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rigamonti ivo: vita di sant'ambrogio

La Porta Ngra a Treviri

La Porta Nigra a Treviri

 

 

VITA DI SANT'AMBROGIO

di Ivo Rigamonti

 

 

 

Sant'Ambrogio nacque a Treviri, una città dei celti Treviri che nel 16 a. C. era diventata una colonia romana. La buona posizione strategica sulle rive della Mosella, la ricchezza del suo entroterra, la facilità delle sue vie commerciali, la mitezza del suo clima, avevano reso Treviri una città di primaria importanza nel mondo occidentale romano. Dapprima sede di prefettura, con Diocleziano nel 294 era diventata una delle quattro capitali dell'impero. In questa città dal glorioso passato [1] nacque dunque Ambrogio. L'anno della sua nascita è incerto: i più lo pongono nell'anno 334 d. C. ma altri autori non escludono un'epoca più tardiva verso il 339-340 d. C. Gli fu posto nome Aurelius Ambrosius, Aurelius cioè dal nome della gens Aurelia cui apparteneva la madre, e Ambrosius, che era anche il nome del padre, un funzionario di alto livello che svolgeva i suoi uffici presso la prefettura della città. Paolino precisa nella sua Vita Ambrosii, la prima biografia in assoluto che si conosca di Ambrogio, che il padre "era a capo della prefettura delle Gallie." [2]

 

La sua famiglia

Ambrogio era il terzogenito, dopo Marcellina e Satiro, di una famiglia della nobile e ricca borghesia romana, che poteva vantare tra i suoi ascendenti vari personaggi illustri per le cariche pubbliche ricoperte durante l'impero. Lo stesso Ambrogio vi fa cenno in una sua opera, la Exorthatio virginitatis, scritta nell'anno 394, dove ricorda la morte della vergine Sotere, una sorella di sua nonna, martire cristiana durante le persecuzioni di Diocleziano, che "ai consolati e alle prefetture dei parenti preferì la fede." [3]

L'origine greca del suo nome (significa immortale), di quelli del fratello Satiro così come dell'ava Sotere, fa intuire che gli avi paterni probabilmente provenivano dalle regioni orientali dell'impero. Queste antiche origini sembrano trovare una conferma proprio in Ambrogio non solo per la sua ottima conoscenza della lingua greca, ma soprattutto per il suo continuo riferirsi in età matura alla cultura e alle opere teologiche e filosofiche del mondo ellenico. La nascita di Ambrogio a Treviri piuttosto che a Roma non fu casuale, ma fu dettata dalla posizione sociale del padre, il cui alto impiego nella burocrazia imperiale lo aveva condotto a prestare i suoi servigi in quella città, dove nel 334, oltre al prefetto delle Gallie, risiedeva anche l'augusto Costantino il Giovane, il maggiore dei figli di Costantino Magno, che aveva ricevuto dal padre il governo dell'occidente romano e cioè la Mauritania, la Spagna, la Gallia e la Britannia.

Oltre agli onori, in quegli anni la famiglia di Ambrogio ebbe modo purtroppo di sperimentare anche gli oneri connessi all'alta carica pubblica paterna: tutto iniziò con la morte nel 337 di Costantino Magno e il sorgere dei primi dissapori e delle contese tra i suoi figli. Dopo alcuni accordi mal rispettati, nella primavera del 340 Costantino il Giovane, lasciata la Gallia, valica le Alpi per marciare contro il fratello Costante, che governava l'Africa, l'Italia e le province danubiane, con lo scopo di imporgli la sua supremazia. Giunto ad Aquileia il giovane augusto fu invece sorpreso in una imboscata tesagli da ufficiali di Costante e venne ucciso. E' assai probabile che la stessa sorte sia toccata anche al padre di Ambrogio che accompagnava l'augusto o forse la morte lo colse nella epurazione degli alti funzionari che seguì la vittoria di Costante. Fatto sta che la famiglia di Ambrogio dovette ritornarsene a Roma. In questa città Ambrogio trascorse tutto il periodo della sua giovinezza dal 340 circa fino al 365 [4], frequentando i vari gradi della scuola imperiale. La posizione altolocata della sua famiglia gli permise certamente di disporre di un pedagogo personale, evitando così le brutture del ludus letterarius, tale era il nome delle scuole elementari, di cui ci ha lasciato un pessimo ricordo sant'Agostino [5].

Nel IV secolo era alquanto caduta in disuso la consuetudine romana di studiare particolarmente la lingua e la cultura greca. Ce lo confermano Agostino per l'Africa [6] e Gerolamo, che pure studiò a Roma dal 359 al 367 e che il greco dovette impararselo più tardi da solo. Negli ambienti aristocratici invece si coltivavano ancora gli studi greci ed Ambrogio poté attingervi a piene mani, conseguendo una buona conoscenza sia della lingua che della letteratura greca. Omero e Virgilio erano i testi poetici preferiti durante questi studi. Non sappiamo quali furono i suoi maestri, perché Ambrogio non ne parlò mai: i più famosi di Roma in quegli anni erano Donato e Mario Vittorino, un pagano quest'ultimo intimo amico di Simpliciano, che in tarda età si convertì al cristianesimo suscitando un grande clamore nella città eterna. [7]

Sono molteplici le opere di Ambrogio dove traspare l'eco degli studi giovanili e dove è possibile rintracciare le sue buone conoscenze di Virgilio, Cicerone, Sallustio, Seneca, Omero, Platone, Senofonte e Filone, che potrebbero rivelare l'influenza degli insegnamenti di Mario Vittorino, che tra l'altro tradusse in latino le opere dei neoplatonici. Accanto a questi studi classici Ambrogio ebbe probabilmente anche l'occasione di conoscere ed approfondire i principi del cristianesimo, che aveva potuto conoscere in ambito familiare. Già si è detto dell'ava Sotere, ma anche altri episodi della vita della sorella Marcellina, di una decina d'anni più anziana, rivelano quanto fosse permeato di cristianesimo l'ambiente religioso in cui visse il giovane Ambrogio.

Paolino racconta che Ambrogio, quando ebbe conclusi gli studi, lasciò Roma per recarsi a Sirmio dove poter esercitare l'avvocatura presso la prefettura del pretorio. Ambrogio si trattenne a Sirmio probabilmente per circa cinque anni dal 365 al 370. Sirmio era allora una grande città di grande importanza politica e militare. Ubicata sulle rive della Sava poco distante dalla sua confluenza con il Danubio, era la città principale dell'Illirico, dove confluivano e si incrociavano importanti strade che verso ovest la congiungevano a Milano e a Roma passando per Aquileia, mentre verso oriente era collegata a Tessalonica e a Costantinopoli. [8]

Ambrogio e Satiro svolsero efficacemente la loro attività forense tanto che nel 367 furono segnalati al nuovo prefetto Probo, che li promosse da avvocati del tribunale (auditorium) ad assessori del consiglio del prefetto.

Verso il 370 i due fratelli lasciarono Sirmio. Satiro probabilmente per motivi d'affari intraprese lunghi viaggi non sappiamo dove, mentre Ambrogio se ne andò a Milano, eletto governatore, cioè consularis, della provincia italiana più importante, la Liguria et Aemilia. [9] Ambrogio doveva amministrare questo vasto territorio, alle dipendenze del vicario d'Italia e del prefetto che risiedevano entrambi a Milano. Il suo compito di mantenere l'ordine pubblico non doveva essere facile, sia per la situazione politica generale sia per le continue turbolenze religiose soprattutto tra ariani e cattolici. A Milano era ancora vivo il ricordo del concilio che vi si era riunito nella primavera del 355 su intimazione dell'imperatore Costanzo II che aveva preteso l'esilio del vescovo cattolico Dionigi sostituendolo con l'ariano Aussenzio. Invano un concilio riunito a Parigi da Ilario di Poitiers nel 360 aveva condannato Aussenzio come usurpatore, così come pure vane erano state le condanne pronunciate contro di lui in alcuni concili romani. Aussenzio poteva infatti contare sull'appoggio della corte e dell'imperatore Valentiniano I.

Quando Ambrogio arrivò a Milano, questa città offriva un superbo spettacolo di forza e di ricchezza: allora come oggi era il cuore economico e civile della pianura padana. Le recenti costruzioni delle imponenti mura, del foro, delle terme, del teatro e dei palazzi pubblici rendevano la città architettonicamente e urbanisticamente imponente. Una miriade di abitazioni e botteghe esprimevano la feconda vitalità dei milanesi, la cui principale occupazione era rivolta agli scambi commerciali. Un ben articolato sistema stradale che si irradiava da Milano verso i valichi alpini e le aree lacustri rendeva la città snodo commerciale e politico di primaria importanza e di fatto nella seconda metà del quarto secolo divenne residenza imperiale. Ambrogio giungeva a Milano da uomo maturo, preparato alla sua nuova attività pubblica. Racconta Paolino che Probo, avendo conosciuto a e apprezzato le sue qualità, congedandolo, gli abbia detto: "Va' e fa' di essere piuttosto un vescovo che un giudice." Durante i pochi anni in cui poté esercitare il suo incarico di consolare riuscì a far apprezzare le sue doti singolari di rettitudine e di onestà, poiché ritenne suo compito difendere i deboli e gli oppressi contro la violenza, mettere cioè la forza al servizio del bene.

 

La elezione a vescovo

Quando nel mese di ottobre dell'anno 374 Aussenzio morì, la gente di Milano si ricordò con simpatia di quel suo governatore capace di dare serenità e sicurezza anche nei frangenti difficili. E certamente difficile si presentava la questione della elezione del nuovo vescovo poiché le rivalità tra ariani e cattolici creava continue tensioni. Questa conflittualità esasperava gli animi della gente, a cui spettava il diritto di esprimere un proprio parere. Il partito degli ariani si era subito attivato per assicurare alla sede di Milano uno dei loro, ma anche i vescovi cattolici si erano raccolti in città, senza riuscire a mettersi d'accordo. Non c'era un candidato che accontentasse o piacesse alla maggioranza del popolo e la folla, istigata e sobillata, minacciava di provocare incidenti e disordini. Come era suo obbligo in simili circostante Ambrogio, quale governatore, decise di intervenire per persuadere i contendenti alla ragione. Ma quando alle porte della basilica comparve il governatore col suo seguito, narra Paolino che gli schiamazzi e le grida cessarono e vi fu una pausa di riverente silenzio. Quel governatore quarantenne, di piccola statura, dal viso allungato, con la barba fine e nera che faceva risaltare i grandi e suggestivi occhi, rivelava una grande forza d'animo. La sua calma, la sua pacatezza se da una lato rivelavano l'aristocratico romano, dall'altro esprimevano il suo pragmatismo, l'arte e la capacità di comandare. Nel tumulto di quell'assemblea contrapposta in due fazioni, Ambrogio parlò a lungo per convincere tutti a un accordo, ma d'improvviso, narra Rufino di Aquileia, tutta quella gente ritrovò la concordia e si mise a urlare che doveva essere lui, Ambrogio, il loro vescovo. Secondo Paolino sarebbe stato un bambino a scatenare la folla gridando: "Ambrogio vescovo! "

 L'atrio di Ansperto nella basilica di sant'Ambrogio a Milano

Atrio di Ansperto nella Basilica di S. Ambrogio

La scelta era quantomeno inusuale poiché le norme vietavano l'elezione a vescovo di un laico, per di più non ancora battezzato. Ma la gravità della situazione deve avere convinto tutti a rinunciare a regole decise nei concili pur di raggiungere un accordo. Forse l'unico a non essere d'accordo era proprio Ambrogio, che per parte sua cercò con ogni mezzo di opporsi e di rifiutare quella nomina. Narra Paolino che, in contrasto alla natura della sua indole, provò a farsi vedere crudele usando in quei giorni per la prima volta la tortura nelle cause criminali. Cercò di gettare discredito sulla serietà della sua vita ricevendo in casa sua donne di malaffare ma poiché tutto era vano, tentò anche di fuggire due volte, ma senza esito positivo. Tutti gli episodi raccontati da Paolino, che li introduce per giustificare la ineluttabilità divina di quella consacrazione, forse in realtà dicono che Ambrogio, da buon funzionario dell'imperatore Valentiniano I, non intendeva assumere un nuovo incarico senza autorizzazione. Con la pace costantiniana del 313 in effetti i vescovi erano stati di fatto integrati nel sistema imperiale e in modo particolare i vescovi furono incaricati di distribuire i sussidi che lo Stato destinava ai poveri. Ma la concessione maggiore era stata fatta accordando loro una giurisdizione civile pubblicamente riconosciuta: non solo i cristiani ma anche i pagani potevano ricorrere al tribunale del vescovo che esercitava un vero e proprio potere giudiziario. Per questo nuovo incarico Ambrogio voleva certamente il placet dell'imperatore, che rispose positivamente dicendosi ben lieto che i milanesi avessero scelto come vescovo chi egli aveva prima mandato loro come governatore.

Ambrogio fu preparato al battesimo da Simpliciano, presbitero della Chiesa milanese, che aveva già conosciuto a Roma. Ricevette il battesimo domenica 30 novembre del 374 e solo una settimana dopo, domenica 7 dicembre, Ambrogio fu ordinato vescovo. A vent'anni di distanza da quegli episodi memorabili, in una lettera ai cristiani di Vercelli, Ambrogio ricorderà le preoccupazioni di quei momenti: "Quanto ho resistito perché non fossi fatto vescovo! "

L'elezione a vescovo permise ad Ambrogio di ricomporre a Milano la sua famiglia: in questa città convennero infatti sia la sorella Marcellina che il fratello Satiro, che dal 370 si era separato da Ambrogio, forse per la necessità di amministrare i beni di famiglia. Durante uno dei suoi viaggi fece naufragio e riuscì a salvarsi miracolosamente, come raccontano le cronache, grazie alla sua fede cristiana [10].

Dopo l'elezione episcopale di Ambrogio, sembra che Satiro abbia rinunciato definitivamente alla sua carriera di amministratore e di finanziere per andare a Milano ad aiutare il fratello a gestire materialmente le risorse della diocesi. Ambrogio infatti non aveva più risorse proprie poiché, appena eletto vescovo, anticipando un gesto che sarà fatto proprio anche di san Francesco, aveva donato alla Chiesa milanese e ai poveri tutti i beni che possedeva. Come osserva il biografo Paolino, Ambrogio rinunciò ai suoi beni, che tra l'altro erano ingenti, "per seguire nudo e libero Cristo Signore" come avevano fatto gli apostoli.

L'assoluta generosità del vescovo, cui forse non era estraneo Satiro, si manifestò anche nel 378, quando popolazioni barbare invasero l'impero, portando il terrore e facendo migliaia e migliaia di prigionieri. Ambrogio cercò di salvare il salvabile e sollecitò una raccolta di denaro per riscattare i prigionieri. Arrivò a dare l'ordine di rompere i calici d'oro e d'argento delle sue chiese, per farne verghe di metallo prezioso utile per pagare i barbari. C'è una pagina meravigliosa del De officiis (2, 136 ss) dove il vescovo si difende dalle assurde accuse ariane che avevano disapprovato le sue decisioni: "Chi è tanto malvagio da non rallegrarsi se un uomo viene scampato dalla morte? Se la Chiesa ha dell'oro, non è per custodirlo, ma per donarlo a chi è nel bisogno. Se non l'avessi dato, il Signore mi potrebbe dire: Come hai permesso che tanti poveri morissero di fame? Come hai permesso che tanti prigionieri fossero uccisi? Meglio conservare i calici vivi delle anime, che quelli di metallo."

Chissà se Scindler aveva letto queste parole quando decise anch'egli di dar fondo al suo patrimonio per salvare la vita a quanti più ebrei poteva in frangenti altrettanto drammatici. Purtroppo Ambrogio non poté contare a lungo sull'aiuto del fratello. Sempre per motivi amministrativi Satiro fu infatti costretto ad un viaggio in Africa per tutelare gli interessi di famiglia, ma questo viaggio gli fu fatale [11].

Un commovente discorso che Ambrogio tenne nella chiesa dinanzi alla salma di suo fratello nel febbraio del 378 ricorda con mestizia i particolari di quel viaggio. Le sue lacrime si univano a quelle dei milanesi che avevano ammirato le virtù cristiane e la carità di Satiro. Nel saluto finale emerge prepotentemente la grandezza di Ambrogio pastore, che supplica Iddio di accogliere il sacrificio della morte di Satiro come una primizia del sacrificio della sua vita sacerdotale. Satiro fu sepolto accanto alla tomba del martire san Vittore nella basilica Porziana e Ambrogio ne dettò un'epigrafe.

 

Vescovo a tempo pieno

Ambrogio in gioventù probabilmente ricevette un'educazione cristiana, che gli fece conoscere le principali verità di fede, tuttavia la sua educazione rivolta principalmente a prepararsi alla carriera nell'amministrazione pubblica non deve avergli permesso un particolare approfondimento delle questioni teologiche. I suoi molteplici interessi gli avevano comunque assicurato una vasta cultura, specialmente in campo letterario e filosofico, il che gli fu molto utile nei primi tempi del suo episcopato, quando dovette formarsi una cultura teologica. La sua conoscenza della lingua greca gli permise di leggere direttamente le opere di Filone, Origene, Basilio di Cesarea, Didimo. Simpliciano, un sacerdote della Chiesa milanese fu probabilmente suo maestro sapiente e discreto nell'apprendimento delle verità cristiane, di cui sentiva l'urgente necessità di divulgazione fra il popolo. Cercò di trasmettere questa sua preoccupazione anche ai nuovi vescovi: a Vigilio eletto vescovo di Trento, Ambrogio dirà più tardi come ammonimento: "Prima di ogni altra cosa cerca di conoscere la Chiesa di Dio che ti è stata affidata." (Epist. 19, 2) proprio come lui stesso aveva fatto con l'intenzione di conoscere la sua Chiesa nella tradizione dei suoi vescovi, dei suoi martiri e delle necessità dei fedeli.

Malfermo di salute e con la voce piuttosto debole (Cfr. De sacramentis 1, 6, 24), non cessava tuttavia di parlare al suo popolo. All'anno 375 risalgono le sue prime predicazioni al clero (De officiis 1, 1-22), alle vergini e alle vedove. I primi trattati esegetici vedono la luce nel 377. La sua predicazione si rivolgeva non solo ai pagani ed agli ariani, ma anche ai cristiani deboli, che egli esortava a correggersi. Non disdegnava toni severi e senza paura nei confronti di ricchi, ufficiali, signori di grandi famiglie. Alta si levava la sua condanna per la sfrenata manìa delle corse del circo e degli spettacoli mortali dell'anfiteatro. In quest'opera di rinnovamento morale sant'Ambrogio fu molto attivo, energico ed anche versatile. In un famoso episodio raccontato dai suoi biografi si narra che in città un creditore usuraio non permetteva il seppellimento di un suo debitore, fino a quando non avesse pagato il debito. Ambrogio giudice in quella vertenza, ordinò di portare il cadavere in casa dell'usuraio, che, confuso, dovette supplicare il Vescovo di risparmiargli quella vergogna. Ma il Vescovo fu irremovibile e l'usuraio fu costretto a trasportare quel morto alla sepoltura (De Tobia 10, 36). Questa sua franchezza lo accompagnerà sempre e sarà ancora più esaltante dinanzi ai potenti del mondo. Ma Ambrogio si sentiva anche padre e se grande era la sua severità contro il male, infinitamente più grande era la sua generosità per i poveri, per i peccatori, per quanti avevano bisogno di incoraggiamento, di consiglio, di consolazione.

A questo proposito celebre è l'episodio di un tal Marcello, vescovo, che aveva donato i suoi beni ad una sorella vedova e sola, a condizione che questa, morendo, li lasciasse alla Chiesa. Ma Leto, un loro fratello, impugnò la validità della donazione. Siccome il processo civile non riusciva a risolvere il contenzioso, i litiganti decisero di appellarsi ad Ambrogio, che grazie alla sua esperienza nei processi riuscì ad accontentare tutti. Decise infatti di assegnare i beni di Marcello a Leto, con l'obbligo di garantire una rendita annuale alla sorella vedova. Nell'Epist. 82 Ambrogio, che capiva bene che l'unica parte che rinunciava a qualcosa era la Chiesa, giustificò la sua decisione con parole celebri: "La Chiesa non perde, se guadagna la carità. E la carità non è mai una perdita, ma la conquista più vera di Cristo. Volevate darle alla Chiesa i vostri beni materiali: ma già le avete dato di meglio: la vostra scienza, la vostra vita, le vostre opere buone."

Quando verso il 376 morì Germinio il vescovo ariano di Sirmio, la capitale dei paesi danubiani, Ambrogio non esitò a intraprendere un viaggio di oltre 900 Km per difendere l'interesse dei fedeli cattolici e dirigere l'elezione contro i voleri degli ariani che erano protetti dall'imperatrice Giustina che risiedeva in città. Fu eletto Anemio, un cattolico, ma gli ariani inscenarono una rivolta contro Ambrogio.

Paolino racconta che mentre il vescovo milanese procedeva alla consacrazione di Anemio, una delle vergini ariane salì all'altare e afferrò il mantello di Ambrogio per trascinarlo giù. Ambrogio difendendosi la minacciò: "Io sono indegno di essere pontefice, ma non è decoroso per te, per la tua professione di verginità, osare mettere la mano su un sacerdote. Guarda che non ti punisca Iddio ! "

Secondo il racconto questa ammonizione divenne realtà poiché quella vergine morì poco dopo e fu seppellita da Ambrogio stesso. Probabilmente a settembre 378 Ambrogio riuscì a incontrasi con il giovane imperatore Graziano e tra i due nasce una reciproca stima. Alla richiesta di Graziano che chiede ad Ambrogio di scrivergli una esposizione della dottrina cattolica quale era stata definita nel concilio di Nicea, Ambrogio risponde inviando a Graziano i primi due libri De fide. Nell'autunno del 378, a causa della disfatta romana sul Danubio, arrivarono a Milano dai Balcani, invasi dai Goti, molti profughi ariani, e con loro anche l'imperatrice madre Giustina. Nel gennaio 379 Graziano nomina imperatore per l'Oriente Teodosio, un valoroso suo generale, nativo della Spagna.

Sempre relativa a questi mesi è la lettera che Graziano scrive ad Ambrogio chiedendogli una esposizione della dottrina ortodossa sullo Spirito Santo. Nell'estate del 379 l'imperatore Graziano, tornando dai paesi balcanici in Occidente, passa da Milano, dove si trattiene alcune settimane. A Milano poi il 3 agosto Graziano pubblica una legge, suggerita forse da Ambrogio, che ordina la cessazione di ogni eresia. Parallelamente Teodosio con l'editto dato a Tessalonica il 28 febbraio 380 invita i suoi sudditi a professare la religione data dall'apostolo Pietro ai Romani, rendendo il cristianesimo religione di Stato. Il pugno di ferro contro l'eresia era dettato a Teodosio da ragioni politiche, cioè impedire le contese religiose che minavano la coesione dello Stato. Quando nella primavera del 381 Graziano ritorna a Milano, riceve dalle mani di Ambrogio i tre libri sullo Spirito Santo, che il vescovo ha composto per lui. Poi sant'Ambrogio fa convocare da Graziano l'importante concilio di Aquileia, dove il 3 settembre 381 sono processati e deposti gli ultimi vescovi ariani dell'Illiria. La lettera conciliare, stesa probabilmente da Ambrogio, chiede a Graziano che dia esecuzione alle decisioni del concilio, che prevedevano una Chiesa libera da ogni ingerenza dello Stato, al quale essa è superiore Resta tuttavia un dovere dello Stato e anche suo interesse, dare alla Chiesa quell'aiuto materiale che essa gli chiede.

Nell'estate 382 Ambrogio partecipa al concilio di Roma. In questa occasione o forse durante un altro viaggio romano del 377 Ambrogio compì, secondo quanto racconta Paolino, anche un miracolo a una donna paralitica che, dopo aver toccato le vesti di Ambrogio, mentre celebrava l'Eucarestia in casa d'una matrona in Trastevere, fu all'istante guarita (Paolino, Vita Ambrosii, 9). La fama di Ambrogio superò ben presto i confini della sua diocesi, tanto che in questi anni (380-381) il quarantenne Gerolamo a Costantinopoli redigendo la continuazione della Cronica di Eusebio, segna per l'anno decimo di Valentiniano, cioè per il 374, l'elezione di Ambrogio e annota che con Ambrogio tutta l'Italia viene convertita alla vera fede.

 

La lotta al paganesimo

Nell'estate del 382 Ambrogio partecipa a Roma al concilio convocato da papa Damaso e finisce per convincersi della necessità di chiedere l'abolizione del paganesimo ufficiale, la religione dell'antica Roma che ancora aveva un suo seguito. Proprio a Roma, nella città più devotamente pagana, qualcosa stava cambiando, per merito soprattutto dei monaci orientali che cercavano di introdurre una vita di comunità. Nella casa patrizia di Marcella sull'Aventino ad esempio si raccoglieva un gruppo eletto di vergini e di matrone per dedicarsi ad una vita di perfezione, tra le quali troviamo Marcellina sorella di Ambrogio. Per quel concilio del 382 era tornato a Roma anche il monaco Gerolamo che più di altri incarnava il fervore dello spirito ascetico tra la nobiltà romana.

Tuttavia nel Senato si bruciava regolarmente incenso sull'altare alla statua della dea Vittoria mentre lo Stato continuava a stipendiare i sacerdoti pagani e di riflesso la mentalità pagana. Forse su suggerimento di Ambrogio nell'autunno del 382 Graziano, comandò che si togliesse dal Senato l'altare della Vittoria e abolì le esenzioni fiscali dei collegi dei sacerdoti pagani, confiscandone le rendite. La reazione pagana non si fece attendere. Nel 384 il conte Bautone, tutore di Valentiniano II, cercò di accordare nuovi favori ai pagani tanto che i senatori di Roma mandarono una delegazione alla corte di Milano per ottenere l'abolizione dei decreti di Graziano. Mentre due anni prima Ambrogio era riuscito a convincere Graziano a non accogliere una simile petizione, questa seconda volta il vescovo non può intervenire. Così nell'autunno del 384, nel concistoro imperiale, Simmaco lesse la sua relazione in difesa della religione pagana, attribuendo alle abolizioni di Graziano le disgrazie avvenute poi e le carestie. Appena il vescovo viene a sapere qualcosa, scrive a Valentiniano una lettera ordinandogli di respingere la richiesta. Ambrogio esige che la corte imperiale lo consulti, vuole una copia della relazione di Simmaco per poterla criticare e confutare, minaccia l'imperatore che, se non l'ascolta, egli - il vescovo - dovrà resistergli e dovrà impedirgli l'ingresso in chiesa.

Quinto Aurelio Simmaco, paladino dei diritti dei pagani, era stato compagno di studi di Ambrogio a Roma e le loro famiglie con forti vincoli di parentela, facevano parte entrambe della gente Aurelia. Simmaco ed Ambrogio simbolicamente sono i due paladini di alto profilo che si fronteggiano per i pagani e per i cristiani. Nella sua Epistola 18 a Valentiniano, così controbatte il vescovo: "Se furono le divinità pagane a rendere vittoriosa Roma, perché gli stessi Dei hanno permesso ad Annibale di arrivare vincitore sotto le mura romane ? Certo Graziano ebbe una morte compassionevole. Ma il merito non si misura dal successo. E se ci fu carestia per castigo degli dei, perché l'anno successivo si ebbero abbondanti raccolti ? Non dovevano essere ancora malcontenti gli dei ? ... Roma antica non era cristiana, è vero, ed ora noi vogliamo che lo diventi, cioè ci si accusa di novità. Ma allora rimproverate la luce del giorno che fa cessare la notte. Non è mai tropo tardi per imparare, per lasciare l'errore, per accogliere la verità."

I decreti di Graziano non furono aboliti. Il gruppo dei senatori pagani rinnoverà ancora per parecchi anni altre cinque volte la sua petizione a Valentiniano, Teodosio ed Eugenio. Ma senza esito positivo.

 

L'arianesimo

La crescente popolarità di Ambrogio e la sua capacità di parlare al popolo era vista con sospetto negli ambienti del palazzo imperale milanese, poiché si temeva la presenza di un centro forte di potere quale era allora la Chiesa milanese. Si era riconoscenti certo al vescovo d'aver preso le difese della vedova e dell'orfano, ma l'imperatrice Giustina non voleva che Ambrogio diventasse un ingombrante tutore di Valentiniano. Dopo il fallimento della reazione pagana, che si era conclusa sostanzialmente a favore di Ambrogio, Giustina cercò di mettere nuovamente in crisi l'egemonia ambrosiana con l'aiuto dei cortigiani e degli ufficiali goti. Il pretesto fu un motivo religioso, che però poteva generare una crisi acuta politica e sociale nella città di Milano. Giustina colse l'occasione della presenza a corte di un vescovo ariano della Mesia, Mercurino Aussenzio, che Teodosio nel 383 aveva deposto dalla sua sede vescovile, per risollevare la questione ariana, di cui lei stessa era seguace e che per anni aveva dilaniato la chiesa milanese. Adducendo il pretesto della libertà di culto, l'imperatrice madre nei primi mesi dell'anno 385 aveva esplicitamente richiesto ad Ambrogio la cessione di una basilica per garantire agli ariani un luogo di culto. Al rifiuto di Ambrogio segue la sua convocazione al palazzo imperiale. I fedeli per dar man forte al vescovo si affollano alle porte del palazzo, tanto che i soldati di guardia sono incapaci di calmare la folla. Per evitare un'aperta rivolta, la corte deve cedere e pregare il vescovo di sedare il tumulto. Ma Giustina non si dà per vinta e dopo qualche mese nel 386 pubblica una legge che permette la libertà di culto a quelli che professano la fede ariana e minaccia la pena di morte a vorranno opporvisi. La posizione di Giustina provoca contrasti nella corte stessa, tanto che un funzionario della cancelleria imperiale, Benevolo, rifiutò di cooperare, respinse ogni promessa di promozione e si dimise.

Nonostante questa prova di forza Ambrogio confermò il suo rifiuto. Anzi, per dare maggiore peso alla sua iniziativa convoca a Milano i vescovi della sua metropoli per ottenere la loro approvazione. Rifiutando qualunque discussione con Aussenzio, si dichiara pronto al martirio In una accalorata lettera all'imperatore (Epistola 21) dichiara che non può ubbidire ai suoi ordini nè si presenterà a palazzo a discutere con uno che egli non sa neppure se sia vescovo e donde venga. L'occasione lo porta ad affermare che nelle questioni di fede sono i vescovi che devono giudicare gli imperatori e non viceversa. Con tono più duro infine conclude che non accetta il suggerimento imperiale di lasciare Milano, per consentire agli altri di decidere, perché sono gli altri vescovi a imporgli di non lasciare la sua Chiesa, in quanto ciò significherebbe consegnarla agli eretici. A conferma della sua decisione si barrica nella basilica Porziana coi fedeli. Giustina invia le milizie imperiali ad assediare la basilica e gli edifici annessi, convinta che dopo qualche giorno i fedeli, stanchi, lasceranno volontariamente la chiesa.

Invece l'assedio dura più del previsto per varie settimane. Ambrogio sostiene il popolo con la sua celebre eloquenza, introduce nelle assemblee il canto antifonato dei salmi, compone egli stesso inni cristiani facili da cantare con lo scopo di rendere vigile la presenza dei fedeli. In uno di questi giorni pronuncia il famoso discorso Contro Aussenzio: "Non temete! Io non vi abbandonerò, non abbandonerò la Chiesa. Certo alla violenza io non posso rispondere con la violenza. Potrò lamentarmi, piangere, gemere: perché contro le armi, contro i soldati, contro i barbari, le mie armi sono le mie lacrime. Queste sono le sole armi degne di un vescovo ... il sanguinario Aussenzio pretende la mia basilica. Ma io non posso tradire l'eredità di Cristo, l'eredità dei miei padri, dei miei predecessori nell'episcopato ... Noi diamo a Cesare quello che è di Cesare. Ma la Chiesa è di Dio, non di Cesare. Con questo nessuno ci accusi di mancare di riverenza all'imperatore. Infatti nessun onore è più grande di questo: che l'imperatore possa dirsi figlio della Chiesa. Perché l'imperatore fa parte lui pure della Chiesa, è nella Chiesa, non sopra la Chiesa ..." (Contra Aux. 1-2, 35-36)

Dopo lunghe ed estenuanti scaramucce verbali durante la settimana santa di Pasqua la situazione sembra precipitare: proprio mentre la domenica delle Palme 29 marzo 386 Ambrogio si trovava nel battistero della grande Basilica Nuova a spiegare il simbolo della fede ai catecumeni (fra cui anche sant'Agostino) che il sabato seguente avrebbero dovuto ricevere il battesimo, alcuni fedeli lo avvisano che gli agenti imperiali stavano sequestrando la basilica Porziana. L'assemblea subito si agita e si muove verso la Porziana, mentre Ambrogio durante la Messa piange e prega Iddio perché non venga sparso sangue. Nei disordini che seguono Ambrogio si trova costretto a mandare suoi diaconi e presbiteri a liberare dalla violenza del popolo un certo prete ariano, Castulo, che la gente aveva fermato per strada come capro espiatorio. Giustina cerca di spezzare la solidarietà attorno ad Ambrogio colpendo duramente i commercianti con tasse e multe, qualcuno viene anche imprigionato. Ma la città cattolica non si arrende e ostinatamente segue il suo vescovo contro l'imperatrice. Finalmente la contesa trova uno sbocco onorevole il mercoledì santo: mentre Ambrogio sta celebrando nella Porziana, si presentano alla porta alcuni soldati a frotte e le donne, temendo il peggio, si mettono a gridare. Ma poi diventa chiaro che quei soldati erano venuti a pregare, perché non volevano restare senza la Comunione come aveva minacciato loro il vescovo. La fraternizzazione dei soldati goti con i fedeli mise in scacco la corte che non fu più in grado di sostenere la contesa. L'assedio fu tolto e ai commercianti vennero annullate le multe. Era il giovedì santo, 2 aprile, il giorno in cui nella Chiesa ambrosiana si assolvevano i pubblici penitenti. Ambrogio e con lui la chiesa milanese avevano vinto ancora contro le forze del potere terreno.

In questo stesso periodo Ambrogio fu al centro di un episodio che vide la scoperta delle spoglie di due santi martiri. Il culto sulle tombe dei martiri, che pure c'erano stati anche a Milano durante le persecuzioni del II e III sec. era tanto vivo, che sant'Ambrogio dovette intervenire a regolarlo. Fu forse in seguito al riordino delle aree cimiteriali che divenne possibile l'individuazione delle spoglie di alcuni martiri. Precisamente il 17 giugno 386 il vescovo scoprì nel sottosuolo della piccola basilica dei santi Nabore e Felice i corpi dei due martiri Protaso e Gervaso. Sant'Agostino, san Gaudenzio di Brescia, san Paolino di Nola e Paolino suo biografo dicono che Ambrogio prima della scoperta ebbe una specie rivelazione. Da una lettera scritta alla sorella Marcellina (Epist. 22) sembrerebbe che ci sia stato solo un presentimento. Il giorno seguente le sacre spoglie furono deposte provvisoriamente nella basilica di Fausta e il venerdì traslate solennemente nella basilica Ambrosiana. Narra Paolino un celebre episodio, ricordato anche da sant'Agostino, che si verificò durante il percorso e che interessò un uomo, cieco da molti anni, il quale al contatto delle ossa dei santi riacquistò la vista.

L'entusiasmo popolare di quei giorni è descritto da Ambrogio stesso in una lettera alla sorella Marcellina, dove riporta anche i discorsi tenuti ai fedeli per ringraziare il Signore di tali scoperta. Anche a Bologna, qualche anno dopo sant'Ambrogio scoprirà reliquie di martiri. La passione del vescovo di Milano per queste ricerche, come l'interesse del vescovo di Roma Damaso, per le catacombe, avevano una stessa origine ed era la preoccupazione dei cristiani di recuperare le loro memorie. Era in fondo lo stesso desiderio che aveva spinto sant'Elena a scavare ostinatamente per riportare alla luce la croce santa su cui era morto Gesù. Finite le persecuzioni, il cristianesimo rischiava di perdere il vigore dei tempi delle origini e soprattutto troppi erano i nuovi cristiani che si erano avvicinati a questa religione per motivi di opportunità. Le ossa dei martiri, come la croce di Cristo, dovevano far loro ricordare che il cristianesimo è un sacrificio quotidiano per realizzare il bene e non una moda transitoria.

 

La morte

Alle prime luci dell'alba del 4 aprile 397 Ambrogio ricevette l'Eucarestia da Onorato vescovo di Vercelli. Iniziò così la sua brevissima agonia. "Quando passò da noi al Signore - racconta Paolino - circa dall'ora undecima fino al momento in cui rese lo spirito vitale, pregò con le mani aperte a mo' di croce: noi vedevamo muoversi le sue labbra, ma non ne udivamo la voce. Onorato, vescovo della chiesa di Vercelli, mentre riposava al piano superiore della casa, per tre volte udì la voce di uno che lo chiamava e gli diceva: «Alzati, presto, perchè sta per morire.» Disceso, porse al santo il corpo del Signore. Appena lo prese e lo deglutì, rese lo spirito, portando con sè il buon viatico. Così la sua anima, rinvigorita dalla virtù di quel cibo, gode ora della compagnia degli angeli, il cui esempio egli visse in terra, e della compagnia di Elia. Infatti, come Elia, anche Ambrogio non ebbe timore di parlare a re e potenti secondo lo spirito di Dio."

Il racconto di Paolino si sofferma poi con devota ammirazione a descrivere le pietose esequie tributate al suo vescovo dal popolo milanese, che sempre lo aveva ammirato ed amato come santo, per la dolcezza della sua parola, per la forza del suo pensiero, per i prodigi che accompagnarono la scoperta e la sepoltura dei martiri nella basilica che fece costruire e che da lui ha preso nome. Molti sono i prodigi che coinvolgono la sua persona anche in questo momento. "Nell'ora del mattino in cui morì - scrive ancora Paolino - la sua salma fu portata dalla casa alla chiesa maggiore e lì rimase la notte in cui celebrammo la vigilia di Pasqua. In quella occasione molti bambini che erano stati battezzati, venendo via dalla fonte battesimale, lo videro: alcuni dissero di averlo visto sedere sulla cattedra, altri col dito lo mostrarono ai loro genitori mentre passeggiava. Ma gli adulti non lo potevano scorgere, perché non avevano gli occhi purificati. Molti poi raccontavano di vedere una stella sopra il suo corpo. Quando risplendette il giorno del Signore, mentre il suo copro, terminate le funzioni, veniva sollevato per essere portato dalla chiesa alla basilica ambrosiana, dove fu sepolto, una turba di demoni gridava così forte di essere tormentata da lui, che il loro gridare non poteva essere sopportato. Questa grazia operata dal vescovo dura a tutt'oggi non solo in quel luogo ma anche in molti altri." Confidando nella sua intercessione il popolo "gettava fazzoletti e cinture per poter toccare in qualche modo la salma del santo. C'era infatti al funerale una folla immensa di ogni condizione, sesso ed età: non solo cristiani, ma anche giudei e pagani: andava innanzi per maggiore dignità la schiera dei battezzati."

Una città intera si raccolse dunque attorno ad Ambrogio: non fu un gesto dettato da un'emozione momentanea ma dalla profonda convinzione che Ambrogio dal cielo avrebbe ancora continuato il suo impegno di vescovo "pater pauperum et defensor civitatis."

I devoti pellegrini che non hanno mai smesso di frequentare con la preghiera la sua tomba sono la vivente testimonianza della commossa partecipazione popolare nei secoli alla condivisione dell'avventura umana di Ambrogio.

 

Conclusioni

La storia del nostro tempo è anche la storia dei tempi di Ambrogio: come nel IV secolo, anche il nostro secolo è un periodo di cambiamenti profondi e di una radicale decadenza morale. Un richiamo e una rilettura attualissima della sua figura sono proposti ai cristiani di oggi da papa Giovanni Paolo II nella sua Lettera Apostolica Operosam diem, inviata alla Chiesa milanese in occasione del XVI centenario della morte di Ambrogio: "E' proprio dei Santi - afferma il pontefice - restare misteriosamente contemporanei di ogni generazione: ciò è la conseguenza del loro radicarsi nell'eterno presente di Dio. Sant'Ambrogio ha una visione unitaria del piano divino della salvezza ... Del mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, Ambrogio parla con l'ardore di uno che è stato letteralmente afferrato da Cristo, e tutto vede nella sua luce ..."

Ma è soprattutto la sua azione di pastore nella Milano del IV secolo che esprime la prorompente modernità del suo pensiero e del suo agire: "Nella società romana in disfacimento, non più sorretta dalle antiche tradizioni, era necessario ricostruire un tessuto morale e sociale che colmasse il pericoloso vuoto di valori che si era venuto creando. Ambrogio volle dare una risposta a queste gravi esigenze non operando soltanto all'interno della comunità ecclesiale, ma allargando lo sguardo anche ai problemi posti dal risanamento globale della società. Consapevole della forza risanatrice del vangelo, vi attinse concreti e forti ideali di vita e li propose ai suoi fedeli, perché ne nutrissero la propria esistenza e facessero emergere, a servizio di tutti, autentici valori umani e sociali ... A chi pensava di salvare la romanità facendo ritorno ai simboli e alle pratiche ormai desuete e senza vita, Ambrogio obiettò che la tradizione romana con i suoi antichi valori di coraggio, di dedizione, di onestà, poteva essere assunta e rivitalizzata proprio dalla religione cattolica."

Un esempio, che è anche una proposta da meditare per noi uomini moderni.

 

 

Note

[1] Treviri è la città tedesca che ha forse la storia delle origini più ricca. Un tempo veniva chia-mata "Roma Secunda" poichè fu sede imperiale. Le sue origini risalgono al VI secolo a. C. quando i Treveri, una popolazione celtica, eressero una città in muratura, la prima a nord delle Alpi. In omaggio all'imperatore Augusto nel 16 a. C. la città divenuta colonia romana, fu ribattezzata Augusta Treverorum. Tra il I e il II secolo d. C. la città acquisì vieppiù importanza divenendo sede di una prefettura. Tra il 260 e il 269 fu scelta da Postumo come capitale del suo effimero Impero delle Gallie. Nel 294 Diocleziano vi stabilì Costanzo Cloro in qualità di tetrarca. La città fu sempre tollerante verso i cristiani, tanto che fu possibile costruirvi una chiesa per il culto. Nel 312 Costantino, figlio di Cloro, a Treviri si impegnò a far cessare le persecuzioni se avesse vinto contro i suoi nemici usurpatori. Il che avvenne l'anno seguente nel 313 con l'editto di Milano. Costantino nel 326 diede avvio alla costruzione della cattedrale, che a quel tempo era la più grande del mondo. Dell'età romana rimangono le due terme di santa Barbara e quella imperiale, un anfiteatro e un ponte sulla Mosella. Ben conservate sono altresì l'antica Basilica e la splendida Porta Nigra.

[2] Paolino, Vita Ambrosii, 3

[3] Ambrogio, Exorthatio virginitatis, 12, 82

[4] Paolino, op. cit. , 3: "Ambrogio nacque quando suo padre era a capo della prefettura delle Gallie ... "

[5] Paolino, op. cit. , 4: "In seguito, essendo cresciuto, visse a Roma insieme con la madre vedova e la sorella, che già aveva fatto professione di verginità e aveva come compagna un'altra vergine ... "

[6] Agostino, Confessioni, 1, 9, 14 - 15. Il secondo gradino del sistema di istruzione romano era costituito dalla scuola di grammatica che occupava gli studenti dai 10 ai 15 anni. Durante questi corsi scolastici si insegnava a parlare correttamente e a conoscere le opere letterarie. Il corso di grammatica era infine perfezionato dagli studi di retorica, che corrispondevano agli odierni studi universitari. C'era anche la possibilità di successivi perfezionamenti in diritto e filosofia: nel IV secolo diritto si poteva però studiare solo a Roma, Costantinopoli e Beirut, mentre filosofia si frequentava solo ad Atene. Ambrogio a Roma riuscì dunque a seguire i corsi di retorica e di diritto, che lo avrebbero preparato a percorrere tutti i gradi della carriera di un funzionario imperiale.

[7] Agostino, Confessioni 8, 2, 3-5

[8] La città sorgeva in prossimità del limes di Magonza, e geograficamente costituiva un naturale punto di incontro tra Oriente e Occidente. Il prefetto che risiedeva a Sirmio aveva giurisdizione su gran parte dell'Europa danubiana, dall'Adriatico a Budapest e a Vienna. Nel suo tribunale erano accolti e giudicati gli appelli contro le sentenze dei governatori provinciali. Sirmio allora era un centro di arianesimo. Il vescovo della città, Germinio, era ariano.

[9] L'Italia allora costituiva una delle quattro prefetture in cui era diviso l'impero, ma con confini molto più ampi di quelli attuali: dall'Algeria, Tunisia, Tripolitania, arrivava sino all'Istria e alla Baviera meridionale. Il prefetto risiedeva a Milano. Questa prefettura era divisa in tre diocesi e la diocesi italiciana, comprendente l'Italia propriamente detta, era governata da un vicario che pure risiedeva a Milano. Infine la diocesi italiciana era suddivisa in dodici province, delle quali la provincia ligure-emiliana era formata dalla zona centrale della pianura padana comprendente Milano, Lodi, Pavia, Brescia, Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Vercelli, Novara, Ivrea, Varese, Como, Bergamo.

[10] Nello spavento generale del naufragio Satiro si preoccupò soprattutto di non morire senza battesimo. Certo dell'aiuto divino, si fece affidare da alcuni cristiani, che erano pure sulla nave, un poco di pane eucaristico che essi portavano con sé come viatico, lo mise in un fazzoletto attorno al collo e si gettò in mare. l'Eucarestia lo salvò. In quella terra dov'era approdato, forse la Sardegna, cercò una chiesa, ma siccome in questi paesi non vi erano cattolici, Satiro non ebbe paura di riprendere ancora il mare finché giunse ad un paese di cattolici e lì ricevette il battesimo.

[11] Un certo Prospero che viveva in una località della provincia d'Africa era debitore di forti somme ad Ambrogio. Quando venne a sapere che era divenuto vescovo credette di poter non avere più paura del suo creditore e così si rifiutava di pagare. Satiro era del parere invece che era suo dovere tutelare gli interessi del fratello, che erano in fondo gli interessi stessi della Chiesa e, nonostante le resistenze di Ambrogio, che non voleva che il fratello si avventurasse ancora sul mare, volle andare personalmente in Africa a chiudere la questione. Partì nell'ottobre del 377 e dopo due settimane di viaggio, arrivato in Africa, s'incontrò con Prospero. Seppe condurre abilmente a termine le trattative, tanto che Prospero pagò tutto. E Satiro, sul principio ormai dell'inverno, incominciò il viaggio di ritorno, durante il quale si fermò qualche tempo in Sicilia, dove forse c'erano delle proprietà considerevoli di famiglia. Sono forse quelle stesse proprietà di cui tratta una lettera di san Gregorio Magno dove è scritto che il clero milanese esule a Genova al tempo dell'invasione longobarda era mantenuto dai proventi che la Chiesa di Milano ancora possedeva in Sicilia. Qui o in Sicilia Satiro si ammalò, ma per l'intercessione del martire Lorenzo ottenne la guarigione. Il suo parente Simmaco voleva trattenerlo a Roma, perchè si temeva che anche l'Italia settentrionale era minacciata dalle popolazioni Gote, che stavano allora devastando la Balcania. Satiro era impaziente di rivedere Ambrogio, che in quelle settimane era stato a sua volta gravemente ammalato. Così nel gennaio del 378 i due fratelli si ritrovarono insieme. Ma gli strapazzi di quel viaggio invernale gli furono fatali. Pochi giorni dopo Satiro si ammalò di nuovo e morì tra le braccia di Ambrogio e Marcellina.