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Monastero di Cori: immagine di sant'Agostino su un capitello
IL MONACHESIMO FEMMINILE AGOSTINIANO DELLE ORIGINI NEI SECOLI XIII-XIV
Luigi Beretta
Prima ancora che si costituisse "ufficialmente" nel XIII secolo il ramo femminile del moderno Ordine agostiniano, è certo che si erano già sviluppate comunità femminili che, ispirandosi ai suoi scritti, in vario modo venerarono S. Agostino come legislatore e patrono. Furono proprio queste comunità, come vedremo, che costituirono il nucleo fondamentale da cui trassero origine le attuali forme di monachesimo agostiniano femminile.
Comunità femminili esistevano già quando Agostino era vescovo di Ippona ed anzi possiamo ragionevolmente supporre che alcune di esse furono fondate dallo stesso santo al pari delle comunità maschili. Non è improbabile che la stessa "regola" agostiniana avesse in origine proprio le monache come prime destinatarie. Agostino sicuramente fondò un monastero femminile a Ippona, nel quale fu superiora per molti anni sua sorella, una "vedova consacrata a Dio" e nel quale professarono la vita monastica anche alcune nipoti del santo. A questa comunità femminile Agostino inviò una lettera, la numero 211, nella quale si congratulava con le monache perché "in mezzo ai molti scandali di cui è pieno il mondo, godo invece e trovo consolazione pensando al vostro grande numero, alla vostra unione, al casto affetto, ai santi costumi e alla grazia speciale che vi ha dato il Signore per la quale non pensate a nozze terrene, ma a vivere in perfetta pace e concordia, con un'anima sola e un sol cuore in Dio. "
L'esperienza cristiana della comunità femminile di Ippona si diffuse nel IV secolo nel nord-Africa occidentale generando altre comunità che non è possibile purtroppo specificare singolarmente. La loro esistenza è confortata dalle attestazioni di Possidio, il quale scrive che Agostino "lasciò alla Chiesa un clero più che sufficiente, con monasteri di uomini e di donne, pieni di persone continenti, consacrate a Dio e sotto l'ubbidienza dei loro superiori " (POSSIDIO, Vita Augustini, 28).
Quello che successe dopo la morte di Agostino è poco noto. In via ipotetica si può congetturare che queste comunità femminili al pari di quelle maschili si siano forse in qualche modo trasferite dall'Africa in Spagna o sul più sicuro continente europeo dopo le invasioni vandaliche e arabe. Tuttavia per tutto l'alto medioevo mancano sicure testimonianze di monasteri femminili, nè ad essi o a monache agostiniane si fa cenno nelle numerose bolle che Innocenzo IV e Alessandro IV diressero agli agostiniani dal 1243 al 1261. La mancata citazione di comunità femminili proprio negli anni in cui il papato aveva preso l'iniziativa per ricostituire l'Ordine agostiniano è sintomatico: tale silenzio depone sfavorevolmente all'ipotesi dell'esistenza di un monachesimo femminile agostiniano organizzato e sopranazionale anteriore al secolo XIII. E' tuttavia tutto da esplorare il significato di alcune comunità femminili che in quegli anni o in epoche anteriori sono note nei documenti con la denominazione di monache "agostiniane".
L'uso di quest'ultima definizione non implica però che tali comunità appartenessero necessariamente ad un Ordine agostiniano. In alcuni di questi casi ad esempio è molto probabile che si trattasse in realtà di monache norbertine o premostratensi, chiamate "dell'Ordine di S. Agostino" per il motivo che ne osservavano la regola.
In altri casi si può ragionevolmente supporre che si trattasse di comunità locali isolate e dipendenti dal vescovo diocesano, che aveva imposto loro la regola agostiniana. E' da comunità di quest'ultimo genere che traggono spesso origine molti monasteri che nei secoli XIII e XIV furono infine incorporati nell'Ordine agostiniano. L'adesione all'Ordine agostiniano di questi monasteri non fu tuttavia automatica, il che dimostra che nei secoli precedenti il XIII siamo di fronte ad un arcipelago di esperienze religiose assai composite e che la definizione di "agostiniane" per tali comunità femminili non ha un valore assoluto. Non aderirono all'Ordine - tanto per citare tre esempi significativi - le monache chiamate "agostiniane" di Ronzano, che avevano già un monastero vicino a Bologna verso il 1220; neppure aderì la comunità di S. Paolo di Treviso, anteriore al 1265, nè a Palma di Maiorca quella che è nota anche come comunità "agostiniana del monastero di S. Margherita."
Origine e diffusione delle monache agostiniane
L'esame critico di scritti e documenti già noti, associati alla scoperta, anche recente, di nuove fonti, permette attualmente di ricostruire con qualche dettaglio più concreto lo sviluppo del monachesimo agostiniano femminile.
Il primo documento certo, nel quale si citano monache agostiniane, è del 1264 ed è dunque di poco posteriore alla cosiddetta "grande unione" degli agostiniani del 1256. Si tratta di un vero e proprio atto di "adesione" all'Ordine agostiniano da parte di una comunità di monache tedesche. Fra i preliminari dell'atto vengono rapidamente riassunti i rapporti intercorsi con l'Ordine agostiniano e in particolare con frate Guido da Staggia, il superiore della provincia agostiniana di Germania. E' lui stesso ad affermare che "assieme ai definitori e a tutti i religiosi riuniti nel capitolo provinciale celebrato a Seemannshausen nella diocesi di Ratisbona, saluta in Cristo e nel Signore la venerabile priora e le monache dell'Ordine di S. Agostino di Obendorf, della diocesi di Costanza. Molte volte - prosegue Guido - ci era stato chiesto di ricevervi nel nostro Ordine affinché possiate più liberamente e con più certezza servire il Signore secondo la regola di S. Agostino e secondo la forma e la dottrina del nostro Ordine. Con il consiglio e con la piena e unanime deliberazione del Capitolo abbiamo deciso di accogliere sia voi presenti come le vostre future consorelle sotto l'obbedienza, la protezione, il consiglio e l'aiuto del nostro Ordine, salvo sempre il diritto del venerabile padre e signore, il vescovo di Costanza e quello della vostra parrocchia. E in fede di quanto detto mettiamo su questa lettera il sigillo del Capitolo e quello del priore provinciale. Data nel Capitolo di Seemannshausen il 27 maggio dell'anno del Signore 1264 " (AAug. XXIII, 136).
La storia della vicenda di questa comunità tedesca agostiniana delle origini è ulteriormente arricchita da un altro documento contemporaneo, una lettera che Riccardo Annibaldi, il cardinale protettore degli agostiniani, inviò il 9 aprile del 1266 al nuovo superiore della provincia tedesca e a Guido da Staggia, che da un anno era stato eletto superiore dell'Ordine.
Il contenuto della lettera è molto significativo poiché ricorda ai due responsabili dell'Ordine agostiniano quali norme e quali principi dovevano regolare l'adesione di nuove comunità. "Volendo provvedere con paterna sollecitudine alla pace e al bene spirituale delle nostre amate in Cristo le monache, che nel regno di Germania sono state incorporate al vostro Ordine e all'osservanza delle vostre costituzioni ... - scrive il cardinale Annibaldi - Vi ordiniamo in virtù di santa obbedienza che voi personalmente, o per mezzo di religiosi prudenti e discreti del vostro Ordine, prestiate il vostro aiuto alla superiora e alle sue consorelle dispensando loro i benefici della visita, dell'ammonizione, della riforma e della predicazione, sempre che lo giudichiate opportuno. Istruendole nella disciplina regolare, ascoltate le loro confessioni, celebrate loro il sacrificio della messa e gli altri uffici divini, amministrate loro i Sacramenti della Chiesa e, quando ce ne fosse la necessità, entrate nei loro monasteri, portando con voi un numero, da voi ritenuto conveniente, di religiosi idonei. Ciò sia lecito sia in occasione di gravi infermità e di funerali, sia per la visita o per la consacrazione di altari o di monache, sia per altri motivi giusti e onesti. Si dispone parimenti che il religioso sacerdote porti con sè un monaco e il visitatore due buoni religiosi, in modo da poter adempiere rettamente quanto compete al loro ufficio, in conformità alle norme di vita di tali monache. Con le presenti norme, che saranno valide fino a che non vi ordiniamo diversamente, vi concediamo inoltre la possibilità di andare o di inviare altri religiosi dell'Ordine presso tali monasteri in occasione delle loro feste o della morte di qualche monaca, per celebrare l'ufficio divino e predicare la parola di Dio al popolo, che si troverà presente in queste o in altre occasioni. Da ultimo Vi concediamo infine di andare o inviare altri confratelli per motivi giusti e ragionevoli, quando vi sembrerà conveniente, con facoltà di entrare nei parlatori di tali monasteri, anche a grate aperte." (AAug. XXIII, 135)
I testi di questi due ampi brani, che sono fra gli scritti più antichi che si conoscano riguardanti le agostiniane, forniscono varie informazioni: esprimono innanzitutto quale aiuto le monache potevano ricevere dai loro confratelli e quale era la legge sull'osservanza della clausura. Ma non si può tacere che lasciano intravedere l'esistenza, oltre quello di Obendorf, di altri monasteri nella provincia tedesca, poiché il cardinale Annibaldi parla di monasteri al plurale e non di un solo monastero. Tra essi vanno forse annoverati alcuni degli otto monasteri che le agostiniane di Germania avevano già in questo primo secolo a Obendorf, Memmingen, Niederviebach, Praga, Lippstadt, Colonia, Dordrecht e Merten an der Sieg. Il maggior numero di comunità agostiniane femminili prosperarono tuttavia in Italia. Agli inizi del XIII secolo però queste comunità erano agostiniane in un senso molto ampio ed erano accumunabili solo perché tutte professavano la Regola di S. Agostino e non appartenevano ad altri Ordini. Poiché l'Ordine agostiniano non era stato ancora costituito, si trattava in genere di comunità di fondazione non agostiniana e la loro origine seguiva uno schema e una evoluzione tipici di quel secolo. Iniziavano in genere come ritiri o reclusori, nei quali si riunivano donne devote, giovani e vedove, che nutrivano il desiderio di fuggire i pericoli del mondo. Per questo si dedicavano con impegno a una vita di orazione e di penitenza vivendo in comunità, sotto la direzione di una di loro, che svolgeva le mansioni di superiora.
Quando il loro numero aumentava e la fondazione si consolidava, il reclusorio si trasformava in monastero. La mutata condizione è chiaramente espressa dal nuovo nome con cui vengono chiamate le donne ivi recluse: se prima erano indicate come "oblate, mantellate, penitenti o converse", in seguito il termine che comunemente le designa è quello di "monache". Tale differente "status" iniziava normalmente quando il vescovo diocesano dava loro la Regola agostiniana, che includeva la professione e la osservanza dei tre voti religiosi. Molti furono i monasteri che iniziarono la loro storia come reclusori che professavano la Regola di S. Agostino, tuttavia pochi di essi si possono chiamare agostiniani in senso stretto e precisamente sono quelli che si unirono all'Ordine agostiniano accettando totalmente la professione della sua Regola e delle sue leggi.
Pur non di fondazione agostiniana, questi monasteri si possono chiamare a buon diritto "agostiniani " poiché, dopo essersi associati all'Ordine agostiniano appena costituito, ne dipendevano strettamente nel governo spirituale e amministrativo.
Questo fenomeno delle "adesioni" di monasteri all'Ordine agostiniano conosce un rapido incremento e una altrettanto fisiologica scomparsa nella seconda metà del XIII secolo e l'inizio del XIV. Contemporaneamente incominciarono a comparire i primi monasteri sorti per iniziativa o con l'aiuto dei religiosi agostiniani. Questi ultimi tuttavia già si inseriscono nel primo processo di espansione dell'Ordine agostiniano, che portò alla fondazione di monasteri ex-novo. Tale processo, avviatosi nel XIII secolo dopo la costituzione stessa dell'Ordine, proseguì, come è logico, anche nei secoli successivi, mentre l'adesione di monasteri e comunità preesistenti all'Ordine agostiniano è un fenomeno sostanzialmente circoscritto alla seconda metà del XIII secolo.
Esempi di queste adesioni sono note, seppure in numero limitato a causa della incertezza della documentazione. Relativamente sicuro è il caso del monastero di S. Maria Maddalena di Orvieto. Sorto per la determinazione di undici donne della città, desiderose di vivere nello stato religioso, esso ottenne l'aiuto degli agostiniani della loro città nelle persone del priore frate Bernardino e di frate Pietro da Corneto. Fu quest'ultimo a presentare la supplica delle future monache a Lituardo, vescovo di Nepi e vicario spirituale generale del Patrimonio di S. Pietro in Toscana.
Il 16 giugno del 1286 Lituardo approvò la richiesta di quelle pie donne e il 10 luglio confermò il loro desiderio di servire Dio nel monastero, che il priore generale e la comunità degli agostiniani di Orvieto avevano fatto costruire per loro. La comunità monastica di quelle donne doveva organizzarsi "professando la vita religiosa secondo la Regola del beato Agostino e le istituzioni di tale Ordine."
Gli atti del capitolo generale agostiniano di Siena del 1295 esprimono chiaramente che la sollecitudine dell'Ordine fu totale e non si limitò alla costruzione del monastero.
Il superiore frate Clemente da Osimo infatti aveva assicurato ampie garanzie alle monache per la loro assistenza spirituale e temporale. Nel capitolo generale del 1295 furono accettate e confermate "le lettere che la buona memoria del nostro defunto priore generale frate Clemente indirizzò all'abbadessa e alle monache di S. Maria Maddalena ... di Orvieto, a beneficio del loro monastero: una relativa all'incarico conferito a frate Agostino Seneca di tale comunità e del convento di S. Martino di Campiano e l'altra relativa alla vendita del convento dello stesso Campiano alle suddette monache e al loro monastero" (AAug. II, 372).
E' possibile seguire la successiva storia del monastero di S. Maria Maddalena attraverso gli atti dei capitoli generali del 1298 e del 1300. Quest'ultimo si svolse a Napoli e decretò la nomina quali "visitatori e riformatori del monastero di S. Maria Maddalena dei lettori frate Bernardino da Orvieto e frate Bartolomeo da Città della Pieve."
Probabilmente era sorta qualche questione poiché i due frati ricevettero ampi poteri "con la condizione che il nostro Ordine conservi integra la propria giurisdizione su detto monastero". Alla fine del XIII secolo un'altra comunità di suore di Orvieto decise di aderire all'Ordine agostiniano.
Tra gli atti del capitolo di Napoli del 1300 i definitori infatti supplicano "il padre generale di prendere sotto la sua cura le monache del monastero di S. Caterina di Orvieto, che secondo quanto si afferma, si sono unite di propria volontà e con atto notarile al nostro Ordine. Ci si impegni a fare per esse tutto quanto si giudicherà conveniente alla salvezza delle loro anime e alla pace dell'Ordine" (AAug. III, 7).
Un terzo monastero italiano, la cui adesione all'Ordine agostiniano è ben documentata, è quello di S. Lucia di Cittaducale nella provincia di Rieti. La sua adesione risale al 1357 quando con la bolla "Piis devotorum desideriis" papa Innocenzo VI ratificò l'unione agli agostiniani. Ne parliamo nella presente relazione poiché le sue origini risalgono al secolo precedente e anche perché nella sua fondazione ebbe un ruolo fondamentale il padre provinciale agostiniano Nicola da Cittaducale. Costui aveva informato il Papa che nella sua città "vivevano alcune donne recluse, professe dell'Ordine di S. Agostino e chiamate oblate dell'Ordine del Santo ... che desideravano fondare un monastero con il titolo di S. Lucia Vergine, nel quale sarebbero vissute dodici monache e una priora abbadessa" del medesimo Ordine. Papa Innocenzo VI accolse la supplica e dispose che le monache rimanessero sempre sottomesse ai superiori generali e provinciali dell'Ordine agostiniano. Inoltre accordò tutti i "privilegi, le esenzioni, libertà e immunità" di cui godevano gli agostiniani. Tra la seconda metà del secolo XIII e la fine del XIV le agostiniane d'Italia avevano certamente molti altri monasteri dei quali tuttavia non abbiamo una sicura conoscenza a parte qualche caso che riferiremo tra poco.
La loro esistenza si ricava dalla lettura di alcuni atti del Capitolo generale del 1300, nei quali i definitori proibirono ai monaci "sudditi o superiori, di incorporare all'Ordine o di prendere sotto la propria cura le beate, le beghine e i monasteri di qualunque tipo di religiose, senza il permesso del priore provinciale o del vicario del superiore generale. Costoro a loro volta non le accolgano, nè diano ad altri il permesso di farlo, senza il maturo e deliberato consenso dei religiosi anziani della propria provincia."
Il rimando è esplicito e manifesta la preoccupazione dei responsabili di non ingrossare a dismisura l'Ordine con il pericolo di annacquarne la spiritualità. La questione era ulteriormente aggravata dalla necessità di coniugare una crescita molto rapida con l'accettazione nell'Ordine di forme di vita monacale provenienti spesso da esperienze diverse e perciò difficili da amalgamare in breve tempo. Il dettato dei capitolari così perentorio lascia intendere che la pratica della incorporazione era un fenomeno diffuso e forse fin troppo disinvolto. Di qui la necessità di porre dei limiti precisi. Questo problema deve essersi trascinato a lungo poiché se ne occupò ancora il capitolo generale del 1329.
Questo desiderio di tenere sotto controllo la tumultuosa crescita dell'Ordine non sembra spiegabile se non come conseguenza del progressivo aumento di numero dei monasteri. Nel XIV secolo ne sono noti diversi, tutti unitisi all'Ordine agostiniano. Tra di essi troviamo il monastero che sul finire del 1330 fu fondato dal beato Simone da Cascia a Firenze, con lo scopo di dare ospitalità alle donne di mal affare e chiamato per questo il monastero delle "convertite". Nel 1357 era già incorporato nell'Ordine poiché il 17 settembre di quell'anno il priore generale Gregorio da Rimini consentì agli agostiniani del convento di Santo Spirito di continuare ad aiutare "il monastero di S. Isabella o delle convertite di Firenze". Dal decreto del priore si ricava che tale monastero era posto sotto la cura di religiosi agostiniani già dai tempi di "buona memoria del signor Giovanni Orsini, cardinale di Santa Romana Chiesa", vale a dire sin dalle origini poiché l'Orsini morì nel 1339. Per quanto non sia certo che fosse assistito dagli agostiniani fin dalla sua fondazione, è opportuno citare anche un altro monastero di agostiniane in Firenze.
Anch'esso nacque dallo zelo del beato Simone da Cascia, che lo fondò per le giovani e le donne verso il 1342, grazie all'aiuto di un suo amico, il nobile fiorentino Tommaso Corsini. Il monastero portava il titolo di S. Caio o Caggi e di S. Caterina. Trovandosi a Firenze nel settembre del 1358 il priore generale Gregorio da Rimini riconobbe come "agostiniano" questo monastero e concesse il permesso "al signor Tommaso Corsini di chiamare a casa sua, sempre che lo gradisse frate Filippo Maruccio da Firenze."
Inoltre permise che nella festa di santa Caterina "detto signore possa portare allo stesso monastero per la celebrazione dei Vespri e della Messa tutti i religiosi che il priore gli avrebbe inviato" (GREGORII DE ARIMINIO, Registrum generalatus, 319).
Le monache agostiniane di questo monastero, per la loro stretta clausura note come "le murate" o recluse, nel 1347 diedero ospitalità a S. Caterina da Siena.
Una eccellente fotografia dello statu quo e della situazione in cui versavano i monasteri femminili agostiniani nel XIV secolo in Italia è fornita dagli atti del registro di Gregorio da Rimini. Nella regione Umbra e nello Spoletano ad esempio quasi certamente non erano meno di 30 come si evince dal deliberato 664 di tale registro, nel quale si definisce il numero di religiosi maschi che dovevano dedicarsi alla amministrazione spirituale delle comunità femminili. Nel 1358 sono cinquantasei i sacerdoti agostiniani della provincia d'Umbria incaricati di esercitare il sacro ministero nelle comunità di monache della medesima regione.
Può darsi che non tutti si occupassero di comunità agostiniane; tuttavia è ragionevole supporre il contrario poiché sia le clarisse quanto le domenicane e le comunità dei vari rami benedettini erano normalmente assistite dai rispettivi confratelli. L'assistenza spirituale alle monache agostiniane permette di individuare diverse tipologie di monasteri, la cui distribuzione ha un significato che travalica i confini regionali umbri e toscani.
Gli storici dell'Ordine agostiniano hanno al riguardo fornito indicazioni talvolta contrastanti. Il numero stesso di monasteri ha avuto differenti valutazioni quantitative.
Herrera e i suoi più acuti epigoni sostengono che oltre ai due monasteri di Orvieto e di Cittaducale, le monache agostiniane, sin dal XIII secolo, ebbero altri monasteri in Umbria: a Perugia, Foligno, Spoleto, Todi e in altri borghi minori. Più dubbia è l'attestazione dello storico seicentesco Ludovico Iacobilli, quando dice che le agostiniane riuscirono ad avere "in Umbria quaranta monasteri, dei quali venticinque si conservano fino al presente" (L. IACOBILLI, Vite dei santi e beati dell'Umbria, III, Foligno 1661, 379).
Probabilmente nel 1661 ce n'erano senz'altro venticinque: ne fanno fede i viaggi di Iacobilli in questa regione che gli permisero di avere notizie dirette delle varie comunità, tuttavia è ingiustificato il numero di quaranta, che egli propone a meno che non si aggiungano come "agostiniani" altri monasteri, che lo erano solo perché professavano la Regola agostiniana. Pur essendo questa era la regola preferita in Italia e soprattutto in Umbria, bisogna infatti tener presente che non fu automatica l'unione all'Ordine dei monasteri che l'avevano in adozione.
Nella diocesi di Spoleto, ad esempio, aderirono all'Ordine agostiniano solo due su sei monasteri di monache che la avevano adottata tra il 1278 e il 1300.
Analogamente si comportarono alcuni monasteri di altre regioni d'Italia, che cominciarono la loro storia in questo secolo. Ricordiamo quelli senesi di S. Marta e di S. Maria Maddalena fondati rispettivamente verso il 1328 e il 1339; quello di S. Croce sull'Arno, che sorse nel 1279 per merito della beata Oringa Cristiana Menabuoi; quello di S. Vito a Ferrara, che fu reclusorio sin dal 1234; quello di S. Maria "Mater Domini" a Verona, le cui monache "agostiniane", secondo la definizione dello storico cittadino Girolamo Della Corte - "vivono in grande osservanza e in fama di santità."
Altri monasteri sono menzionati dagli storici dell'Ordine agostiniano Herrera e Torelli a Bologna, Vicenza, Venezia, Milano e Como, o meglio a Brunate. In questa località nel 1340 Elenina e Andreola Pedraglio assieme ad altre due compagne costruirono un piccolo romitorio su un poggio addossato all'oratorio di S. Andrea, dopo aver ottenuto dal proprio padre Zanolo 16 pertiche di terreno. Ottenuto il riconoscimento del vescovo diocesano, adottarono la regola agostiniana. La aggregazione all'Ordine agostiniano tuttavia fu realizzato solo nel 1448 grazie ad un breve di papa Nicolò V che accettò le suppliche della badessa beata Maddalena Albrici e concesse al convento il diritto di passare sotto la direzione degli Agostiniani della Congregazione riformata di Lombardia.
Nello stesso breve si consentiva l'edificazione di un monastero nella città di Como presso la chiesa della SS. Trinità (ANGELO CONFALONIERI, La beata Maddalena Albrici agostiniana Badessa del Convento di S. Andrea in Brunate, Como 1938).
Non tutti i monasteri riuscirono a sopravvivere, alcuni anzi esistettero per poco tempo. Nel 1318 ad esempio erano note a Gubbio le cosiddette "oblate dell'Ordine degli eremiti di S. Agostino", che nel 1335 vengono già nominate come monache "nel monastero di S. Cecilia". Esse formavano una comunità di diciassette religiose e "promisero piena obbedienza, riverenza e totale sottomissione" al priore degli agostiniani di Gubbio (AAug. XVII, 110-116). Nel 1358 questa comunità era ormai scomparsa, almeno in quel monastero, come consta dal documento 399 del registro di Gregorio da Rimini. Se ampliamo l'orizzonte d'indagine dall'Italia all'Europa nessuna notizia trapela circa monasteri dell'Ordine agostiniano femminile nelle province di Inghilterra e d'Irlanda. Lo stesso va detto di tre delle quattro province francesi, poiché non risulta che ci fossero monasteri di agostiniane nella provincia di Provenza, nè in quella di Narbona e di Borgogna.
Per quanto concerne la provincia parigina o di Francia, non è certa l'appartenenza all'Ordine del monastero di Arras. Certamente ce ne furono due nella provincia di Tolosa e di Aquitania: uno a Bordeaux, la cui fondazione è stimata attorno al 1343 (DHGE 9, 1194) e un altro a Tolosa, che probabilmente iniziò a operare nello stesso periodo, quantunque non si conoscano documenti che ne parlino prima del 1403.
Sempre nel XIII secolo furono fondati quattro monasteri spagnoli, che tuttora esistono. A Toledo il monastero di S. Orsola cominciò come reclusorio verso il 1259 e secondo Roman ed Herrera nel 1356 era già monastero di agostiniane. Nel 1365 si sarebbero unite all'Ordine agostiniano. Il monastero di S. Leandro fu fondato a Siviglia, fuori le mura della città, dal re Ferdinando IV di Castiglia (1295-1312). Questo monarca riservò molti privilegi a quella fondazione, cosa che fece pure il suo immediato successore Alfonso XI, "il quale, in un tempo non molto sicuro a causa dei nemici mise una guarnigione di soldati in loro difesa, giacché abitavano fuori della città." (ALONSO MORGADO, Historia de Sevilla, II, Siviglia 1587, 450-453; A. LLORDÉN, El convento de san Leandro de Sevilla, Malaga 1973). Lo stesso sovrano concesse a questo monastero altri favori nel 1347 e nel 1350.
Più complessa è la storia del monastero di S. Giuliano a Valenza, che conosciamo grazie alla bolla "Iuxta pastoralis officii", che il 13 febbraio del 1357 papa Innocenzo VI inviò al vescovo locale. La lettura di questo documento indica che le monache di S. Giuliano "erano state sin dalle origini sotto il governo e la lodevole direzione ... dell'Ordine degli Eremiti di S. Agostino e secondo le loro proprie istituzioni". Tuttavia per gravi mancanze commesse da alcune religiose, gli agostiniani incaricati della direzione del monastero decisero di punire le colpevoli imponendo l'osservanza rigorosa della clausura. La priora e alcune monache accettarono tale decisione, ma le altre, che probabilmente costituivano la maggioranza, si opposero alla clausura e rifiutarono il governo degli agostiniani, rimettendosi alla giurisdizione del vescovo di Valenza. La comunità visse in tali condizioni per venticinque anni. I confessori e i visitatori erano sacerdoti del clero diocesano "che non conoscevano - come afferma la bolla - gli statuti e la Regola dell'Ordine agostiniano, lasciando le monache nella loro ignoranza, con la conseguente trascuratezza dell'osservanza. Alla fine però riconobbero il loro errore e chiesero di tornare alla loro antica direzione e forma di governo."
Il Papa ordinò pertanto al vescovo di Valenza di far osservare la costituzione "Periculoso", con la quale Bonifacio VIII nel 1298 aveva prescritto la clausura. Le religiose di S. Giuliano continuarono perciò a vivere sotto la giurisdizione del priore generale e del superiore della provincia agostiniana di Aragona e Catalogna, con la condizione di essere partecipi "di tutti i privilegi e le grazie che la Sede Apostolica concede alle altre monache dello stesso Ordine di S. Agostino, che vivono sotto la direzione dei suddetti religiosi e secondo le loro Costituzioni."
Herrera sostiene che questo monastero sorse grazie alla attività del frate agostiniano Francesco Salelles, che verso il 1310 cercava di diffondere l'Ordine a Valenza. Non è noto quando fu fondato il monastero di Madrigal ad Avila. Si sa tuttavia che inizialmente era dedicato a S. Maria della Pietà e che solo in seguito assunse il titolo di Nostra Signora della Grazia. La tesi sostenuta da Herrera II, 147 circa una sua fondazione nell'anno 1353 solleva non pochi dubbi per l'incongruità dei documenti proposti dallo stesso autore. Quanti erano dunque i monasteri agostiniani femminili nel XIII e XIV secolo?
A conclusione di questa panoramica appaiono evidenti le esagerazioni degli autori seicenteschi che indicavano in 90 tale numero: più verosimilmente è opportuno riconoscere in 50-60 il numero che meglio si approssima la realtà di quei secoli.
La vita religiosa
Dai documenti riportati nella ricostruzione storica sin qui condotta risulta dunque che le monache agostiniane vissero già fin dalle origini sotto il governo di una superiora, chiamata generalmente abbadessa. Eletta dalle altre religiose della Comunità, veniva confermata nell'incarico dal superiore generale dell'Ordine e da quello della provincia più vicina. Altre volte il diritto della conferma era facoltà del vescovo diocesano: tale sembra essere il caso del monastero di Obendorf, che dipendeva nel 1264 dal vescovo di Costanza.
Dalla lettera, che il cardinale Riccardo Annibaldi inviò nel 1266 al priore generale Guido da Staggia e al padre provinciale di Germania, si può inoltre dedurre che le agostiniane si giovarono, in materia di governo e di assistenza spirituale, dell'esperienza maturata nei 50 anni precedenti dalle domenicane e dalle clarisse. Un rapido confronto permette di accertare che quanto il cardinale Annibaldi ordinò - "in virtù di santa obbedienza" - ai due sopracitati superiori agostiniani a favore delle loro monache, si trova praticamente alla lettera nei dettami che papa Innocenzo IV aveva ordinato nel 1245 "ai ministri generali e provinciali dei frati minori" in favore delle clarisse. In modo del tutto analogo ai provvedimenti raccomandati dal cardinale Annibaldi, essi dovevano visitarle personalmente "o per mezzo di religiosi del suo ordine provvidi e discreti, dispensare loro i benefici della visita, dell'ammonizione e della riforma, istruirle nella disciplina regolare, confortarle con la predicazione della parola di Dio, ascoltare le loro confessioni, celebrare loro le Messe solenni."
Dovevano inoltre eseguire tutte le altre disposizioni che il cardinale Annibaldi raccomandò e permise agli agostiniani nei riguardi delle loro monache. Queste, dal canto loro, avevano accettato, come assicurava l'Annibaldi ai due citati superiori dell'Ordine, "l'osservanza delle vostre Costituzioni."
Seguendo i dettami di queste leggi è dunque possibile farsi un'idea della forma di governo e della conduzione della vita religiosa vigente nei monasteri. E' ragionevole supporre che i padri agostiniani in visita canonica ai monasteri per verificare l'osservanza dello spirito religioso nelle comunità delle loro monache si siano serviti delle Costituzioni maschili del 1266 e poi di quelle di Ratisbona del 1290. In alcuni casi queste leggi furono modificate ed adattate ad uso specifico delle monache agostiniane.
Attualmente gli adattamenti conosciuti di questo tipo ad uso delle monache sono solamente quattro, con la particolarità che ciascuno fu redatto per un solo monastero.
Per tutti la redazione va posta nella seconda metà del '300. Il primo di essi è attribuito a un certo frate Giovanni da Salerno, che dedica il suo scritto "alle donne e monache di S. Isabella, del monastero delle convertite di Firenze". L'autore aggiunge che ha composto il suo adattamento "con la dottrina e con il fior fiore dei bei detti di frate Simone da Cascia, fondatore del monastero delle donne che si convertono a Dio."
L'adattamento di frate Giovanni è assai libero e piuttosto breve, dato che è composto da soli 21 capitoli, rispetto ai 51 delle Costituzioni di Ratisbona. Benché questo primo adattamento sia posteriore al 1357, la sua impostazione dottrinaria va considerata anteriore al 1348, anno in cui morì il beato Simone da Cascia. Il secondo adattamento delle prime Costituzioni ad uso delle monache, fu redatto per il monastero di S. Leandro di Siviglia. Si tratta di uno scritto anonimo e probabilmente risale al secondo decennio del XV secolo. E' il più lungo e complesso di tutti, perché comprende 41 capitoli: rispetto all'originale l'autore ha ragionevolmente eliminato i capitoli relativi alla carriera ecclesiastica, ai visitatori, al procuratore dell'Ordine e alla celebrazione dei capitoli generali o provinciali, che non avevano importanza alcuna per le religiose di clausura. Il terzo caso di adattamento sopravvive ancora oggi nel monastero delle sue prime primitive destinatarie, le agostiniane del monastero di S. Orsola a Toledo.
Benché il manoscritto risalga al 1541, l'analisi della morfologia e della sintassi del testo suggerisce che la prima stesura sia stata eseguita almeno cento anni prima. Il quarto esempio di adattamento è opera del tedesco Timann Limperger il quale afferma nel prologo che eseguì la sua opera nel 1501, per istruire nelle leggi dell'Ordine le agostiniane del monastero di S. Anna di Friburgo di Brisgovia. Presso la Biblioteca Universitaria di Bonn è inoltre conservato il codice 352, databile al XVI secolo, che contiene nei suoi fogli 1-75 un ulteriore adattamento tedesco "per le monache dell'Ordine degli eremiti di S. Agostino". Non è chiaro tuttavia quale sia stata la fonte utilizzata dall'anonimo per il suo adattamento: potrebbe essere il testo delle Costituzioni pubblicato a Venezia nel 1508 oppure l'edizione preparata dal generale Seriprando e pubblicata a Roma nel 1551.
La storia di questi adattamenti delle Costituzioni agostiniane alle esigenze proprie delle monache chiarisce che con ogni probabilità non si trattò di un fenomeno limitato nè circoscritto alla sola metà del secolo XIV. Adattamenti specifici debbono essere stati compiuti con regolarità anche dai frati agostiniani incaricati di "istruirle nella disciplina regolare", come nel 1266 diceva il cardinale protettore Annibaldi, e dai visitatori, che vigilavano circa il rispetto della loro osservanza.
Da questa analisi risulterebbe dunque che le monache rispettavano nella loro vita conventuale le Costituzioni agostiniane al pari dei loro confratelli. E' necessario sottolineare anche un altro elemento fondamentale e cioè la specificità delle regole seguite dalle agostiniane che si differenziavano da quelle che in genere erano uniformemente seguite dai rami femminili degli Ordini mendicanti.
Nei citati adattamenti ad uso delle agostiniane ci sono infatti alcuni testi, che hanno corrispondenza solo nelle Costituzioni agostiniane di Ratisbona del 1290. Quando frate Giovanni da Salerno scrive nel capitolo 10 del suo adattamento che "Si deve avvertire soprattutto nella cura delle monache inferme, che siano servite come si serve a Cristo ...
L'abbadessa metta a servizio delle stesse una monaca che abbia in sè il timore di Dio", non fa altro che riprendere quanto prescrivono le Costituzioni degli agostiniani nel capitolo 13, trattando della cura degli infermi "cum soli Deo serviatur in illis" e che l'infermiere fosse un religioso "cuius cor possideat timor Dei."
Del tutto corrispondenti sono i consigli che, in materia di mortificazione e di penitenza, Giordano di Sassonia consegnò ai suoi confratelli e quelli che Simone da Cascia diede alle agostiniane di Firenze, così come vengono ricordati da Giovanni da Salerno nei capitoli 2 e 5 del suo testo: "Nessuna monaca - scrive - digiuni più delle altre della comunità senza il permesso dell'abbadessa, nè mostri singolarità alcuna in quanto a bere il vino o a non mangiare quel che si serve a tutte. Nè porti cilizio o altro strumento di penitenza senza il permesso della superiora."
Altri elementi di somiglianza con i propri confratelli sono rintracciabili nell'orario quotidiano e nella disciplina. Le agostiniane nel loro governo seppero tuttavia accogliere anche varie norme seguite dalle altre monache del loro tempo, in particolare dalle domenicane e dalle clarisse. Gli adattamenti analizzati ne tennero conto in qualche modo. Per quanto non sia dimostrabile è probabile che il beato Simone da Cascia e il suo discepolo Giovanni da Salerno abbiano conosciuto le costituzioni del monastero francese di domenicane di Montargis. Due passi di Giovanni da Salerno, che riportiamo di seguito e sono tratti dai capitoli 8 e 19, possono essere utili a questo fine: "Dopo che la novizia - dice nel capitolo 8 - è vissuta nel monastero per un anno e un giorno di prova, se si è ben comportata e ha la legittima età, cioè, dodici anni, faccia la professione."
Nelle primitive costituzioni di Montargis in modo del tutto analogo troviamo: "Nulla infra duodecim annos ad professionem recipiatur". Nel capitolo 19 Giovanni da Salerno scrive: "Quando sarà morta l'abbadessa, o per qualche motivo sarà stata rimossa dall'incarico se ne elegga un'altra dalle monache di tale monastero, secondo la forma canonica ... Ma se entro un mese non si è giunti a tale elezione, essa resta in potere del padre generale dell'Ordine di S. Agostino." (Cfr. MATTIOLI, Fra Giovanni da Salerno e le sue opere volgari inedite, Roma 1901).
Questa medesima regola compare a Montargis: "Priorissa a conventu suo secundum formam canonicam eligatur .. Si vero infra mensem non elegerint, magister vel prior provincialis conventui provideat de priorissa." (Cfr. R. CREYTENS, Les constitutions primitives des soeurs dominicaines de Montargis, Archivium fratrum Praedicatorum 17, 1947, 41-84).
Queste interessanti analisi parallele non possono però essere generalizzate ed applicate a tutti gli altri monasteri, dato che ogni comunità rappresentava un caso a sè. Non bisogna inoltre scordare che le comunità di religiose contemplative erano considerate generalmente autonome in quasi tutti gli Ordini, non solo nel secolo XIII, ma anche in età più tarda sino alla fine del medioevo. Differenze fra le comunità di una medesima famiglia religiosa esistevano ovunque, non solo fra i vari paesi d'Europa, ma anche tra quelle di una stessa nazione. Una certa uniformità di vita e di governo era realizzabile in genere solo per quei monasteri diretti dai religiosi del primo Ordine o per quelli esistenti nei confini di una provincia religiosa. Questa situazione di relativa disomogeneità era un luogo comune dei tempi e non deve meravigliare più di tanto.
Altri Ordini, sorti prima delle Agostiniane, presentavano analoghi problemi. Emblematico è il caso delle monache francescane. Dopo cinquant'anni di esistenza l'Ordine di S. Chiara di Assisi non seguiva ancora una regola comune, ma aveva in uso cinque regole e forme di vita diverse (H. ROGGEN, DHGE 18, Parigi 1977, 961).
Se questo succedeva in un Ordine diretto e propagato per quarant'anni dalla sua stessa fondatrice, non c'è da meravigliarsi dell'esistenza di diverse forme di vita in monasteri, come quelli delle agostiniane, che avevano iniziato la loro storia con modalità e percorsi differenti.
Al di là di queste apparenti discordanze, talvolta marginali, le comunità di monache agostiniane unanimemente perseguivano l'essenziale della vita religiosa e cioè l'osservanza dei voti e il proposito di tendere alla perfezione cristiana, con la pratica dei mezzi per conseguirlo: culto divino, ricezione dei sacramenti, impegno nell'esercizio delle virtù cristiane e nella vita di orazione, di penitenza e di ritiro, favorita dall'osservanza della clausura. Malgrado la scarsezza di documenti dei secoli XIII e XIV, è lecito supporre che la disciplina regolare fiorì nelle comunità delle monache agostiniane sin dal 1266 e che, grazie alla clausura e alle altre circostanze favorevoli della loro vita, l'osservanza tra loro non decadde come invece purtroppo avvenne nei conventi maschili negli anni dal 1325 al 1356.