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 luigi beretta: DON GIOVANNI MOTTA e sant'agostino

 La processione per il paese durante le celebrazioni agostiniane a Cassago nel 1954

Cassago: la processione agostiniana del 1954

 

 

 

DON GIOVANNI MOTTA E SANT'AGOSTINO

di Luigi Beretta

 

 

 

Prima di essere nominato parroco a Cassago nel 1948 don Giovanni Motta probabilmente aveva conosciuto sant'Agostino solo sui libri di filosofia o di teologia durante i suoi studi da seminarista. Ma una volta arrivato a Cassago i suoi rapporti con la figura di questo santo subirono un netto cambiamento di rotta perché si trovò a confrontarsi con una tradizione locale a questo santo ancora forte e molto viva fra la gente. S. Agostino era il patrono di Cassago e la questione non era di poco conto. Don Giovanni Motta dovette subito accorgersene tanto più che bussava alle porte l'anno 1954 e con esso il XVI Centenario della nascita del santo Vescovo di Ippona. L'occasione gli fece scoprire la devozione della sua parrocchia verso il santo patrono ma nello stesso tempo gli fornì l'occasione per avvicinarsi personalmente al santo con un'attenzione particolare che non aveva mai approfondito fino ad allora. Ma procediamo con ordine.

Volendo tracciare una sequenza della evoluzione del suo avvicinamento ad Agostino penso che possiamo individuare tre fasi: la prima pone don Motta di fronte ad una realtà devozionale di cui nulla sapeva e che esisteva da secoli nella sua nuova parrocchia, nella seconda incomincia a conoscere e a discutere la questione del rus Cassiciacum ed infine nella terza diventa egli stesso indagatore del pensiero di Agostino e se ne fa interprete moderno con una sensibilità tutta personale della devozione al patrono del paese.

 

La devozione a Cassago per S. Agostino

Per don Motta la relazione fra Cassago e S. Agostino fu una vera e propria scoperta. In un discorso che pronunciò nel 1966 in quella che ormai chiamava "la nostra festa di S. Agostino" don Motta esordì proprio con queste parole: "Chi avrebbe detto allorché si faceva la storia, che gli avvenimenti che portano tanta risonanza avrebbero toccato da vicino anche noi ? Chissà se quando eravamo nei banchi della scuola la nostra mente era già capace di sintesi e si sarebbe soffermata su avvenimenti che ci interessavano e di cui noi stessi avremmo anche dato una mano perché si avessero a compire con decoro e con bellezza."

La risposta a questi interrogativi dell'età matura è probabilmente no, ma ciò non impedisce a don Giovanni di ripensare e di ritornare a quella storia di Roma e di Cartagine, a quegli avvenimenti che coinvolsero Agostino di Ippona nel tumulto barbarico e di rileggerli in senso profetico cercando tra i corsi della storia un filo conduttore per la sua vita disegnato dalla Provvidenza divina che egli tanto amava. Così gli studi di un tempo riaffiorano dalle nebbie dell'oblio e si rigenerano nei suoi progetti pastorali a tonificare la vita spirituale dei suoi parrocchiani. Così S. Agostino, la storia d'Africa che lo precede, pagana e cristiana assieme, diventano per lui strumenti di lavoro efficacissimi. Don Motta si rende subito conto dell'importanza di Agostino per la tradizione spirituale della sua parrocchia: forse fu aiutato in questa scoperta dai colloqui con alcuni giovani dell'Oratorio o con persone che avevano già vissuto i festeggiamenti straordinari del 1930 con il parroco don Enrico Colnaghi. Forse capì da solo: certo è che ci sono almeno due occasioni nei suoi primi anni di parroco in cui egli non solo accetta ma dà ampia risonanza a questa importante memoria storica di Cassago. Si tratta di due occasioni importanti che hanno lasciato un segno, efficace ancora oggi in questo paese: la prima è l'esecuzione di un ciclo pittorico agostiniano in chiesa parrocchiale e l'altra è rappresentata dai festeggiamenti del 1954 nella ricorrenza del XVI Centenario della Nascita del Santo.

Don Giovanni Motta commentò personalmente questi avvenimenti in una pagina di un Opuscolo che la Parrocchia di Cassago pubblicò nel 1954 dal titolo "Nel XVI Centenario della Nascita di S. Agostino 354-1954."

Nel pensare a questo Centenario gli fu naturale chiedersi che cosa aveva pensato a sua volta nel 1930 il suo venerato antecessore don Colnaghi. La risposta gli venne facile dopo aver consultato l'archivio parrocchiale dove era conservato un Numero Unico dato alle stampe per l'occasione. Don Colnaghi esprimeva una schietta gioia per le festività agostiniane che coincidevano con la felice conclusione dell'ampliamento della Chiesa, il suo quarantesimo di sacerdozio e un convegno regionale della Gioventù Maschile Cattolica. Anche don Motta si pone un obiettivo per queste celebrazioni agostiniane del 1954 e lo scrive a chiare lettere: gli interessano i giovani. Lo preoccupa soprattutto lo scadimento con il trascorrere degli anni dell'esercizio delle virtù cristiane: "Non faccio commenti - scrive don Giovanni - perché rispecchierebbero sentimenti personali non convenienti in una relazione cronico-storica come questa: ma è un fatto che ognuno vede come dal 1930 al 1954 le condizioni in cui si trova a vivere e che purtroppo assorbe la gioventù, sono decisamente preoccupanti agli effetti di salvaguardare in essa la educazione cristiana." Con un forte richiamo alla sua Comunità affida a Sant'Agostino i suoi destini spirituali così come nel 1630 i cassaghesi lo invocarono a patrono perché li salvasse dalla morte della peste.

E proprio a una peste moderna sembra riferirsi don Motta da cui derivano tutti i mali attuali: "Decisamente, parrocchiani miei, - prosegue - a costo di modificare le vostre gioiose intenzioni, legati ad una antica fede, ad una tradizionale devozione, ad una esteriore festività concepisco le feste centenarie come un'umile preghiera a S. Agostino che conosce le difficoltà della vita, ma ci è esempio anche del trionfo della Grazia; e come nella gloria del cielo 3 secoli fa umilmente invocato dai nostri antenati ne esaudì le preghiere liberandoli dalla peste, sì da essere proclamato per un atto di riconoscenza compatrono della Parrocchia, ci ottenga ora quella Grazia tanto più preziosa, quanto più insidiata che la gioventù cresca di orientamento cristiano."

Questa esortazione agostiniana ci fa capire che don Motta riaffidando la sua parrocchia alla felice intercessione di S. Agostino, ha ormai accettato in senso propositivo una delle più belle tradizioni della sua Comunità. Lo chiarisce la puntigliosità con cui fu organizzata la festa, che durò dal 26 al 29 agosto 1954. Don Motta invitò per il Pontificale la sua amata Schola di canto Giuseppe Verdi di Villasanta. Fece celebrare la S. Messa a mons. Maggi vescovo missionario esiliato di Hanchung e dopo una processione con la statua del santo, nuovo concerto serale con "una luminaria intensissima dalla chiesa all'ultima casa del paese e gente, gente, - scrive don Giovanni - gente a non finire."

I festeggiamenti ebbero successo perché don Motta ci credette fino in fondo e volle arrivare all'appuntamento preparato, segnando il tempo con gesti simbolici ma molto significativi. Ne sono un esempio chiaro varie disposizioni relative alla pittura della Chiesa e la consacrazione della stessa Chiesa. in entrambi i casi tutto si muove all'ombra di Agostino.

Quando contrattò con Fiorentino Vilasco la decorazione della Chiesa, don Motta pose la condizione che il termine ultimo per finire i lavori fosse l'estate del 1954, quando presumeva ci sarebbe stata una Visita Pastorale in occasione del XVI Centenario della Nascita di S. Agostino. E quando verso maggio del 1954 giunse la notizia della Visita Pastorale don Motta subito sollecitò il pittore perché finisse quanto prima. Fu accontentato e subito scrisse sul Chronicon con soddisfazione: "la festa di S. Agostino vede la Chiesa compiuta ! E' un omaggio non clamoroso, ma sodo che intendiamo dare a questo Santo Compatrono come segno della nostra vita spirituale ... i ponti furono smontati il 24 agosto, il giorno 28 agosto 1954 sabato il pittore deponeva il pennello, lasciando ad altro tempo qualche piccolo lavoro come la decorazione della sacrestia. Le feste si poterono celebrare con fede, criterio, splendore e larga partecipazione. A ricordo abbiamo procurato la stampa di un Numero Unico, che sarà completato e distribuito nel mese di settembre in sostituzione del Bollettino mensile."

Purtroppo quella visita tanto aspettata, tanto preparata, tanto desiderata, che doveva ripetere i fasti del 1930 non ci fu, perché Sua Eminenza il card. Schuster morì improvvisamente quella stessa estate. A don Motta e ai suoi parrocchiani furono di conforto gli ultimi segni di benevolenza del cardinale fra cui provvidenzialmente (così annota don Motta) una sua fotografia datata 28 agosto 1954 dove esprimeva il suo pensiero augurale per le feste che Cassago si apprestava a celebrare in onore di S. Agostino. Morto Schuster don Motta si rivolse subito al suo successore mons. Giovan Battista Montini mentre ancora era a Roma, presentando gli auguri della gente di Cassago e già accennando ad un invito per consacrare la Chiesa.

Don Motta inviò l'invito ufficiale a marzo e nella lettera propose la festa di S. Agostino come data per la visita di Montini a Cassago. Ma siccome il vescovo aveva già fissato per quei giorni le sue vacanze, don Motta concordò con il segretario Macchi, che era stato suo collega di insegnamento, la data 2-3 settembre. Con la consacrazione della Chiesa vengono apprezzati anche i lavori di decorazione eseguiti da Fiorentino Vilasco. Fra questi va doverosamente segnalato il ciclo cassiciacense nella Cappella di S. Agostino.

Il pittore iniziò a lavorare al ciclo nell'agosto 1950. I temi delle scene furono indicati da don Giulio Oggioni, compaesano di don Motta e futuro vescovo di Bergamo, che era uno studioso di S. Agostino. Don Oggioni, che tenne una commemorazione agostiniana nel 1954 a Cassago, suggerì tre quadri tutti riferiti a episodi descritti nelle opere scritte da Agostino nel suo soggiorno a Cassiciaco. L'insieme di questo originale ciclo pittorico è ancora oggi una vera rarità nel panorama iconografico agostiniano. Il pittore vi lavorò con un certo assillo, perché la gente aveva grandi attese, tanto che don Motta ricorda che il pittore condusse questo lavoro psicologicamente turbato per talune critiche che gli erano state rivolte. Alla fine dei lavori tuttavia la cappella fu generalmente ben giudicata, se si eccettua il quadro dei Soliloqui di cui il pittore stesso riconobbe difetti d'impostazione, tanto da non essere restio dal rifarla su richiesta del parroco. Don Motta desiderò realizzare quest'opera per favorire - come scrive - la pietà dei suoi parrocchiani grazie a dipinti "la cui comprensione poteva aiutare a penetrare l'animo di S. Agostino nella sua vivacità intellettuale, nella sua ricerca morale, nella sua chiare e calda contemplazione."

Nella trilogia agostiniana, il quadro centrale riferisce un dialogo di S. Agostino tratto dal De Vita beata 33-34, dove indagando il cuore umano e superando tutte le definizioni pagane afferma che "esser felice vuol dire essere sapiente della sapienza di Dio." nel riquadro assieme al santo sono ritratti in primo piano anche la madre Monica, il figlio Adeodato, mentre più discosti sono i discepoli Trigezio e Fulgenzio in atteggiamento di ascolto. Sul lato destro della cappella fu dipinta una discussione con Alipio in cui Agostino catecumeno confuta la posizione filosofica degli accademici per affermare che "niente mi staccherà da Cristo, perché Cristo è il più forte di tutti."

Sul lato sinistro, nel sottarco di accesso alla sacrestia, fu raffigurato il santo nella sua tipica espressione di contemplatore, di mistico, di colui che usa la realtà terrena per salire a Dio. E' l'Agostino che prega con le semplici parole. Dai Soliloquia è tratto il cartiglio sottostante: "Signore liberami dall'errore nel cercati."

Davvero l'anno 1954 fu anno di riscoperta di Agostino. Don Motta provò su se stesso la dolcezza del pensiero di Agostino e traendo spunto da un passo delle Confessioni (1, 13, 27) ebbe il coraggio di dirsi che "la festa di un santo deve essere un atto di vita intensamente spirituale di cui un sacerdote in cura d'anime deve accorgersi e non una preminente esteriorità." Come dire: festa sì, ma festa dello spirito !

 

La questione del rus Cassiciacum

I festeggiamenti agostiniani del 1954 avevano riportato di fresca attualità nel mondo accademico la questione della identificazione del rus Cassiciacum. Numerosi studiosi nei primi anni '50 chiesero informazioni e don Motta non tralasciò di dare loro le necessarie risposte. Anzi in più di un caso fu egli stesso acuto osservatore e pungolatore. Con estrema serenità e fiducia il 26 agosto 1953 nella vigilia della festa di S. Agostino don Motta annota nel Chronicon quale fosse la situazione della vexata quaestio: "Le posizioni - scrive - sono ancora a quel tempo: l'articolo di Morin fa testo e l'Enciclopedia Cattolica ne accetta le conclusioni. Per il prossimo Centenario della nascita di S. Agostino, non mi resta che prepararmi alla buona ospitalità di studiosi che volessero interessarsi.

C'è o c'era per l'aria un interessamento di mons. Pellegrini titolare di teologia all'Università di Torino, ed un altro della prof. Eva Tea docente di Arte all'Università Cattolica: nel 1952 la visita a Cassago di un sacerdote giapponese portò in quella regione l'interessamento della Questione: verrà luce dall'Oriente ? "

A questa domanda piena di speranza, don Motta non troverà una risposta definitiva, però con soddisfazione potrà scrivere che il Centenario agostiniano del 1954 "trovò unanime e gioiosa anche la nostra voce che oltre che far coro di lode, ha voluto procurare un passo innanzi nella questione del Rus Cassiciacum se, come è da credere, si imporrà l'argomentazione dello studioso patrista P. F. Cayré." Don Motta aveva cercato di offrire vari stimoli all'approfondimento della questione, fra cui il ricorso ad un suo compaesano con "un rito semplice, alla buona, - scrive don Motta - come alla buona e senza pretese fu la sua adesione." Ma non ci si lasci ingannare da questa professione di umiltà perché don Motta aggiunge seriosamente "che per altro questa semplicità non diminuisce di valore essendo questo sacerdote don Giulio Oggioni prof. valido di teologia dogmatica in facoltà a Milano e studioso stimato di Agostino per aver trattato in discussione di laurea un argomento agostiniano." Don Giulio Oggioni concludeva la questione a favore di Cassago per un duplice motivo: topografico e panoramico, demandando l'ultima parola ad una soluzione di carattere filologico che per altro seguendo Meda risolveva pure a favore di Cassago. Sul finire del 1954 "quasi riprendendo il filo lasciato da Oggioni - scrive don Motta - la Provvidenza portò un giorno in visita a Cassago e prontamente a scopo di studio sulla questione, gli studiosi PP. Agostiniani Assunzionisti F. Cayré e Thonnard: patrista di fama mondiale il primo ed eccellente filosofo il secondo (una mitissima e simpatica persona)."

Don Motta li ricevette cordialmente e fino a tutto il 1955 ebbe una corrispondenza con P. Cayré. Con grande senso dell'ospitalità don Motta gli aveva inviato l'opuscolo autografo di mons. Biraghi conservato nell'archivio della parrocchia di Cassago affinché lo potesse consultare con comodo. Cayrè ne approfittò per redigere due articoli che apparvero sulla Croix e sulla Vie Augustinienne. un terzo articolo su Cassiacum fu pubblicato su una rivista per sacerdoti. Annota don Motta che "P. Cayré espresse il suo favore in un articolo apparso sulla «La Croix» di Parigi: riprende e convalida l'argomentazione filologica di mons. Biraghi nel suo opuscolo Rus Cassiciacum. L'argomentazione è chiara, 14 codici tra italiani e stranieri: di questi 8 (ed i locali per di più) portano Rus Cassiacum; due incerti; quattro Cassiciacum. Al tempo stesso della Edizione Maurina, un famoso studioso: Tillemond accetta Rus Cassiciacum. Se è così la derivazione di Cassiacum in Cassago è incontrovertibile." Con la sua solita acutissima semplicità don Motta aggiunge che "al mio personale piacere di dilettante filologo la dizione Cassiacum è sensibilmente più aggettivo, come richiede la sua funzione attributiva di Rus." L'articolo di Cayré piacque moltissimo a don Motta che lo pubblicò con traduzione a fianco in un opuscoletto dal titolo Cassiacum. Ne inviò una copia a Cayré a Pasqua 1955 e nello stesso tempo gli preannunciò un suo viaggio in Francia. Nella risposta Cayré ringraziò il parroco e lo invitò a Parigi. In un'altra lettera dell'agosto 1955 Cayrè annuncia a don Motta di avere finalmente spedito il volume di Biraghi, sia pure un po' sgualcito, scusandosi del ritardo non voluto, ma dovuto al desiderio di vederlo di P. Thonnard e degli Agostiniani del Centro Études Augustiniennes di Parigi. A commento finale di queste ricerche don Motta mostra un velato ottimismo ma nello stesso tempo la coscienza di quanto lavoro resti ancora da fare. "Ma per coscienza di studioso - scriverà don Motta - e forse per non togliere quella fine eleganza che ogni quaestio porta con sè, P. Cayré soggiunge, riprendendo la tesi di P. Morin, che occorrerebbero scavi alla ricerca del documento, del testo, il che è certamente esigenza anche della mia educazione agli studi. Gli scavi ! Ma chi pone mano ad essi ? "

Don Motta sembra sconsolato a quest'ultima domanda, ma nulla succede invano e già in quegli anni qualcosa si stava muovendo a Cassago che avrebbe dato i suoi frutti pochi anni dopo. La Provvidenza - dirette don Motta - stava lavorando e oggi possiamo dire che certamente ha ben lavorato !

 

A colloquio con Agostino

E' difficile esprimere quale sia stato il rapporto personale che nel tempo ha coltivato don Motta verso S. Agostino. Tuttavia fortunatamente non mancano alcuni documenti ed episodi che possono chiarire la questione. Vi troviamo un po' di tutto ma il comune denominatore è un grande amore per questo santo, la sua vita, il suo pensiero, il suo legame con la parrocchia di Cassago, quella che don Motta ardiva chiamare la "mia Chiesa."

E' molto significativo esordire su questo tema con una testimonianza della prof. ssa Tina Beretta oggi docente alla Università La Sorbona di Parigi. In un suo scritto apparso nel 1986 dal titolo "Sul filo della memoria: un parroco che amava sant'Agostino" ella ricorda il suo primo incontro con don Motta sul finire degli anni '50 quando ancora studente era venuta a Cassago per approfondire la questione del rus Cassiciacum e di S. Agostino. Nello stralcio che proponiamo affiora prepotentemente il rapporto personalissimo e di grande intimità spirituale che don Motta aveva ormai definito tra sè e il patrono della "sua Chiesa." Per don Motta Agostino è un santo soprattutto da conoscere, da ricercare nell'intimità della propria anima, da imitare nella sua magnifica scelta di fede cristiana. E' un bene prezioso, che va coltivato, difeso, assaporato con gioia. "Il parroco, il buon don Motta - scrive Tina Beretta - che tutti ricordano con venerazione, mi ricevette com'era solito fare, scarso di sorriso, e di parole, specie in quegli anni. Aveva un'accoglienza soprattutto interiore e io lo compresi con il passar del tempo. Sapeva chi fossi e che cosa mi aspettassi, aveva capito me e l'ansia del mio desiderio di scoprire cose nuove, uno scritto inedito, qualcosa insomma. Mi guardò dritto negli occhi. «Bene - disse dopo una pausa - tu, quelli che vengono dal Giappone, l'università, i professori, ma non sapete che questo sommo dottore, maestro della Patristica e della Chiesa universale, si annullò nella grandezza del Creatore fino a dimenticare se stesso per conoscere ogni bisogno e ogni miseria dell'altro ? Pregatelo, cercate di imitarlo e, se non ritenne di lasciare notizie più precise su questo luogo, accettate senza troppe brame intellettualistiche. Il suo credo ut intelligam è un grande atto di umiltà nel pensiero filosofico e Dio gli tolse le pene di una lunga inquietudine.» ... Torno all'incontro con il compianto don Giovanni Motta il quale, dopo la "predica" scelse le chiavi di un mobile, antico e alto, e lo aprì, almeno per metà. Parlava anche con me ma, mi sembrò, più con se stesso. Mi volgeva le spalle e passava carte e vecchi registri da una mano all'altra ... Il parroco nominò la lettera del Manzoni, nel suo breve cercare, mi parve un po' scosso, rinchiuso, intento a proteggere più che a nascondere. Manzoni, Promessi Sposi ... la mia fantasia, giovane e quindi generosa, esagerò vedendo il tappeto di don Abbondio nell'episodio del matrimonio a sorpresa di Renzo e Lucia. Esagero, perché il "mio" parroco aveva semmai la forza e la rettitudine di padre Cristoforo; non gli calzava certo il paragone manzoniano del vaso di terracotta. Allora don Motta non poteva neppure immaginare la fondazione ufficiale dell'Associazione sant'Agostino costituita da un gruppo di amici "motivati - precisano da un'unica passione: valorizzare il passato storico di Cassago con particolare riferimento al soggiorno agostiniano nel territorio." ... Chissà cosa ne avrebbe pensato don Motta, quale sarebbe stata la sua gioia."

Don Motta assaporò questa gioia e a metà settembre 1968 ne scrisse una breve nota sul Chronicon: "Vengo dalla Chiesa dove ho assistito alla ripresa fotografica dell'altare di S. Agostino. Questo mi dà occasione per dire che è stata fondata con atto giuridico l'Associazione S. Agostino con entusiasmo e propositi e lavori di scavi allo scopo di portare contributi di verità alla questione sul Rus: si tratta di persone appassionate ed attive e a questo movimento ed ai suoi atti rimando l'ulteriore sviluppo di studi su S. Agostino." In questa fondazione vede solo aspetti positivi: la possibilità di cercare una risposta archeologica alla vexata quaestio, come era nei suoi propositi del 1954, il coinvolgimento di persone attive che godevano probabilmente della sua fiducia, l'aspettativa di un aiuto a diffondere il pensiero di Agostino fra la gente.

Questa associazione, come tutti gli avvenimenti consapevolmente meditati, non nacque dal nulla, anche se oggi è difficile definire quale ruolo vi ebbe don Motta. Sappiamo che per l'occasione egli scrisse una preghiera augurale.

(Preghiera sulla costituita Associazione S. Agostino: Dio che crei ogni cosa, secondo un particolare fine, e non permetti che si distruggano prima che abbiano compiuta la loro missione, che è quella di arrivare a te in modo che per ogni manifestazione di vita l'uomo attui quel che comandi e che gli hai posto in cuore, che conoscano Te che con particolare tratto di misericordia hai iniziato e stai attuando questa legge della Tua Provvidenza nella nostra vita. Per quali lunghi sentieri della Tua grazia Ti sei avvicinato a noi, finche la nostra sonnolenza si è risvegliata come ad un giorno nuovo pieno di una luce che illumina le cose per il bene nostro e la nostra intelligenza perché dia gloria a Te. Ogni verità per quanto Tu ce la proponi richiede anche la nostra corrispondenza perché sia conquistabile anche dalla nostra fatica e dalle nostre forze che pur sempre sorrette da Te devono partecipare a quella misura di merito che ci hai fissato nella vita, e secondo cui il Tuo giudizio sia pure misericordioso, ma pur sempre giusto richiede anche da noi. Il nome del nostro paese era consegnato al libro che Agostino nella ricerca di Te e della sua perfezione aveva scritto con piena docilità a quelli che erano i tuoi disegni, e quando nel brusio dei secoli e delle distruzioni il tuo libro delle Confessioni era ritornato alla lettura ed alla edificazione degli uomini, gli abitanti di questo paese se ne erano rallegrati e nella sua memoria avevano lodato te o Signore che sai conquistare i cuori per quanto possano essere lontani da Te. Ma ogni conquista buona e lodevole subisce il suo punto oscuro, la sua crisi, e da un secolo questa che si credeva pacifica conquista e gioia di cui si andava così fieri è stata turbata e agitata da avvenimenti che sotto il titolo di ricerca storica contestavano a Cassago questo amore e questa gioia.

Signore, Tu che in ogni cosa avevi una lezione da darci, lo hai permesso perché in umiltà di spirito e in fatica di sincera ricerca avessimo a partecipare alla verità che ha sempre come fine la Tua ricerca, il Tuo incontro e la Tua gloria. Sulle fatiche appena iniziate e sollecitate come da voce che viene da te, dalla esortazione di uno studioso che ci ha guidati nel metodo della ricerca fà scendere la Tua grazia ed il frutto non ci sfugga. Amen.)

Sappiamo anche che la maggior parte dei suoi fondatori erano persone che gravitavano attorno al parroco e si erano formati nell'Oratorio, altri avevano già vissuto l'esperienza del circolo culturale Cassiciacum, a sua volta legato a doppio filo con il parroco. Fra questi fondatori vanno ricercati anche coloro che proposero all'Amministrazione Comunale di offrire l'olio per una lampada votiva all'altare di S. Agostino. Quest'ultima iniziativa fu proposta da alcuni esponenti della locale Sezione della Democrazia Cristiana, fra cui possiamo riconoscere Pierino ed Ernesto Cattaneo, e consisteva nella richiesta al Comune di assumersi l'onere di una spesa annua per l'acquisto dell'olio per l'accensione in perpetuo di una lampada nella Chiesa parrocchiale. La richiesta fu discussa in consiglio comunale il 4 agosto 1961 e a maggioranza i consiglieri guidati dal Sindaco Eugenio Colnago, amico fraterno del parroco, decisero di accogliere la richiesta e di assumere a carico del bilancio comunale la spesa di L. 15.000 per l'acquisto dell'olio. La motivazione riportata in delibera fu che questa spesa "veniva fatta a ricordo e venerazione di S. Agostino al quale per tradizione le forze cattoliche di questo Comune sono legate spiritualmente."

Il Sindaco Eugenio Colnago offrì l'olio per la prima volta il 28 agosto di quello stesso anno. La festa fu particolarmente solenne con la partecipazione di un ministro della Repubblica Italiana. Annoterà don Motta: "Quest'anno la cerimonia s'è fatta particolarmente densa di significato perché alla devozione a S. Agostino da parte della popolazione si è unita la celebrazione del 1° Centenario della Unità d'Italia. Il doppio motivo ha reso qualificato l'invito a personalità del mondo civile e politico ed ha avuto l'onore di aver tra noi presente l'on. Mario Martinelli Ministro per il Commercio con l'Estero, a cui, a nome dei miei fedeli porgo l'augurio di feconda e cristiana attività."

Per parte sua don Motta aveva provveduto a creare una vera e propria preghiera di ringraziamento ad Agostino da parte delle Autorità del paese: è quella stessa preghiera che ogni anno da allora viene letta dal Sindaco nella festività di S. Agostino.

Il testo, datato 28 agosto 1961, recita:

"L'umile gesto che compiamo dinanzi al tuo altare, o glorioso S. Agostino, assume un duplice significato: uno di imitazione e l'altro di propiziazione. Ti offriamo l'olio da cui scaturirà innanzi al tuo altare e per tua lode la fiamma che sta a testimoniare la nostra devozione e la nostra riconoscenza. Questo olio si trasformerà in fiamma simbolo di quella fiamma di amor di Dio che è arsa nel tuo cuore così divampante che la comunità cristiana ha raffigurata la sintesi della tua vita in una fiamma ardente che si sprigiona dal tuo cuore. Noi ci impegniamo a vivere sulla via del tuo amore di Dio, per la nostra stessa salvezza. Ma in Te raffiguriamo anche colui che con sapienza profonda ha investigato le vie della Provvidenza di Dio nel disporre il mondo a diventare Gerusalemme celeste, come hai dimostrato in quella grande manifestazione di vita e di civiltà che fu la storia del popolo romano. Noi, responsabili dell'ordine di un piccolo paese, ci rendiamo conto dinanzi a Dio, della cooperazione che gli dobbiamo per il bene dei nostri fratelli, nel guidarli in una condizione di vita disciplinata e ordinata. Sentiamo la fiducia che per la tua intercessione la nostra mente sia illuminata e la nostra volontà sia retta nella fortezza, per dare alla nostra piccola comunità di Cassago, che il tuo soggiorno terreno ha onorato, i sensi e la misura della santità.

I voti della nostra preghiera siano nella benignità della tua intercessione e nella volontà operante della Misericordia di Dio."

 

La struttura di questa preghiera ci permette di capire che già nel 1961 don Motta aveva un pensiero chiaramente definito nei confronti del patrono Agostino. Nella sua visione ciascun elemento della Comunità di Cassago aveva un suo ruolo, una sua funzione specifica, il cui giusto impegno concorreva al buon esito finale del benessere di tutti: un ruolo principale viene riservato alle autorità civili, che nella concezione di don Motta, con grande libertà affidano alla Provvidenza, il tramite di Agostino, il discernimento delle impegnative decisioni necessarie a reggere con giustizia anche una piccola comunità come Cassago. Manca da questa preghiera un accenno ai fatti della peste del 1630, mentre è ricordato il soggiorno del santo in paese quasi a tracciare un ininterrotto legame fra Agostino a Cassago: la protezione durante la peste non sarebbe per don Motta che uno dei tanti episodi di benevolenza del santo, che continuamente li rinnova, anche in questo secolo, anche negli anni in cui lui era parroco di Cassago. Ricca di interiorità riflessiva, questa preghiera è un piccolo capolavoro di spiritualità, quasi un programma di vasta universalità che dettava ai suoi cristiani di Cassago di ogni tempo.

Nel 1962 don Motta onora di nuovo a suo modo Agostino e lo fa, primo in Brianza, con un concerto di campane elettriche: "un giorno dello scorso febbraio - scrive nel Chronicon - si presentò un rappresentante della Ditta Brevetti Lorenzi di Milano via Thaon de Revel, 21. Mi offrì un suo prodotto, firmai il contratto richiedendo la esecuzione per la festa di S. Agostino ... tutto fu eseguito secondo le date prestabilite. Non mi posso lamentare del loro funzionamento e vedo con personale tranquillità che l'uso va diffondendosi nei dintorni."

La celebrazione della festività di S. Agostino conobbe anche momenti drammatici come nel 1957 in un periodo in cui si stava consumando l'ultimo atto di un lungo e sordo attrito fra il parroco e la Casa Ducale. La sera del 31 agosto in Chiesa, dove aveva appena finito di confessare, la portinaia del Palazzo Ducale gli consegnò una lettera di sfratto definitivo delle ragazze dell'Oratorio dai locali dell'Asilo. Per tutta risposta don Motta il 1 settembre, giorno festivo in cui si celebrava la festa votiva di S. Agostino, alla prima S. Messa quando maggiore era l'affluenza del popolo lesse pubblicamente l'avviso ducale aggiungendo che quello stesso giorno, nella festività del santo patrono, sarebbe passato per le case a chiedere una offerta per l'Oratorio femminile.

Fortunatamente la festa di S. Agostino conobbe anche ben altri momenti di gioiosità, dove prevale uno spirito di ricerca e di interiorizzazione più consono alla spiritualità agostiniana. Organizzando una serata musicale in Chiesa durante una festa agostiniana, forse quella del 1966, dirà: "Se tutti hanno il dovere ed il diritto di onorare i santi in particolare è tenuto Cassago per S. Agostino. Lo facciamo anche con questo concerto di organo augurandoci che ogni anno la cittadinanza di Cassago Brianza si raduni in manifestazioni religiose-culturali nel nome e per l'onore del Santo. La manifestazione di stasera ha un triplice motivo:

Agostino è venuto a Cassago Brianza.

S. Agostino ha soggiornato a Cassago Brianza.

S. Agostino è un profondo intenditore di musica."

E aggiungerà a giustificazione della sua affermazione che "questi tre motivi sono documentati: prendiamo il suo libro delle Confessioni Libro IX e leggiamo al Cap. III, 5 che Si struggeva Verecondo per questa nostra buona compagnia, perché trattenuto da tante preoccupazioni, non poteva trattenersi con noi, non era ancora cristiano, ed anzi era trattenuto nella sua stessa volontà di convertirsi dalla moglie che pure era cristiana, perché non voleva essere cristiano se non in quella forma di cui non poteva disporre (voleva cioè essere libero dal matrimonio per vivere in perfetta castità come in quel tempo avevano scelto Agostino e Alipio). Certamente egli si diportò con tale liberalità che per tutto il tempo in cui vi saremmo rimasti avremmo potuto usare con tutta libertà della sua tenuta. Dona a lui, o Signore, il premio dei giusti che tu certamente gli hai già donato. Infatti benché noi fossimo assenti, dal momento che ci trovavamo già a Roma, egli ammalatosi e nella stessa malattia fattosi cristiano e fedele, passò da questa vita. Così hai avuto misericordia di lui e di noi perché altrimenti avremmo portato in noi stessi un grande dolore, se pensando alla sua grande liberalità verso di noi non l'avessimo potuto enumerare nel gregge dei tuoi eletti. Grazie o Dio nostro! siamo tuoi; lo dimostrano le tue esortazioni e consolazioni: fedele alle tue promesse tu tendi a Verecondo in compenso di quella villa di campagna in Cassago, dove noi ci siamo rifugiati sfuggenodo alla calura del mondo, la delizia del tuo paradiso sempre verdeggiante, perché tu gli hai perdonato i suoi peccati sulla terra, nel tuo paradiso che sta sul monte da cui scorre il latte, sul tuo monte, sul monte dell'abbondanza."

 

Discorso per Cesarino Molteni

In un discorso fiume pronunciato nel 1966 in occasione della partenza per l'Africa di don Cesarino Molteni dal titolo "Di S. Agostino e della nostra festa nell'anno 1966", don Motta scioglie le vele del suo pensiero e si avventura in una navigazione del pensiero agostiniano e dei suoi rapporti con Cassago che ha veramente del fantastico. Dopo aver ripercorso alla luce della Provvidenza la storia dell'Africa pagana e cristiana fino al fatale incontro di Agostino con Cassago, quasi che tutto fosse già stato preordinato dalla notte dei tempi, ecco che don Motta confessa le sue intime emozioni, le sue aspettative, la sua solida e pratica fede di parroco di campagna. Ricorda l'incontro stimolante con padre Othmar Perler, le sue discussioni con mons. Giulio Oggioni, le benemerite iniziative del Centro Culturale, gli sforzi di Pasquale Cattaneo per far conoscere la storia di Cassago e le vicende agostiniane. Ma don Motta ha anche un grande sogno: creare un'oasi spirituale agostiniana. "Domandiamo - scrive - che sia conceduto un pezzo di terreno pressa poco corrispondente a quella parte del Giardino ex-Visconti che corrisponde alle vicinanze delle antiche stalle per una eventuale realizzazione di un monumento a S. Agostino o per lo meno per la formazione sia pure di un incipiente museo agostiniano. Siamo in attesa di giorni in cui possiamo formulare con maggiore precisione questa domanda."

Uomo di grande fede, don Motta, ma anche di grandi progetti, come questo, che purtroppo non vide realizzato in terra, ma che forse ha pregato dai cieli perché si realizzasse. E come parroco non può che concludere la sua prolusione se non cercando un legame forte fra Cassago d'oggi e l'Africa di Agostino. Questo legame è don Cesarino, il missionario che Cassago invia nelle terre di Agostino, là da dove venne la luce del cristianesimo nella sua parrocchia. Ed ecco quindi mergere con forza la grazia che don Motta chiede ad Agostino nei tempi moderni: chiede sacerdoti, uomini di Dio, capaci di essere testimoni nel mondo di Cristo, proprio come fece Agostino. E' significativa a questo proposito la dedica che don Giuseppe Riva, che don Motta aveva sostenuto nel cammino spirituale, fece scrivere sulla sua immaginetta nel giorno dell'ordinazione sacerdotale (Milano 28 giugno - Cassago 29 giugno 1969). Prendendo spunto da un Sermone di S. Agostino ai suoi fedeli dirà: "Veniteci in aiuto con la preghiera e con l'obbedienza affinché troviamola nostra gioia non tanto nel comandare a voi, quanto nel farvi del bene."

L'ultimo omaggio di don Motta ad Agostino risale al 1971. A poco più di un anno dalla morte don Giovanni volle enfatizzare pubblicamente le origini della devozione agostiniana dei cassaghesi. Il 28 agosto, che quell'anno cadeva in domenica, alla fine della S. Messa celebrata da mons. Ferraroni vescovo di Como, che era stato suo collega di insegnamento, fu scoperta una pietra murata nel frontale dell'altare della Cappella di S. Agostino. Secondo una vecchia tradizione ripresa anche dal Chronicon parrocchiale su questa pietra avrebbe celebrato S. Agostino. Due scritte lo ricordano: a sinistra fu riportato Pietra sacra dell'Oratorio demolito nel 1611 e a destra Su questa Pietra S. Agostino celebrò. Per quanto quest'ultima affermazione sia falsa e sia stata contestata nello stesso Chronicon, ciononostante don Motta la fece scrivere, perché ogni tradizione ha sempre un suo valore ed esprime sempre una verità anche nell'errore.