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Agostino vescovo
LE CONFESSIONI: IL TEMPO E LA MEMORIA
di Guido Sommavilla
L'incontro con Agostino
Cari amici di S. Agostino, amico anch'io, amicissimo sempre di più nonostante sia gesuita e nonostante sia di formazione tomista. E' successo che alcuni anni fa l'editrice Piemme mi ha invitato a tradurre le Confessioni di S. Agostino per l'ennesima volta. Di traduzioni delle Confessioni ce ne sono moltissime anche in questi ultimi anni. Ecco, è uscito il libro senza il testo latino a fronte e in questa mia traduzione ho cercato di rendere Agostino più chiaro e cristallino che fosse possibile: ho tutto spezzato le lunghe proposizioni in piccole, brevi proposizioni, adatte al respiro asmatico dell'uomo e del lettore moderno. Poi soprattutto ho voluto mantenere il più possibile tutti i giochi di parole che S. Agostino fa quando scrive. Agostino non è capace di fare una proposizione senza metterci un gioco di parole, un'assonanza, un chiasmo, un'anafora, una litote. Faccio subito un esempio: a Ostia muore sua madre Monica, mentre, partito da Milano, aspetta di ritornare in Africa. Di questa morte della mamma soffre molto e piange per giorni e giorni. Tuttavia dopo un po' gli è venuto il rimorso di questo dolore: poiché come cristiano crede che la madre ha raggiunto la pace eterna, pensa che non dovrebbe piangere. Gli sorge il rimorso di questo pianto e dolore di questo rimorso. Esprime il tutto con questo gioco di parole: "alio dolore dolebam dolorem meum", con un altro dolore mi dolevo del mio dolore. S. Agostino è pieno di questi giochi.
Quando ero giovane e li leggevo provavo fastidio, non mi piacevano. Invece adesso, che sono vecchio, mi piacciono. Sono belli i giochi di parole, è una poesia, è una musica. Questa traduzione è stato il mio contributo a S. Agostino, tuttavia l'ho incontrato anche durante i miei studi di teologia in quanto, dovendo sostenere due tesi di laurea, una la sviluppai su S. Agostino. In particolare trattava S. Agostino in rapporto con i semipelagiani. Quindi ho dovuto vedermi tutti i libri di Agostino contro Pelagio, i semipelagiani, il concilio di Orange, che tratta della vicenda. Condussi uno studio in équipe, di cui faceva parte l'attuale card. Carlo Maria Martini, e mi lessi tutti i libri sulla grazia. Uscii da questa tesi di laurea un po' disgustato, un po' infastidito da S. Agostino. Confesso che mi sono poi pentito anch'io. Mi sembrava che Agostino enfatizzasse a tal punto la grazia, quindi la forza di Dio, l'influsso di Dio sull'uomo, che dell'uomo non restava più niente. Grazia e libero arbitrio si dice: ma Agostino enfatizza a tal punto la grazia che di libero arbitrio, di decisione, di libertà da parte dell'uomo non resta più niente. Sembra che qui S. Agostino dia ragione al famoso detto "Dio fa tutto, noi facciamo il resto". Dopo il tutto che cosa resta?
Sembra, ma non è così. Dopo ho capito cosa fosse in realtà la grazia di Dio in S. Agostino: quando la grazia agisce sull'uomo, quando la forza di Dio agisce sull'uomo, quanto più è forte tanto più questa forza di Dio, o grazia, libera l'uomo.
Non lo chiude, non lo blocca, ma lo libera. E addirittura lo libera anche nel senso di renderlo anche più libero di dire di no. Quindi questa è la tipica forza di Dio che non ha paragone tra noi uomini, dove quanto più uno è forte, tanto più l'altro è debole. Con Dio succede il contrario. Allora mi sono, diciamo, convertito e ho capito che sbagliavo.
Tuttavia è vero che S. Agostino è un po' rigorista. Quando racconta i suoi peccati nelle Confessioni esagera. "Anche quando ero bambino lattante peccavo" - dice Agostino - "adesso non mi ricordo, ma ho visto dei bambini lattanti in braccio alla nutrice dove uno guardava con invidia, con odio l'altro, perché l'altro era riuscito per primo a succhiare."
Questo rigorismo agostiniano ha un po' pesato sul medioevo e forse i primi a liberarsi e sottrarsi in qualche modo da questo atteggiamento anche nei riguardi della salvezza di tutti gli uomini sono stati i gesuiti. Agostino influì molto sui calvinisti e sui giansenisti, che sono in pratica calvinisti. Essi riportavano questa angustia e strettezza del rigorismo alla speranza, che i gesuiti invece volevano sopra di tutto per togliere e aprire.
La Memoria
Tratteremo ora delle Confessioni e in particolare dei due squarci filosofici dell'ultima parte del libro X e XI sulla memoria e sul tempo. Nelle Confessioni Agostino si confessa a Dio, ammette, riconosce di avere sbagliato e di avere peccato. Poi però la confessione diventa, nell'altro senso della parola, lode a Dio, ringraziamento a Dio, per non averlo dimenticato mentre lui lo dimenticava, per averlo ritrovato e per averlo messo sulla retta via. Questo è il duplice senso della confessione agostiniana. Mentre racconta si sofferma su vari episodi: non nascondendo nulla a Dio, Agostino rivela se stesso anche al lettore.
Perché Agostino ha scritto le Confessioni ? Le ha scritte sette anni dopo essere diventato vescovo di Ippona, per controbattere i donatisti. Questi eretici gli dicevano che lui non poteva essere vescovo, che non era un vero vescovo, perché per essere veri vescovi bisognava essere santi. I Donatisti infatti sostenevano che chiunque avesse un potere sacro nella Chiesa doveva essere santo. Secondo i Donatisti Agostino non era un vero santo quindi non era un vero vescovo. Ma chi misura la santità ? I Donatisti si ritenevano santi, tuttavia per due volte cercarono di uccidere Agostino. Bei santi, come gli Hussiti di Boemia ! Quanti vescovi, quanti frati, quanti sacerdoti sono stati uccisi dai Donatisti e dai Donatisti hussiti di Boemia. Non erano santi, ma loro ritenevano di esserlo assassinando. Sottoposto a queste critiche Agostino ammette di essere stato peccatore, di avere sbagliato, di essere stato eretico. Riconosce che nel sedicesimo anno della sua vita la sua lussuria si è scatenata nonostante i richiami della madre Monica. Dopo questo anno Agostino convisse con una sola donna e le fu in seguito sempre fedele. Fino a trent'anni fu inoltre eretico manicheo. I manichei hanno la concezione dei due assoluti, quello del bene e quello del male, quello della luce e delle tenebre. Si scusavano i loro peccati dicendo: "In questo momento è il dio delle tenebre che mi fa peccare, non sono io, è il dio cattivo, il dio del male che mi fa compiere il male."
Agostino racconta come piano piano si è staccato dai manichei e ha superato le loro dottrine. Racconta che ha incontrato S. Ambrogio, ha iniziato a conoscere la Bibbia e ha lasciato Cicerone per leggere il Nuovo e il Vecchio Testamento. Poi venne qui a rus Cassiciacum, a Milano venne battezzato e a 41 anni divenne vescovo. Dopo sette anni sente il bisogno di scrivere le Confessioni, il libro più letto e più celebre di S. Agostino. Non è possibile parlare di tutto il libro: mi sono proposto due tematiche, che appartengono all'ultima parte, dove, dopo avere raccontato il suo passato fino al libro IX, dal libro X in poi racconta il suo presente. Con il libro X racconta che cosa egli è dentro di sé. Agostino cerca Dio, il Dio che lo ha trovato e desidera cercarlo e trovarlo sempre di più.
In un passo lo vuole cercare attraverso la sua memoria. Incomincia qui una filosofia della memoria: non è una filosofia organica, sono appunti, sprazzi, idee. Ha trovato Dio e non lo vuole più dimenticare, anzi lo vuole sempre più ricordare. Nasce la disquisizione su cosa è la memoria. Agostino aveva esperienza di memoria, scavando nella sua memoria aveva già estratto nei capitoli precedenti tutta la sua vita. "Che meraviglia è la memoria, quante cose ci sono in una memoria, dentro questo piccolo cranio rotondo, abissi, caverne, vastità, infinite cose". Incomincia subito a distinguere una memoria sensitiva da una memoria spirituale. Alla memoria sensitiva appartiene tutto ciò che si riferisce ai sensi: quanto questi ultimi hanno captato e introdotto è rimasto inciso nella memoria.
A volte è nascosto e bisogna scavare per tirarlo fuori, a volte è in superficie e basta poco perché riemerga. Tutto quello che i sensi hanno visto, gli occhi, le orecchie, il tatto etc. esistono nella memoria: tante cose sono state dimenticate irrecuperabilmente, ma tante altre sono rimaste. Però nella memoria non ci sono le cose viste, ma ci sono le loro immagini. Le loro immagini alle volte rappresentano cose immense, il sole, la luna, le stelle, i mari, gli oceani, i monti: tutto quello che l'occhio ha visto o i sensi hanno toccato. Nella memoria non ci sono quindi le cose ma le loro immagini. Oltre alle cose che io ho visto, nella memoria ci sono le cose che altri hanno visto o udito e che mi hanno raccontato o che io ho letto. Anche loro sono dentro, c'è posto anche per loro. Nella memoria infine c'è anche l'io della persona, se stessi nella propria memoria, con tutto quello che si è fatto, si è vissuto, si è sperimentato, patito, gioito, pensato e via dicendo.
Nella memoria c'è quindi tutto il vissuto di una persona, a parte le cose dimenticate. Come può starci tutto questo ? Qui zampilla la meraviglia di Agostino per questa forza dello spirito: riconosce che la memoria non è nemmeno la più importante, la più nobile o bella. La memoria è una facoltà dello spirito, ma secondaria di fronte all'intelligenza. Qui sgorga la sua ammirazione: "Quando mi trovo là dentro domando più semplicemente che mi venga presentato ciò che voglio. Certe cose si presentano subito, certe altre bisogna cercarle più a lungo e quasi strapparle dai nascondigli più astrusi, certe altre ancora si precipitano come a caterva e mentre si chiede e si cerca dell'altro saltano subito nel centro quasi dicessero «Siamo forse noi ?» e la mano del mio spirito le scaccia via dal volto del ricordo finché queste che cerco si svelano e vengono fuori dal nascondiglio davanti al mio sguardo. Altre ancora sopravvengono facilmente e in serie ordinata secondo richiesta e quelle precedenti cedono alle seguenti e si raccolgono pronti a venir avanti quando vorrò. Un po' tutto questo avviene per esempio quando racconto qualcosa a memoria." (Conf. X, 8, 12)
Nella memoria sensitiva ci sono le immagini delle cose, non le cose stesse. Ma anche qui che meraviglia: "Immenso grembo del mio spirito, è veramente grande questa forza della memoria, troppo grande Dio mio, un santuario interiore vasto e infinito. Chi è mai arrivato fino in fondo ad esso ? Ed è soltanto una forza del mio spirito, che appartiene alla mia natura. Ma io stesso non capisco tutto quello che sono. Dunque lo spirito è troppo angusto per comprendere se stesso ?." (Conf. X, 8, 13)
Lo spirito è più grande di se stesso: la mia stessa memoria è più grande di me. Chi la può comprendere ? Beh c'è Uno che la può comprendere. Non potendola comprendere Agostino prova su tutto ciò una grande meraviglia, uno stupore lo sconvolge.
Oltre la memoria sensitiva viene la memoria spirituale. In essa si trova ciò che è extrasensi, ciò che è soprasensi, lì dove i sensi, il sensibile, il sensitivo, il materiale non c'entrano. Cosa c'è di spirituale ? Tutto quello che si è imparato nelle arti o discipline liberali: allora si insegnava il trivium e il quadrivium. Nel trivium si apprendeva la grammatica, la retorica e la dialettica; nel quadrivium l'aritmetica, la geometria, la musica e l'astronomia. Agostino afferma che tutto quello che ha imparato nelle arti liberali c'è nella sua memoria. Egli era un grande mnemonico, ricordava infinite cose, forse - si dice - l'uomo più intelligente mai esistito.
Fu un grande memorizzatore, ricordava tutto, ricordava tutto quello che aveva studiato sia nel trivium che nel quadrivium. "Queste cose sono nella mia memoria."
Per esempio in dialettica aveva imparato quali sono le grandi domande che si fanno circa l'essere: di qualsiasi cosa si domanda an sit, se è, quid sit, che cosa è, quomodo sit, come è. Orbene l'essere come tale nessuno l'ha mai visto né sentito o toccato, è al di là o al di sopra dei sensi. Alle questioni riguardanti l'essere - e sono tante - si possono aggiungere altre domande come "da dove viene il mio essere, il tuo, l'essere del mondo? " e "dove va, verso che fine? " diremmo adesso. Se colgo l'essere e se è veramente l'essere ho raggiunto e sono nella Verità che nasce da questo rapporto tra Intelligenza ed Essere. Agostino ha l'idea, la nozione di Verità e pure di falsità, il contrario della Verità. Chi l'ha mai vista, cosa c'entrano i sensi lì ? Essa è spirituale, però c'è nella mia memoria. Ci sono queste domande con le loro risposte o i tentativi per lo meno di risposta.
Poi c'è tutto quello che ha imparato di aritmetica, di geometria, matematica e delle altre arti o discipline liberali. Pensiamo ai numeri e ai loro rapporti: immensi, molteplici, inesauribili. Agostino ha imparato le regole geometriche, ha studiato Pitagora, Euclide, Archimede ed ora quelle conoscenze sono nella sua memoria dopo che con la sua intelligenza le ha apprese e le ha capite. Ma non sono rimaste nelle loro immagini, " queste nozioni o idee - dice Agostino - non attraverso le immagini ma esse stesse sono nella mia memoria. " Non c'è altro posto per loro se non nella memoria spirituale, in quella zona della memoria adibito alle idee e alle verità spirituali. Anche in questo caso la ricchezza di esempi è vastissima.
C'è nella memoria il ricordo dei sentimenti, affectiones animi, i sentimenti dello spirito, dell'animo. I quattro principali sono desiderio, letizia, paura e tristezza, ma si potrebbe aggiungere l'amore, in tutte le sue forme, l'odio e tanti altri. Anche questi sono nella memoria. Aggiunge Agostino che alle volte ricorda mentre è triste di essere stato bene: c'è dunque allegria nella memoria mentre si sta male. Poi c'è anche oltre il ricordo di particolari sentimenti provati, c'è anche la nozione di tali sentimenti, cosa è la tristezza, il desiderio, l'amore ed altro. Agostino si domanda: "ma in che modo ci sono, attraverso le loro immagini o essi stessi ? ". In questo punto ammette che non è facile capirlo, per quanto ammetta che sono cose dello spirito. Fa l'esempio della felicità o meglio il desiderio, l'impulso della ricerca della felicità che c'è in tutti gli uomini. Dove si trova questo desiderio ? Agostino risponde che ce lo troviamo già in noi: la felicità è nella memoria così come la sua idea, il suo ideale e la spinta verso la felicità. Ad un certo punto chiama la felicità beatitudo, la vita beata, essere beati, essere felici. E' la felicità della Verità e la Verità chi è ? E' Dio. Quindi Agostino cerca Dio: "e il mio cuore è inquieto - incomincia fin dalla prima pagina - finché esso non possa riposare e placarsi in te."
A questo punto il tomista che c'è in me vorrebbe permettersi alcune precisazioni. Come filosofo penso che S. Tommaso sia più bravo di S. Agostino. S. Agostino incominciava, mentre S. Tommaso raccoglieva da tutto e dava l'ultima risposta. Questa faccenda della memoria è collegata all'intelligenza: la memoria spirituale con tutte queste idee e nozioni viene dalla conoscenza e dalla intelligenza - se ho capito - e questa è la verità, tale verità rimane incisa nella memoria..
Il problema della memoria implica anche il problema della intelligenza. Non so in quale altra opera Agostino affronti questo problema. La prima osservazione che un tomista si sente in grado e in dovere di fare è che qui S. Agostino si rivela chiarissimamente come un platonico e non come un aristotelico. Questa divisione stessa tra memoria sensitiva e memoria spirituale è tipicamente platonica. In Platone, in Plotino, in tutta la tradizione platonica e quindi anche in Agostino ciò che danno di conoscenza i sensi e ciò che mi dà di conoscenza l'intelligenza sono due cose non bene insieme composte ma giustapposte. Ciascuna va come in parallelo secondo due direzioni che non si incontrano. Sono divise l'una dall'altra.
In Platone, in Plotino anche l'anima e il corpo nell'uomo erano divise, giustapposte. Anzi il corpo era qualcosa di non essenziale, qualche cosa di degradato, quindi anche i sensi erano un qualche cosa di inferiore. In qualche caso si arriva a vedere nel corpo il male, mentre l'anima è nel corpo come nella sua prigione e da qui deve essere liberata. La salvezza dell'uomo diventa la liberazione dell'anima dalla prigione del corpo e dalla materia, dal mondo materiale. Così pensano anche oggi coloro che aderiscono alla reincarnazione secondo certe teorie orientali.
All'opposto stanno Aristotele e la sua scuola, con Tommaso, che la Chiesa preferisce: nell'ultimo diritto canonico (1983) si afferma "Sancto Thoma in primis magistro", S. Tommaso - cioè - deve essere più di ogni altro il vostro Maestro. S. Agostino serve di più in altri campi, in teologia ma non in filosofia.
Trovo questa dicotomia tra corpo e anima eccessiva, così come questo disprezzo del corpo e quindi del sensibile e dei sensi. E' eccessivo questo privilegio dello spirito, di uno spirito che viene concepito puro, sgombro da ogni contaminazione sensibile e quindi materiale. Quale dei due è più vero ? Io certamente sto con S. Tommaso. Anima e corpo sono entrambi elementi positivi, costituiscono una unità dove vige la famosa legge tomistica, che è anche aristotelica, della distinzione reale nella unità reale. Questa concezione è tipica di S. Tommaso. Anima e corpo sono realmente distinti, come pure sensazione e intellezione. Anche i loro oggetti sono distinti, perché i sensi attingono il concreto, il corporeo, il singolare. L'intelligenza invece attinge l'universale, la verità.
Ma lavorano insieme in sinergia. Aristotele, ripreso da S. Tommaso, propone questa sentenza: "Homo non intelligit sine phantasmate", l'uomo non capisce - cioè - con la sua intelligenza senza immagine, una immagine ricavata dal sensibile. L'idea pura non esiste, lo spirito puro per intanto non esiste per noi uomini: esiste lo spirito insieme con il corpo intelligente insieme con il senso e la fantasia e con la memoria che trattiene le immagini sensitive. Sono sempre insieme. Difatti se si vuole bene ragionare e bene pensare, facciamo bene a ricorrere sempre a qualche esempio, a riscontri, a verifiche, a documentazioni concrete. Se si naviga sull'astratto e perciò sull'universale, si finisce male, si finisce fuori strada. Ci deve essere sempre una dialettica tra intelligenza, e i suoi obiettivi oggetti le idee, con l'immagine o la sensazione che si va spesso a ripetere. Qui in Agostino trovo dunque un purismo e uno spiritualismo eccessivo: ma egli è di scuola platonica. Non ha letto Platone, ma si è letto Plotino e i neoplatonici, Porfirio e altri. Agostino non conosceva il greco, solo il latino. Questo disprezzo in Agostino nei riguardi dei sensi, del sensibile, dei loro gesti, delle loro immagini si contrappone alla posizione di Aristotele e Tommaso per cui idea e immagine sono sempre insieme. Quanto più c'è d'immagine tanto meglio, naturalmente tanto meglio quanto più c'è di idea, ma le une non si devono mai staccare dalle altre. Questa è anche la logica e la metodologia della scienza moderna. Come diceva Leonardo da Vinci "la esperientia è la madre della sapientia."
Esperienza vuol dire osservare con i sensi. In caso contrario il processo del pensiero umano facilmente si perde nelle generalizzazioni, nelle astrazioni. E' facilissimo farsi delle idee generali: la nostra intelligenza è in continuo fermento di creazione e di idee generiche. E' molto più facile pensare il generico che pensare invece l'idea sempre controllata sull'esperienza, sul sensitivo. Bisogna sempre andare sul concreto se si vuole andare sicuri e questo non accade solo nelle scienze fisiche sperimentali, ma succede anche in filosofia, in teologia, in tutte le forme del sapere. I generali e gli universali sono pericolosi. Come nell'Eneide è pericoloso quando un personaggio dice: "Ah questi greci: conosciuto uno li hai conosciuti tutti! "
Troppo comodo, troppo facile: falso è il principio ex uno disce omnes. C'è un'ultima osservazione da produrre.
Se la memoria spirituale ha i suoi contenuti, le idee, le nozioni, i rapporti, le domande e le risposte sull'essere e la verità, sulle idee, gli universali e i generali, se nella memoria queste cose ci stanno non attraverso un intermediario ma esse stesse, c'è il rischio di idealismo, c'è il rischio di finire con Kant, Hegel, Croce e gli idealisti. Perché se l'essere stesso - è la prima delle idee della memoria spirituale che S. Agostino scopre, poi c'è la verità, la falsità, la felicità, insomma le cose generali, l'aritmetica, la geometria, lo spazio e il tempo - sono essi stessi nella memoria, fuori che cosa c'è ? Fuori della mia mente non c'è niente. Quindi c'è il rischio di finire diritti nel soggettivismo kantiano, nell'immanentismo mentale kantiano e nell'idealismo hegeliano. La filosofia qui è morta, il che è assolutamente inaccettabile. Devono essere le idee, come dice S. Tommaso, non "id quod cognoscitur", non ciò che noi conosciamo ricordiamo, ma "id quo res cognoscitur " ciò mediante cui si conosce l'essere, che è altro da me, che è fuori di me. Anche quando mi impegno a conoscere me stesso, io divento oggetto del mio pensiero e quindi mi penso come un altro dal mio pensiero e non come qualche cosa che si identifica con il mio pensiero. Questa modalità è più giusta, altrimenti c'è il rischio o meglio il capitombolo in cui è incappato Emanuele Severino. Mi spiace per lui ma egli commette il banale errore di pensare l'essere così come è in noi, nella nostra mente, la sua idea. La nostra idea dell'essere è una, unica, universale, immutabile, eterna. Severino, come anche Parmenide e Heidegger fa l'ingenuo passo di pensare che l'essere, fuori di questa idea dell'essere, sia eguale a questa idea, sia anch'esso uno, unico, immutabile, indifferenziato, eterno. Questo è l'ingenuo errore di Emanuele Severino.
Quindi attenzione ai platonici perché sono troppo spirituali. Agostino una volta che ha ammesso nella mente e quindi nella memoria che ricorda, ciò che la mente ha conosciuto, ha capito della verità, se esiste già nel mio spirito tutto questo, come è arrivato nel mio spirito? Non dai sensi, non dall'esperienza, quindi due soluzioni, due risposte: quella di Platone e di Plotino è che noi o meglio la nostra anima è preesistita alla sua nascita nel corpo. Essa è preesistita nel mondo iperuranico, nel cielo sopra il cielo, nel divino. Lì ha visto, ha intuito le idee universali, essenziali di verità e poi se le è portate quando è caduta nel corpo, nel carcere del corpo. Al contatto con le varie esperienze di oggetti particolari corrispondenti a quella idea si svegliano: quindi conoscere è ricordare, dice Platone. C'è già il conosciuto nelle anime e a contatto con l'esperienza, non dall'esperienza, ricavo l'idea. L'esperienza cioè stimola, aiuta l'idea a svegliarsi.
Oppure se non siamo preesistiti - c'è stato un momento in cui S. Agostino ha accarezzato l'idea della preesistenza delle anime - nasciamo anima e corpo insieme ma con le idee innate, già fatte, già ricevute. Questo per S. Tommaso non è vero: l'uomo nasce intelligente, ma l'intelligenza, intellectus, nasce tabula rasa. La nostra intelligenza è fin dal principio tabula rasa, non c'è niente ed è attraverso l'esperienza che di continuo impariamo a fare e che ci nascono le idee. Ci facciamo le idee per il processo cosiddetto di astrazione, un processo in cui l'intelligenza umana è portata istintivamente ad astrarre dai singoli particolari, dai singolari e dalle singolarità dei singolari e a farsi un'idea generica comune di un insieme di singolari. Ad esempio quando ho visto varie volte raggi di luce mi faccio un'idea della luce.
Dopo aver visto tanti colori mi faccio un'idea generale dell'essenza del colore, della verità del colore. L'idea nasce dall'esperienza per processo astrattivo. L'intelligenza umana ha, come dono di Dio, la facoltà e il potere che per astrazione può farsi delle idee generali dove in un'unica idea ho molte conoscenze del pensiero. Se conosco bene che cosa è la luce, conosco tutto della luce. Se conosco bene che cos'è un uomo oppure conosco bene cosa significa brianzolo, mi faccio una loro idea complessiva.
Però osservo in S. Agostino, sia nel capitolo della memoria sia poi nel capitolo sul tempo, praticamente mentre va a avanti a ragionare, a cercare e a tentare di rispondere alle sue domande, di continuo ritorna all'esempio. Di continuo ritorna all'esperienza concreta e quindi si rifà di continuo al particolare. Di nuovo ritorna qui un altro esempio, della donna che aveva perduto la dracma. Ella la cercava con la sua lucerna: se lei non l'avesse ricordata non l'avrebbe trovata. Agostino si rifà di continuo al concreto. Quindi pratica la metodologia aristotelica-tomistica, lui che era platonico. Agostino è molto concreto nelle sue indagini e nelle sue ricerche filosofiche. Così si conclude il suo pensiero sulla memoria: "Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai ed ecco tu eri dentro di me e io fuori di me ti cercavo. E mi gettavo deforme sulle belle forme delle tue creazioni. Eri con me e io non ero con te. Le tue creature mi tenevano lontano da te proprio loro che non esisterebbero se non fossero in te. Tu hai chiamato e gridato, hai spezzato la mia sordità, hai brillato e balenato, hai dissipato la mia cecità, hai sparso la tua fragranza ed io respirai ed ora anelo verso di te. Ho gustato ed ora ho fame e sete, mi hai toccato e io arsi il desiderio della tua pace."
Il tempo
Nel libro XI Agostino parla del tempo. Lo spunto a trattare del tempo è una domanda maligna e ironica che Agostino ha sentito con le proprie orecchie o che gli hanno riferito.
"Che cosa faceva Dio se è vero che Dio ha creato il mondo? Che cosa faceva Dio prima di creare il mondo? Non faceva niente, dormiva, cosa faceva prima di creare il mondo? " Agostino risponde con una prima risposta piuttosto umoristica: "Dicono che Dio prima di creare il mondo stesse fabbricando una specie di geenna per quelli che fanno domande indiscrete."
Più seriamente risponde dicendo che la domanda è mal posta. Chiedendo che cosa faceva Dio prima di creare il mondo si presuppone già il tempo che ancora non c'era perché il tempo è incominciato con il mondo, è cominciato con i movimenti del mondo. Il tempo non è altro che il movimento in quanto misurabile. Si misura il tempo, si misura il mondo, si misurano i movimenti, le modificazioni in quanto variazioni all'interno dello spazio, i movimenti del pensiero. Tutti i movimenti hanno un tempo, cioè un prima un durante e un dopo. Sono lunghi o sono brevi, fanno presto o fanno tardi, oppure sono veloci o lenti. Secondo queste misure calcolo i movimenti che accadono in questo mondo, dentro di me, o che io stesso faccio fuori di me, quando cammino. Il tempo è quindi legato al movimento in quanto misurabile da qualcuno, perché il movimento puro in sé e per sé pone questioni di non facile soluzione.
Agostino dice: "Se nessuno mi domanda che cosa è il tempo so benissimo cos'è il tempo. Ma se uno mi domanda che cosa è realmente il tempo non so più che cosa è. "
Incominciamo a dire che il tempo è la cosa, il fenomeno che si distingue in tre parti e cioè il presente, il passato e il futuro, il prima, il durante e il poi. Ci dev'essere qualcosa che si muove per essere distinto in ciò che è già stato, è passato e non è più, in ciò che in questo momento si sta verificando o muovendo e in ciò che non è ancora incominciato, è futuro, non è ancora ma sarà. S. Agostino ragiona così: Queste tre parti che realtà hanno? Ciò che è passato, i movimenti passati c'erano mentre passavano, ma adesso non sono più. Quindi in fondo il passato non esiste. Il futuro sarà, ma adesso non è ancora: il futuro non esiste. Allora che cosa esiste? Esiste quel nunc transiens, cioè l'attimo dove il movimento continua a muoversi e a passare dal futuro al passato. Ma è un punto, è un attimo che si muove in continuazione. Però è una cosa che continua a passare e dura un istante. Se dura di più è possibile suddividere l'intervallo di tempo in parti più piccole, in attimi, in infinitesimi. Di reale, di vero c'è solo quel punto inesteso - dice - che è l'unica realtà del tempo. Ma allora il tempo dove sta, quale è la sua realtà ?
Agostino si arrovella veramente e dice di non capire. Prega Iddio perché lo illumini - è sempre in dialogo con Dio - e a un certo punto arriva a questa sentenza: "Di qui, da questi ragionamenti mi è sembrato che il tempo non è che un'estensione."
Cioè è qualche cosa che si estende dal futuro al presente e al passato e viceversa. Ma estensione di che cosa? Non lo so - dice - ma sarebbe strano che non fosse un'estensione del mio stesso spirito. Cioè il futuro che deve venire e che non è ancora non ha realtà: c'è già nella mia expectatio, nella mia aspettativa di esso.
Quando arriva e si realizza è nella mia attenzione. Quando invece è passato, è nella mia memoria. Questa è la realtà del tempo, che quindi non può avere realtà. Qui si avverte nuovamente il platonismo in Agostino, che riduce la realtà del tempo ad una realtà spirituale, che esiste solo nello spirito dell'uomo o di Dio o di altri esseri intelligenti. Da tomista avverto una spiritualizzazione eccessiva del tempo.
Se il tempo esiste, in fondo in fondo, solo nel mio spirito e nella mia attenzione mentre si svolge, nella mia memoria quando è passato e nella mia aspettativa quando è futuro, anche qui siamo sulla porta dell'idealismo di Kant e suoi successori, per i quali tempo, spazio, essere, causa, fine e le altre categorie sono unicamente mentali. Questo è un rischio pericoloso a cui ha esposto il platonismo, il neoplatonismo e anche S. Agostino.
Il tempo invece è ad esempio ciò che fa diventare piano piano vecchi. Io sono vecchio: è reale o non è reale questa mia vecchiaia, cui mi hanno portato i molti movimenti che si sono succeduti in me? Essi mi hanno portato a questa vecchiaia, che - diceva Cicerone - ipsa est morbus. La mia vecchiaia è veramente reale: i giovani hanno la loro gioventù, che è un tempo prima, ma è reale anche la loro gioventù, anch'essa appartiene al tempo. Bisogna guardarsene da questo irrealismo, spiritualismo, anche se si trova nel brano bellissimo di S. Agostino.
Poi prosegue dicendo che il tempo non è che un'estensione. Questa parola non mi piace: è un traslato dallo spazio, perché esteso è lo spazio e le cose nello spazio. Prende quindi in prestito un termine dello spazio e lo applica al tempo. Io parlerei meglio di successione, una cosa dopo l'altra, un prima, durante e un poi. Questo è il tempo: una successione e soprattutto una successione che ha una caratteristica terribile, cioè la irreversibilità. Una cosa dopo l'altra, dunque, un anno dopo l'altro, un'età dopo l'altra che non tornano mai indietro, neanche di un millesimo di secondo. Questa fatalità del tempo che va avanti e mai ritorna è una caratteristica del tempo. Su questo punto S. Agostino non è stato completo, o forse non poteva o non voleva essere completo.
Il tempo è questa successione di cose dopo l'altra, movimento, divenire, sviluppo. In questa pluralità di significati ci sono come due facce, si direbbe contraddittorie, perché lo sviluppo e il divenire possono essere in crescendo ma possono essere anche in diminuendo. Oppure entrambe le modalità: può essere in progress oppure in regress, come si dice adesso. E' un diventare via via sempre nuovi, ma insieme con questo sempre vecchi, perché il nuovo nuovo rende il primo nuovo vecchio. Lo caccia dal prima al passato: tutti sanno che ogni giorno in più che si vive è un giorno in meno che si vive. Visto dalla nascita è un giorno di più, ma visto dal termine è un giorno di meno. Questa è la drammatica del tempo, è una acquisizione e nello stesso tempo una perdita. Alle volte certe cose si perdono volentieri, certe altre molto meno. A questo proposito c'è un episodio molto significativo della Montagna incantata di Thomas Mann. In questo racconto straordinario un giovane ingegnere di Amburgo va a trovare in Engandina un cugino malato di tubercolosi. Nel soggiorno scoprono la stessa malattia anche a lui, per cui è costretto a restare per curarsi. In questa località di montagna ha occasione di fare esperienze culturali ed esistenziali di ogni genere. Il medico direttore del sanatorio è un medico materialista: un giorno il giovane ingegnere gli domanda che cosa sia la vita.
Il medico gli risponde - secondo le conoscenze di allora, che non so se siano cambiate oggi - che la vita semplicemente è una ossidazione dell'albumina contenuta nel sangue e quanto più la vita è viva e intensa tanto più essa è ossidazione. Ossidazione vuol dire bruciamento e siccome questo medico parla francese il testo esatto recita "la vie est ossidation" dell'albumina del sangue e tanto più si vive tanto più si brucia l'albumina. Allora il giovane di rimando chiede: "Ma la morte, che cos'è la morte? "
E il medico risponde "ossidation aussi ": anche la morte è ossidazione. Ma allora - dice - è la stessa cosa !
"Oui messieur, la même chose" ribatte il medico. Per il materialista puro vita e morte sono la stessa cosa. Così è il tempo. Se tutta la realtà non fosse che tempo, la vita e la morte non si distinguerebbero, anzi quanto più uno vive intensamente e la vita è più forte del solito, parimenti la morte è più forte. E' strano ma è così. E' il mistero del tempo.
Concludiamo facendo parlare Agostino e le numerose sue preghiere per ottenere chiarezza: "Illuminami Signore, fammi capire, fammi vedere. Insisti ancora anima mia e fissa intensamente il tuo sguardo. Dio è il nostro aiuto. Egli ci ha fatti, non noi. Fa ben attenzione dove albeggia la verità."
Dunque la verità, se fosse vero il materialismo, sarebbe questa che abbiamo visto. Ma siccome grazie a Dio il materialismo è falso e noi non siamo fatti soltanto di tempo, ci sono altre soluzioni. Potrebbe essere che Qualcuno, mentre la nostra vita e noi passano nel passato e quindi nel nulla, scriva nel suo Libro della Vita le cose buone che facciamo, le cose oneste, le cose giuste. Allora ci sarebbe la vittoria sul tempo e quindi sul nulla. La stessa cosa dice anche Agostino: "Ma poiché la tua misericordia - cita da un salmo - è superiore a tutte le vite ecco la mia vita, è pura distensione. Ma la tua destra mi ha preso e sollevato nel mio Signore."
E' pura distensione dunque: distensio in latino, cioè distensione. Si può dire anche dispersione. "Ma la tua destra mi ha preso e sollevato nel mio Signore, il Figlio dell'Uomo, mediatore fra te, l'Uno, e noi, i molti, e in molte cose con molte cose affinché per mezzo di lui possa raggiungere colui che mi ha raggiunto. Seguendo Lui l'Uno possa ricompormi dopo i giorni antichi e, dimentico del passato, mi protenda non verso il futuro che passa, ma verso ciò che sta davanti a me non disteso ma proteso, non con distensione, ma con tensione cercando la palma della mia vocazione celeste, dove possa udire la voce della tua lode e contemplare la tua gioia che né viene né passa. Frattanto trascorrono gli anni fra gemiti, mentre tu mio conforto, mio padre, Signore, sei eterno. Ma io mi sono frantumato nei tempi il cui ordine ignoro e in caotiche molteplicità si dilaniano i miei pensieri, intime viscere dell'anima mia fino al giorno in cui non confluisca in te purificato e liquefatto dal fuoco del tuo amore."
Ci sono poi altre due brevi invocazioni: "Signore Dio mio quale abisso è mai il tuo mistero e quanto mi hanno gettato lontano le conseguenze dei miei peccati: Guarisci i miei occhi e possa godere con te della tua luce." E ancora: "Chi comprende ti confessa e anche chi non ti comprende ti confessa. Quanto sei eccelso! Tuttavia gli umili di cuore sono la tua dimora. Tu infatti sollevi coloro che sono abbattuti e non cadono quanti hanno in te la loro altezza."