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Crocefissione di Cristo: dipinto del Bergognone
LA RELIGIOSITÀ POPOLARE NEL DIALETTO LOMBARDO
di Orazio Sala
Premessa
Per dare meglio il senso di questa relazione il titolo potrebbe essere riscritto in questo modo: "La religiosità popolare nell'epoca in cui quasi tutti parlavano dialetto". Si ritorna indietro perciò di settanta o ottanta anni, in un periodo dunque non molto lontano da noi. Ho volutamente precisato che era un'età in cui quasi tutti parlavano dialetto: lo parlava il popolino perchè non conosceva altra lingua, lo parlavano i signorotti e i nobili probabilmente per snobismo alternando il dialetto al francese. L'italiano era parlato poco. La maggioranza della gente parlava pertanto in dialetto.
Con il passare degli anni l'uso del dialetto è andato pian piano estinguendosi. Vari sono i motivi, tra cui l'aumento della scolarità, la sua obbligatorietà, il divieto in età fascista dell'uso del dialetto, il desiderio di elevarsi socialmente. La recente consuetudine della gente di pensare che il parlare dialetto fosse degradante e poco dignitoso in confronto all'uso della lingua italiana ha molto nuociuto alla diffusione e alla parlata dialettale. Non bisogna dimenticare che molti si sono convinti che insegnare subito l'italiano è preferibile poichè si evitano problemi ai ragazzi nel corso degli studi. L'italiano come lingua madre evita infatti gli inconvenienti di chi, da bambino, ha conosciuto il dialetto come lingua madre, per i quali esprimersi in italiano significava tradurre dal dialetto in lingua. Era facile scrivere "sono dietro ad andare, sono dietro che vado" ed espressioni similari dato che il gerundio in dialetto non esiste. Il colpo conclusivo al dialetto è stato dato dal fenomeno dell'immigrazione sia dal nord che dal sud, per cui in quasi tutte le famiglie c'è un componente che giunge dal Veneto piuttosto che dal Meridione: di qui la necessità di parlare in italiano per poter comprendersi appieno. Non è un caso che il dialetto si parla ancora bene là dove c'è stata scarsa immigrazione. Il dialetto conserva comunque una sua valenza culturale, che ci aiuta a comprendere gli usi e i costumi del nostro passato. In questo contesto la religione occupa un posto di grande importanza.
Il tipo di religiosità
Quanto ricorderò dei detti popolari religiosi in parte li ho sentiti direttamente da mia mamma e da mia nonna, altri invece sono conservati in libri di varia natura. Fino a settanta o ottanti anni fa specialmente nei paesi di campagna - nelle città un pò meno - le forme di religiosità erano molto diverse dalle odierne.
Si trattava di una religiosità semplice e genuina che era figlia di una fede semplice e genuina, come semplice e genuina era la gente. Le preghiere, per esempio, venivano dal cuore. Le preghiere ufficiali erano in latino, ma venivano spesso storpiate da quella che potremmo chiamare la lingua del cuore.
Ovviamente questa lingua del cuore era il dialetto dato che il latino lo capivano in pochi, "ul cürât", il parroco, e qualcun altro che aveva studiato. Tutti gli altri recitavano ad orecchio e naturalmente ne sortivano degli spropositi curiosi e ingenui. Ciò poteva succedere perchè i contadini recitavano le preghiere in latino ma non sapevano che cosa stavano dicendo: tuttavia le dicevano con fede. Un esempio sta nella recita del Requiem, quando si giungeva al passo et lux perpetuam dona eis Domine. Probabilmente questa gente non si rendeva conto perchè quando uno era morto doveva sempre stare con la luce accesa: forse la colpa era del curato che non glielo aveva spiegato bene, o forse non era stato recepito il concetto. Pur non comprendendo, recitavano comunque la preghiera e sicuramente il Padre Eterno deve aver capito e accolto le loro intenzioni. Queste preghiere pesavano pur nella ignoranza di chi le recitava. Per loro il significato era chiaro: Signur vùta i nost mort. Questa invocazione sicuramente arrivava a Dio.
Un altro esempio è il Tantum ergo, che si canta durante i vesperi: da Tantum ergo sacramentum si sviluppa un salta merlo sul formentu. Gustosissimo è pure l'avvio del canto Deus in adiutorium meum intende, quando il popolino ripete Demm Vitori che se intendum. Queste storpiature nascevano inavvertitamente e senza malizia: avendo capito così la prima volta, così continuava la gente, senza rendersene conto.
Tuttavia qualcun altro invece scherzava. C'era ad esempio l'invito rivolto ai fedeli che diceva Flectemur genua et levate che diventa Menemm a Genua le vache. Le fede popolare era tuttavia così forte che anche quando si faceva notare l'incongruenza di quanto si pronunciava, il contadino rispondeva ingenuamente che il Signore avrebbe comunque capito. Interessante è il culto dei defunti, che ha sempre goduto di una particolarissima attenzione. C'è un proverbio che illustra l'importanza di questa festività religiosa nella tradizione contadina e recita argutamente che "al dì di mort, al venerdì sant e al primm de l'ann vann in gesa anca i putann ". Questo per dire che era proprio una solennità religiosa a cui nessuno poteva mancare, nemmeno i più peccatori. Il giorno dei morti si celebrava la novena dei morti, proprio come si faceva a Natale e Pasqua, che sono le feste più importanti della cristianità. Per inciso ricordiamo che anche alle donne di malaffare la religiosità popolare riservava un momento di pietà: avevano anch'esse la loro santa protettrice, Maria Maddalena, "la santa del mestê ", la cui festività era celebrata il 22 luglio. Ben vive erano nel ricordo popolare le pagine del Vangelo in cui si narra la storia di Maria Maddalena che unse i piedi di Gesù con un prezioso unguento e che glieli asciugò con i suoi capelli in casa di Simone fariseo.
Alla sera nelle case, specialmente in campagna, ma anche in città, c'era l'usanza di recitare il rosario. In rapporto alla religiosità familiare e al periodo liturgico (poteva essere la nuvèna de Natal, la nuvèna di mort, la nuvèna de la festa de la Madona) erano recitate una o tre corone con tutti e quindici i misteri. Sempre alla fine della recita del rosario c'era una desèna, una diecina, o una curùna de requiem per i pòr mort. I morti venivano ricordati, spesso uno per uno, ... per giuanìn, per la pòra marièta ... , oppure a gruppi ... per tutt qui de la nòsta cà ... In ogni caso c'era alla fine un ricordo per tutt i mort che gh'à nissügn che prega par lur. Sgorga qui il grande afflato solidaristico che univa e cementava i rapporti nella società contadina.
Se abbiamo in mente la stanza dei nostri nonni, sul comò c'erano sempre le foto dei defunti, parenti, genitori, zii e zie che forse avevano tirà grand i bagaj, avevano cresciuti i figli. Accanto si trovava un lumino acceso e una specie di altarino che la dicono lunga sulla devozione popolare ai morti. Il rosario era recitato in latino e naturalmente era prerogativa della regiura, la madre anziana, o dalla marela, la donna non ancora sposata.
I motivi sono evidenti: la scelta della regiura attesta il riconoscimento della sua autorità. Meno chiaro è il caso della marela: probabilmente era un riconoscimento per le attività che svolgeva nella parrocchia e per la disponibilità a offrire il proprio tempo libero a incombenze familiari. Avevano inoltre una buona memoria capace di ricordarsi i misteri. C'era tuttavia anche una motivazione più faceta che scherzava queste giovani donne e che si condensa nel detto popolare: rièsen minga a parlàa cun un òm, parlèn cun ul Signur, almen riesen a parlà cun quaivùn.
Alla recita del rosario partecipavano tutti e rispondevano tutti, donne e uomini. Costoro talvolta erano in un angolo, qualcuno raccontava alle volte qualche storia, qualcun altro si addormentava, per la stanchezza accumulata nei lavori durante la giornata che iniziava molto presto. Il rosario era recitato in cortile d'estate e nella stalla d'inverno, poichè era il luogo più caldo della casa. Le donne durante la recita facevano ul scalfìn, cioè il pezzo inferiore della calza, oppure cucivano qualcosa: tanta era la miseria, che non si poteva sciupare neppure un attimo di tempo. Alla fine del rosario questa miseria traspare delle invocazioni finali, come ad esempio la preghiera per i pòri diavul che gh'à minga nanca la pulenta de mangià.
Il rosario era la preghiera comunitaria e si recitava in latino. Subito dopo si andava a letto. Le camere dei nostri nonni erano allora un po' diverse da quelle dei nostri giorni. Innanzittutto c'era a capo del letto l'aquasantin, un piccolo recipiente in ceramica che conteneva l'acqua benedetta o acqua santa. Prima di andare a letto si faceva il segno della croce e se disevan su i uraziùn, si dicevano le orazioni. La camera da letto e quanto vi era contenuto esprimevano anche nei minimi particolari il senso della fede religiosa: accanto agli aquasantin non mancava mai sopra il letto il quadro della Sacra Famiglia, che generalmente aveva una forma e una cornice ovale.
Se il letto anzichè in legno era in ferro battuto, la rappresentazione della Sacra Famiglia si trovava anche sulla sponda dei piedi. Qualche volta si trovavano raffigurati anche angioletti, altre volte dei fiori. Sul comò era infine sempre gelosamente custodita una statuetta della Madonna di Lourdes o una campana che proteggeva una statuetta di Maria Bambina. Il comò si presentava perciò come una specie di altarino che richiamava all'ultima preghiera della giornata dopo aver recitato il rosario.
Nel silenzio della propria camera la preghiera diventa personale. Non ha più le caratteristiche di quella comunitaria, che si esprimeva in latino, ma finisce per diventare un colloquio diretto con il Padre Eterno. In questa "preghiera del cuore " ci si esprimeva in dialetto. Molteplici sono le forme e le tipologie di questo genere di preghiera, che sono presenti e note in tutti i dialetti lombardi.
Preghiere della sera
Numerosi sono gli esempi di preghiere serali ed è difficile operare una scelta. In linea di massima riporteremo le più significative o quelle particolarmente diffuse. Notissima è la seguente: "In lecc mé vô, düü angej truvarô, vün de pê, vün de cô, e in mezz ghe sarà el Bambin e San Giüsepp che me cumpagnerà."
Dopo questa invocazione, che, come è documentato in scritti cinquecenteschi, era già in uso in quel secolo, i nostri vecchi andavano a dormire tranquilli. Esistono alcune varianti al testo sopra riportato, tipiche di alcune località, che aggiungono particolari o una richiesta specifica. Tra queste varianti, una recita: "In lecc mé vô, quater angej truvarô, düü de pê e düü de cô. Angej bun, angej câr, tegnîm tüta la nocc infin che 'l vê ciâr."
Un'altra riporta: "A letto me n'andava, quater angiol me compagnava, düü de cô e düü de pê, la Madona Santissima in mezz, no te dübita, né de föch né de fiama, né de morte sübitana." Cioè si chiedeva che la casa non bruciasse, che non si morisse d'improvviso. In altre preghiere scopriamo richieste di ogni genere. Una tipica devozione riguardava una speciale raccomandazione per la propria anima: "Signur! In lecc vô, de levarmi no 'l sô, casu mai non me levess l'anima mia ve la lassi adess."
La stessa richiesta riappare nel detto: "In lecc mé vô, ma de levarmi non sô, e se savess che no me levess, l'anima mia, al Signur, la racumandi adess ", che ricalca il precedente caso. Questo genere di invocazione è noto anche altrove in questa forma: "In lecc me vô, ma de levarmi non sô, se per caso che moress l'anima mia che salvess. Buna sira angej e sant et a l'ura de la mort mia che i ghe sia töcc quant."
Sempre su questo stesso tema troviamo ancora: "Me vô in lett, con l'angel perfett, con l'angel magiur, cun l'aiöt del mé Signur" e poi "Me vô in lett, con l'angel perfett, con l'angel magiur, con Cristo Salvatur, dormi, riposi, gh'o pagüra de nessüna cosa, la nocc e 'l dé l'angel custode l'è con mé."
Gli angeli custodi erano molto importanti e rispettati, perchè era credenza comune che l'angelo custode aiutasse nelle difficoltà e soprattutto si occupasse dei numerosi bambini di piccola età che non potevano essere curati bene. Nell'area di cultura valtellinese una preghiera serale comune recitava: "Oh Signur vü sî el mè Togn, vü savî cusa g'ho de bisogn, per 'sto mund e per quell'olter, mé vô in lecc e parli olter."
Simile a quest'ultima si può trovare anche: "Oh Signur mi sunt el to Tògn, ti te sassi de bisogn de stu mund e de quell altru, me indurmenti senza dit altru."
Erano preghiere che nascevano dunque dal cuore, preghiere che, nonostante la forma, non vogliono mancare di rispetto. Sempre dalla Valtellina ci viene questa filastrocca, piuttosto complessa sul medesimo tema, che allarga l'orizzonte della preghiera a numerosi gesti quotidiani della fede popolare: Andùma a lecc cun l'angiul del prufet, cun l'angiul cantàa Gesù Cristo sarà el me padre, la Madona sarà la mia madre, l'angiùl Gabriel el sarà el me fradel, la stella del dì la sarà semper de proeuf a mi, disemm un de profundis per i nost por mort, e gh'avarà mai pagùra de la mort. A lecc m'en vo, levar non so, tre grazi alla Madona dumandi, cunfessiùn, cumeniùn e oli sant, Padre Figlio e Spiritüsant. Se l'ucuress che muriress senza dir la culpa mia, racumandi al Signur
l'anima mia. Acqua santa che me bagna, Gesù Crist che 'l me cumpagna, vif o mort che mi sia, ghe sia semper Gesö in mia cumpagnia.
C'era anche chi la faceva più corta dicendo: Mi sunt ul to Tògn ti te set i me bisogn de stu mund e de quel oltru me indurmenti senza di oltru. Moltissime comunque sono le forme delle preghiere della sera. Ne citiamo alcune di seguito: Oh Signur mi sunt el vost om, vu savì se gu de bisògn in stu mund e in quel oltru, me buti giù e non disi oltru, che viene dal lecchese e ha un aspetto somigliante a quello prima citato. Un'altra simile riporta: In lèt mi a vù, l'anima mia ghe la du, casu mai no mi levassi l'anima mia a Dio ghe lassi. Acqua santa che me bagna, spirito santo che me cumpagna, el me acumpàgna nocc e di, Spiritü sant sta semper cunt mi. In ambito brianzolo troviamo ancora: Signur ve ringrazzi de tanti benefizi ch'ho ricevüü in questa santa giurnada Ve ufrissi tött a vostra gloria in ben de l'anima mia, in penitenza di mè pecâ, in süfragi di poer mort.
L'acqua santa è il motivo che accompagna le due preghiere che seguono: Acquasanta che me bagna, Spiritüsant che me cumpagna, Brüta bestia va via de lé, Spiritüsant sta via cun mé. La Brüta bestia di cui si parla è il diavolo, che si voleva scacciare. Acquasanta - infine - che me bagna, Spiritüsant che me cumpagna, me cumpagna nocc e dé, brött diavul va via de mé.
Dal Canton Ticino, che apparteneva un tempo alla diocesi di Como, è noto questo detto: Al caso non levassi a Dio l'anima mia lasi, che 'l me difende de quel serpent, che 'l me toèva nè l'anima nè la ment, che la nott l'è tantu aspra e scura che intant che 'l corp al dorma l'anima la sia sicura. Le raccomandazioni espresse nelle preghiere serali coinvolgono un po' tutti i santi e ne abbiamo significativi esempi nei racconti che ci provengono dal circondario brianzolo, come ad esempio: Gesù Cristo che 'l me cumpagna, che 'l me cumpagna e 'l me cunforta, m'en vo a lett con l'angiol benedett, con l'angiul sant a Dio me racumanda, a Dio me racumanda, la mia anima a Dio la do, la do a Dio. A San Giuseppe invece si affida questa preghiera: San Giusèpp de 'l me parent che 'l possa durmi tranquillament. Altra: Vo a ripusà ma non so se duman me ritruvarò ne la spaventevole eternità, a let mi vu, leva su che mi non so, l'anima mia a chi la dò ?.
C'era in queste invocazioni la paura di non svegliarsi, di morire nei peccati. Di qui il richiamo ai sacramenti, all'acqua santa, allo spirito santo, a Dio: L'acquasanta che la me bagna, Gesö Cristo che me cumpagna che me cumpagna e me cunforta fino al punto de la morte. Che 'l me tegna e 'l me guverna finchè l'anima non la se sperda. Di medesima finalità, ma di diverso contenuto è invece la seguente preghiera: Oh Signur mi vo in lett cun l'angiul perfett, con l'angiul magiur, cun la grazia del Signur. Tri angej de pè tri angej de cô, la Madona in mezz, che la me dis Oh fiulìn leva su a adurà el vost bun Gesö. Da un dialetto, forse bresciano: sia pur che gh'a da muri davanti a Diu g'ho da cumpari semper saremm giudicadi semper salvi e mai danadi.
Il momento che accompagnava il sonno era fortemente impregnato di tensione emotiva, che appare in tutta la sua sincera drammaticità da questa invocazione serale: Mé vu in lett per ripusà e per durmì pudaress anca murì, gh'è nè pret nè fra che pò cunfesa, mi me cunfesi da Vu bon Signur, bonasèra bon Signur pien de buntà e pien d'amur, tre grazzi ve racumandi, la cunfessiùn, la cumeniùn, gli oli sant, la benediziun de Spiritüsant, mé vo in lett e vo in catalett se vegnarà la mort mia ve racumandi a vu Bun Signur l'anima mia. Sacro Cuor di Gesù pregate per noi, mé vo in lett con l'angiul perfett, cun l'angiul magiur, con la grazia del Signur, du angiui de co, du angiui de pè, la Madona nel mezz, angiulina dorma e riposa, non sta a vec paura de nesuna cosa, Gesö, Giusepp e Maria ste chi cun la vostra spusa in cumpagnia. Santi e angioli sono un punto di riferimento preciso nei momenti che precedono l'addormentarsi: Me vo in lett con l'angiul perfett, cun l'angiul del mund del noster Signur. Medesime intenzioni si notano anche in quest'altra: Vo in lett cun l'angiul perfett, con san Bartulamèe, con la Madona benedetta, cun santa Elisabetta, tre volte la dirò, de bun amur morirò.
E' probabile che l'intervento di questi santi sia dovuto a particolari devozioni o al fatto che essi erano patroni locali. La preghiera che segue mostra commistioni con la lingua italiana: Vado a letto con l'angiol perfetto, con l'angelo di Dio, con san Bartolomeo, la Madonna benedetta, santa Elisabetta, coi dodici apostoli, coi quattro evangelisti, tre volte lo dirò e de la morte impruvisa me libererò. Pieno affidamento in Gesù scaturisce invece da questa preghiera, che per molti versi richiama la precedente: Vado a letto col cuor diletto, col cuor magiur Gesù Cristo salvatùr, con l'angiul bianc cun lo Spiritüsant in cumpagnia, me custodisca fin in punt de la morte mia. In alcune preghiere, fra cui la seguente, l'orante si raccomanda a un gran numero di santi: a lett a vori andà, tutt i sant vo a ciamà, tutt i sant in i me fredei, tutt i sant in i me surel, la Madòna la mia mama, ul Signur l'è 'l me bab, san Giusepp me parent, che posa durmi tranquillament, che durmissi, che vegliassi, e paura non avessi. Altre volte la fantasia mostrata dai nostri nonni era veramente straordinaria: A lett mé vo, levà su non so, l'anima mia a chi la dò? la darò in man al Signur che 'l me guarda e 'l me cunserva in vita eterna. Amen. Una selva di angeli popola invece questa invocazione: A lett mi vach, quatordes angiur che me cumpagna, du de pè, du de cò, du a man drizza, du a man sinistra, du de indurmentàm, du de desedàmm e du de menàm a la santa gloria del Paradis. Più classica e rassegnata è la seguente: A letto mé vo, levarmi non so, caso non levassi l'anima mia la lasso, brüta bestia va via de lì, Spiritüsant ven chi cun mé.
Pur cambiando le località, le preghiere rivelano una sostanziale unitarietà di fondo che traspare dai santi invocati, dalle situazioni ricordate, dai desideri e dalle paure: A durmì m'en vo levà non so, la mia anima a Dio la dò, la dò a san Piero, a san Giuàn, che i g'hà la ciaf del Paradis, che 'l me faga una crus in sul del bis, l'acquasanta che la me bagna, Gesö Crist che 'l me cumpagna, che 'l me cumpagna e 'l me cunforta fino al punto de la morte. Disarò un pater e un'ave Maria cul fin de salvà l'anima mia. In questa il colloquio con il Signore è sintetico ma chiaro: Oh Signur me dunda el lett non so cosa mi capiterà, Oh Signur vu che 'l zi, buna guardia me farì. Dalla Valtellina: Oh Signur mi sunt el vost Tògn, vu cugnussì tutti i me bisogn, ve disi pu quest e quest oltru, saltè in lecc e non ve disi olter. Dall'ambito lecchese ci viene: O Signur de Mulògn ardèm su che ghe no de bisogn de dig quest e quest olter s'entenda ben e dic pu olter. In modo simile conosciamo la seguente preghiera: Signur se che mi sunt un vost om, el ze che g'ho de bisogn a stu mund de quest e quell alter e non ve disi olter. Concludiamo con questa invocazione: Bonasira morti a vu anca vu altri genti cume num, anca nu altri diventarem cume vu altri, bonasira a tutti quanti. Alla sera dunque c'erano queste preghiere, che oggi possono far sorridere, ma che un tempo erano sentite e dette con il cuore.
C'era la paura della morte improvvisa, la paura di non risvegliarsi. Ai bambini si insegnava subito a pregare e si recitava con loro una preghiera popolata di figure positive del tipo: Adess vu in lett truvarù quater angeritt, du de pèe, due sul cussin, angiaritt bun, angiaritt car curarèmm tuta la nocc finchè diventa ciar.
Preghiere del mattino
Il risveglio mattutino, che chiudeva la notte e dischiudeva la luce del giorno, richiamava i nostri nonni ad un breve ma doveroso ringraziamento al Signore. Ai bambini si insegnava: "Signur ve ringrazzi de tanti grazzi, de tanti benefizzi ch'ho ricevüü stanocc. Ve ufrissi tött a gloria vostra, in ben de l'anima mia, in penitenza di mé pecâ, in süufragi di poer mort." Ma anche per i grandi esistevano varie preghiere, come questa, assai nota: "Signur ve ringrazzi de tanti i grazzi, de tanti i benefizzi ch'ho ricevüü in questa santa nocc. Ve dumandi la grazia de passà una buna giurnada, mé, la mia mama, el mè pà e töcc quej de la mia cà." O anche: "Gh'è sö el sû, che l'è l'öcc del nost Signur. Se mì gh'avess un quaj pecâ, che non l'avess mai palesâ né a prêt né a frâ, mì el palesa al Signur che l'è un gran perdunadur." La gioia di una nuova giornata da vivere, accende gli animi da cui sgorga un improvviso ottimismo, come nella seguente invocazione: "Un patèr a pizzighin, quand levo su al mattin. El paradis l'è 'na bela cosa, chi ghe va se riposa, chi ghe va risplend, chi ghe va è brava gent." Le preghiere del mattino venivano chiamate in genere patèr. Nel patèr c'era di tutto: "Eterno Padre! Ve ofrissi il sangu del nost Signur in scont di nost pecâ,, la perseveranza di giüst, a süffragi de i anime sante del Pürgatori." Ne diamo altri due esempi significativi: "Oh Cuor di Gesù, convertî i peccadur, salvê i muribund, liberê i anime sante del Pürgatori! Oh Madona che sî la mia mamm vutém a mantegné i mè proponiment" e: "Sant'Anna e santa Süsanna! Vüna che me sveglia, vüna che me ciama, al sun de la campana."
Le campane
Le campane avevano un'importanza notevole perchè l'orologio era privilegio di pochi e quindi lo scorrere del tempo era scandito dal suono delle campana. Lo scorrere della giornata e lo scorrere della vita era segnato dalle campane. Il suono della campana svegliava e annunciava l'ora di alzarsi per andare a lavorare, lo stesso suono con l'Ave del mattino ricordava la nuova giornata che incominciava. A mezzogiorno il suono della campana richiamava al riposo, specialmente chi lavorava lontano nei campi, e ad un frugale pasto. Infine l'Ave Maria della sera chiudeva la giornata. L'Ave della sera aveva un'importanza straordinaria perchè, come dice il proverbio, quand suna l'ave maria chi gh'è in ca di olter ch'el vaga via: ciascuno cioè era invitato a fare ritorno al proprio focolare. Un altro detto del medesimo tenore dice: quand suna l'Ave Maria tuti i fieu deven turna a ca, il cui contenuto richiama il messaggio precedente che esprime la fine della giornata. L'inizio della notte è invece espresso dal detto quand suna l'Ave Maria ul diavul el se invìa, dove alla notte e alle tenebre viene associato il male e la paura del demonio. La durata della giornata era quindi interamente scandita dal suono delle campane, ma anche l'intera vita seguiva il fluire dei loro suoni: l'allegro scampanìo dei battesimi, la festosità del matrimonio, il rintocco cupo delle campane a morto. In certi paesi tuttavia in occasione dei funerali si suona a festa, con grande intensità forse a significare il dolce trapasso cristiano all'altra vita, origine di una nuova e duratura gioia. In Valtellina a Grosio, ad esempio, in occasione dei funerali le campane suonano a ripetizione, con lunghi e festosi scampanii. I maligni bisbigliano che ciò succede perchè il prevosto è contento di ricevere i soldi della funzione, ma sono solo malignità. In realtà è una tradizione di lunga data: il suono delle campane accompagna tutto il percorso del funerale, che tra l'altro è fatto tutto a piedi e attraversa l'intero paese, dalla casa del morto fino alla chiesa.
Il suono delle campane in occasione dei funerali ha suggerito alcuni detti, come ad esempio: vurè sentì i propri campan de mort. Poichè ciò è impossibile esso era detto di persone che chiedevano o avevano pretese impossibili. Le campana annunciavano anche la Messa: c'era ul prim, ul segund e 'l terz. C'erano dunque tre segnali, per cui chi voleva andare a Messa era pienamente avvertito. Ul prim era suonato mezz'ora prima della funzione, ul segund un quarto d'ora prima e 'l terz solo cinque minuti prima e invitata i soliti che ciondolavano sul sagrato a entrare in chiesa. Le campane avvertivano anche quando arrivava il temporale o quando si prevedeva qualche drammatica intemperie: si suonava allora a rum. Quando c'era un incendio o una catastrofe si suonava invece a martell. Le campane in questi casi erano usate come veloci mezzi di comunicazione. Attorno al suono delle campane e ai loro ritmi sonori si inventavano talora delle filastrocche scherzose, come quella che riguarda alcuni paesi vicini a Cassago. Nel caso che segue c'è una specie di stravagante verbalizzazione del din-don delle campane: din-don multèn, barzach, siròn din-don. Sembra qui di ritrovare l'imitazione del suono delle campane di questi paesi. Ciò è possibile perchè ogni campana ha un proprio timbro che la rende diversa dalle altre. Una gesa senza campàn l'è cum'è una pianta senza pasarìtt dice un vecchio proverbio a significare l'importanza delle campane nella cultura contadina.
La morte
La morte era un pensiero costante della civiltà contadina. C'erano delle meditazioni su di essa, sempre in dialetto. Vediamone qualche esempio: "El tò corp el g'ha de muré, la tua carne la g'ha de marscé, i tò oss inscenderé, e se te mancharê de riverenza, o a 'sto mund o a quell'olter, te farê la penitenza." Altra: "Oh Signur vü sî in ciel, mé sont in tera, per i mè pecâ basarô la tera, tera sô e tera diventarô." Anche i santi erano invocati: "Oh Togn bütes gió, varda in ciel che gh'è Gesö, ama, ama chi non te ama, lassa el mund, ch'el t'engàna, pensa, pensa che te g'hê de muré e sott a tera de marscé."
Infine "San Giüsepp vegiarell, che guernàvef Gesö bell, spiri 'n pas l'anima mia, cul Signur e cun Maria", che ha tutto l'aspetto di una raccomandazione.
Si tratta di un genere di preghiere di contenuto assai vario, che esprimono invocazioni specifiche per la buona riuscita di una certa attività, di un particolare interesse, di soddisfazione di bisogni essenziali, come il pasto quotidiano.
"Signur ve ringrazzi che m'î dâ de mangià, déghen anca a quej poarett che no ghe n'ha, démen sémper anca a mé e a töcc quej de la mia cà." E' interessante notare che l'invocazione, assieme alla richiesta di benefici per la propria casa e i propri parenti, tocca anche gli estranei in una sorta di naturale solidarietà. I bambini quando pensavano alle loro difficoltà scolastiche recitavano: "Signur vütêm, Madona salvêm, mé e töcc quej de la mia cà, fîm vècch sémper el santo timur de Dio e fîm èss bravu a scöla."
Gli adulti erano più complessi e articolati e la loro preoccupazione riguardava la propria condotta di vita: "Un gloria ai quater Evangelista. Disguardêm di pianèt catif de l'anima e del corp, disguardêm del pecâ murtâl, de la mort impruvisa, del föch e de l'acqua, di tentaziun catif, di catif incontri, del pecâ de la disunestà."
Per i peccati c'era una scala di valori, non come adesso che si tende a relativizzare e a minimizzare le proprie colpe. Il peccato della disonestà ad esempio era sempre condannato con vigore, molto di più della lussuria, l'impudicizia o la ruberia. Il desiderio di una buona condotta sociale e cristiana prorompe dai detti, che seguono e che toccano vari aspetti della fede, quali la Croce santa: "Crus santa, Crus degna, che me salva, che me segna, che dà la buna via de salvà l'anima mia, che me dà la buna vus de fà 'l segn de Santa Crus ", oppure il santo rosario: "Son ché al prém scalin, denanz a Gesö bambin. Purtî scià i ciâf de des'ciavà che 'l Signur nel mè cör el vör entrà. Mé ve darô i rös, mé ve darô i fiur e vü dîm la curuna del mè car Signur."
Qui ci si affida a santa Caterina: "Caterinin, son ché söl prém scalin ad adurà Gesö Bambin pien de rös, pien de fiur, carità 'sto por Signur", ovvero alla Madonna: "Cunsùles anima mia che tra poch g'èe scià el bagaj de Maria."
Non manca il ricordo del periodo quaresimale: "La quaresima la düra quaranta dé, ha digiünâ el Signur, digiünarô anca mé. Chi avrà digiünâ el sarâ perdunâ ", così come un posto privilegiato è sempre riservato alla Madonna: "Ave o Maria la püssê grand mamm che al mund ghe sia! Regina del ciel, stela del mar, ve dô la buna sira, a vü e al vost bagaj car. Buna sira Angej e Sant, in punt de la mia mort ve invidi töcc quant."
C'erano poi alcune preghiere che avevano la struttura a filastrocca, tra il serio e il faceto: "Santa Clara, imprestêm la vostra scara de andà in Paradis a truvà San Diunis, San Diunis l'è mort, gh'è nissün che fach el corp. Töcc i angej i bescantava, la Madona suspirava, el Signur in ginugiun, o che bela uraziun. Chi la sa e chi la dis andarà in Paradis, chi la sa e non la dirà in la bornis i finirà."
La bornis è la cenere ancora accesa del fuoco e sta a rappresentare nella credenza popolare le fiamme dell'inferno. Ci sono poi preghiere-racconti, recitate in occasioni speciali, come questa di Natale: "Canta, canta, rosa e fiur, l'è nassüu noster Signur, l'è nassüu in Bethleèmm senza fassa nè patell, senza fassa nè patell de fassà 'sto bambinell, senza fassa nè lenzöö, de fassà 'sto por fiöö, senza fassa nè cussin de fassà 'sto por
bambin. La Madona la lavava san Giüsepp el destendeva, el Bambin pö el piangeva per ul frecc che lüü 'l gh'aveva. «Citu, citu, por Bambin, te darô un pô de lacin.»"
Questi racconti erano recitati soprattutto ai bambini per addormentarli e un po' per insegnare loro in modo semplice storie importanti, come in questa canzone : "Canta, canta, rosa e fiur, l'è nassüü el nost Signur, l'è nassüü in Bethleèmm, senza fassa nè lenzöö, per fassà 'sto car fiöö, car fiöö miraculus, el pendéva sö la crus, e la crus l'eva tant bela, la splendeva in ciel e in tera. Passa via un angelin, con sott bras un canestrin, gh'eva dent un mazzett de fiur de regalà al nost Signur."
Nella filastrocca che segue sono presenti tratti di gentilezza nonostante, appena nato il Bambinello, si parli subito della croce, che lo attende: "«Perchè piangî Maria? Oh Maria piangî un pô pü!» «Vardê se g'ho nò de piànger m'hann vendüü noster Signor, per trenta denar in sü la crôs me l'han inciudâ. Quand fu stâ sü la crôs lüü al domandò da ber, ma 'se g'hann dâ? 'Na góta de asê mesedada con la fél. La prima góta ch'el beveva i suoi colori s'in iscürî, la seconda góta ch'el beveva la sua parola la ghe mancò, la terza góta ch'el beveva chinò il capo e poi spirò. E la tera la tremava che la rendeva 'na cumpassion». Chi dirà 'sta orazion, andarà in Paradis, chi non la sa e chi non la imprend al dé del giüdizzi el se troerà malcontent."
Dalla Svizzera giunge invece questo invito a pregare: I urazion in cumè una cucagna, pusè s'en dis e pusè se guadagna. Mentre nell'area lombarda scopriamo: Signur curèm e si mi creâ salvèm o anche: O Signur disperè qui gh'è de par lur che qui cumpagnà in già tutt disperà. Quest'ultima orazione è riferita soprattutto agli sposati e vale per gli uomini come per le donne. Ritroviamo fra queste preghiere anche i commenti che venivano intercalati nella recita del rosario fra una decina e l'altra: Urazion del rusari santa Rosa san Dumenic prutetùr del santu rusari che poe utegnì da lur la santa indulgenza.
Un'altra invocazione di questo genere recitava: Canta canta roes e fiur ghe nasù noster Signur l'è nassù a Betlem etc. Qualche volta si lasciava spazio allo scherzo, come in questi motteggi: dominus vobiscum l'è scapà e non l'ho più vistum, l'è scapà in sagristia a far l'amur con la Maria. Ovvero: de profundis clamavi, de la pagura scapavi, de la pagura che gh'evi curevi, curevi. E ancora: Signur curem mé la mia mamm e 'l me pa e tuta la gent de la mia cà.
Le preghiere erano rivolte anche a santi, come questa orazione, di donna nubile, dedicata a sant'Antonio da Padova: sant'Antonio glurius femm la grazia de truvà un bun spus, ch'el sia fieu d'una brava dona, ch'el g'habia pan e una pusiziun bona, un piat de minestra e un pulaster a la festa, cul burzin pien e ul coeur cuntent. Sant'Antoni ve dumandi pu nient. In Svizzera esistono preghiere tipiche d'una località, che denotano il gusto del campanile e la consuetudine a far dell'umorismo nei confronti di paesi vicini. Nel borgo di Campione si diceva l'Ave Maria per quei de Bissùn ch'in semper in let cumè i scurzùn. Sempre a Campione si scherzava ancora con l'Ave Maria per quei de Mili chi ciapa i don e i a fà rusti.
All'avvicinarsi della sera si recitava: A durmì mi vach l'anima mea a Dio ghe la dach a tut i cas non me levass poca gent farà fracass. A Minusio troviamo Sia lodato Gesù Cristo tutt i pover mai vist. A Balerna sono noti motteggi scherzosi: Sia lodato Gesù Cristo è scappato e non s'è visto, l'è scapà in sagrestia ul diavul l'ha purtà via. A Passino, sempre nel Canton Ticino, scopriamo questo scherzoso invito: Oh Gesö d'amur accês, butèm gió un bigliett de dês, oh me car e bon Gesö mé sunt chi per catàl su.
Veniamo ora ad un interessante capitolo, che è quello delle preghiere storpiate. E' il caso del segno della croce che veniva scherzosamente trasformato così: "Pader, Fiöö, Spiritüsant e ... cavagnöö, Mama, tuseta, Spiritüsant e ... cavagneta." O ancora, sempre relativamente al segno della croce: "Nel nom del ... robà, sémper cuntinuà, mai restitüé, fin che scampi mé." Altre volte si prendeva a prestito la vita contadina con la stalla e i suoi animali, in questo caso una mucca che deve partorire un vitello: "Se l'ha de fà, l'ha de fà, se no la vendi de mazzà."
Riguardo al Padre Nostro sono famose varie deformazioni popolaresche: "Pater noster cazzül de ferr, cazzül de ram, dam una mica che mì g'ho fam." Oppure: "Pater noster piê d'incòster, piê de vin fin al cupin, piê de grapa fin a la crapa." Sullo stesso tema sono note altre varianti: "Pater noster piê d'incòster, piê de bütér, fa pecâ ... chi tö miè." E poi ancora: "Panem nostrum ... cott al furnu, moll in mezz e crusta inturnu, set libera nos a malu am ... un bicér incöö e un fiaschett duman."
Lo scherzo non risparmiava neppure l'Ave Maria: "Ave Maria grazia plena, a laurà me dör la s'cena. Chi che g'ha i bagaj che si a tegna. Liga el sacch che scapa la pena." La pena è la penna dei gallinacei, che venivano raccolti in un sacco per farne cuscini o piumini. In questa invece affiora la vita contadina: "Santa Maria mater Dei, ciapa la scua e fa corr i purscej, scapa la vaca e da 'l famej. Liga el sacch che scapa el mej."
La storpiatura dialettale interessava molte preghiere, che subivano una sorta di scanzonatura. "De profundis clamavi, de pagüra scapavi, de la pagüra che gh'evi curevi, curevi" recita un gustoso motto, ma non ne è da meno quest'altro: "Dominus vobiscum ... l'è scapâ e non l'ho vistum, l'è scapâ in sacrestia a far l'amor con la Maria."
Sullo stesso tono troviamo:"De profundis clamavi, de la pressa che scapavi, de la pagüra che gh'evi, la braga l'impiendevi." Non specifica di che cosa, ma è facile intuirlo. Di sapore contadinesco è pure il seguente: "Epistola Romana, la pegura l'è senza lana, la cavra l'è senza cua, i racumanda l'anima sua." Più burlesco e da ragazzotti è invece il famoso:" Alleluia, alleluia, el can del Cürat el buja."
V'è anche un gruppo di preghiere che possiamo definire egoistiche, perchè esplicitano delle precise richieste, talora argute e scherzose: "Oh Gesö d'amur accês, fîm vedè i bigliett de dês, se vurî minga fam fà pecâ, fîmej vedè d'invernu e d'estâ." Una variante sullo stesso tema aggiunge qualche nota più esigente: "Oh Gesö d'amur accês, mandêm gió i bigliett de dês, se vurî vedèm cuntent, mandêm gió i bigliett de cent, quand ghe n'avrô piö ve scrivarô sö! " Un'altra tratta invece il tema degli inviti a pranzo: "Oh Signur d'amur accês, a majà sem sémper in dês, ma a pagà apena in sês." Anche allora evidentemente si trovavano persone che vivevano alle spalle di altre. Semplice ma efficace si rivela quest'altra: "Oh Signur, la vita e l'amur, el corp cuntent e tanti danê de spend."
Assai scherzosa, ma allo stesso tempo indice della grande povertà di quei tempi la seguente preghiera richiama un tipico cibo contadino: "Criste Duminê, la pulenta söl tripê, cul furmaj desuravîa, la pulenta l'è tüta mia." Lo scherzo poteva toccare un po' tutti e qualsiasi cosa, come appare espresso da una serie di detti, che prendono a burla la speranza in Dio degli abitanti di alcuni paesi: "Oh Signur de Com, parent de chel de Ugion, cügnâ del chel de Anùn, i è nâ töcc a burlun", oppure dei poveretti: "Oh Signur di puarétt, quell di sciuri el g'ha i curnétt, quell di frâ l'è disperâ, quell di mùnech l'è scapâ! " o ancora degli italiani in genere: "Oh Signur d'amur accês via i tudèsch gh'è scià i francês. Francês, inglês, tudèsch, american e cê la ciapa nel gnau l'è sémper l'italian." La seconda parte di questo motto è recente e completa la prima che era in uso al tempo di Napoleone.
Ce n'è anche per un vecchio vezzo o vizio dei brianzoli e cioè il bere senza moderazione: "Oh Gesö d'amur accês quanti ciòcch ho ciapâ 'sto mês. Oh mio caro buon Gesö mé la cioca la ciapi piö". A proposito di ubriachi bisogna ricordare che un tempo era usanza diffusa nà a tö la perdunanza, andare a chiedere la cosiddetta "perdonanza" delle chiese. Per avere la perdonanza di tutti i peccati non bastava confessarsi, bisognava anche recarsi in particolari luoghi di devozione. I peccati non solo venivano rimessi ma pure completamente cancellati. Anche gli uomini avevano la loro perdonanza. Partivano da un posto per andare in un altro, ogni "chiesa" che trovavano, cioè ogni osteria, si fermavano e cercavano la perdonanza. Quando giungevano a casa ricevevano la benediziun o benedizione, perchè generalmente li aspettavano le moglie col bastone.
Ecco allora sempre su questo tema il seguente motteggio: Oh Gesö d'amur accês quanti ciòcch ho catâ 'sto mês. Oh mio caro bon Gesö mé la cioca la cati piö.
I rapporti tra uomo e donna hanno avuto grande risonanza nei detti popolari, ne scegliamo qualcuno, come ad esempio: Oh mè car Gesö Bambin, fam truvà un quêj bel umìn, ch'el sia drézz, ch'el sia stort, ch'el sia pö de 'na quaj sort, dove è una ragazza che parla, tutta intenta a cercar marito, non importa come sia. Sulla stessa lunghezza d'onda troviamo ancora: Oh Dio dai che vita che l'è mai a vecch la murusa e nun vedèla mai. Da quest'altra affiora invece la preoccupazione di una madre: Oh Gesö Bambin preghî per mé, per 'l me bagain, che l'è stort, göbb e piscinin. C'è anche una sorta di umorismo profano, che trova qualsiasi occasione per scanzonare situazioni abitualmente considerate serie: Che 'l Signur el te benedissa cul scuìn bagnâ de pissa. In tema di pranzi c'è un consueto ritornello: Oh Signur d'amur accês non v'avessi mai ofês! A rubaj sérem in sês, a mangiaj sérem in dês. Diversa nel suo genere è invece la seguente: Oh mio caro bun Gesö preparìmen un pô de piö, preparimen 'na buna scorta vegnarèm un'oltra völta. E fî minga tropp burdell se no ve róbem el purscell. Pare che fu dedicata al priore di un convento, dove dei ladri erano andati a rubare dei polli. Al furto parteciparono sei persone, ma a mangiare si ritrovarono in dieci, per la presenza dei soliti scrocconi. Durante il pranzo nasce questa tiritera in cui si invita beffardamente il priore a preparare altri polli, e senza lamentarsi troppo, perchè in caso contrario gli avrebbero rubato anche il maiale.
In tema di preti e religiosi famoso è il seguente detto: "Oh Signur vütîm, adess che m'hî creâ salvîm, se vurévef minga salvam, duvévef lassà stà de cream." Si racconta che una volta un parroco si sia assentato lasciando al nipote il disbrigo delle faccende parrocchiali e, in particolare, l'accudire alla chiesa e tenere un breve sermone ai fedeli. Il nipote, improvvisatosi predicatore, disse: "Oh popol di Dio, incöö so ché mé al post de mè zio. Se fî quell ch'el ve dis vî töcc in paradis, ma se fî cume 'l fa lüü vî a l'infernu a düü a düü! " Come dire: fate quello che dico ma non quello che faccio.
Sul medesimo tema si trova anche: "L'ha des la Sacra Scritüra de fà laurà i vecc, perchè i gh'a la pell düra. La Sacra Scritüra l'ha parlâ, l'ha des che i vecc i ha giamò laurâ." Ancora, quest'altra famosissima, relativa al consumo del vino: "El gh'era resun San Péder che quell bun l'era quel négher, e San Péder el gh'era resun che quel négher l'era quell bun." Oppure, in ringraziamento del pasto quotidiano: "Sia ringraziâ el baslott e 'l cügiâ che anca incô, de mangià, i me n'ha dâ."
Anche i santi erano invocati, ciascuno con una propria specifica qualità taumaturgica: Santa Lucia ad esempio era protettrice della vista, a ricordo del suo martirio. La si pregava così quando qualcuno aveva male agli occhi: "Santa Lüzia fîm 'nda föra 'sta purcheria." Diffuse erano pure le invocazioni a sant'Antonio, qualcuna faceta come questa: "Sant Antoni de la barba bianca famm truà quell che me manca, famm truà quell che me vê, sant Antoni te vöri bê." Qualcun altra aveva invece un'intonazione comica: "Sant Antoni de la barba grisa, con trî püles in de la camisa: vün che pia, vün che beca, vün che suna la trumbeta." Relativamente allo stesso santo, che era assai benvoluto nel popolo, troviamo ancora: "Sant Antoni l'ha scrivüü sura 'na tapa che dopu 'l vent vê l'acqua e l'ha lassâ per testament che dopu l'acqua vê 'l vent."
In quest'altra, il santo è invocato da una giovane donna in cerca di marito: "Sant Antoni che purtî töcc i crus, per santa indulgenza fîm truà 'l murus, in filanda ghe sarìa el Giuanin, a cà paisan e là fugarin, che 'l me schiscia gió l'ugin a la sira e al matin.";
E infine, sempre in tema di matrimoni: "Sant Antoni, famm fà un bun matrimoni, san Damian anca duman, sant'Agnês anca 'sto mês, Ognissantis, Santis Dei, anca un véduf cun sett pötej."
Litanie
Avevano un carattere profano ed erano raccontate specialmente dai giovanotti, che prediligevano le cosiddette litanie del vin. Era una sorta di pasticcio goliardico come era usanza antica sin dal medioevo. In queste litanie la dizione ora pro nobis veniva sostituita in nostri am, che era una storpiatura della invocazione finale dell'ave maria, morte nostra amen. Essa era intercalata fra le varie espressioni goliardiche. Eccone qualche esempio: Vin che fila, nosti am. Vin de muntevègia, nosti am. Vin barbera, nosti am. Pincianell, nosti am. Vin che pizìga, nosti am. Vin batezà, nosti am. Vin di donn, nosti am. san de giuda, nosti am. Vin guzett, nosti am. Vin che cujuna, nosti am. Vin di ost, nosti am. Vin d'asè, nosti am .... Vin del diavul, nosti am.
La tiritera continuava fintanto che la massaia o l'oste non intervenivano con qualche apostrofe all'indirizzo degli avventori. Tutti gli esempi, anche quelli scherzosi, che ho commentato stanno a dimostrare che la fede una volta era una cosa seria, che coinvolgeva completamente e toccava ogni aspetto della vita quotidiana. Importante è sottolineare la preghiera personale, recitata sempre in dialetto, cioè nella lingua del proprio cuore. Allo stesso modo mirabile è il ricordo dei propri morti e il desiderio di aiutare gli altri. Questa è la vera lezione che giunge a noi, uomini moderni, da queste filastrocche e dai proverbi. Grande ed ancora attuale è il loro messaggio, un invito alla speranza e alla ricerca del proprio destino. Gran parte di quanto ho citato l'ho tratto da testi specializzati, ma anche e soprattutto dai ricordi di mia mamma e di mia nonna. Esse venivano dalla campagna e portarono con sè le tradizioni del loro paese che ormai a Como, dove abitavano mio padre e i suoi parenti, non esistevano quasi più.
BIBLIOGRAFIA
Sandro Motta, Del tecc in giò, Oggiono 1993.
Sandro Motta, Del tecc in sü, Oggiono 1991.
Amanzio Aondio - Felice Bassani, Dialetto da salvare, Oggiono 1983.
Antonioli - Remo Bracchi, Dizionario del dialetto grosino.
Orazio Sala, Sa diseva inscì, motti e proverbi lariani, Como 1994.
Appendice. Preghiere cassaghesi del 1500
PREGHIERE CASSAGHESI
In margine alla trattazione precedente riportiamo alcune preghiere, a carattere prevalentemente terapeutico, che venivano recitate in Cassago nel 1500, in cui non manca una buona dose di superstizione. Sono tratte da un testo di età carolina conservato nell'Archivio della Curia milanese, alla Sezione delle Visite Pastorali nella Pieve di Lecco, vol. XI, che porta il titolo di Nota quarundarum benedictionum vanarum et fere superstitiosarum quae fiebant ab idiotis ad sanandas infirmitates et mala repellenda. Esso è composto da un lungo elenco di preghiere e di invocazioni, di cui riportiamo uno stralcio relativo alle testimonianze fornite da abitanti di Cassago.
Catherina figliola del quondam Filipo casago dice cosi a segnar il tempo
Verbum di del nostro signor
che ne defenda su la croce
la croce è tanto bella
che ne difenda del ciel in terra
la croce è tanto adorata
la gloria di Dio è ben guadagnata
il nostro signore venerà
mostrerà le cinque piaghe
guarda qui misero peccator
questo mal l'ha hauto per noi e per nostro amor
la dolce vergine maria se ne andera
si tra fiori a trovà la vergine Maria
fino alle porte del Paradiso
che la trara tal grido
che saremo cosi dolente
che non sapremo respondere niente
(questa oratione che la senti a dir che non l'imprendi quando serà il di del Giudicio se ne troverà mal contenta)
Padre nostro in nom de Dé
che po venir figliolo de Dé
la chiesa dimanda per di messa e per canta
per i vivi e per i morti
per lo santo Paradiso
la comà che va levà
per lo prete che l'ha aiuta
la carità che la luna [ ... ]
il sol pacienza
il nostro Signor Nostro si riposa
al pe de loliva e lorio
varda sopra la man bianca
che le ben scritta e ben penta
(tre volte se la dica guadagnerà una messa compita)
Zaccaria di casaghi dice cosi a segnare il tempo
Madòna santa maria
su la preda del marmo
pichiavano li soi capelli d'oro
guarda in zù guarda di là
guardo giù di quella val marina
e più sasini che malandrini
che và là in del nostro pane, et nel nostro vino,
fè un grido che fè sentì il suo caro figliolo
et il suo caro figliolo se ne riva
tasi tasi o madre mia
che li manderò nella [valle] scura
che faremo dislenguà
il dì de pasqua e il dì di Natale
o il giorno di sancto Giovan di meza sta
Falso inimico parteti di qui
che te non ghe, ne fà, ne di,
và in quella val scura
dove non canta ne gal ne galina
ne nisuna creatura
Il pater di santo Giuliano
Figliolo che lù e le sio
che la e sio
che porto sò
che pò portà l'anima e 'l corpo
l'anima di mio padre
l'anima di mia madre
l'anima de' mei fratelli
l'anima de' mie Sorelle
ciascheduno puo porta
gran [ ... ] benedetto
di santo Giuliano
dismonta dil monte Romano
che tutte le chiavi de oro in mano
anaun ne cava il dente
alli bissi alli serpenti
Cristo ne defenda della mala sorte
e della subitanea gente.
Quando si leva il calice dico
Colomba bianca del ciel
discendesso il sangue di Giesù cristo
in boca a mi disceso.
Quando portano Dio
Intra Dio e la Vergine Maria
l'anima nostra in suo governo sia.
Quando si leva l'ostia dico così
Al si leva il Creator
Gesù Christo Nostro Signor
e l'hostia consegrada
per tutto il mondo sia osservada,
frutto e fiore e carne viva,
el si leva il figliolo della vergine Maria.
Castella figliola del quondam gaspar casago a segnar il tempo ha detto così
Madona santa Maria
sopra una preda de marmo
che il pechiar de oro donde si pechinava
con il pettano de oliva la si feriva
la guarda in sù la guarda in giù
la guarda in qua la guarda in là
la guarda in ver sira in 'na nigoletta bianca
piena di tempesta e di brutura
in là vi segno
in là vi scongiuro
che non dagano dagno
ne in vigne ne in campo
ne in nessun terreno lavorante
che dagano in quello bruto sasso
donde ne buga ne pecora ne vache
ne moltoni ne bestie di nesuna razone
tanto che vadi in aqua serena.
Catherina figliola del quondam Gaspar casago ha segnato il tempo cosi
Giovanna che fu moglie del quondam Filipo casago segnando il tempo diceva cosi
Madona santa Maria
de Maria si vergine e si madre
e sete compagna di Dio padre
Angelo Gabriel che se nuntio del spirito sancto
se li incarnà in pater
e una ave maria che ve dirò
donami la gratia che ve domanderò.
Dio inanzi e pase in via
spirito sancto sia e [ ... ] che mi inspire
in cuore e la mente della morte mia così sia.
La medema Giovanna ha segnato il tempo cosi
Te scongiuro da parte di Dio
e della vergine Maria
e di quel Messer sancto Bernardo
che era glorioso in cachesia
che vadi là in quella val scura
ti che langui e ti consumi
con fe la sal la giobia santa
et la sal che se mete nel disnà
il giorno di Nadà.
Catherina de casaghi figliola di Gasparo sudetto così ha segnato il tempo
Falso inimico parteti di qui
ti non ghe, ne fa, ne di
che ghà ben a fa Dio
e la dolce vergine Maria
che la nostra compagnia salva via.
Catherina figliola del quondam Gaspar Casago quando vò a letto dico cosi
Vo in letto in nome di Dè
per commandamento di Messer Domenedè
e della Vergine Maria
che non pensò male
ne foglia ne boca il dica
ne in cuor la vergognà
l'anima mia ne sia racomandà.
Ave Maria Madalena
che piange in questa pena
in questi dolori
la passione del Nostro Signore
o Giude Malo Giude
che hai tu fatto del figlio
me del figliolo me non sa
becca sù la croce
e inchioda santo Giovan Battista
passa la croce
che gridava a alta voce
fino a sentir i morti e li vivi
fino al santo Paradiso
questa e la Diana fusse Germana
chel de so che la mia sarò
Madonna santa Maria fu la madre mia
Messer Domanede fu il padre me.
Vo in letto in la buona hora
Gesù Christo che me compagna
mi compagna su a laqua santa
in domine che leva via i miei peccati.
Marta l'angeli la cantano
la preda de l'altare
la bella mesa li cantà
per i morti e per i vivi
e per il santo Paradiso
per la Lutia e per la stella
e per la santa Pasquetta.
A segnar un piede quando e desnodato
In nome di Dio e della Vergine Maria
sono a l'aqua coriva
se la mena torta che la si drizi
(con il pater et l'ave, tre volte facendo il segno tre volte).
La medema ha segnato la febre facendo cosi
Andando in chiesa sette mattine dicendo per ogni mattina sette pater e sete ave marie et io me lo ho ditto me movo un poco cosi da digiuno segnando li febrizi in fronte sette volte con il segno di santa croce per ogni mattina.
Domenico Casago ha segnato il mal della Poltiogra a un suo nepote facendo cosi
Messer santo Christoforo
che stava sopra la riva del mare
che piange e sospira
che piange da Christoforo
non posso ben piangere e sospirare
che il mal del verme e del carbon
me vol ben mangiar.
Non piangere, non piangere Christoforo
per questo viso
(e colui che dice le parole mette la bocca sua a preso al viso de colui che ha il mal)
per questa barba
(cosi fa il medesimo)
per questa oregia e per quella altra
(e si ha il medesimo effetto e poi si dice)
in nome di Dio e della Vergine Maria
che il mal del vermo e del carbon
el bufarà ben via
(e quando dice el bufara ben via, colui che dice la parola comincia a bofar, e va bofando sino alli piedi dintorno in tondo e poi come ariva alli piedi li spuda un poco, et questo lo fanno per nove matine, dicendo tre pater e tre ave marie per matina et dice che quel suo nepote guarì).
Il medemo ha segnato una bestia che orinava il sangue et dice cosi
Al nome di Dio
disvis
et nigris
et enfrabes
(et dicono cinque Pater noster et cinque ave marie et pigliano diece foglie de herba e scrivono sopra queste foglie le soprascritte parole et ne danno una per matina per diece matine a quella bestia che orina il sangue et guariscono).
Giovanna Maria casago a segnar un piede o gugela e cavigia é [ ... ] fa così
Piglia un bocal pieno de aqua, la mette nella branice fino a tanto che boia, e poi come ha bolito, piglia un bacil o altro vaso, vodando con il fondo in sù quella aqua nel vaso, e poi fa mettere il piede sul fondo del detto bocal da quello loco dove ghe dole, e poi dice queste parole
A honor di Dio
e della Santa Trinità
che leva via questa infirmità
e quella aqua torna tutta nel bocal, dicendo tre pater et ave marie, con il segno di santa Croce.
La medema segna li humori ò fredo ò caldo che sia dicendo cosi
In nomine Patris † et filii † et spiritus sancti
A te segno del mal redondo
per il fior di tuto il mondo
et per la barba del buon Giesù
che questo humor o fregio ò caldo chel si sia
che vadivia, per amor di Dio
(e poi dice tre pater e tre ave marie per tre matine da digiuno).
Questa è l'oratione de Sancto Agostino che la dice in tre feste in principio per le anime dil Purgatorio
Berondé del Nostro signor
che depende in su la croce
e la croce è tanto bela
la defenda in cielo e in tera
la croce è tanto indorata
che la gloria a se la guadagnata
in ciel che ne anderà
con le piaghe el mostrerà
saremo in si tristi e in si dolenti omiliazioni inanzi a Dio
non sarà nostra mente
ne tremerà la voce
com fa la foglia della noce
Messer Domanadio al si scontra al mio figliolo
dove volete andà
voglio andà ad habita
con il berondè chel sa
e chel disse
Dio ghe dia requie al paradiso e riposo
Dio ghe dia in questo mondo et anche ne l'altro riposo.
[ ... ] susura dolcemente
ella mena l'albero dritto
che de fù del nostro signor Giesù Cristo
fa si può ma ma
si può sa sa
quando venerà quel Belzebò
el dirà o parente dove sete mai venuda
ti non credi mai in Dio
ne la santa scritura
Messere Domanadio responderà
non a logo ne scagno ne banca
ne pressa di man ne pressa di collo
e te distendaremo in quello albero così longo
che non te parea in più
e non segnera ne in rose ne in fiore
ti non fare ne foglie ne [ ... ] ne [ ... ]