Percorso : HOME > Associazione > Settimana agostiniana > Settimana 1995 > Chiara da Montefalco

S. CHIARA DA MONTEFALCO E LA BEATA CRISTIANA DA SANTA CROCE

 Immagine di santa Chiara da Montefalco

Santa Chiara da Montefalco

 

 

 

S. CHIARA DA MONTEFALCO E LA BEATA CRISTIANA DA SANTA CROCE: DUE ESEMPI DI SANTITÀ AGOSTINIANA DEL XIII SECOLO

di Ivo Rigamonti

 

 

 

Sin dal suo nascere nel XIII secolo il ramo femminile dell'Ordine agostiniano seppe esprimere monache di grande fede e forte personalità cristiane. I cronisti contemporanei e quelli dei secoli successivi hanno lasciato varie testimonianze, talune di grande interesse storico, altre invece meno attendibili e frutto piuttosto del desiderio agiografico tipico soprattutto del secolo XVII. Gli storiografi agostiniani seicenteschi per di più peccarono talora di imprecisione attribuendo al loro Ordine sante e beate, che la critica moderna invece ha riconosciuto appartennero ad altri Ordini religiosi.

L'equivoco fu generato presumibilmente dalla travagliata origine degli agostiniani nella seconda metà del Duecento, allorché monasteri e reclusori, di diversa osservanza e fondazione furono aggregati nel 1256 da papa Alessandro IV per dar vita agli "Eremiti di S. Agostino". Nella confusione di quel periodo fu facile per i cronisti confondere o scambiare per agostiniane esperienze religiose che appartennero invece ad altri Ordini.

Diverso è il caso di Marsilia Pupelli che fu terziaria o mantellata agostiniana a S. Severino di Macerata, dove si conserva il suo corpo dal 1298, che il popolo venera con grande devozione. Il suo culto tuttavia non è stato mai riconosciuto dalla Chiesa. Ottenne invece l'onore degli altari nel 1832 il culto che ad Amelia è tributato alla beata Lucia Bufalari. Essa entrò nel convento delle terziarie agostiniane in questa città agli inizi del Trecento, divenendone superiora. Passò a miglior vita il 27 luglio del 1350. La sua memoria fu conservata dagli Agostiniani fino all'ultima riforma liturgica. La devozione verso la figura di questa beata è tuttora viva in Amelia e in altre cittadine dell'Umbria, dove è invocata principalmente perché interceda in favore dei bambini infermi e ossessi.

Si narra che fu sorella del beato Giovanni da Rieti, ma questa e altre notizie della sua vita non possono essere provate oggi con documenti degni di fede. Al contrario sono invece ben documentate con ricchezza di testi le figure di S. Chiara da Montefalco e della Beata Cristiana da Santa Croce dell'Arno, le due monache di cui si occuperà la presente relazione. In entrambi i due casi si tratta di documentazioni storicamente sicure.

 

S. Chiara da Montefalco

Quanto sappiamo relativamente a S. Chiara da Montefalco è dovuto principalmente al sacerdote francese Berengario Donadieu de Saint-Affrique, che nel 1308 e nel 1309 governava la diocesi di Spoleto in qualità di vicario del vescovo Pietro Paolo Trinci, dato che costui risiedeva presso la corte pontificia ad Avignone. Il 21 agosto del 1308, esattamente quattro giorni dopo la morte di Chiara, Berengario andò a cavallo da Spoleto a Montefalco con l'intenzione di punire le monache della defunta, che si erano spinte in azioni che riteneva cristianamente riprovevoli.

Gli era stato infatti riferito che le monache avevano estratto il cuore di Chiara e che la andavano proclamando santa tra il popolo.

Giunto a Montefalco Berengario tuttavia cambiò atteggiamento e dopo aver valutato la situazione accettò la posizione delle monache dopo aver discusso, come egli stesso ricorda nei suoi scritti, con "molti religiosi, lettori, dottori in teologia e più di venti secolari, dottori e periti in ambo i diritti, col cui consiglio e assenso cominciai a inquisire per formare articoli speciali" sulla santità di Chiara. Ritornato a Spoleto alcuni dei suoi collaboratori domestici tentarono di dissuaderlo da simile impresa per vari giorni e con insistenti motivazioni. "Vinto quasi dalla tentazione, mi proposi di lasciar perdere tutto e di bruciare e distruggere quella stessa notte e senza alcun indugio quanto avevo già fatto. Nell'angoscia di questa incertezza il Signore confortò il mio animo, tanto che gli parlai così, senza aggiungere o cambiare niente: «Signore Dio mio, ti chiedo di farmi conoscere la tua volontà, per sapere come devo comportarmi in questa vicenda di Chiara, che mai vidi nè so chi fu. Io non inizierei ad interessarmi nemmeno di S. Pietro e S. Paolo o di altro santo, anche se fosse il più grande di quelli che sono nella vita eterna, se non nei limiti in cui credessi di fare cosa gradita alla tua volontà».

Avevo appena terminato di pronunciare queste parole, quando, mentre ero in piedi, mi apparve la suddetta santa Chiara, vestita di bianco, con strisce color violaceo sulle braccia e con una tunica a foggia di dalmatica diaconale adornata di cerchi di seta fino ai piedi ... Sin dal suo primo apparire assieme a una grande commozione spirituale e una grandissima consolazione, sentii dentro di me: «Ecco Chiara». All'istante cessò la tentazione, mi sentii tranquillo e la mia anima, piena di una ineffabile dolcezza spirituale, fu illuminata da tanta luce, che compresi la volontà di Dio in quella questione e capii che io dovevo inquisire la vita e i miracoli della suddetta santa Chiara.

Dovevo occuparmi dei segni della Passione di Cristo e della Trinità che erano state scoperte nel suo corpo ... e da allora cominciai a investigare esaminando vari testimoni, ascoltando le loro deposizioni e preoccupandomi di raccogliere le principali tra le tante. Con esse composi questo scritto, che è disposto come meglio ho saputo fare, secondo l'ordine e l'età della stessa Chiara. E assicuro in coscienza che non vi ho scritto altro se non le dichiarazioni dei testimoni, che ho cercato di abbreviare quanto mi è stato possibile, conservando tutto l'essenziale e che ho procurato di ripetere i fatti con le stesse parole con cui mi sono stati narrati, senza preoccuparmi della grossolanità dello stile, pur di conservare la verità originale dei fatti e delle testimonianze."

Nel 1309 Berengario ottenne l'autorizzazione dal suo vescovo Trinci per iniziare il processo informativo ordinario su "vita, virtù, miracoli e rivelazioni" riguardanti Chiara da Montefalco. Il materiale raccolto venne poi trascritto nella "Vita di S. Chiara della Croce" che Berengario stesso compose successivamente. Nel 1315 i risultati del processo informativo furono illustrati a papa Giovanni XXII in Avignone, dove in pubblico concistoro furono lodate le virtù e i miracoli di Chiara. Le autorità e i fedeli dell'Umbria ne reclamavano ormai a gran voce la canonizzazione. Così con bolla del 25 ottobre del 1317 il papa ordinò ai vescovi di Perugia e di Orvieto e al rettore del ducato di Spoleto di cominciare il processo apostolico.

Tenuto conto della povertà del monastero di S. Croce di Montefalco, dal papa con altra bolla del 22 marzo del 1318 fu imposto ai tre esaminatori di non ricevere e di non esigere più di due fiorini al giorno ciascuno per il proprio lavoro e per i loro viaggi. Il processo, nel quale deposero circa 470 testimoni, nel 1319 era già terminato e il papa nominò una commissione presieduta da tre cardinali con l'incarico di esaminare il voluminoso processo apostolico e di stenderne una relazione.

Tuttavia a motivo della morte di due dei tre cardinali e dei loro due successori, la commissione riuscì a concludere i lavori solo verso il 1330 con la stesura del cosiddetto "sommario dei tre cardinali", che elenca e descrive brevemente oltre 300 miracoli attribuiti alla santa. In una seconda più sintetica relazione ne vennero scelti 35: tutto era ormai pronto per la canonizzazione, ma la "gravezza dei negotii che portarono quei tem-pi calamitosi" impedirono la canonizzazione. Tutti gli incartamenti furono dimenticati fino all'età moderna quando, finalmente ripreso il processo di canonizzazione, la beata Chiara fu proclamata santa da Leone XIII in S. Pietro l'8 dicembre 1881.

Dalle dichiarazioni di vari testimoni e da ciò che riferisce Berengario è ormai risaputo che all'età di sei anni, Chiara, figlia di Damiano e Iacopa, una famiglia benestante di Montefalco, entrò nel 1274 nel reclusorio, che suo padre nel 1271 aveva fatto costruire per la figlia maggiore Giovanna. Quest'ultima aveva vent'anni quando si ritirò con l'amica Andreola a vivere di preghiera e di penitenza in un reclusorio dove oggi sorge S. Illuminata, una chiesa anch'essa agostiniana. Damiano e Iacopa ebbero altri tre figli: Chiara nel 1268, Teodoruccia, morta in fasce e Francesco, di quattro anni più giovane di Chiara. Nel 1274 il reclusorio fu approvato dall'autorità ecclesiastica e Giovanna fu autorizzata ad accogliere altre postulanti. La prima fu proprio la sorellina Chiara, già incline alla preghiera nella casa paterna. Chiara mostrò ben presto una predisposizione alla penitenza sostenuta da un carattere appassionato e volitivo. Essa era mossa da un sincero amore verso il Signore con una speciale devozione verso la Passione di Cristo. Chiara era una ragazza sana, di buon appetito, anzi golosa delle bontà della cucina a tal punto che si impegnò in una quaresima permanente di mortificazione dei propri desideri.

La forza di carattere della giovane Chiara è significativamente mostrata da un episodio che la vide protagonista un giorno in cui le capitò di rompere il silenzio della comunità, che era obbligatorio dalla sera (compieta) sino alla mattina (ora terza): ebbene si obbligò da sè a tenere le gambe in un mastello d'acqua gelata fintanto che non ebbe recitato con le braccia alzate cento Pater. Nel 1278 entrò nel reclusorio anche Marina, amichetta di Chiara, e poco dopo Tommasa, Paola, Illuminata ed Agnese. Nella previsione della entrata di nuove postulanti Giovanna, dopo essersi consigliata con le compagne, decise di trasferire il reclusorio sul colle di S. Caterina del Bottaccio, in un luogo più prossimo al paese. Fu ancora papà Damiano che si adoperò per realizzare il nuovo reclusorio. La morte tuttavia lo colse durante i lavori. Dopo la morte di Damiano la comunità femminile di Giovanna dovette subire varie vicissitudini talune anche gravi, che comunque confermarono la ferma volontà del gruppo di dedicarsi alla preghiera e all'elemosina. Nel 1290 Giovanna, secondo Berengario e altri testimoni oculari "domina mirabilis sanctitatis", chiese al vescovo di Spoleto di trasformare il reclusorio in monastero.

Il 10 giugno il prelato, Gerardo Pigolotti, domenicano, le rispose: "Da parte vostra ci è stata rivolta umile supplica di concedervi benignamente una regola sicura e quanto è necessario per una casa religiosa bene ordinata. Perciò, lodando nel Signore il vostro proposito e invocando il nome di Cristo, decidiamo con la presente di concedervi la Regola di S. Agostino, che vogliamo e ordiniamo sia in perpetuo e inviolabilmente osservata da voi e dalle vostre sorelle, che in futuro vivranno in codesta casa. Vi concediamo piena e libera potestà di erigere un oratorio con campana, nel quale lodiate Dio, un cimitero per la vostra sepoltura e la facoltà di ricevere come vostre compagne e consorelle le persone, che desiderassero abbandonare il mondo. Data presso la pieve di S. Fortunato di Montefalco, il 10 giugno dell'anno del Signore 1290."

La decisione fu presa dal vescovo dopo aver conosciuto le nuove monache ed essersi accertato che la loro fondazione prometteva stabilità. Egli aveva visto giusto poiché neppure la morte della fondatrice Giovanna il 22 novembre del 1291 riuscì a mettere in crisi la comunità agostiniana. Per Chiara la perdita della sorella fu inconsolabile. Pianse per tre giorni, ella che non aveva pianto nè per la morte del padre né per quella della madre, ritiratasi in monastero dopo la morte del marito. Per volontà unanime delle monache e per ordine del Vicario diocesano, che presiedette all'elezione, Chiara dovette accettare l'ufficio di badessa e continuare nell'incarico fino alla morte. Dico dovette poiché Chiara, che si sentiva indegna di ogni considerazione e che aveva chiesto inutilmente alla sorella di essere posta tra le serviziali, non voleva accettare e supplicò che non le affidassero quell'incarico. Ma le monache, il fratello Francesco, frate francescano, non acconsentirono a far presente al vescovo il suo desiderio. Consapevole della sua responsabilità e nonostante la sofferenza della crisi interiore, diventò per le sue monache maestra e direttrice spirituale. Organizzò meglio la vita comune, impose a tutte anche il lavoro manuale, lasciando tuttavia molta libertà a quelle che si sentivano più inclini alla preghiera.

"Chiara - testimoniò la cugina Giovanna, sua segretaria spirituale - rivolgeva continuamente la massima sollecitudine per la salute delle monache, correggendo, istruendo, dirigendo, occupandosi attentamente dei loro bisogni, esaminando i loro casi e le loro azioni senza badare a se stessa e trascurando il riposo ..."

Nel novembre del 1292 il vescovo Pigolotti le scrisse, rispondendo ad una supplica, che gli aveva indirizzato la defunta Giovanna: "Vi concediamo con la presente che nessuno possa edificare accanto al vostro monastero una chiesa, oratorio o carcere per la distanza di 25 pertiche". Ammalatasi verso Natale del 1293, Chiara cadde in una profonda crisi interiore, non riuscendo a darsi pace nel considerare la sua miseria spirituale e la sua ingratitudine verso Dio, perché ad esse attribuiva la causa della sua incapacità a sentire la presenza divina. Rimase assorta in estasi per alcune settimane e durante quella assenza dal mondo, raccontò di essere finita dinanzi al giudizio di Dio: aveva "visto" l'inferno con tutta la sua disperata sofferenza e il paradiso con tutta la letizia dei santi, ma soprattutto aveva "visto" la perfettissima santità di Dio e la rettitudine perfetta in cui l'anima deve vivere per essere in Dio. Quando il 2 febbraio rinvenne perfettamente guarita fece il proposito di non fare mai più nulla, di non pensare più nulla e di non parlare di nulla che fosse contrario a quella rettitudine.

"E' per grazia di Dio - confidò anni dopo all'amico Biagio di Spoleto - se ho potuto mantenere questa fedeltà". Nel 1299 Chiara comprò un " terreno e una casa" per poter ampliare il suo monastero e nel 1303 Chiara poté finalmente realizzare il vecchio desiderio di costruire una chiesa che rispondesse alle esigenze della sua comunità e a quella della gente. La prima pietra, benedetta dal nuovo vescovo di Spoleto, il domenicano Nicola Alberti, fu posta direttamente dal vicario foraneo di Montefalco, don Bordone il 24 giugno 1303 e la chiesa fu dedicata alla Croce.

Nella cappella di S. Croce, fatta affrescare nel 1333 dal canonico Giovanni d'Amelio, già rettore del Ducato e per anni vescovo di Spoleto, un affresco illustra il cuore della spiritualità di Chiara: il Cristo, vestito da pellegrino e il volto affranto, porta la croce col passo stanco. Davanti è inginocchiata Chiara come intenzionata a impedirgli di andare oltre: "Signore, dove vai ?" e il Cristo: "Ho cercato per tutto il mondo un luogo forte per piantare profondamente questa croce, ma non l'ho trovato."

Nel coro delle monache, in un altro piccolo affresco, Chiara, il viso proteso verso il Cristo e le mani alla Croce, esprime tutto il suo appassionato e sofferto desiderio e il Cristo, non più in cammino e con il volto quasi lieto, le dice: "Sì Chiara qui ho trovato il posto per la mia croce" e pare che la affondi nel suo cuore.

La visione cui si riferiscono i due affreschi risale al 1294 e, come testimoniò la cugina Giovanna, con la quale si confidò sette anni dopo, Chiara rimase "con acutissimi dolori in tutto il corpo, per i segni della croce impressi da Cristo stesso. Da quel momento sentì nel suo cuore sensibilmente e per sempre la Croce."

Sotto la guida di Chiara il monastero fioriva e in un documento del 1305 si leggono i nomi delle sue venti monache, oltre le novizie. La preghiera le permise negli anni 1306-1307 di scoprire gli errori che nel dogma e nella morale propagavano i " frati del libero spirito", il cui capo, fra' Bentivegna francescano, si faceva chiamare l'Apostolo. Salito a Montefalco, costui aveva tentato di ingannarla in vari colloqui ma non riuscì nel suo intento. Chiara informò l'Inquisitore di Perugia, che però non volle prendere decisione alcuna. Chiara supplicò allora il cardinale Napoleone Orsini, legato papale, il quale attraverso il suo teologo fra' Ubertino da Casale, anch'egli francescano, riuscì a smascherare il Bentivegna e i suoi confratelli che sparirono dall'Umbria.

Pur senza dimenticare le sue frequenti estasi, né la sua straordinaria mortificazione nel mangiare, nel bere e nel dormire, o la sua unione a Cristo nei misteri della sua vita e della sua morte, Berengario attribuisce grande importanza alla dottrina spirituale di Chiara. "La quale - dice - parlava poco e brevemente quando era viva sua sorella. Tuttavia dopo, per riguardo all'ufficio ricevuto, istruì le sue monache con discernimento e grandissima competenza". Istruì non solo le sue monache, ma anche i frati, i teologi, i predicatori, i giuristi, i vescovi, i dotti secolari, i peccatori, che nei diciassette anni del suo governo vennero al parlatorio del monastero, attratti dai fatti prodigiosi che si raccontavano di lei. Al dire di Berengario "Chiara nel modo di esporre la dottrina ebbe una virtù ammirabile, per cui si faceva intendere dalle menti più indurite e in virtù dello spirito, che in lei parlava, riusciva ad accendere il fuoco dell'amore e della divina dolcezza negli ascoltatori più freddi, in maniera che nessuno si stancava né si saziava di ascoltare i suoi discorsi ... E, dopo averla ascoltata, ritornavano alle loro case con la sete e il desiderio di dedicarsi alla vita spirituale."

Di Chiara ebbero grandissima stima i cardinali Giacomo e Pietro Colonna, anch'essi inquieti e pieni di contrasti, e Napoleone Orsini, con i quali mantenne rapporti epistolari e dai quali riceveva spesso offerte che essa usava per i poveri. "La vita dell'anima è l'amore di Dio" diceva spesso Chiara, immersa in Dio con profonda umiltà. Per questo amore, a quarant'anni, aveva dato tutta se stessa. Già ammalata dagli inizi del secolo, nel luglio del 1308 fu costretta a letto. Il fratello l'aveva fatta inutilmente visitare qualche anno prima senza che i medici trovassero rimedio. Nel 1308 nel monastero prestava servizio il dottore Simone da Spello, il quale era molto preoccupato per i rapimenti mistici dell'ammalata: anche altri medici la visitarono, ma senza alcun risultato. Ella stava assorta in ascolto e in visioni interiori, di cui ogni tanto diceva qualcosa, senza che le monache e i medici capissero tanto.

A volte la sua gioia era così grande che cantava: "tucti noi ci alegriamo e cantiamo Te Deum laudamus che Jesu mio me se revole." Più di una volta qualche monaca le tracciava un segno di croce, ma ella ripeteva: "Perché me segni sora?, Io ajo Jesu mio crucifisso entro lo core mio."

L'ultima malattia e la morte di Chiara, cioè quel che fece e disse nei giorni 15, 16 e 17 agosto del 1308, sono stati trascritti con grande efficacia da Berengario. Egli si era portato a Montefalco dal 21 di quello stesso mese e per diversi anni fissò la sua residenza accanto al monastero della defunta abbadessa. Quanto ha scritto ha veramente dell'incredibile, tuttavia è difficile tacciarlo di ignoranza o di essere un visionario poiché era una persona colta e tutt'altro che sprovveduta dato che doveva assolvere l'incarico di inquisitore. Solo dopo aver visto di persona i fatti finì per trasformarsi in panegirista.

Egli dunque ricorda che "nella festa dell'Assunzione della beata Vergine Maria, due giorni prima di morire, Chiara fece in modo che tutte le sue monache si riunissero accanto al suo letto e, istruendole e confortandole, tra le altre cose disse loro «Figlie e sorelle carissime, io raccomando tutte voi e la mia anima a Cristo Signore crocifisso. Vi pongo nelle mani di Dio, insieme con la cura, che ho avuto di voi. Siate umili, obbedienti, pazienti, unite nella carità e vivete in modo che il Signore sia lodato in voi e che non si perda il bene, che Dio ha fatto alle vostre anime». E terminata la sua esortazione, lunga e accalorata che infervorò molto le sue figlie, ricevette devotamente l'Estrema Unzione, che lei stessa aveva chiesto. Il giorno seguente, rapita in contemplazione, diceva: «Lasciatemi andare». Il medico, che era andato per visitarla le chiese: «Dove vuoi andare Chiara?» Lei gli rispose: «Al mio Signore». La mattina del sabato in cui lasciò questo mondo Chiara chiamò le religiose del monastero e col menzionato letto portatile si fece portare nell'oratorio, dove con grande letizia ... disse loro: «Ora non ho più nulla da dirvi. Voi state con Dio che io a Lui me ne vado». E detto questo, seduta sul letto e col tronco eretto esalò il suo spirito senza muovere le membra, né i sensi, l'affidò a Dio con tanta gioia, che all'uscita dell'anima non si avvertì nel corpo alcun segno di ansietà o di dolore. Fu ammirevole in verità quella separazione dell'anima dal corpo, che non fece alcun gesto che sogliono fare i moribondi: non torse la bocca né le labbra, non irrigidì gli occhi, il suo viso non impallidì, né le sue membra si sono rattrappite.

C'è ancor di più: non inclinò il capo verso l'una o l'altra parte, ma con il suo colorito rosaceo, con gli occhi un po' elevati e senza indizio alcuno di dolore fece il suo trapasso. Chiara, vergine chiarissima, passò dalle tenebre di questo mondo allo splendore della gloria celestiale nell'anno del Signore 1308, il sabato 17 agosto, verso l'ora terza o poco prima ... Rimase seduta fino all'ora nona o poco più, tanto che dopo molte esperienze fatte dal medico, si poteva appena credere che fosse veramente morta. Solo dopo un lungo intervallo di tempo si vide che era venuta a mancare perché il suo corpo divenne pallido e freddo." Le monache decisero subito di conservare il corpo "degno del cielo".

Per conseguire questo scopo le monache "più anziane" della comunità decisero di estrarle le interiora. L'episodio ha dell'incredibile ed è insolito nella agiografia del medioevo. Fu descritto minuziosamente da vari biografi, principalmente da Berengario, e venne confermato dai testimoni del processo per la sua beatificazione.

Conosciamo anche i nomi delle religiose incaricate della "operazione": si chiamavano Francesca, Marina, Illuminata, Elena, Lucia, Caterina e Margherita. Le due ultime fuggirono terrorizzate appena videro suor Margherita da Foligno impugnare un gran coltello: con sorprendente audacia e senza alcuna competenza medica ella tagliò profondamente lungo la spina dorsale, mentre le cinque monache estrassero le viscere e il cervello, che furono sepolti in una brocca di terracotta presso l'altare della cappella.

Il cuore con tre piccole pietre rotonde, che furono rinvenute nel sacchetto della bile, vennero invece custoditi in una scodella di legno. Come ultima operazione compressero il tronco del cadavere con una camiciola. Tutto ciò fu fatto nella notte del sabato in cui era morta Chiara.

La sera della domenica seguente le monache aprirono il cuore per conservarlo e videro i "segni" della Passione, cioè la croce e il flagello. Della scoperta fu subito informato fra Francesco fratello di Chiara e il medico Simone da Spello. La notizia non poté essere nascosta e si propagò a tal punto che fra Pietro di Salomone il lunedì seguente dovette incamminarsi verso Spoleto per denunciare i fatti a Berengario, il Vicario della diocesi. Il martedì questi salì a Montefalco, convocò teologi, giuristi e medici per un esame del cuore. Essi conclusero che i "segni" non potevano essere né opera della natura né artificio umano. Anche l'autorità civile, prima in privato e poi in una pubblica riunione con tutti gli esperti, esaminò il cuore e stese un documento ufficiale.

Berengario raccolse tutte le testimonianze e nella sua biografia questo episodio fu rigorosamente trattato così: "... fu aperto il cuore della vergine Chiara, nel quale si trovarono il tesoro della croce e tutti i segni della passione di Cristo, come lei stessa aveva predetto, benché le sue parole non fossero state bene intese ... C'erano, infatti, dentro il cuore di tale vergine, in forma di duri nervi di carne da una parte la croce, tre chiodi, la spugna e la canna; e dall'altra parte la colonna, la frusta o flagello con cinque capi di fune e la corona. Nel sacchetto del fiele non era rimasto del liquido, ma vi si trovavano tre pietre rotonde, in tutto uguali, di colore oscuro e a mio parere indefinibili ... che rappresentavano verosimilmente la Trinità ... Delle quali si sentenziò, dopo un lunghissimo esame di medici e periti nelle scienze naturali, che in nessun modo potevano essersi formate per virtù naturali, ma solo per potenza divina".

Tali segni e le pietre furono visti e toccati molte volte anche da Berengario, "qui inspexi pluries et palpavi". Furono mostrati a migliaia di devoti e curiosi di Montefalco, del ducato di Spoleto e di altre regioni, vennero portati a Roma per volontà del cardinale Giacomo Colonna, che "li esaminò con diligenza e ripetute volte insieme con il cardinale Napoleone Orsini e con molte altre persone onorevoli e degne di fede".

Purtroppo il tempo trascorso da allora, più di sei secoli e mezzo, non è passato invano e quei segni oggi sono confusi e non possono più impressionare come negli ultimi cinque mesi del 1308.

Gli agiografi attuali sono perciò restii ad accettare quanto i documenti hanno tramandato e qualcuno parla di "tradizione leggendaria, dovuta a una fervente devozione e a nozioni molto imperfette di anatomia" (BiblSS 3, 1220). Si tratta di un duro giudizio che non rende giustizia alla verità storica.

Qualunque sia l'interpretazione che si voglia dare di questo episodio, si tratta pur sempre di un fatto che rifletteva alla perfezione la nota caratteristica della spiritualità della santa di Montefalco e cioè la contemplazione assidua e il desiderio di condividere la Passione del Redentore. Illuminata da lunghissime e intense preghiere, purificata da una totale penitenza interiore ed esteriore, ella fu certamente guidata dallo Spirito Santo. Emanava infatti una forza spirituale a cui non era estraneo nemmeno il suo corpo e spesso così intensa che superava le distanze. Mistica eccezionale, spesso assorta nella contemplazione di Cristo e della Santissima Trinità, era tuttavia presente con tutta se stessa nella realtà in cui viveva. L'azione di Dio si manifestò allora in lei e continua a farlo al presente per suo merito e per i meriti di molte altre anime, che si sono santificate in quel monastero, la cui storia ormai supera i sette secoli.

 

La beata Cristiana Menabuoi

Anche il monastero di S. Croce sull'Arno, vicino a Pisa, celebra in questo secolo il settimo centenario della sua esistenza voluta dalla beata Cristiana Menabuoi, che lo iniziò come reclusorio nel 1279. Quindici anni dopo, nel gennaio 1294, fu trasformato in monastero. Come Giovanna e Chiara da Montefalco, anche Cristiana, che forse non conobbe la loro esperienza, cercò con successo di realizzare lo stesso ideale di vita religiosa. La sua vita e la fondazione del suo monastero sono sufficientemente conosciuti grazie soprattutto alla biografia di un anonimo, quasi contemporaneo, che riferisce le sue virtù e i suoi miracoli. Un'altra fonte di documenti interessantissimi sono le lettere che scambiò con due vescovi di Lucca, alcuni cardinali e altri benefattori.

Nel prologo l'anonimo biografo assicura che narrerà "i fatti e i miracoli dei quali è stato testimone oculare, o che gli sono stati narrati da alcune religiose, che vissero per molto tempo con lei nel suo monastero o da vari altri testimoni."

Secondo quanto racconta la beata Cristina nacque a S. Croce dell'Arno tra il 1237 e il 1240. I suoi genitori erano poveri lavoratori "di umile condizione sociale, che le imposero nel battesimo il nome di Oringa. Ma è notorio che durante la sua vita fu chiamata Cristiana". Restò presto orfana di madre e subì vari maltrattamenti dai suoi fratelli, non ultimo quello di volerla obbligare a sposarsi. Verso il 1259 decise di fuggire da casa e si rifugiò a Lucca, dove per cinque anni fu domestica di un nobile "ritenuto generalmente per uomo virtuoso e di vita esemplare". In questo periodo con alcune sue compagne devotamente religiose andò in pellegrinaggio al santuario di S. Michele Arcangelo sul monte Gargano. Nel ritorno si trattenne vari anni a Roma al servizio di una nobile e pia vedova chiamata Margherita, dando tale esempio di virtù che "come divinamente ispirati cominciarono tutti a chiamarla Cristiana". Con la stessa nobildonna dimorò ad Assisi, dove "il Signore le mostrò in visione una casa edificata in un luogo e in un modo, in cui poi lei fece costruire il monastero di S. Croce."

Verso il 1277 ritornò nel paese natale e incominciò a mettere in pratica il suo ideale di vita religiosa. Altre giovani seguirono il suo esempio desiderando condurre una vita dedicata al servizio di Dio. Dopo qualche comprensibile contrasto e incomprensione con il vescovo diocesano e con il clero locale, ella poté finalmente realizzare la sua opera.

Su sua richiesta, il 31 ottobre del 1279 l'amministrazione comunale di S. Croce sull'Arno le concesse una casa "nella quale potessero vivere lei e le altre che le si unissero nel servizio del Signore". Il 14 novembre con un'altra deliberazione la municipalità le permise di tenere con sè fino a "dodici donne oneste e di buona fama" e il 24 dicembre dello stesso anno la medesima autorità dichiarava che quanto era stato concesso aveva il valore di "una donazione" (V. Cecchi, Una fondatrice toscana del secolo XIII e le sue Costituzioni (Santa Cristiana da Santa Croce sull'Arno), Firenze 1927, 83-103).

Inizialmente questo romitorio non era agostiniano. Infatti come attesta con estrema chiarezza il documento del 14 novembre 1279 la Beata Cristiana e le sue compagne sono indicate come terziarie francescane.

Continuarono sotto questa denominazione probabilmente per altri quindici anni fino al 1294. Un documento del 23 gennaio di quell'anno, in cui il vescovo Paganello dei Porcari, vescovo di Lucca, concedeva loro vari privilegi, le chiama infatti per la prima volta "monache dell'Ordine di S. Agostino."

Fu forse lo stesso vescovo a consegnare loro la regola del Santo, dopo che aveva loro permesso nel 1286 di costruire un oratorio "nel quale potete dedicarvi alla lode divina, fare atti di penitenza e recitare fruttuose orazioni."

L'appartenenza all'Ordine di S. Agostino appare con maggiore evidenza nel breve, che il cardinale legato di Firenze Pietro Duraguerra indirizzò alle monache nel settembre del 1296, nel quale confermava quanto aveva loro imposto il suddetto vescovo e cioè "che viviate in perpetua clausura, che nel vostro monastero si osservi sempre la Regola di S. Agostino, che sia in vostro potere l'elezione dell'abbadessa."

Tra le altre disposizioni il legato imponeva che rimanessero esenti dal pagare decime, censi, collette e ogni tipo di tributi, esattamente come le monache degli altri Ordini. La piena appartenenza all'Ordine agostiniano è confermata nel 1295 dal nuovo superiore generale degli agostiniani, Simone da Pistoia, il quale a Siena dichiarava che rendeva partecipi dei beni spirituali dell'Ordine "l'abbadessa e la comunità del monastero di S. Maria Novella del castello di S. Croce" per l'affetto, che avevano dimostrato verso l'Ordine agostiniano, "come abbiamo saputo dalla relazione dei nostri religiosi."

Nel 1303 il nuovo vescovo di Lucca, Enrico Del Carretto, dell'Ordine di S. Francesco, esortava i suoi fedeli a contribuire con le loro elemosine a ultimare le opere del monastero di suor Cristiana "poiché nel suo oratorio si celebra tutti gli anni con speciale e sincera devozione la solennità della Concezione della Gloriosissima Vergine Maria."

Nel 1309 per l'estrema povertà in cui versavano, le monache furono costrette a ricorrere alla questua, "quod ipsas oportet necessario mendicare", come accertò il cardinale Arnaldo Pellagrua, legato del papa Clemente V in Italia. I momenti di difficoltà vennero superati finalmente nel 1311 quando il cardinale Giacomo Colonna, grande ammiratore delle virtù di S. Chiara da Montefalco, le prese sotto la propria protezione. Fu così possibile procedere nel 1317 ad nuovo ampliamento del loro monastero, "propter multitudinem monalium", poiché grande era l'afflusso di nuove religiose.

Nel frattempo Cristiana era già morta il 4 gennaio del 1310. L'anonimo, che scrisse la sua vita nella prima parte di quel medesimo secolo, esalta la sua innocenza coltivata fin dalla giovinezza, il suo perfezionamento nella pratica della virtù, la sua capacità di penetrare la psiche delle persone, i suoi miracoli, le sue profezie e il suo trapasso.

Quanto alla morte l'anonimo narra che "quando la serva di Dio era già settantenne ... una paralisi la immobilizzò nel letto per tre anni; perduta completamente la sensibilità del lato destro e afflitta da dolori acuti in tutte le parti del corpo, lei, con la preghiera quotidiana, li sopportava con gioia ... Mentre Cristiana si preparava ad uscire da questo mondo tenebroso, la luce dell'altro, verso il quale si incamminava, cominciò a risplendere sempre più nel suo volto e nella sua anima ... E nell'ora del suo transito il suo sembiante brillava di tale gioia, che era facile comprendere come quell'anima beatissima, morendo al mondo, cominciava a vivere nella felicità eterna ... Fece chiamare attorno a sé le sue consorelle e trattandole con tenerezza e con materno affetto e consolandole con soavi parole, spirò nel Signore ... Il suo corpo non fu sepolto nel tempo dovuto, ma rimase esposto diciotto giorni, senza che si notasse alcun indizio di corruzione ... Gli abitanti di S. Croce e una moltitudine straordinaria di persone, dell'uno e dell'altro sesso, dai paesi circonvicini vennero in processione e intonando cantici spirituali per venerare il corpo della Beata."

Le autorità di Santa Croce proclamarono il 4 gennaio giorno di festa per l'intera cittadina. Ancora oggi la devozione a "santa Cristiana", come viene chiamata nella sua terra d'origine, si mantiene viva in tutta la provincia lucchese e nelle regioni più distanti. Anche la sua memoria è ben conservata nei libri liturgici dell'Ordine agostiniano.

Cristiana e Chiara da Montefalco, due donne, due monache, due vite spese per lo stesso ideale, due esperienze che fanno onore alla spiritualità dell'ordine agostiniano.