentaria svoltosi al Pontificio Ateneo Anselmiano sul ministero ordinato nel diaologo ecumenico (11) è stato trattato anche delle modalità dell'ordinazione presbiterale presso l'Oriente e l'Occidente cristiano (12) per cui non credo sia opportuno indugiare su quanto qui si presuppone almeno in modo implicito.

In ogni caso lo studio delle fonti antiche coniugato con le istanze attuali porta ad essere cauti e a procedere gradualmente sapendo che il passato rivive nel presente se questo non è avulso dalla tradizione perenne. a sua volta essa porta fino alla Parola di Dio presente tanto nello Scritto sacro quanto nella vitalità della Chiesa. Effettivamente nella celebrazione del sacramento dell'ordine è in atto sia la professione sia la confessione di fede in un perenne oggi celebrativo. Si pur così ecomprendere come la premessa presente sia da concatenare con la seguente.

 

1.2. Interpellare le fonti con metodo appropriato

Sarebbe assurdo pretendere che le fonti posseggano circa l'ordinazione del presbitero tutte le risposte alle questioni che ci poniamo noi oggi. Rimane però legittimo "sfidare" le fonti e interpellarle anche per vedere se testimoniano i criteri per la scelta dei candidati al presbiterato. Sfidarle significa indagarle ma con metodo adeguato. Per quanto non sia questo il luogo dove discutere la metodologia da usarsi tuttavia si deve convenire che è lecito partire dal fatto odierno dell'esistenza della criteriologia alla quale deve obbedire il candidato che accede al prebiterato (13) e risalire a ritroso epoca per epoca fino ad arrivare al tempo che ci interessa. e cir viene fatto in vista della comprensione delle modalità alle quali opinabilmente avrà ottemperato anche Agostino di Tagaste per accedere al presbiterato. Ebbene per quanto si siano indagate le fonti per mettere in risalto i criteri circa il sacramento dell'Ordine i rilievi degli studiosi sono catalizzati preferenzialmente attorno al candidato all'Episcopato. Solo cenni qua e là per il presbitero nell'accezione con cui viene inteso oggi comunemente.Infatti nelle primissime fonti esiste una specie di sinonimia per cui il termine presbyteroi a volte sono indicati gli "anziani" della comunità a volte gli stessi "episcopoi" e a volte i presbiteri come oggi si intende. Per questo ho dovuto procedere con un metodo andando a ritroso dall'oggi all'ieri (cfr. 2.1.) e costruire così una specie di albero. Siccome "l'albero" in greco di dice dendron ho costruito un dendrogramma. Ho delineato graficamente un albero che alla fine mescola i suoi rami con le fronde che provengono dall'altro modo di procedere e cioè dal modo di partire dall'ieri all'oggi. Sono partito dai primi dati e ho costruito progredendo epoca per epoca come uno stemma genealogico (cfr. 2.2.). In questo modo ho interpellato le fonti per poter far dire loro quel tanto e solo quello che possono testimoniare sull'argomento.

 

1.3. Le concrete fonti interpellate

Con quanto è stato detto nelle precedenti premesse e dato il taglio di alta divulgazione nel quale devo lasciare il presente contributo rimane ovvio che le fonti interpellate non sono analiticamente studiate in questa sede. Qui si riferiranno solo i dati globalmente emergenti sia da esse sia dagli studi su di esse condotti dai competenti. In ogni caso le fonti interessate sono almeno di quattro tipi.Innanzittutto sono interessate le fonti bibliche specie gli Atti degli Apostoli e le Lettere pastorali. Dato che strettamente connesse con gli scritti sacri sono le fonti coeve extra-bibliche non si potrà fare a meno di considerare anche le fonti rabbiniche. Esse coeve appunto agli scritti ispirati servono per ambientarli e per cogliere la diversità tra quanto è proprio all'ambito della fede rispetto a ciò che non fa parte del "deposituí fidei".

Per importanza dopo quelle bibliche seguono le fonti liturgiche (14). Ovviamente solo dall'epoca in cui queste esistono scritte perchè una liturgia dell'ordinazione è già implicitamente testimoniata da Atti degli Apostoli 13, 1-3; e 14, 23 ma oltre agli elementi del digiuno della preghiera dell'imposizione delle mani e della "missio" dai loci biblici non si può dedurre altro. D'altra parte molte testimonianze liturgiche per i primi due secoli e mezzo (per non dire tre) di cristianesimo si hanno solo in obliquo ovvero in modo indiretto. E in genere esse riportano rubriche (ma non con lo stile di altre epoche) per il rito e le preghiere per l'ordinazione. Non si riportano i criteri per una eventuale designazione del candidato soggetto dell'ordine. Tuttavia dall'analisi interna delle preghiere si pur dedurre una specie di "griglia" di principi a cui la comunità locale si atteneva nell'ammettere un fedele agli ordini sacri. In genere la criteriologia è più direttamente deducibile dalle fonti giuridico-ecclesiastiche ovvero fonti canoniche (15).

Nei primi secoli sono in via di formulazione e con il progredire del tempo in sintonia con lo sviluppo e con l'organizzazione della vita della Chiesa queste fonti prendono consistenza. Saranno proprio loro a codificare i requisiti del candidato al presbiterato. Anzi con la fine del periodo delle persecuzioni e con l'ingerenza dell'imperatore (da Costantino ai suoi successori) nella vita della Chiesa si occuparono di quando in quando anche di deliberazioni di tipo civile proprio per quanto concerne il candidato al presbiterato. Dunque ci interessano anche le fonti giuridico-civili (16).

Ovviamente e questo deve essere detto per non incorrere in inutili osservazioni puntualizzatrici da parte dell'acuto e provveduto lettore il modo di considerare le fonti e/o di interpellarle non pur essere condotto in questa sede con tutti i crismi ermeneutici delle medesime. Vengono considerate "prouti iacent" e cioè come significativamente sono espressi i loro contenuti con il prendere in considerazione l'accezione dei termini nella immediata loro espressività.Anzi le fonti si dovranno considerare non in modo diacronico cioè nel loro succedersi e svilupparsi nel tempo bensì in modo sincronico. Ciò significa che una volta che si è certi della loro esistenza si suppone che nel fluire del tempo siano state conosciute nel tessuto ecclesiale e siano state ottemperate nel contenuto di quanto trasmettono. Per cui le fonti antiche quali che fossero se sono testimoniate esistenti ai tempi di sant'Agostino o epoca vicina e a loro volta testimonino equalcosa per il nostro soggetto verranno prese in considerazione in una simultaneità temporale (=sincronia). Il procedimento di "livellamento" (per così dire) a cui devo sottoporre le fonti è per non incorrere a dover fare un lavoro di eccessiva specializzazione eludendo così l'ambito e i limiti a cui mi devo arrendere a star soggetto. 2. Dati: quasi un approfondire il temaE' stato scritto nei riguardi dell'antichità cristiana che "in Africa ci si lamentava continuamente per la mancanza di preti e tuttavia i chierici erano numerosi.

C'era a Cartagine in media una consacrazione di un vescovo ogni domenica e nel momento dell'invasione dei Vandali la metropoli contava circa cinquecento ecclesiastici ivi compresi i lettori la maggior parte dei quali era costituita da ragazzetti (infantuli). Ogni chiesa di città aveva oltre al vescovo diversi preti diaconi accoliti e lettori" (17).

Dunque una chiesa dove all'abbondanza del clero corrispondeva una prassi di reclutamento che al dire del Van der Meer che riporta il parere di Gerolamo (18) non era privo di inconvenienti. Infatti il reclutamento veniva fatto per elezione; i più capaci venivano scartati perchè non intriganti. Tra l'altro i vescovi che presiedevano alle elezioni guardavano più volentieri dalla parte dei ricchi o dei chierici della propria famiglia (19).A questa prassi si contrapporrà il modo di agire di Agostino che con l'incremento della vita monastica facilitò in seguito il reclutamento del clero dai monaci. Del resto il genere di vita in comune del vescovo con i suoi preti (20) facilitava la vita ascetica propria ad un clero degno della sua vocazione e missione.

Se però uno volesse evincere dalle fonti quali fossero la criteriologia e i concreti metodi per la designazione del candidato al presbiterato si trova in non poche difficoltà. Infatti le fonti (come si accennerà qui sotto) nell'essere parche di informazioni dirette sono quasi mute per quanto concerne il presbitero mentre lo sono di meno per il diacono e specialmente per il Vescovo.Per camminare sul certo applicando quanto è stato qui sopra ricordato circa il metodo (cfr. 1.2.) con cui affrontare le fonti procedo come segue.

 

2.1. Le fonti dall'oggi al secolo VI costantemente accennano a metodi e a criteri per la scelta dell'ordinando presbitero

Prescindendo dalle odierne disposizioni proprie ad ogni famiglia religiosa che denotano per l'ammissione di un candidato al presbiterato accentuazioni diverse per il presbitero diocesano si deve però convenire che le citate norme del Codice di Diritto canonico per i soggetti della Chiesa d'Occidente o del codice dei canoni delle Chiese Orientali per i soggetti delle Chiese d'Occidente fondamentalmente devono essere ottemperate sia dal clero religioso sia da quello diocesano. Esse si riducono al seguente schema. La vocazione è un dono delle Persone Divine fatto ad un fedele a bene della Chiesa comunità di fedeli. Dunque questa per verificare se il dono è accettato liberamente dalla volontà del chiamato e dunque non si tratta di velleità di fissazione di realtà invischiata in finalità aliene alla genuinità e all'autenticità della chiamata esige e postula nel soggetto doti tipiche. Esse sono doti intellettuali morali fisiche ecc. Anzi per pervenire all'ordinazione un candidato deve sottoporsi ad un itinerario di preparazione che nella normalità avviene nei seminari per il clero diocesano o negli studentati teologici (o simili) per il clero religioso. La chiamata da parte del Vescovo o del Superiore competente sta a significare la vocazione invisibile ed interiore da parte dello Spirito Santo.

 

2.1.1. Dal 1990 al 1596

Ebbene se si considera la seconda edizione risalente al 1990 della parte del Pontificale riformato a norma delle disposizioni del Concilio Vaticano II concernente l'ordinazione e la si paragona con la prima risalente al 1968 subito si coglie che il presbitero sta nel mezzo tra il Vescovo e il diacono e sia nella scia discendente che va dal Vescovo al presbitero al diacono come è testimoniato dall'edizione del 1990: De ordinatione Episcopi Presbyterorum et Diaconum sia nella scia ascendente che va dal diacono al presbitero al Vescovo come è testimoniato dall'edizione del 1968: De Ordinatione Diaconi Presbyteri et Episcopi (21). Il presbitero che occupa lo stesso posto anche nel Pontificale Romano del 1596 quello rivisto a norma dei Decreti del Concilio di Trento deve essere adorno di qualità tipiche per poter essere collaboratore del vescovo mentre è posto all'interno del "presbyterium". Come la sua ordinazione avviene nella celebrazione dell'Eucarestia così tutta la sua esistenza deve polarizzarsi sulla comunità eucaristica (parrocchia comunità religiosa comunità a raggio delle finalità a cui il Vescovo o il Superiore religioso lo deputa ecc.).In pratica nel rito di ordinazione del presbitero è previsto che la presentazione dell'ordinando venga fatta al Vescovo da parte dell'assemblea nella persona del presbitero incaricato che si rivolge al vescovo dicendo:Reverendissimo Padre la Santa Madre Chiesa chiede che questo nostro fratello sia ordinato presbitero. E il Vescovo interroga: Sei certo che ne è degno? Il prebitero risponde:

Dalle infomazioni raccolte presso il popolo cristiano e secondo il giudizio dato da coloro che ne hanno curata la formazione posso attestare che ne è degno.

Il Vescovo soggiunge: Con l'aiuto di Dio e di Gesù Cristo nostro Salvatore noi scegliamo questo nostro fratello per l'ordine del presbiterato.

Tutti in segno di assenso rispondono:

Rendiamo grazie a Dio (22).

In questo dialogo è cristallizzato tutto un processo di criteri e di metodi per scegliere il candidato al presbiterato. Non sono specificate le persone che sono state interpellate o consultate per verificare la presenza delle qualità richieste nel candidato.

Si sa che coloro a cui spetta giudicare hanno formulato il giudizio. Effettivamente ci si trova dinanzi ad una consegna da parte della Chiesa (locale-diocesana/comunità religiosa) del candidato al Vescovo. Alla consegna (=traditio) ecclesiale corrisponde un'accoglienza (=receptio) da parte del Vescovo che preferisce il verdetto della vocazione ("noi scegliamo") del candidato al grado del presbiterato.

Sono dunque coinvolti nella traditio i cristiani fedeli che hanno conosciuto il candidato i formatori del candidato il presbitero che attesta a nome di tutti dinanzi al Vescovo; e alla fin fine il Vescovo stesso in una parola è coinvolta tutta la Chiesa locale. I laici dovrebbero testimoniare la capacità del candidato sia di trasmettere la buona novella-l'evangelo sia di pregare e di aiutare a pregare sia di accompagnare le comunità nella loro responsabilità. Ebbene procedendo a ritroso nel tempo secondo quanto è stato sopra segnalato si coglie che costantemente la Chiesa ha seguito dei criteri per la designazione del candidato al presbiterato. L'ultimo stadio e cioè il più recente o vicino a noi va dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II. I libri liturgici riformati a norma rispettivamente dei due Concili si esprimono in modo tipico e quanto è ivi detto deve essere integrato con le disposizioni canoniche parallele al dettato liturgico e da ricercare altrove.

Ciò avvenne anche per il periodo:2.1.2. Dal Concilio di Trento al 950 E' il periodo che vede in auge nella Chiesa Pontificali tipici e propri ad alcune Chiese e cioè andando indietro nel tempo:

il Pontificale del Piccolomini e del Bucardo del 1485,

il Pontificale della Curia del XIII secolo,

il Pontificale di Guglielmo Durando (1255),

il Pontificale Romano del XII secolo

il Pontificale Romano-Germanico del secolo X e precisamente redatto a Magonza (Mainz) nel 950 data citata nel sottotitoletto del paragrafo.

Non è qui il luogo di tracciare nè la storia nè la formazione del pontificale (23). Rimane certo che è il periodo in cui nel Pontificale entrano gli aspetti giuridici dovuti anche al concetto di investitura per gli uffici civili: "cliché" trasferito in parte nella redazione del Pontificale Germanico del 950 e che perdurerà in tutti i seguenti. Così per l'ordinazione del presbitero si ha una separazione del rito dell'imposizione delle mani dalla preghiera o formula consacratoria. Inoltre mentre si canta l'inno veni Creator si procede all'unzione delle mani dell'ordinando-presbitero e si aggiunge la consegna degli strumenti (=traditio instrumentorum) e cioè del calice e della patena: cerimonia che fu in uso fino al 1940 (24).Se si considera il rito primitivo dell'ordinazione del presbitero e cioè quello antico in auge fino al secolo IX e proveniente dal secolo III rito che si riconduceva all'imposizione delle mani da parte del Vescovo e all'orazione consacratoria si deve riconoscere che il susseguente rito col tempo si è caricato di ulteriori elementi pur mantenendo sempre la sostanza uguale. Tuttavia per il nostro tema si deve convenire che esiste la richiesta di consenso dei fedeli per l'ordinazione presbiterale. Ma il tutto è ridotto a qualcosa di cristallizzato in formalità che con verosimile probabilità non avevano rispondenza al pratico.

Le disposizioni di tipo canonico in merito al candidato al presbiterato devono essere rintracciate nelle collectiones della normativa in merito (25).Rimane certo che necessiterebbero delle indagini specifiche sull'argomento che questo contributo sta affrontando. La carrellata a ritroso che si sta facendo qui ha l'unico intento di sottolineare la difficoltà del tema che mi fu affidato senza avere avuto il tempo di condurre indagini appropriate. Ciò nonostante si pur ancora porre attenzione al paragrafo seguente:2.1.3. Dal 950 al secolo VI E' l'epoca che ricongiunge il discorso a quanto verrà esposto in seguito nel paragrafo 2.2.4. Qui è sufficiente menzionare che il primitivo rito di tipo romano per l'ordinazione del presbitero accompagnato dalla criteriologia per l'ammissione del candidato all'ordinazione viene contaminato da influssi extra-romani specialmente gallicani. però rimane certa la prassi ereditata dalle epoche precedenti circa la richiesta del consenso dei fedeli per l'ordinazione presbiterale.

Ebbene è proprio con il constatare che il dendrogramma porta a cogliere che il tronco dell'albero da oggi al secolo VI circa la partecipazione dei fedeli nella designazione del presbitero è tronco solido che induce ad entrare nel cuore dell'altro tentativo quello cioè di tracciare uno stemma genealogico partendo dalle origini fino al secolo VI e quindi ottemperare allo scopo primo della relazione. Questa presuppone diversi studi che per alleggerire l'apparato critico non starò a citare di volta in volta. Riferirò però i dati che gli autori menzionati nella nota 9 e quelli che ora cito nella nota (26) mi hanno fornito.

Ho dovuto optare per una simile soluzione contro il mio modo solito di fare altrimenti il tutto si sarebbe appesantito oltre misura.

 

2.2. Le fonti dalle origini al secolo VI

Sul nostro soggetto non sono del tutto mute Nel percorrere a ritroso le fonti e nel risalire dall'oggi al secolo Vi si è intravvisto un continuo filone di normativa di prassi di metodi e di criteri presenti nel tessuto ecclesiale nei riguardi dell'ammissione del candidato al presbiterato tanto da poter delineare il tronco di un albero che possiede una solidità di un millennio e mezzo (=dendrogramma). Ora se si volesse percorrere il tragitto che va dalle origini delle fonti di interesse al nostro soggetto si potrà arrivare a cogliere quanto sia vero che le fronde dell'albero più che millenario si fondono con quelle che provengono dallo stemma genealogico delle fonti anche circa il nostro interesse.

Effettivamente percorrendo i dati dal secolo I anche solo con accenni ma secolo per secolo si pur giungere ai secoli V-VI comprendendo che lo sviluppo (=stemma genealogico) di quanto è implicito nel dato della Parola di Dio costituisce una mirabile ed esistenziale esegesi della medesima.

 

2.2.1. Le fonti del secolo I

Come è stato accennato sopra (cfr. 1.3.) le fonti direttamente interessate al soggetto e appartenenti al secolo I si riducono alla Sacra Scrittura capita anche con le fonti coeve dell'ambito giudaico-rabbinico. Per quanto concerne la criteriologia nei riguardi del chiamato all'ordinazione supposte e la conoscenza delle fonti e un loro studio interpretativo-ermeneutico si può succintamente richiamare una serie di dati. Essi vengono esposti in modo schematico.

 

a. Dall'istituzione del Sacramento dell'Ordine da parte di Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote (cfr. Ebr. 4 14) alla coscienza riflessa da parte dell'ordinato nel ministero del sacerdozio di essere degno della ministerialità di Cristo si inserisce la prassi della Chiesa che sotto l'azione dello Spirito Santo fa recepire che chi è costituito con l'imposizione delle mani deve essere dispensatore dei misteri di Dio (cfr. 1 Cor. 4 1) idoneo ministro della Nuova Alleanza (cfr. 2 Cor. 3 6) perchè ambasciatore di Cristo (cfr. 2 Cor. 5 8). Infatti in Lui è posto il ministero di riconciliazione (cfr. 2 Cor. 5 8).

 

b. Anzi dal fatto che Gesù ha chiamato direttamente gli Apostoli la Chiesa è indotta a modellarsi sul modo d'agire di Cristo stesso. Per poter non falsare la volontà del suo fondatore la Chiesa pone l'attenzione sul fatto che del comando di Gesù e del potere che Egli stesso ha lasciato a chi è costituito nel "sacramento dell'Ordine" dicitura questa che verrà in seguito usata per indicare la realtà del ministero dal Cristo istituito per la Chiesa. Essa stessa mette in risalto dapprima due direzioni operative di cui è investito il candidato all'ordine. La prima direzione operativa è che il ministro è rappresentante degli uomini presso il Padre assumendo in virtù dello Spirito Santo il posto del Cristo. Egli ha detto "fate questo in memoria di me" (cfr. 1 Cor. 11 24; Lc. 22 19 e paralleli). La mediazione ascendente esplicitata da chi è costituito nel sacerdozio ministeriale è controbilanciata dalla mediazione discendente che lo stesso ordinato raggiunge ottemperando alla rappresentanza di Dio presso gli uomini e quindi espletando i poteri di rimettere i peccati (cfr. Gv. 20 21-23 e paralleli concettuali) di istruire di santificare di governare (cfr. Mt. 28 19-20 e paralleli).

 

c. La Chiesa Apostolica lascia alla chiesa sub-apostolica e a quella di tutti i tempi tre gradi di ministerialità costituita nell'ordine che comprende i Diaconi (cfr. Atti Ap. 6 6) i Presbiteri (cfr. Atti Ap. 14 23) i Vescovi (cfr. 1 Tim. 4 14; 2 Tim. 1 6).

 

d. Ora si noti che dall'epoca della redazione degli Atti degli Apostoli e delle Lettere Pastorali al secolo III le fonti mantengono un relativo silenzio sul nostro tema. Tuttavia non è difficile cogliere che alle fonti del secolo i si rapportano le seguenti che mettono in risalto dati che denotano lo sviluppo di quanto nelle precedenti fonti era presente in modo implicito.

 

2.2.2. Le fonti dei secoli II-III

Sono preminenti in questi due secoli i dati provenienti dalla Didaché dalla Tradizione Apostolica, dagli scritti di papa Clemente I, di Ignazio di Antiochia, di Ireneo di Lione, di alcuni apocrifi della Scrittura ecc.

Ricordando che in genere le fonti citate si occupano preferenzialmente dei Vescovi e dei diaconi e di meno dei presbiteri anche perchè sia la terminologia è fluttuante da scritto a scritto e non uniforme sia i dati di fatto sono diversi da Chiesa a Chiesa cioè è plausibile che alcune possedessero il Vescovo e il diacono e non il presbitero (cfr. per esempio la situazione descritta da Didachè 15 19 e dalla i Epistola di Clemente di Roma 36 1-2; 42 5; 43 1-6) rimane certo che il presbitero è subordinato al Vescovo e il diacono sia al Vescovo sia al presbitero (così Ignazio di Antiochia). Anzi il presbitero non ha il potere di costituire il clero cioè di ordinare a sua volta altri (cfr. Tradizione Apostolica 8, 7-8). Su questo fatto ritornerà per esempio Gerolamo (Epistola 146, 1) quando scriverà "che cosa fa il Vescovo che non faccia anche il presbitero eccetto per quanto concerne l'ordinazione? ".

Così Giovanni Crisostomo nella sua Omelia II sulla prima lettera a Timoteo quando afferma che i Vescovi sono superiori ai Presbiteri solo per il potere di ordinare. Anzi Epifanio trattando delle eresie (75, 4) chiama pazzo un certo presbitero Acrio che per primo (ma saremo già all'incirca attorno al 375 d.C.) attribuì ai presbiteri il potere di ordinare.Tuttavia si faccia caso che le fonti menzionate e di cui qui non si fa l'analisi di per sè non dicono nulla direttamente sui criteri e metodi per la designazione del presbitero. Però in modo indiretto ad una specie di rilettura delle fonti con i loro dati rilettura fatta proponendo i dati stessi sotto quattro interrogativi allora si pur dedurre in obliquo qualche criterio.

 

a. Quale era la funzione dei ministeri testimoniata dalle fonti del secolo II-III ? La risposta è rintracciabile dalla preghiera usata per esempio nella "Tradizione Apostolica" del 215 che chiede il carisma del ministero per l'ordinando: il dono dello Spirito che conferisce all'ordinando la mansione e la missione ne potenzia il dovere e il potere sancendo i suoi diritti nei riguardi delle persone che gli sono affidate. Alla molteplice richiesta fatta nella preghiera (=lex orandi) è ovvio che la comunità presupponesse una corrispondenza nella vita del candidato (=lex vivendi) e che l'ecclesia avesse a monte una teologia dell'autorità della Chiesa (=lex credendi). Anzi dato che la vocazione al presbiterato proviene da Dio quanto si compie nell'ordinazione del presbitero con l'imposizione delle mani il silenzio la preghiera ecc. costituisce una "iconizzazione" dell'autorità divina.Ora dalla funzione del ministero presbiterale significato dalla preghiera è facile risalire alle condizioni di colui che doveva espletare tali funzioni. Quindi era cooptato al ministero solo chi era fornito almeno in modo incoativo delle caratteristiche implicitamente presupposte dalla preghiera stessa.

 

b. Quale era il concetto della natura dell'autorità nella Chiesa secondo la mens delle fonti del secolo II-III interessate al nostro soggetto ?

La risposta è da ricercarsi in una serie di sfumature di realtà che riguardano implicitamente le stesse caratteristiche ovvero i requisiti del candidato del presbiterato. Infatti per esempio Clemente nella sua I lettera sottolinea che l'autorità dell'ordinato proviene da Gesù Sacerdote Sommo. Lo Spirito Santo è sostegno dell'autorità. Dunque la natura dell'autorità dell'ordinato è teandrica divina e umana naturale e soprannaturale. D'altra parte l'Epistola degli Apostoli richiama che l'autorità è da rapportarsi a Dio Padre che rivela i misteri. Ora un Dottore nella Chiesa trasmette la Parola un ordinato è servitore che agisce al posto di Cristo. Ed Ireneo nel Trattato contro le Eresie proprio contro le tendenze dei Valentiniani che potenziavano in una Chiesa psichica e pneumatica il solo aspetto dell'autorità spirituale sottolinea che l'autorità dell'ordinato è globale ed investe tutti gli aspetti della vita quotidiana. Dunque sono requisiti nel candidato caratteristiche tipiche mediante le quali possa espletare l'autorità di cui con l'ordinazione viene investito.

 

c. La gerarchia nella Chiesa da chi è costituita e perchè ?Le tendenze ereticali quali i citati Valentiniani soffermandosi sull'autorità spirituale compartecipata a tutti i fedeli finivano per abolire la gerarchia (si veda il Trattato contro le Eresie I 13, 3 di Ireneo) dunque non si ponevano nemmeno l'interrogativo circa i criteri dell'ordinando. Così gli Gnostici per i quali la comunità si radunava senza bisogno di ordinati. Tertulliano stesso nel suo De prescriptione (41, 6-8) stigmatizza coloro che facevano ordinazioni a caso senza serietà. Dunque secondo la sua opinione l'ordinando doveva entrare in parametri di serietà. Anzi ridicolizza coloro che oggi hanno un Vescovo e domani un altro. Tuttavia si faccia caso che è convinzione chiara che si diventa Vescovo-Presbitero per iniziativa del Salvatore. Di qui la necessità d'essere all'altezza della situazione. Implicitamente si pur dedurre che esisteva una qualche criteriologia per ammettere il candidato all'ordinazione.

 

d. Ma al concreto esistevano sì o no dei metodi per designare il candidato all'ordinazione ?

Tenuto presente quanto è già stato ricordato e cioè che le fonti dell'epoca di cui si sta dicendo parlano quasi esclusivamente dei diaconi e dei vescovi e pochissimo dei presbiteri allora si pur convenire che vi si ritrovano sufficienti cenni che servono a formulare un'incipiente risposta al quesito posto. Infatti gli stessi Gnostici affermano a proposito dei veri cattolici e in modo ironico che tra i ciechi senza guida esistono Vescovi e diaconi che dicono d'avere ricevuto da Dio l'autorità.

Dunque al di là della concreta criteriologia bisogna riconoscere che anche l'eretico sa che i cattolici rapportano la stessa criteriologia alla sua radice o fonte della vocazione che è Dio stesso. Inoltre la Didaché‚ (15, 1) parla di elezione dei Vescovi e dei diaconi senza però specificare modalità alcuna. Al contrario la I Lettera di Clemente (44, 2-3) dice che gli uomini eminenti che succedono agli Apostoli nominano dei responsabili con l'assenso di tutta la Chiesa.

Ed Ireneo nel trattato contro le Eresie (III 12 10) ricorda l'elezione di Stefano. Mentre gli Atti degli Apocrifi di Pietro e Simone descrivono la scelta che viene fatta da Cristo e che anche chi impone le mani sui candidati alla fin fine è Cristo stesso. Si pur quindi concludere che le fonti dei secoli II-III parche di notizie sono tuttavia sufficientemente chiare nel farci intendere che sia per designazione sia per elezione sia per diretta chiamata di Dio il candidato deve essere provvisto di qualità e di caratteristiche che lo facciano atto alla sua missione. Tanto più che se si considera da vicino il documento più chiaro anche in merito al nostro soggetto e risalente all'inizio del III secolo qual è la "Tradizione Apostolica" da una parte presuppone un'elezione che include la comunità quando si riferisce al Vescovo (ivi 2) e al diacono (ivi 8).

Mentre per il presbitero non si capisce se debba essere scelto dal presbitero e/o dal Vescovo o anche dal popolo (ivi 7). Senza dubbio per l'elezione di un Vescovo i vescovi viciniori avevano parte nell'elezione. In ogni caso il presbitero è ordinato dal Vescovo. L'ordinazione del presbitero è fatta con l'imposizione delle mani del Vescovo e dei membri del "presbyterium". Siccome la preghiera dell'ordinazione invoca il Signore perchè renda degni i candidati e li abbia a riempire di Spirito Santo in modo che possano servire nella semplicità del cuore si deve convenire che il presbitero per il servizio (che è anche di governo in aiuto al Vescovo) deve essere adorno di caratteristiche che per altro non sono meglio specificate. Qualche riferimento più esplicito dalle fonti dei secoli successivi.

 

2.2.3. Le fonti dei secoli IV-V

Se questo contributo fosse destinato a riviste specializzate di per sè riporterebbe qui uno schizzo che dimostri con uno stemma genealogico in che modo una fonte si rifaccia o direttamente o indirettamente o ipoteticamente ad altre ad essa precedenti.Così le fonti che sono invocate per i secoli IV-V non si possono categoricamente e nettamente attribuire esclusivamente proprie a questi secoli. Infatti da una parte sono legate così intimamente alle poche precedenti nel tempo da dover asserire che ne sono come la logica derivazione; dall'altra parte come per esempio il "Sacramentario Veronese" si sa che codicologicamente è da attribuire al VI ma i contenuti già circolavano nel secolo precedente.

In ogni caso il contenuto delle "Costituzioni Apostoliche" della "Didascalia degli Apostoli" dei "Libelli Missarum" che confluiranno nel cosiddetto "Sacramentario Veronese" ecc. come i cenni ricavabili dagli scritti di Eusebio di Cesarea e di altri servono per poter approdare alle seguenti considerazioni.

 

a. Rimane assodato che l'ordinazione del Presbitero viene fatta dal vescovo con l'imposizione delle mani. Per esempio Eusebio (Storia Ecclesiastica 6, 23, 4 e 8, 4-5) cita che Origene quando fu promosso al Presbiterato ricevette l'ordinazione per il tramite dell'imposizione delle mani. Questo è sottolineato anche dalla "Didascalia degli Apostoli" ecc.

 

b. Si sa anche che il ruolo di designare il presbitero spetta al Vescovo che lo sceglie dal basso clero: così la citata "Didascalia degli Apostoli". Mentre dall'analisi interna della preghiera di ordinazione come è testimoniata dalle Pseudo Clementine e dalle fonti a loro posteriori (pari ai secoli di cui ora si tratta) si evince che le comunità prega per domandare consiglio per l'ordinazione. Per cui si potrebbe arguire che forse la comunità partecipava tutta assieme anche alla designazione del presbitero.

 

c. Rimane certo che sempre dall'analisi delle preghiere (si veda anche più innanzi: 3.5 si può dedurre che Dio vuole associare ai vescovi incaricati di governare altri uomini di livello (=ordo) subordinato e di dignità secondaria sul tipo di quanto fece Mosè che scelse altri per governare e i figli di Eleazaro e Itamar di Aronne per offrire sacrifici. Del resto a tanto erano già giunti gli Apostoli.

 

d. In ultima analisi si potrebbe affermare che la criteriologia per eleggere (da parte della comunità un fedele o un chierico) o per designare (da parte del Vescovo) uno già membro del clero (diacono suddiacono o altri gradi inferiori: di tutto questo non si hanno indicazioni chiare) doveva esistere ed essere in auge anche se una sua organica codificazione non esiste. Tale criteriologia innanzittutto teneva presente che era dovere del presbitero espletare mansioni di diverso spessore. Infatti egli doveva:

governare in modo subalterno al Vescovo il popolo di Dio (=mansione pastorale)

servire all'altare (=mansione cultuale)

annunciare la parola (=mansione kerygmatica o dottrinale)

collaborare con il Vescovo per quanto concerneva i sacramenti; come concelebrare l'Eucarestia con il Vescovo aiutarlo nella celebrazione dei Battesimi nella preparazione dei catecumeni nella celebrazione del sacramento della Penitenza ecc. nella predicazione durante l'Eucarestia.Si aggiunga che a Roma spettava al presbitero presiedere ai tituli.

Da un simile complesso di mansioni ("officia munera") si pur arguire il tipo di criteriologia presente nel tessuto ecclesiale nei secoli IV-V. Di un genere simile a quello che si pur dedurre da ciò che è stato qui sopra ricordato doveva essere la metodologia vigente in Africa Occidentale ai tempi di Agostino. Anzi per avere una controprova della presenza nel vissuto ecclesiale di un modo pratico di agire nei riguardi del candidato al presbiterato quasi comune nei secoli V-VI si veda quanto sempre succintamente viene riferito nel seguente paragrafo.

 

2.2.4. I dati dai secoli IV-V

Quanto viene qui riportato è solo per cogliere il comune humus presente nella vita delle diverse ecclesie d'Oriente e ed'Occidente dai secoli IV al VI e che poi continuerà nel decorso dei secoli con un'amplificazione tipica alle realtà vitali in seno alle diverse ecclesie. Anzi qui si ricorda solamente una campionatura di dati provenienti dall'Oriente e dall'Occidente (extra-romano) liturgico-antico in modo che si possa cogliere come lo Spirito Santo che è anima della Chiesa abbia animato contemporaneamente e sulla stessa lunghezza d'onda le diverse comunità sospingendole alla comprensione dell'importanza del presbitero e delle sue mansioni e missioni nella vita della Chiesa.

Così dall'Oriente cristiano sempre come esemplificazione si apprende che le citate "Costituzioni Apostoliche" affermano circa le mansioni del presbitero che egli è associato al vescovo (ivi 8, 16) per insegnare offrire battezzare benedire il popolo (ivi 3, 20) ed elencano ulteriori mansioni. Esse a loro volta postulano nel candidato virtù doti pregi ecc.: tutte realtà che stanno a dire che a monte esisteva una criteriologia per la scelta del candidato per il presbiterato. Infatti le preghiere che fanno capo alla famiglia del rito siro-occidentale (per esempio la liturgia bizantina) invocano che il servo di Dio deputato al presbiterato sia degno di:

esercitare il ministero sacro dell'annuncio del Vangelo del Regno di Dio

stare al cospetto dell'altare di Dio

presentare a Dio le oblazioni spirituali e il sacrificio perfetto

rinnovare il popolo di Dio con il bagno salutare del battesimo

essere lampada del Figlio che è luce.

a tutto questo le preghiere che fanno capo alla famiglia del rito siro-orientale aggiungevano nelle loro richieste che il candidato al presbiterato possa:porre le mani sui malati e guarirlicollaborare ad ornare d'opere di giustizia i figli della Chiesa santaagire sempre per la gloria del nome di Dio.Come si vede l'illibatezza dei costumi la santità di vita la prudenza nel reggere e nel governare la conoscenza del Vangelo la capacità di dirigere spiritualmente ecc. erano parti o requisiti di quella criteriologia che esisteva de facto anche se de facto non era codificata.Analoga conclusione è deducibile dalle fonti liturgiche gallicane che in parte defluirà nel filone liturgico romano e che andrà sviluppandosi dal Sacramento Gelasiano Antico ai Pontificali Romani del Medioevo. Infatti per esempio il cosiddetto Messale dei franchi (e cioè un testimone della liturgia gallicana in avanzato stato di romanizzazione) ricorda che il presbitero è insignito di una dignità poichè il diacono con l'ordinazione presbiterale è elevato ad un onore.

Tanto più che secondo il termine con cui viene designato e cioè "presbyter" il candidato deve essere ornato di buoni costumi come l'anziano del popolo. La ponderatezza lo rende "anziano". Per questo ogni presbitero deve credere a cir che proclama con la Parola di Dio in modo da poter insegnare bene ciò che professa con la bocca e di praticare con la testimonianza di vita ciò che insegna.

D'altra parte siccome il presbitero deve saper reggere la parrocchia che gli viene affidata è logico che deve essere fornito di qualità tali che lo rendano abile e capace a tanto. Per questo si esige da lui la pratica assidua della giustizia e della misericordia. Adorno di virtù con costanza deve esercitarsi ad essere fedele alla preghiera. A lui infatti viene dato il ministero di trasformare il pane e il vino in Corpo e Sangue di Cristo.

In altri termini è facile poter cogliere dall'analisi interna della documentazione che si possiede anche la risposta alle domande circa i metodi e i criteri per ammettere un candidato all'ordinazione presbiterale. Rimane certo che dai dati riportati in questo paragrafo per ordine cronologico è facile passare alle considerazioni globalmente catalogate in cinque riquadri come nel paragrafo seguente. In ogni caso si noti che nonostante i dati che sono classificabili il canone 45 del terzo Concilio di Cartagine del 390 attesta che c'era chi intrigava e così bene da farsi promuovere nei gradi del clero. In realtà i canoni 42 e 43 della stessa assise conciliare ricorda che tali persone erano dei buoni a nulla e quindi pretendevano di farla da padroni pieni di orgoglio e vanitosi. Dunque si potrebbe ricominciare da capo l'indagine per cogliere dal rovescio della medaglia altri aspetti propri del candidato al presbiterato e che essendo assenti in alcuni candidati erano però richiesti dal "sensus Ecclesiae".

 

3. Considerazioni: quasi un porre le basi per ulteriori indagini

Agostino un giorno in cui la chiesa era stracolma così incominciò l'omelia: "Vi chiediamo silenzio e calma affinchè la nostra voce nonostante la fatica di ieri possa conservare un po' di forza almeno per qualche minuto" (27).Analoga petizione faccio al paziente lettore perchè voglia conservare un pr di energia ancora dopo essersi affaticato nel percorrere con il paragrafo precedente i dedali dei dati. Da questi si vorrebbe dedurre ora alcune considerazioni quasi di sintesi con riferimento all'assunto circa i criteri e i metodi per la scelta del candidato al presbiterato. e tutto questo nonostante la scarsità di fonti dirette in merito al nostro tema.Per non allungare lo scritto sintetizzo quanto si pur asserire raggruppando il tutto ma in modo schematico in cinque medaglioni.

 

3.1. Il medaglione dei criteri dalle coordinate della vita ecclesiale

Se si tiene presente che la vita delle diverse chiese locali non era uniforme e la centralizzazione organizzativa della vita della chiesa era gravitante sulla chiesa-metropoli allora si comprende che si pur affermare che le fonti considerate specialmente i testi eucologici (cioè le fonti direttamente liturgiche) sono fasciate da una certa inconoscibilità in seno ad ogni diverso rito liturgico. Ciò equivale ad affermare che gli usi e i costumi di una chiesa locale nei riguardi dell'ordinazione del presbitero specie per il periodo sub-apostolico e finchè non si formò un rito locale sono inconoscibili perchè non sono noti. Si può approdare a qualche supposizione circa l'esistenza sia di gesti liturgici (=usi) sia di modalità di designazione del presbitero (=costumi) ma solo "in obliquo". Meglio ancora se si ricorre al comparativismo liturgico-sacramentario allora si può approdare a qualcosa fuori dell'ipotetico.

Tuttavia si deve fare caso che affermare che esiste l'inconoscibilità dei testi eucologici e della normativa per la designazione di un presbitero non significa affermare che sia altrettanto vera l'inesistenza dell'eucologia o che non fosse costantemente ottemperata una determinata prassi per la scelta di un fedele ad essere presbitero. Anzi dall'insieme di argomentazioni specie argomentazioni di analisi interna di testi posteriori di gesti e di prassi costantemente usati presso le diverse famiglie liturgiche si pur convenire nell'altra affermazione: l'ordinazione del presbitero era celebrata con una ritualità che contemplava un'appropriata eucologia ed una normativa per la scelta dei candidati. Essa opinabilmente possedeva in nuce quanto poi verrà in luce.

Si faccia caso che l'inconoscibilità delle fonti si verifica in seno ad ogni famiglia liturgica nel suo primo stadio di formazione. Infatti per ogni rito liturgico si verifica quel fenomeno che è già stato studiato e che contempla il passaggio da uno stadio d'improvvisazione eucologica e rituale ad un altro che è quello del progressivo "fissismo" eucologico (28) e ad una codificazione delle disposizioni in merito all'elezione del candidato.

Anzi puntualizzando meglio si pur convenire sul dato di fatto che i riti che riuscirono a raggiungere in pieno il loro sviluppo dovettero passare attraverso tre fasi successive quali un periodo più o meno lungo di gestazione un momento di creatività ed infine la codificazione liturgica (29).

Ebbene al periodo di gestazione si addice la costante dell'inconoscibilità dei testi eucologici. Però il periodo della creatività non viene dal nulla. Alle vicende di una chiesa nascente dove la Parola di Dio (l'euanghélion) si innestava su acquisti culturali tanto da modificarli si sono stratificate imitazioni da altri riti questioni teologiche vicende politiche e umane tanto da dare l'avvio alla composizione fissa di testi e tanto da pervenire ad una normativa utile per la vita della Chiesa.

Sarebbe interessante indagare come il passaggio da una lingua all'altra (dall'aramaico al greco; dal greco al latino) abbia comportato alcunchè di adattamento più o meno esplicito (e/o più o meno riflessamente voluto) alle esigenze di una comunità ecclesiale locale. Rimane certo che la vita delle singole chiese organizzandosi sempre più ha fatto sì che una normativa particolare e che dapprima era propria ad un solo insieme di comunità gravitanti attorno ad una metropoli progressivamente diventi normativa generalmente accettata anche da altre metropoli. Infatti le comunità locali non erano isole anche se isolate. Piuttosto come parte di un tessuto organico si comunicavano le prassi i decreti disciplinari le "regulae iuris" circa la prassi dell'ordinazione ancor prima che fosse stata formulata una dottrina sull'Ordine sacro.

Così mentre le "ecclesie" locali si difendevano da posizioni ereticali e quindi oppugnavano per esempio la riordinazione sarà la legislazione canonica ad affermare che chi ha ricevuto l'imposizione delle mani rimane e permane comunque nel clero Altrettanto in seguito dirà il Decreto di Graziano c. 1. q. 74 "placuit sanctae synodo ut ordinentur et sic maneant in clero".

L'uniformità progressiva e che si estende da chiesa a chiesa è deducibile per esempio da una serie di constatazioni su dati quali:

 

a. il termine clericus che secondo il canone 21 del Concilio di Cartagine del 390 serve a designare i lettori i salmisti gli ostiari nella collectio Theodosii viene usato per designare indifferentemente qualsiasi persona devoluta al servizio del culto divino.

 

b. il termine ministerium secondo gli Statuta Ecclesiae Antiqua serve a designare una realtà di cui è investito il diacono mentre del sacerdotiuí è investito il Vescovo e il presbitero. tuttavia la stessa fonte con:

 

c. il termine ordinatio intende designare la realtà che costituisce una persona fedele in un tipico ceto di fedeli. Così Statuta Ecclesiae Antiqua 2 e 10 ricordano che dal Vescovo al salmista un fedele è ordinato in una mansione tipica; ecc.

Ebbene questo medaglione dei criteri legato alle coordinate ecclesiali contempla anche una fase dell'amplificazione dei dati. Infatti quando al periodo della gestazione di formulari e di formule eucologiche come anche di gesti e di ritualità come di disposizioni e di normativa canonica per la scelta del candidato è subentrato il periodo della creatività come per quanto concerne la preghiera di ordinazione del presbitero così per la normativa della sua designazione si verifica un fenomeno curioso.

Da una matrice comune che si modula e si modella sulla Parola di Dio e ricalca gli eventi della storia della salvezza matrice presente più o meno uguale presso i diversi riti ci si trova dinanzi ad un'amplificazione delle finalità della vita del presbitero delle sue caratteristiche dei suoi impegni espressi nella preghiera di ordinazione ecc. Di conseguenza o collateralmente si ha anche una amplificazione nella numerazione dei requisiti richiesti nel candidato al presbiterato. Questa "legge dell'amplificazione" si verifica sia in modo diacronico all'interno di un rito (si pensi all'amplificazione in seno al rito romano) sia in modo sincronico tra una tradizione liturgica ed un'altra.

In genere questa legge è riscontrabile nell'interno di un deposito eucologico anche per altre tematiche. Ovviamente qui è di interesse l'amplificazione di quanto si addice al presbitero anche in relazione alle disposizioni e alle norme per la sua scelta all'ordinazione.E' celato in questa "legge dell'amplificazione" un dato di fatto da mettersi in relazione con l'aspetto messo in risalto qui sopra circa l'inconoscibilità delle prime fonti in seno ad ogni ecclesia con un rito proprio di cui si è detto sopra. Si tratta di saper cogliere il senso della "tradizione" vivissimo nell'antichità cristiana e retaggio perpetuo proprio dell'autentico cristianesimo.Infatti l'amplificazione sia delle preghiere sia della normativa fa perno sul complesso di norme tramandate oralmente e appartenenti alla tradizione (sempre ritenuta apostolica). Su di essa si fonda il primo stadio quello dell'improvvisazione dell'eucologia e della legislazione. Quando subentra la stesura letteraria dei testi questa non è vista come una "sclerosi della tradizione" bensì come una momentanea "stasi della tradizione" che essendo vitale è protesa ad amplificarsi.

E' ovvio che anche da queste leggi si possa evincere che la liturgia è sempre fedelissima alla tradizione. Questa universalmente presente nei primi secoli imprimeva nelle diverse Chiese locali quasi una venerazione alla trasmissione orale che impediva in un certo senso che preghiere riti norme apostoliche potessero trovare una loro definitiva inalterabile formulazione.

Ma quando si passa alla fissazione del testo e del rito si è coscienti che tale "fissarsi" non doveva essere confuso con la "fossilizzazione o sclerosi". Poteva quindi essere modificato secondo quanto la tradizione orale (=lex vivendi) perpetuava sulla scia della fede (=lex credendi) anche se tutto ciò non era ancora profluito nella preghiera (=lex orandi).Questo primo medaglione rimanda per sua natura ad un secondo.

 

3.2. Il medaglione del linguaggio usato per designare ciò che concerne l'ordinazione del presbitero

Secondo un noto detto di Cicerone (31) le parole sono state inventate non per impedire ma per trasmettere la volontà di intesa. Ebbene riflettendo sullo stesso vocabolario usato per l'ambito dell'ordinazione anche del presbitero si possono dedurre in obliquo alcuni criteri per l'ammissione del candidato al presbiterato.

Se si fa caso che nel latino ecclesiastico della fine del III secolo e specialmente nel IV e V secolo con il termine "ordinare ordinatio" si intendeva sottolineare il modo con cui si entrava nell'"ordo ecclesiasticus" come altri nella vita civile poteva entrare nell' "ordo senatorius" allora si comprende che dalla Tradizione Apostolica del 215 circa che faceva uso di altra terminologia quale imposizione delle mani (cheirotonia) all'altro uso si è operato un passaggio di tonalità.Infatti dire "Ordo ecclesiasticus" significa in parallelo all'uso civile colui che vi doveva fare parte veniva designato con un incarico speciale. Ciò comportava la consegna del mandato o di una funzione designata col termine "ordinare". Tuttavia nel vocabolario tertullianeo (32) si ha una sinonimia di termini che riflette una sinonimia concettuale.

Per esempio Tertulliano uso come sinonimo di "ordinare" il verbo "conlocare". Mentre con "ordinatio" intende la presa di possesso l'investitura la consegna di un mandato.

Però ammette la "adlectio" cioè l'elezione da parte della comunità e con il termine "sacerdotale munus" intende significare l'incarico. Però Tertulliano con Cipriano distingue l'ordinazione divina e cioè la diretta rivelazione dall'ordinazione ecclesiastica. Questa:

comporta un potere di compiere atti di santificazione,

è una realtà cristiana,

è divina e spirituale nell'origine e nella sua natura,

è santificante negli effetti,

avviene per mezzo di atti di un intermediario (oggi diciamo del Vescovo ordinante)

è legata alla "comprobatio" dei Sinodi locali.

Però si noti che di per sè la terminologia sia di Tertulliano sia di Cipriano come in genere quasi tutta la terminologia dei primi quattro e/o cinque secoli non sta a distinguere tra Vescovo e presbitero perchè la terminologia è usata indifferentemente per l'uno e l'altro o se più piace con polivalenza di significazione.

Inoltre si noti che se si considera quanto è connesso con la terminologia "imposizione delle mani" (cheirotonia e simili) allora si deve prendere atto che con essa sono connesse le seguenti valenze:

è atto cultuale

esprime il conferire un mandato secondo un ordine giuridico con carattere funzionale (33)

è fatta da chi ha il potere di farla

comporta la "comprobatio" dei sinodi locali.

Detto con altri termini ciò che emerge dalla terminologia "ordo-ordinatio-ordinare" coincide nella sostanza con quello che emerge dalla terminologia "imposizione delle mani" (cheirotonia epitheusis ton cheiron). Ora secondo gli studiosi (34) la prassi della imposizione delle mani per designare la consacrazione si rifà nella sua radice a Num. 27 23 e alla prassi giudaico-rabbinica con cui si conferiva l'autorizzazione di insegnare e si dava una tonalità di autorevolezza ad una persona in quanto le si riconosceva una fedeltà alla più sana dottrina.

Tuttavia quanto si legge negli Atti Apostoli 13, 1-3 sta a dire un salto qualitativo nei riguardi di quelli che sono eletti successori degli Apostoli. Essi infatti sono chiamati-scelto dallo Spirito Santo (v. 2) che li accompagna e dirige (v. 49). L'elezione avviene in un contesto liturgico e di digiuno cultuale (v. 29)ed è accompagnata da preghiera dall'imposizione delle mani e dalla dimissio (v. 39).In Atti Apostoli 6, 1-6 si trova quanto concerne i diaconi. Mentre per i presbiteri ci si rifà ad Atti Apostoli 14, 23. Ivi la cheirotonia è accompagnata da preghiera e da digiuno come in Atti Apostoli 13, 3. Lo Spirito Santo si serve degli Apostoli (Vescovi) come strumenti per costituire i presbiteri.

Si pur dunque affermare che all'origine del cristianesimo i criteri per la scelta del presbitero erano lasciati alla discrezione degli apostoli-vescovi. L'autore ispirato degli Atti degli Apostoli (=Luca) infatti testimonia che i ministeri sono legati agli Apostoli e allo Spirito Santo che sospinge gli Apostoli all'esecuzione della volontà di Cristo.Ovviamente l'autore non si preoccupa della celebrazione dell'ordinazione (come si dice oggi) che peraltro è concentrata nell'azione dell'imposizione delle mani e della preghiera. Gli altri elementi che sono oggetto di questo contributo e cioè i criteri e i metodi di scelta del presbitero non entrano direttamente nell'intento descrittivo dell'autore ispirato. Forse li dava per scontati secondo la prasssi locale. Ed è appunto qui che merita d'essere ricordato che la funzionalità pastorale propria alla vitalità di una chiesa porterà ad un progressivo arricchimento dell'interpretazione del dato rivelato.

Infatti l'accurata analisi delle preghiere che si svilupperanno in seguito come normativa per l'ordinazione del presbitero porta a dover affermare che ciascun rito riflettendo la vitalità di una chiesa locale quale metropoli con le chiese suffraganee da essa dipendenti compone e stila la preghiera di ordinazione (=lex orandi) tenendo presente sia il modello che proviene dalla precedente tradizione (=lex credendi) sia dalla necessità pastorale della stessa Chiesa (=lex vivendi). La normativa per la deputazione di un candidato al presbiterato ottempererà a questa necessità.

Risulta così una fotografia del "modello di presbitero" frutto a sua volta di una dimensione orizzontale e cioè la vita l'azione lo stile dell'insieme dei fedeli e di una dimensione verticale e cioè di quanto profluisce dalla Parola di Dio proclamata creduta celebrata dalla tradizione precedente fino a quella concreta formulazione. Si tratta dunque di saper cogliere che esiste nelle e dalle fonti la possibilità di cogliere quella che come si accennava poco fa potrebbe essere chiamata legge del progressivo arricchimento del dato rivelato.

Infatti normativa ed eucologia per l'ordinazione si arricchiscono quando la volontà del compositore delle preghiere (che in genere è un Vescovo Metropolita a cui compete moderare la vita liturgica della sua Chiesa) e dei legislatori che poi sono per la maggior parte delle volte i Padri sinodali intende stabilire per la posterità un ordinamento rituale e più ancora intende trasmettere dei testi e della normativa strutturati in modo che contengano il meglio che proviene dalla tradizione.

Anzi a volte emerge la volontà del compositore o del legislatore che vuole colmare lacune vere o almeno ritenute tali da lui. Di qui la cumulatio di concetti di attribuzioni fatte nei riguardi del presbitero. La legge dell'amplificazione (di cui sopra 3.1.) delle finalità della vita del presbitero è un esempio della legge di cui si sta trattando. Mediante i dinamismi sottesi alla costante tendenza di arricchire si perviene a poter cogliere il "diritto-dovere" che il compilatore o legislatore si arroga di correggere e di integrare i testi che include nella sua composizione.

L'arricchimento teologico-liturgico è sempre inteso all'approfondimento esistenziale di quanto è trasmesso dalla Sacra Scrittura. Così la preghiera per l'ordinazione del rito romano ottempera a questa legge mutuando la lex ordinationis da fonte antica romana (35) con l'aggiunta proveniente dall'ambito gallicano (36). Ebbene l'orazione nella sua parte anmnetica possiede tre riferimenti biblici: due veterotestamentari con il richiamo ai settanta cooperatori di Mosè e ai figli di Aronne sommo sacerdote (37) e un richiamo neotestamentario ai settanta discepoli (38). La stessa amplificazione in ragione dell'arricchimento si realizza nella normativa che stabilisce i requisiti per la scelta del candidato al presbiterato come si può cogliere dal seguente paragrafo.

 

3.3. Il medaglione dei criteri enunciati al negativo

Anche ad una lettura fatta in modo globale dei dati dell'antichità pari cioè ai primi cinque secoli si potrebbe convenire che essi testimoniano più accentuatamente chi deve essere escluso dall'ordinazione del presbiterato perchè è con qualche defectus.

Così sono esclusi dall'ordinazione presbiterale quelli che sono nell'"ordo poenitentium" anche se fedeli buoni. Anzi se per ignoranza di quella norma il Vescovo avesse ordinato uno questi sia deposto perchè tale azione del Vescovo è priva di forza. Così il canone 21 degli Statuta Ecclesiae Antiqua ripreso poi dal Concilio di Agde del 506. Gli stessi Statuta Ecclesiae Antiqua al canone 10 ricordano che il Vescovo deve ordinare i chierici consezienti i suoi "compresbyteri". Tanto più che se dovesse fare qualcosa senza il consenso dei presbiteri la sua decisione è nulla. Così il canone 14 dello stesso documento. Anzi secondo lo spirito del canone 2 che asserisce che il Vescovo deve essere conosciuto dai suoi presbiteri si pur dedurre che anche il presbitero doveva essere noto alla Chiesa.

Tant'è vero che quando si parla di "Ordo qualiter ... presbyteri eligendi sunt" per attuare l'elezione bisognava che il candidato fosse conosciuto all'interno della comunità. D'altra parte siccome il Vescovo ordina i presbiteri per la sua Chiesa (39) se agisse diversamente si tratterebbe di una non rata ordinatio. Anzi possono accedere solo i degni. Dunque il candidato al presbiterato deve essere conosciuto almeno dal Vescovo. Questi non pur ordinare presbiteri liberi da incombenze ma solo devono essere ordinati per le necessità di una chiesa locale (=parrocchia). Il canone 31 del "Codex canonum Ecclesiae Africanae" afferma che per l'ordinazione al presbiterato il Vescovo doveva presupporre il tacito consenso del clero contattato da lui stesso. In ogni caso la chiamata proveniva dall'autorità del Vescovo. In una parola questo insieme di disposizioni gravitanti sulle modalità per ammettere un candidato al presbiterato e quindi su alcuni suoi requisiti provengono dalla codificazione ecclesiastico-canonica.

Si noti però che la Novella XI dell'imperatore Maioranus del 460 ci tiene a riprendere alcune disposizioni canoniche e passarle nella legislazione civile. Per esempio vi si legge che la libertà dei candidati deve essere rispettata e dunque un'ordinazione imposta rende passibile di pene colui che la impone. In ogni caso il candidato "coactus non potest consecrari".Questo insieme di disposizioni devono essere considerate però secondo due costanti che possono essere descritte così la concentrazione sul particolare è sempre in vista dell'universale e a sua volta l'attenzione alla totalità della normativa deve essere considerata in ragione del particolare.

Si tratta cioè di tener presente che come le orazioni per l'ordinazione dei presbiteri così anche la normativa convergono simultaneamente sul particolare e sulla totalità. Quando si concentrano sul particolare si constata che anche fatti che toccano la comunità cristiana di una determinata Chiesa possono essere considerati come pagine di storia della salvezza.

Quando l'attenzione è rivolta alla totalità allora viene evidenziato che l'ampliamento eucologico null'altro vuole essere che un ricalcare il primato di Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote da cui deriva la sacerdotalità ministeriale comunicata al presbitero e che la normativa intende far accedere al presbiterato chi degnamente potrà rappresentare il Cristo.

Effettivamente il sacerdozio esiste solo in Cristo unico Sacerdote mediatore re giudice. Egli raccoglie in unità i figli dispersi di Dio (41) rendendoli consorti della natura divina (42) e a tutti partecipa l'onore sacerdotale in forme e gradi diversi in tempi e modi distinti.Tale partecipazione possiede proprietà essenziali costitutive. Sarebbe conveniente un'indagine per porre in risalto anzitutto quelle teologiche specie le cristologiche le pneumatologiche le ecclesiologiche. Le due costanti a cui stiamo accennando riporterebbero l'investigazione sulle proprietà essenziali o costitutive in rapporto alla dimensione di sacralità.Il presbitero cioè ha in sè delle particolarità che spingono all'universalità e la totalità riporta il discorso al particolare. Tutto questo è da ricercarsi nei dinamismi insiti nella Parola di Dio e nel sacramento dell'Ordine per cui il presbitero è abilitato a continuare l'azione ministeriale del sacerdozio di Cristo è moralmente obbligato a imitare il Cristo a nuovo titolo quello che gli deriva dall'ordinazione e tenuto a riprodurre in sè le disposizioni di animo del Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote. E' così reso più comprensibile quanto viene racchiuso nel seguente paragrafo.

 

3.4. Il medaglione delle qualità tipiche del candidato al presbiterato

Dato che è segno di Cristo il presbitero deve essere un fedele di sesso maschile. Così il canone 11 del Concilio di Laodicea a metà del IV secolo. Anzi il Concilio di Nicea del 325 già ricordava che chi era portatore di evidenti difetti del corpo umano come gli "evirati" o coloro che erano "arreptitii" cioè posseduti dal demonio dovevano essere esclusi. Ed il Concilio di Neocesarea (tra il 314 e il 319) mentre al canone 1 interdice al presbitero di contrarre matrimonio (43) al canone 11 dice che deve avere almeno trent'anni perchè è l'età del Battesimo di Gesù al Giordano e cioè l'inizio della vita pubblica di Gesù. La raccomandazione di Paolo a Timoteo (44) di non avere fretta nell'imporre le mani ad alcuno la codificazione ecclesiastica la tramuta in normativa riguardante l'età. Anche il canone 4 del III Concilio di Cartagine del 390 dirà che per il suddiacono era necessaria l'età di 20 anni mentre per il diacono di 25 anni e per il Vescovo di 3 anni e cioè la stessa età del presbitero secondo il Concilio di Neocesarea.Sesso maschile senza difetti del corpo di determinata età ma eanche con capacità intellettuali tant'è che come per il candidato all'Episcopato il canone 9 del Concilio di Nicea del 325 fa obbligo di sostenere un esame di idoneità così il canone 22 del Concilio di Ippona del 393 e il canone 22 del III Concilio di Cartagine del 390 fanno obbligo che il candidato al presbiterato sostenga un esame. Anzi l'ultimo concilio citato dice che il presbitero deve essere "probatus vel episcoporum examine vel populi testimonio".In ogni caso il contenuto dell'esame doveva vertere sulla conoscenza della Sacra Scrittura da parte del candidatoì così il Concilio di Ippona del 393.

Invece la "probatio" doveva avere l'oggetto di perscrutare la fede i costumi e in genere la formazione intellettuale del candidato. Anzi il candidato non doveva esercitare la professione di procuratore di amministratore del patrimonio altrui. Se proveniva dal rango della magistratura era necessario che non avesse promosso giuochi interdetti dalla Chiesa nè avesse permesso atti pubblici propri alla religione pagana: così il canone 8 del Concilio di Cartagine del 344-349 come il canone 13 di quello di Sardica. A proposito della professione del candidato al presbiterato si afferma anche che deve avere un mestiere per poter vivere. Così gli "Statuta Ecclesiae Antiqua" al canone 53. Però gli erano interdetti gli affari agricoli a scopo lucrativoì così il canone 5 del Concilio di Cartagine del 397. Senza dubbio non doveva operare prestiti con interessi (45). E' interessante notare una specie di conflittualità tra le dispozioni canonico-ecclesiastiche e la legislazione civile. Questa si preoccupa di mantenere i propri quadri del personale dirigente per cui va contro coloro che abbandonano la carriera civile per quella ecclesiastica specie nel riguardo di coloro che erano addetti alla posta alla finanza dello Stato ai dirigenti di colonie agricole ecc.

Infine si dovrà ricordare che il candidato al presbiterato doveva vivere in modo semplice. Sulla semplicità di vita insistono gli "Statuta Ecclesiae Antiqua" al canone 45 sulla modestia del vestire e al canone 44 sulla modestia del presentarsi senza esibizionismi o virtuosismi di sorta ("clericus nec comam nutriat nec barbam").Il medaglione della qualità del candidato non viene esaurito da quanto qui è stato ricordato. Tra l'altro il canone 21 del Concilio di Cartagine del 390 fa amabile pressione che la famiglia da cui proviene il Vescovo il presbitero e il diacono sia una famiglia cristiana. In ogni caso quanto si dovrebbe aggiungere al presente medaglione in parte è rintracciabile anche dal contenuto del seguente medaglione.

 

3.5. Il medaglione dei criteri per ammettere il candidato all'ordinazione deducibile dall'analisi interna delle preghiere per l'ordinazione

Altrove ho trattato un po' più diffusamente del profilo del presbitero quale emerge dall'insieme di una campionatura di preghiere (46). Qui merita di ricordare che la molteplice varietà di espressioni liturgiche corrispondenti a quanti sono i diversi riti presenti nella Chiesa sono partite da una unità primordiale però sono state protese a realizzarsi continuamente in una unitarietà di contenuti. Anzi le diversità espressivo-liturgiche per l'ordinazione del presbitero risultano tavola di prova della viva tradizione. Infatti le diverse modalità celebrative e i passaggi da un modo di celebrare ad un altro (=tradizione della celebrazione) sono da intendere come costante volontà per rendere perenne la tradizione liturgica fondamentalmente sempre uguale. Ebbene è ricorrendo alla tradizione perenne che si possono dedurre alcuni criteri che le diverse chiese locali usavano per ammettere il candidato al presbiterato. Infatti se le preghiere nella celebrazione dell'ordinazione del presbitero fanno richieste (=lex orandi) in favore dell'ordinando e in ragione del suo nuovo stato di vita (=lex vivendi) significa che il modo di pensare di una chiesa locale in ragione del candidato al presbiterato è deducibile dalle stesse orazioni.

Tanto per rimanere ai dati delle preghiere antiche e alla mens dei padri (47) si dovrebbe dire che erano state richieste nel candidato al presbiterato alcune prerogative. Egli doveva in verità come il canone 98 degli "statuta Ecclesiae Antiqua" inculcava far attenzione perchè quanto canta con la bocca sia creduto col cuore e quanto creduto con la bocca sia comprovato con le opere (vide ut quod ore cantas corde credas et quod ore credis operibus probes).

In una parola il candidato al presbiterato deve essere capace di credere ciò che leggono insegnare ciò che credono e vivere quello che insegnano. Per questo motivo i candidati al presbiterato devono esercitarsi a conoscere bene i misteri che trattano e devono imitare ciò che ivi è contenuto. Infatti deve essere capace di portare non solo la sua croce dietro a Cristo ma di portare la croce di Cristo. Agendo in sintonia con lo Spirito Santo deve divenire l'ostensorio vivo dello Spirito Santo vivo in lui. Per essere ministro dinanzi all'altare di Dio deve sforzarsi di rinnovare se stesso fino a diventare rinnovatore del popolo fedele. Ovviamente ad ogni affermazione fatta necessitava apporre una nota di comprova. Tra l'altro quanto è stato qui riferito è solo una minima parte di ciò che si dovrebbe riportare. Sia sufficiente aver accennato a questo grande capitolo.

Certo è che se si considerano i cinque medaglioni "in profilo" allora da essi possono emergere quasi in filigrana altri criteri e metodi per l'ordinazione presbiterale. Questi si potrebbero dire criteri funzionali. La funzionalità darebbe modo di catalogarli o di classificarli in criteri in rapporto alle necessità pastorali all'inculturazione alle concrete chiese per esempio se di campagna o di città o in rapporto alla volontà del Vescovo o degli elettori ecc. Ma si dovrebbe alla fine ritornare sulla classificazione dei criteri racchiusi nei medaglioni accennati.Per non dilungare il discorso che dovrebbe essere protratto perchè possa essere se non esauriente almeno soddisfacente mi sembra utile chiudere con una:

 

4. Conclusione: quasi un desiderio di riconsiderare tutti i dati

Si può restar rassicurati che lo studio delle antiche testimonianze è sorgente di discernimento per la Chiesa di ogni tempo. Infatti il periodo delle origini e del periodo aureo patristico (secoli IV-VI) conserva un suo carisma: è l'epoca in cui il deposito della fede apostolica si consolida nella tradizione vivente della Chiesa.Perciò il ricorso attento ai dati e le considerazioni sui medesimi deve spronare la vigile attenzione dei fedeli di ogni generazione. Per facilitare l'interpretazione di quanto è stato accennato ai paragrafi 2 e 3 e di conseguenza per cogliere la ricchezza dei rapporti sottesi tra le chiese locali e il presbitero si fanno seguire tre brevi conclusioni.

 

4.1. Uno sguardo sintetico

Sottoporre i dati ad una visuale d'insieme o di sintesi dà modo di poter approdare a sottolineare quanto segue:

a. E' Cristo che con lo Spirito sceglie e chiama il candidato al presbiterato. La chiamata si attua per mezzo di mediazioni legate alla Chiesa.

b. La chiesa apostolica chiama senza dubbio durante l'assemblea liturgica presente la comunità che è coinvolta. Forse la chiesa apostolica pur aver agito anche con altre modalità.

c. La designazione del chiamato è accompagnata dall'imposizione delle mani e dalla preghiera.

d. Una tonalità speciale è testimoniata dalle prassi in uso nelle chiese fondate da San Paolo dove si ha come in 1 Tim. 4 14 l'ordinazione con l'imposizione delle mani sul presbitero però la scelta è fatta in modo profetico. In ogni modo all'origine e come fondamento della bontà della scelta profetica ci sta Paolo che espleta la mediazione ecclesiale. Si veda 2 Tim. 1 6. Anzi l'ordinando riceve dall'apostolo un mandato per il ministero del Vangelo ereditato da Paolo; Paolo da Cristo e dagli altri apostoli.

e. Il rito (imposizione delle mani con preghiera) è usato anche per dare maggior peso alle relazioni del ministero che intercorrono tra gli apostoli e l'ordinando tra lo Spirito Santo e il candidato al presbiterato tra la comunità e il presbitero ad essa destinato (48).

f. Le Chiese non fondate da Paolo testimoniano una tonalità differente ma fondamentalmente uguale nella sostanza. Infatti la nomina del presbitero è fatta per mezzo di una chiamata da parte del Vescovo sul tipo della chiamata fatta da Gesù nei riguardi degli Apostoli. In ogni caso è ratificata da una sorta di liturgia in nocciolo e che non è riducibile all'imposizione delle mani da parte del vocante sul vocato.

g. All'imposizione delle mani si possono attribuire diversi significati. Infatti è un rito plurivalente. Pur significare per esempio e di fatto dono del carisma dello Spirito e/o segno di delegazione dell'autorità. Mentre la questione se si debba lasciare la e oppure la o ossia se tra le due interpretazioni si debba dire fare una scelta per esclusione o per inclusione rimane certo che l'imposizione delle mani arreca con sè dal III secolo in poi la funzione di istituzionalizzazione dell'autorità conferita a bene della Chiesa. Dunque la responsabilità nella Chiesa è dono dello Spirito quanto fa il Vescovo sull'ordinando è segno efficace. Il segno nel procedere del tempo si carica di ulteriori significati. E' dono di poter compiere atti di santificazione. Vi è converso uno spessore giuridico. Non è scevro da una caratteristica di funzionalità.

h. Al candidato al presbiterato in quanto chiamato-scelto vengono imposte le mani perchè deve essere cosciente che l'atto su di lui lo compie una persona qualificata e che gode di autorità nella Chiesa. L'imposizione delle mani è espressione simbolica e dunque visibile del dono dello Spirito Santo invisibile e assicura e rassicura l'ordinando della presenza della grazia divina perchè possa compiere il suo mandato. Ed è proprio su questo fulcro costituente l'essenziale dell'ordinazione che le chiese locali si occupano e si preoccupano di sviluppare tutta una normativa a cui deve ottemperare il candidato all'ordinazione presbiterale. Essa sta a dire che la validità della lex orandi di una chiesa particolare in comunione con le altre per mezzo della stessa lex credendi compromette la vita dell'ordinato (=lex vivendi).

Infatti è necessario far caso alla:

 

4.2. Osmosi tra "lex orandi lex credendi e lex vivendi"

Infatti senza dubbio i primi formulari di preghiere dapprima proclamati poi lentamente fissati per iscritto ci attestano l'espressione originale e originaria del contenuto liturgico-sacramentario in armonica sintonia con la cultura e le vicende storiche della comunità liturgico-espressiva a cui il "messaggio-contenuto" si dirige. La diversificata fonte liturgica considerata sia sincronicamente con altre contemporanee fonti liturgiche proprie ad altri riti sia diacronicamente nell'ambito dello stesso rito è testimone indiscusso della perenne traditio delle realtà misteriche. E' nella fonte liturgica che si ritrovano i dinamismi che comprovano la veridicità dei contenuti e che si possono sintetizzare a Patre per Christum virtute Spiritus Sancti in Ecclesia (=dimensione discendente o di santificazione) ed ex Ecclesia in Spiritu Sancto per Christum ad Patreí (=dimensione ascendente o di culto). I testi liturgici sono quindi simultaneamente testimoni dei contenuti perenni (=a Patre per Christum virtute Spiritus Sancti) della revelatio che diventa traditio (=in ecclesia ex Ecclesia) e della prassi appunto di una Ecclesia concreta.Nella fonte liturgica è quindi codificata l'esegesi vitale della Parola di Dio che è diventata esperienza di fede di una comunità concreta (=Chiesa locale). Essa celebra la storia della salvezza in autenticità attuata nell'hic et nunc di un determinato sacramento.

Ciò sta a dire che il messaggio divino compartecipato vissuto e vitalizzato dall'azione liturgica è legato a culture che da una parte non si devono e non si possono ignorare e dall'altra parte non si possono assolutizzare. Il criterio su cui si regge il passaggio del messaggio divino celebrato è la continuità nell'ortodossia della verità assicurata proprio dal "passare" (=tradere) da una Ecclesia ad un'altra con continuità di contenuti (=traditio liturgica) non tanto di forme.Ed è appunto lo sviluppo che la normativa per l'ordinazione del presbitero e l'ordinazione stessa assumeranno che ci attesta il diversificarsi in famiglie liturgico-espressive da un unico ceppo che è poi il contenuto proveniente dalla parola di Dio che è presente nelle sue primitive interpretazioni esegetico-vitali proprie alla Chiesa apostolica e sub-apostolica.

Anche i diversi riti occidentali come quelli orientali con le rispettive sottodivisioni che diacronicamente si sono susseguite da una parte ci testimoniano l'aumento vitale del dato liturgico nelle sue manifestazioni concrete espressive linguistiche gestuali entro l'ambito di una significativa e sintomatica comunanza di gesti (imposizione delle mani) di preghiere (anamnetiche epicletiche e metexetiche) e dall'altra ci dimostrano come come l'universalità della tradizione liturgica tende ad incarnarsi nella legge della particolarità espressiva che forma il costitutivo proprio delle diverse manifestazioni liturgiche (=tradizioni cioè riti o famiglie liturgiche). Rimane quindi evidente che l'interrogativo posto possiede in parte un aspetto retorico e in parte è risolvibile qualora si ricerchi la risposta nell'osmosi di fatto avvenuta tra prassi (=lex vivendi) e testi liturgici (=lex credendi) sempre però nell'armonica vitalizzazione della rivelazione compresa sempre di più (=lex credendi) proprio nella crescita dell'ortoprassi e della liturgia. Come la Chiesa apostolica sub-apostolica dell'epoca dei Padri ecc. cioè la Chiesa di tutti i tempi va interpretando la Parola di Dio per approfondire l'unico e perenne depositum fidei anche nei riguardi del presbitero risulta di primaria importanza. Tanto più che "ieri oggi domani" il presbitero è investito della realtà ontologico-esistenziale che proviene dal sacramento dell'Ordine. Anzi questa seconda conclusione porta a ricordare che la stessa normativa sui metodi e circa i criteri per l'ordinazione del presbitero è in relazione con:

 

4.3. Il rapporto tra la vita delle chiese locali e la vitalità della Chiesa universale

Infatti non si possono ignorare le culture ovvero le Chiese locali nelle quali il messaggio divino è celebrato. Se si ignorassero si incorrerebbe in un errore cristologico il docetismo; cioè si staccherebbe il contenuto della traditio dalla realtà storica. certo la tentazione della Chiesa post-apostolica di ogni tempo pur essere quella di assolutizzare la propria normativa storica limitandosi a ricercare nella traditio i dicta probantia delle sue istituzioni o i modi concreti d'incarnare la realtà liturgica.Non si possono nemmeno assolutizzare le pratiche delle diverse Chiese locali. Sarebbe un legarsi a forme statiche ad elementi che sono pur sempre mezzi per trasmettere il contenuto vitale. Fermarsi ai mezzi è correre il rischio di non comprendere fino nelle sfumature la realtà trascendente della liturgia il cui dato esterno ovvero le forme con cui l'azione liturgica viene celebrata hanno pur sempre una loro importanza di notevole spessore.

Infatti la forma celebrativa il rito cioè quando si è "incarnato" non si può "disincarnarlo" ex toto per "reincarnarlo" ex novo. Ogni susseguente "incarnazione" della liturgia con i suoi contenuti e le sue forme in una cultura in una comunità-ecclesiale differenziata da un'altra per tipiche coordinate deve riportarsi e rapportarsi alle fonti ripercorrendo il cammino che esse hanno fatto per giungere a noi.

Quanto proviene dalla tradizione non pur mai essere lasciato in disparte alla leggera in nome di un inconsiderato "si faccia omnia nova". D'altra parte però non si pur nemmeno rimanere sordi ad esigenze che storicamente vanno formandosi nel decorso del tempo e che esigono di ri-esprimere in tonalità e in modalità nuove il perenne contenuto comune al depositum fidei. A un patto che la nuova prassi liturgica non crei iato con la precedente. E' qui che si deve sottolineare che la vitalità della Chiesa universale proviene dalla vita delle Chiese locali. Queste attorno al candidato al presbiterato organizzano normativa e criteriologia per la sua scelta ecc. non in nome di una pedissequa imitazione dell'opinione altrui quasi per un fissismo sacrale o tabulistico di forme e formule benchè in conformità a due realtà:

 

a. Innanzittutto a ben riflettere sulle concrete attuazioni e realizzazione liturgiche (che sono poi le variazioni intercorse nell'ambito dei diversi riti) fu la necessità stessa innata alla liturgia viva che è vita del cristianesimo a sospingere le diverse generazioni di uomini che giungevano al cristianesimo ad autodeterminarsi nelle manifestazioni liturgiche. Ciò non è disgiunto affatto dal sentire cum Ecclesia.

Esso era vissuto nella comunione di fede più che in una comune realizzazione materiale delle espressioni di fede. Di qui il nascere di diversi tipi liturgici corrispondenti alle diverse zone geo-culturali non alle diverse tendenze ideologiche.

 

b. In questo senso la molteplice varietà di espressioni liturgiche è da considerarsi come la verifica della veridicità della tradizione viva. Come d'altro canto la formulazione progressiva e organizzata della struttura celebrativa in seno ad un rito è l'attuazione del principio dell'adattamento liturgico inteso come realizzazione del mistero di Cristo ripensato rivissuto filtrato dalle e nelle Chiese locali in nome di quanto oggi chiamiamo "partecipazione attiva e cosciente".

In questo contesto si pur comprendere più facilmente come mai l'elezione che in ultima analisi viene compiuta da Dio-Padre perchè un diacono giunga ad essere il portatore della croce del suo Unigenito sorpassa di gran lunga l'efficacia di qualsiasi elezione di una persona. Ecco perchè l'attenzione deve essere posta sul costitutivo ontologico del presbitero costitutivo che è imperniato sulla presenza ed azione dello Spirito Santo. Anzi si deve prendere atto che l'eucologia non tralascia di fornirci elementi da cui si comprende "cosa sia il presbitero". A questo perviene fornendo anche elementi per capire che cosa deve fare il presbitero e di quali prerogative deve essere adorno.

Così la liturgia di ieri e di tutti i tempi è d'attualità. Infatti ad una diagnosi della letteratura teologica del nostro tempo circa il presbitero (49) emerge l'acutizzazione della risposta in un senso piuttosto che in un altro che viene data alle priorità del ministero presbiterale. esso è un servizio sia a Dio (=dimensione cultuale) sia agli uomini (=dimensione ecclesiale). L'uno e l'altro servizio sono intesi alla santificazione per la gloria e all'evangelizzazione per la promozione totale della fede. Detto con altre parole evangelizzazione testimonianza servizio tutto è in funzione del ministero presbiterale e il ministero presbiterale è in funzione dell'euangelion della diaconia della martyria.

Si può convenire che il reciproco rapporto a cui si è or ora accennato e cioè quello tra la carità pastorale l'annuncio e la testimonianza sia un rapporto che fa perno sulla libertà di un Dio che si dona e che è accettato liberamente dal presbitero in ragione che è Spiritus Sancti vas. La libertà d'amore che da parte di Dio si esprime per mezzo e nello Spirito Santo postula libertà d'amore da parte del presbitero che è per questo riempimento di Spirito santo ed è tanto deputato ad essere portatore della Croce di Cristo.In queste ultime nostre affermazioni or ora fatte si radica l'animus con il quale è stata formulata nel decorso dei secoli la normativa in cui sono ravvisabili i metodi e i criteri per l'ordinazione presbiterale. Ciò che "si cristallizz0" in forme tipiche nell'antichità cristiana provenne oltre che dall'esperienza e dunque dal collaudo di quanto era ritenuto essere il meglio per la vita della Chiesa anche dall'interpretazione della Parola di Dio operata dai Padri della Chiesa.

Essi che furono contemporaneamente teologi filosofi letterati ma soprattutto santi vescovi pastori catechisti e quindi liturgisti approntarono per grazia pure di questa unitarietà di competenze "disposizioni-modelli" che facilmente furono ricalcati in seguito in ragione della vitalità della Chiesa, mentre ogni Chiesa particolare pur mantenendo un diritto a decidere cose utili per la propria vita nel decorso del tempo in materia di normativa per l'ordinazione del presbitero si è rapportata alla comunione di intenti profusa come dono dallo Spirito Santo nella Chiesa e diffusa come conquista e come risposta al dono da parte delle singole comunità che si rapportano tra loro mediante l'ottemperanza all'unico magistero biblico teologico catechetico spirituale e pastorale proprio della Chiesa una santa cattolica apostolica.

 

 

Note

1. Il classico principio o apoftegma suona così "quod hesterna die in nuce crastina die in luce."

2. E' il caso analogo al fatto che "quod in vetere testamento umbra in novo testamento lux."

3. Per alcune leggi o costanti che si ripetono nel discorso della vita della Chiesa specie in rapporto alla teologia sacramentaria si vedano le pp. 310-319 365-366 del contributo A. M. TRIACCA Teologia dell'anno liturgico nelle teologie occidentali antiche non romane in AA.VV. Anamnesis

6. L'anno liturgico storia teologia celebrazione (Genova 1988, 307-366).

4. E' in uso tra gli studiosi una espressione latina che proviene da S.Agostino Sermo 270, 3 e che sintetizza questa attività dei Padri e cioè essi erano divinoruí libroruí tractatores.

5. Per tutto questo si vedano i quindici studi fatti dal 1974 ad oggi e che ho presentati di anno in anno ai convegni di catechesi patristica presso la facoltà di Lettere Cristiane e Classiche della Università Pontificia Salesiana. Per una sintesi delle conquiste ivi dimostrate si veda: A. M. TRIACCA Liturgia e Padri della Chiesa: ruoli reciproci (Attualità di un "aggiornamento") in Seminarium 3, (1990) 508-530.

6. Il latino esprime tutto questo in modo concisoì "credo ore corde mente opere vita"

7. Anche di recente è stato affermato che i Vescovi sono totius vitae liturgicae moderatores promotores atque custodes (cfr. Christus Dominus 15).

8. La bibliografia notevole (ed anche dispersiva) è raggiungibile nei classici prontuari bibliografici in merito. Si vedano per esempio Ephemerides Theologicae Lovanienses Archiv. fur Liturgiewissenschaft; Rivista Liturgica nella parte del "Bollettino Bibliografico" ecc.

9. Si vedano per esempio (in ordine cronologico): B. BOTTE L'ordre d'apres les prières d'ordination in: Les Questions Liturgiques et Paroissales 35 (1954) 160-179 (apparso poi in AA.VV. Etudes sur le Sacrament de l'Ordre Paris 1957 13-41); B. KLEINHEYER Die Priesterweihe in romischen Ritus. Eine liturgiehistorische Studie Trier 1962; E. J. LENGELING Teologia del sacramento dell'Ordine dai testi del nuovo rito in: Rivista Liturgica 56 1969 25-55; E. J. LENGELING Die Theologie des Weihesakramentes nach dem Zeugnis des neuen Ritus in: Liturgisches Jahrbuch 19 (1969) 142-166; A. HOSSIAU La signification theologique du nouveau rituel des ordinations in: AA.VV. Le pretre. Foi et contestation Gembloux 1970 159-177; P.M. GY La théologie des prières anciennes pour l'ordination in: Revue des Sciences philosophique et théologique 58, 1974 599-618; D. EISSING Ordination und Amt des Prebyters. Zur Interpretation des romischen Priesterweihegebetes in: Zeitschrift fur katholische Theologie 96, 1976 35-51, K. LEHMANN Das theologische Verstandis der ordination nacè deí liturgischen Zeugnis des Priesterweihe in: R. MUMM G. KREMS (edd.) Ordination und kirchliches Amt (Paderbon-Bielefeld 1976) 19-52; ecc. Ovviamente non s'intende qui riportare tutta la bibliografia. Tuttavia meritano di essere citati due volumi che fondamentalmente gravitano attorno all'eucologia anche se tra loro risultano notevolmente diversi per il taglio. Si vedano: G. FERRARO Le preghiere di Ordinazione al diaconato al presbiterato all'episcopato Napoli 1970 (ampia bibliografia alle pp. 289-304); E. LODI Infondi lo Spirito degli Apostoli Teologia liturgico-ecumenica del ministero ordinato Padova 1980 (con bibliografia alle pp. 14-16) e di recente in altro contesto: A. M. TRIACCA "Presbyter: Spiritus Sancti vas". Modelli di Presbitero testimoniati dall'eucologia (Approccio metodologico alla "lex orandi" in vista della "lex vivendi") in: S. FELICI (ed.) La formazione al sacerdozio ministeriale nella catechesi e nella testimonianza di vita dei Padri Roma 1992 193-236.

10. Cfr. P.F. BRADSHAW Ordination Rites of the Ancient churches ef East and West Ne÷ York 1990.

11. Il Convegno tenuto in margine al "Documento di Lima" (1982) su "Battesimo Eucarestia Ministero" (=BEM) si soffermò sui ministeri. Cfr. G. FARNEDI Il ministero ordinato nel dialogo ecumenico. Atti del VIi Convegno di Teologia Sacramentaria Roma 1985.

12. Si vedano in modo particolare Ph. ROUILLARD Ministères et ordination en occident in: ivi 100-124; S. VIRGULIN Ministeri e ordinazioni in oriente in: ivi 125-142; A.M. TRIACCA Per una teologia liturgica del sacramento dell'ordine in occidente. Linee metodologiche in: ivi 77-106.

13. E' sintetizzata specialmente nei canoni da 1026 a 1052 del Codice del Diritto Canonico (1983) per l'Occidente cattolico cioè per i fedeli appartenenti ai riti latini; e nei canoni da 754 a 768 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (1990) per i fedeli dei riti orientali

14. Verranno segnalate più innanzi.

15. Per una visione di insieme ed un loro elenco si veda A.M. STICKLER Historia iuris canonici latini. Institutiones academicae. I. Historia fontium Torino 1950.

16. Quelle che concretamente interessano il nostro soggetto verranno ricordate più innanzi.

17. F. VAn DEr MEER Sant'Agostino pastore d'anime Roma 1971 514.

18. Cfr. GEROLAMO Contro Gioviniano 1, 3, in: Patrologia Latina 23 269-270

19. Cito sempre da F. VAN DER MEER op. cit. 515.

20. Si vedano AGOSTINO Lettere 21 22 78 ecc.

21.Per tutto questo si vedano i contributi di F. DELL'ORO La "editio typica altera" del Pontificale Romano delle Ordinazioni. i nuovi "praenotanda" in: Rivista Liturgica 78 1991 281-335; C. MAGNOLI Varianti rituali ed eucologiche nell'"editio altera" dei Riti di ordinazione in: ivi 336-367. Inoltre si veda tutto il fascicolo n. 186 di Phase del 1991; similmente ancora il fascicolo n. 186 di La Maison-Dieu del 1991 ecc.

22. Si veda: Ordinazione del vescovo dei presbiteri e dei diaconi = Pontificale Romano riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI (Conferenza Episcopale Italiana. Libreria Editrice Vaticana 1979) 89 nr. 140-141.

23. Per questo si veda C. VOGEL Introduction aux sources de l'histoire du culte chrétien au Moyen Age Spoleto 1966 182-214.

24. Si veda la costituzione apostolica di Pio XII Sacramentum Ordinis del 30.11.1947

25. Cfr. A.M. STICKLER op. cit. 197-275

26. Oltre ai lavori citati sopra nella nota (9) si devono tener presenti anche i dati provenienti dagli studi che vengono ora ricordati (in ordine alfabetico per autore). Le affermazioni che vengono riportate nel corpo della trattazione sono asserite sull'autorità degli studi che vengono qui riportati. Ogni responsabilità al positivo e al negativo sono da accreditare o da addebitare ai colleghi. Personalmente dato il genere di contributo ho dovuto adottare questo modo di procedere. Chiedo venia al paziente lettore. Ecco i lavori da cui dipende: J. BEHM,Die Handau flegung im Urchristentum Leipzig 1911; E.BOTTE Le Rituel d'ordination des Statuta Ecclesiae antiqua in AA.VV. Etudes sur le sacrement de l'Ordre Paris 1957 223-241; J. COPPENS L'imposition des mains et les rites connexes dans le Nouveau Testament et dans l'église ancienne Paris 1925; E. FERGUSON Lajing of hands in: Journal of theological studies 26,(1975) 1-12; F. GAVIN The jewis antecedents of christian sacraments London 1928; J. GAUDEMET L'Ordre dans la législation conciliaire de l'antiquité‚ (IV et V siècles) in: AA.VV. Etudes sur le sacrement de l'ordre Paris 1957 233-256; M.-P. GY Les anciennes Prières d'ordination in: La Maison-Dieu n. 13, (1979) 93-122; E.J. KILMARTIN Ministère et ordination dans l'église chrétienne primitive. Leur arrière-plan juif in: La Maison-Dieu n. 134 (1979) 49-92.

27. AGOSTINO Expositio in Ps. 50, 1

28. Cfr. A.M. TRIACCA "Improvvisazione" o "fissismo" eucologico ? Asterisco ad un periodico episodio di pastorale liturgica in: Salesianum 32 (1970) 149-164.

29. Cfr. J. PINELL Liturgie locali antiche (origine e sviluppo) in: D. SARTORE-A.M. TRIACCA (edd.) Nuovo Dizionario di Liturgia Roma (4) 1990 776-783.(30) accomunando così le prassi che dapprima potevano variare da chiesa a chiesa ma che poi vanno uniformandosi sempre più.

30. Si veda il canone 8 del Concilio di Nicea del 325: "ut impositionem manus accipientes sic in clero permaneant".

31. Cfr. CICERONE Pro Cecina 5.

32. Si veda per esempio TERTULLIANO De praescriptione 41 6 8.

33. Il carattere funzionale è legato alla vita ordinata della Chiesa. Questo sembra essere significato dal rifarsi alla tradizione. Così Tertulliano (De Praescriptione 32, 2) dice che Clemente fu ordinato da Pietro e le Epistole Clementine 19, 1 riportano che Pietro impose le mani ad altri. Mentre però Cipriano (Epistola 55, 8) per l'ordinazione di Cornelio non ha cenni circa l'imposizione delle mani.

34. Qui bisognerebbe citare di nuovo l'apporto dei lavori di BEHM, COPPENS, FERGUSON, GAVIN, GAUDAMETE, KILMARTIN, ecc. già menzionati più sopra alla nota 26 ed anche i lavori citati alla nota 9.

35. Si veda il Sacramentarium Veronense ed. L.C. MOHLBERG.

36. Si veda il Sacramentarium Gelasianum ed. L.C. MOHLBERG.

37. Cfr. Num. 11 15-16.

38. Cfr. Lc. 10 1-20.

39. Per esempio questa disposizione cronologicamente si trova presente nel Concilio di Elvira del 313 in quello di Antiochia del 332-334 (?) in quelli di Cartagine del 348 e del 397, in quello di Torino del 398, di Orange del 441 ecc. D'altra parte però esiste libertà di accesso al presbiterato. A questo si poteva giungere per designazione a voce di popolo. Prassi che fu poi bloccata da diverse disposizioni sinodali per porre freno ad abusi plausibili e cioè a candidati che si facevano innanzi con poco discreta propaganda di se stessi. Però nello stesso tempo il canone 4 del Concilio di Valenza del 374 deve porre freno all'altra tendenza e cioè a quella di alcuni candidati che commettevano colpe per evitare d'essere eletti. Papa Gelasio I (492-496) in una sua lettera (40) segnala la difficoltà di reclutare presbiteri dai diaconi che facevano resistenza per cui invita a reclutarli dai gradi inferiori del Clero.

40. Cfr. GELASIO Epistolae pontificum romanorum genuinae (ed. A. THIEL) Braunsberg 1868, I.

41. Cfr. Gv. 11 51-52.

42. Cfr. 2 Pt. 1 4.

43. Si veda C. NARDI Neocesarea (concilio) in: Dizionario Patristico e di antichità cristiane II coll. 2354-2355.

44. Cfr. 1 Tim. 5 22.

45. Sono diversi concili che si sono interessati di questo aspetto quali Arles (314) Nicea (325) Cartagine (348-349) ecc.

46. Cfr. A.M. TRIACCA "Presbyterm Spiritus Sancti vas" "Modelli" di presbitero testimoniati dall'eucologia (Approccio metodologico alla "lex orandi" in vista della "lex vivendi") in: S. FELICi (ed.) La formazione al sacerdozio ministeriale nella catechesi e nella testimonianza di vita dei Padri Roma 1992 193-236.

47. Cfr. G. PELLAND Due formule dei riti di ordinazione. Ispirazione patristica di un aspetto della formazione sacerdotale in op. cit. 171-191.

48. Gli studiosi che vorrebbero vedere nel modo di fare di San Paolo un influsso della semikah giudaico-rabbinica aiutano a comprendere che il Verbo si è fatto carne nella pienezza del tempo (cfr. Gal. 4 4) e dunque quando erano pronte anche quelle forme che Cristo-Chiesa avrebbe preso per concretizzare il mistero della salvezza.

49. per esempio si vedano i contributi nell'opera in collaborazione a cura di G. CONCETTI Il prete per gli uomini d'oggi Roma 1975 dove i diversi AA. fanno il punto sugli studi esegetici patristici teologici pastorali circa il presbitero. Inoltre S. DIANICH Il prete: a che serve ? Saggio di teologia del ministero ordinato Roma 1978; A. FAVALE Spiritualità del ministero presbiterale. Fondamenti ed esigenze di vita Roma 1985 (2) 1989 rist. 1991; A. CENCINI-C. MOLARI A. FAVALE S. DIANICH Il prete nella Chiesa oggi, Bologna 1992..