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Fabio Ratti: DON MOTTA COSTRUTTORE DI OPERE PARROCCHIALI

 don Giovanni Motta e le famiglie Corti (Sindaco del paese) e Milani (conduttore della Cooperativa) davanti alla Cooperativa

Cassago: don Motta, Corti Ilario, Milani Luigi alla Cooperativa

 

 

 

DON MOTTA COSTRUTTORE DI OPERE PARROCCHIALI

di Fabio Ratti

 

 

 

Per i cassaghesi don Motta fu un parroco dalle molte iniziative, capace non solo di immaginarle ma pure di realizzarle grazie al generoso concorso della gente. Queste sue capacità di uomo molto concreto vanno di pari passo, stranamente, ma forse non proprio stranamente, con le sue indubbie doti di uomo di profonda spiritualità e di intimità dell'anima. Se possiamo tentare una sintesi dovremmo dire che don Motta fu un uomo che visse profondamente il suo tempo, un'epoca, quella del dopoguerra, che doveva coniugare le necessità di una rifondazione morale dopo gli eccessi della dittatura fascista con quelli di una rifondazione sociale non scevra dai nuovi bisogni che emergevano dal desiderio di una vita più sicura, più dignitosa, con più benessere. Se volessimo riassumere in una breve definizione la vitalità dell'esperienza cristiana di don Motta a Cassago non potremmo trovare di meglio di quanto egli stesso ha affidato a una pagina del Chronicon. Con estrema chiarezza e sincerità scrive che "quando i miei superiori (leggi mons. Moraghi persona terribile e amabile, strana e umana) tentarono di sgridarmi per certe posizioni in cui mi ero messo, mi difesi in questo modo: nell'atto di consegna e di descrizione del Beneficio, c'è scritto che si deve migliorare: ed io sempre in questo pensiero ho fatto quel che ho fatto."

Per don Motta dunque essere parroco a Cassago significava migliorare, cioè andare incontro ai parrocchiani ed aiutarli nelle loro difficoltà e nelle loro necessità. E don Motta ben sapeva che certe risposte a bisogni reali non potevano attendere le lungaggini della burocrazia ecclesiastica o il presuntuoso rigore delle leggi. Insomma le regole, pur necessarie, per don Motta erano spesso dei legacci, troppo stretti, troppo limitanti, poco rispondenti ai motivi per cui l'uomo aveva deciso di adottarle a proprio beneficio. La sua è certamente una posizione originale, ma senz'altro coerente perché al di sopra di tutto egli poneva la Provvidenza e questa, come la storia insegna, non segue regole umane. Ad essa, sembra insegnarci don Motta, bisogna aderire docilmente, perché solo essa conta e non le regole umane, imperfetti strumenti che vorrebbero cooperare con essa, ma che spesso invece purtroppo le si contrappongono, soprattutto quando non esiste la necessaria umiltà e carità cristiane. Con questa convinzione nel cuore e nella mente don Motta affrontò tutti i problemi che via via gli si presentarono nella sua vita di parroco.

 

L'Oratorio Maschile

La prima opera cui pose mano fu la ristrutturazione dell'Oratorio maschile di cui sentiva urgentemente la necessità, poichè era convinto che era indispensabile dare ai giovani un ambiente adatto alle loro crescita religiosa e morale. Nel 1948 l'Oratorio consisteva in un fabbricato recintato lungo via Nazario Sauro, ma aperto sulla strada consorziale per Cascina Cà. Dopo aver fatto completare la cinta, verso ottobre don Motta organizzò una specie di colletta invitando quelli che andavano al lavoro a versare una quota mensile. Per ristrutturare l'Oratorio chiese consiglio al parroco di Bulciago che se ne intendeva di architettura, il quale gli propose di realizzare un porticato antistante al fabbricato. L'idea fu concretizzata dal perito edile Eugenio Colnago, nipote del parroco defunto. I lavori furono eseguiti dall'impresa Pozzi di Sirone che costruì un porticato di m 32x5 con servizi igienici. Una scala esterna dava accesso alla sovrastante terrazza di uguali dimensioni mentre il piano superiore era suddiviso in due locali scuola-adunanza, due sale da giuoco, una cappella e in più due stanze che unite alle tre esistenti potevano costituire un decoroso appartamento, per un probabile futuro sacerdote assistente all'oratorio. La nuova costruzione iniziata il 25 aprile 1949 fu inaugurata il 9 ottobre 1949. Nel piano terra fu ricavato un salone-teatro: la prima rappresentazione teatrale fu eseguita il 9 dicembre 1949 mentre il primo filmato fu proiettato il 1 gennaio 1950. Iniziava così a funzionare efficacemente una struttura che sarà luogo di crescita per intere generazioni di giovani cassaghesi nel dopoguerra. L'Oratorio di don Motta sarà ristrutturato solo quasi 50 anni dopo con il parroco don Giacomo Lizzoli.

 

La Casa Pro Domo Mea

Conclusi i lavori all'oratorio don Motta mette mano alla Casa del Coadiutore, dove aveva trovato posto in un locale la sede delle ACLI, un'organizzazione questa che don Motta sosteneva apertamente perché aveva come scopo la sensibilità assistenziale al popolo in quegli anni di grande penuria.

Durante un sopralluogo il capomastro Pozzi lo convinse della possibilità di costruire una casa a tre piani. L'idea fu concretizzata da Eugenio Colnago e quel rustico fu trasformato in un caseggiato di tre appartamenti civili che per la fine del 1950 furono abitati da altrettante famiglie. "La gente guardava, criticava, contrastava, s'invogliava. Nessuno mi fermava. Le cose - aggiunge don Motta - erano evidentemente utili a tutti." L'utilità per don Motta era un criterio fondamentale di giudizio, perché era sensibilissimo ai bisogni dei suoi parrocchiani. E questa prima esperienza in campo edilizio che gli permise di dare una casa a tre famiglie lo indusse a continuare nella stessa direzione, tanto più che la fame di case era forte e taluni andavano a cercare e a chiedere proprio da lui. Il geometra Colnago gli suggeriva di aderire al piano Fanfani o al piano Tupini, ma don Motta non vi intravedeva ancora nessun possibile aiuto alla carenza di alloggi per il paese. Sente profondo il peso di questi bisogni e dice di «sì» ai suoi parrocchiani che gli chiedono di aiutarli. Nasce così l'idea della Casa Popolare Pro Domo Mea e don Motta si impegna a costruire alloggi.

Sul terreno della Chiesa lungo via Vittorio Veneto, a fianco della Casa Coadiutorale, fu progettato un caseggiato di sei appartamenti, in cui ogni inquilino sarebbe diventato proprietario. Anche la Chiesa entrava come comproprietaria di un appartamento. In fase di esecuzione una modifica permise di realizzare un altro appartamento di 5 locali per il cui adattamento la Chiesa si sobbarcò le spese. Su 7 appartamenti 2 vanno dunque alla Chiesa. Iniziata nel giugno 1951 per il marzo 1952 la casa era già abitabile. Per questa iniziativa don Motta non aveva mai interpellato la Curia milanese e in particolare l'Ufficio Amministrativo. Ma in Curia sapevano e un bel giorno il responsabile mons. Moraghi lo chiamò e gli disse che sapeva tutto e che sarebbe venuto per un sopralluogo. Nel frattempo gli intimò di sospendere i lavori mentre la fabbrica era già alla prima soletta sopra il cantinato. Venne il giorno della visita: "era duro - si interroga don Motta - o era buono quel monsignore che mentre i suoi aiuto-ufficio facevano i sopralluoghi si confidava con me di vita sacerdotale ? Quando si venne alla fabbrica in costruzione: qualche parola di stizza che poi smorzava. Forse pensava già di dirmi, quel che più volte poi mi disse «te set una stèla.» Forse aveva invidia della mia vita spericolata di povero parroco di campagna." Ma nonostante questi cenni di comprensione fu giuridicamente inamovibile. Don Motta fece corsi e ricorsi ma non ci fu niente da fare. «La Chiesa non deve entrarci: si venda il terreno a questa società edilizia e non se ne parli più.» Fu la risposta degli uffici di Curia. Per risolvere la questione don Motta agì con fantasia e, come privato, acquistò i due appartamenti della discordia. "E' giustizia ? - si interroga don Motta a conclusione della vicenda e aggiunge: Finora ho dato tutto alla Chiesa e con i prestiti che ho avuto dai parenti, il conto torna. Comunque studio il modo migliore perché sia la Chiesa a beneficiarne."

L'occasione si presenterà a fine 1954 quando sua sorella Maria acquisterà l'appartamento al secondo piano il cui inquilino Crippa Luigi comprerà a sua volta nel 1970. A gennaio del 1959 venderà l'ultimo appartamento a piano terreno al signor Fumagalli Mario e userà i soldi ricavati per acquistare un appezzamento di terreno confinante con l'Oratorio Maschile.

 

La Chiesa parrocchiale

A don Motta la chiesa di Cassago piacque subito per la sua luminosità che invitava al canto. Tuttavia allo stesso pensò di migliorarla dotandola di comodità e strumenti moderni. Dapprima cambiò le panche, poi fece un nuovo confessionale, sul pavimento dell'altare fece disporre dei tappeti, acquistò nuovi paramenti e nel 1955 introdusse l'illuminazione elettrica. Un'opera di grande rilievo fu l'acquisto dell'Organo. Don Motta ricorda nel Chronicon: "io non so musica. Io non so suonare; ma so che è uno strumento che in una chiesa non dovrebbe mancare e poi i miei parrocchiani si vantavano di tradizioni canore." Nel 1950 fu interpellata la Ditta Mascioni, che era già stata consultata da don Enrico Colnaghi, ma poi si preferì la Ditta Costamagna. A maggio 1951 fu firmato il contratto e il 6 aprile 1952 l'Organo fu inaugurato. Lo collaudarono personalità di valore nell'ambito musicale come il Maestro Vicchi della Cappella del Duomo di Como e il Maestro Consonni del Seminario di Venegono. Lo benedisse monsignor Delfino Nava carissimo confratello di don Motta in Seminario e componente del Capitolo di S. Ambrogio a Milano. La cantoria di Villasanta eseguì il primo concerto, ma i cassaghesi "non diedero gran segni di capire e di gustare."

Nel frattempo don Motta provvide la chiesa anche di un impianto di altoparlanti. La sua realizzazione era un omaggio ai tempi che cambiavano e alla modernità, di cui don Motta non era molto convinto. Ma alla fine diede il suo benestare pur tra qualche dubbio. "Era necessario ? - si interroga don Motta - Per conto mio non l'avrei ritenuto, ma la voce ripetuta or da questo or da quello, sacerdoti anche che vi avevano predicato mi son fatto un dovere per questo problema e con le facilitazioni di pagamento accordatemi dall'imprenditore Carlo Valagussa s'è potuto installare l'impianto microfoni." In via provvisoria s'erano installati altoparlanti nel Natale 1950, nelle SS. Quarantore 1952, nella Quaresima 1952 ma l'impianto divenne definitivo la Pasqua 1952. Quando l'impianto fu realizzato pur tra i difetti tecnici che immancabilmente nascevano, ne approvò le potenzialità e anzi ne lodò l'importanza per una migliore diffusione della parola divina. Ecco il suo commento: "Come linea di impianto mi pare riuscito logico e di aiuto: gli inconvenienti, che non mancano, sono dovuti o a qualche guasto del condensatore, o al cattivo stato in cui viene a trovarsi la membrana della capsula del microfono: gli strumenti sono delicati, dovrei certo intendermene un po' per trattarli e per insegnare agli altri a trattarli. Non se ne può negare l'utilità: le zone chiamate morte, quali si rincontravano all'altezza delle porte laterali sono state tolte dalla installazione degli altoparlanti: certo non si può fare a meno di osservare, che essendo tale impianto di aiuto a diffondere la parola di Dio, non deve essere disgiunto da quella attenzione interiore che fa attecchire il buon seme che è la parola di Dio, il che non sempre e forse neanche precedentemente avviene a notare come il mondo della mia parrocchia rimane quale è."

Per il Natale del 1962 don Motta provvide anche alla realizzazione del riscaldamento della Chiesa. Fu la Casa di Riscaldamento IMEF di Brescia a realizzare l'impianto nel breve volgere dell'autunno. Purtroppo i risultati non furono quelli sperati e don Motta con fine ironia ammette che l'impianto "come tutte le cose umane è imperfetto perché scalda più in alto che in basso." E conclude le sue osservazioni salomonicamente affermando che alle leggi di natura non si fugge !

 

La decorazione della Chiesa

L'opera di maggior importanza che don Motta realizzò per la sua Chiesa fu tuttavia senz'altro la decorazione pittorica che rimane ancora oggi un monumento artistico e spirituale di primaria grandezza per la parrocchia di Cassago. Don Motta affidò l'incarico ad un giovane pittore di Monza, Fiorentino Vilasco, che si era presentato il giorno stesso della sua entrata a parroco nel 1948, per prospettargli la proposta di dipingere tutta la chiesa. Don Motta ci pensò e ripensò, finchè riuscì a trovare il tema della narrazione figurativa: il pittore avrebbe dovuto rappresentare la devozione al Sacro Cuore di Gesù, che conduce alla vita Eucaristica e alla gioia della Santissima Trinità. I lavori cominciarono nel giugno 1950 quando a titolo di prova fu affrescata la Cappella della Madonna, che riuscì gradevole a tutti. Nell'agosto 1950 fu decorata la Cappella di S. Agostino con scene suggerite da don Giulio Oggioni, compaesano di don Motta e suo amico, studioso di S. Agostino. I temi dei quadri furono tratti dalle opere scritte da S. Agostino in Cassiciaco. A novembre 1950 furono dipinte la Cappella di S. Teresina e quella del Crocifisso, dove don Motta fece sviluppare il concetto del Purgatorio secondo S. Caterina. Don Motta ne fu particolarmente soddisfatto: "Il Crocifisso lo sento commovente - scrive - e tutta la Cappella mi crea devozione."

Assegnando a Vilasco l'esecuzione delle pitture don Motta ne aveva richiesto la consegna entro l'estate del 1954 quando ci sarebbe stata la V Visita Pastorale e si sarebbe celebrato il XVI Centenario della nascita di S. Agostino. Questo termine fu rispettato poiché fra il 1953 e l'estate del 1954 il pittore finì la sua opera decorando il presbiterio, la cupola e la navata centrale. Scriverà don Motta che "la festa di S. Agostinno vede la Chiesa compiuta ! E' un omaggio non clamoroso, ma sodo che intendiamo dare a questo Santo Compatrono come segno della nostra vita spirituale. E ciò si poté attuare: la decorazione procedette con alacrità: i ponti furono smontati il 24 agosto, il giorno 28 agosto 1954 sabato il pittore deponeva il pennello." Purtroppo la morte del cardinale Schuster impedì a don Motta di consacrare la chiesa nella ricorrenza agostiniana e rese vano il puntiglioso impegno del pittore. Toccò al cardinale Montini l'onore di consacrare la chiesa di Cassago l'anno seguente, sempre in occasione delle festività agostiniane cassaghesi. Scriverà don Motta: "consacrata sabato la chiesa, la domenica nel suo fervore la festa di S. Agostino decorosa nella parte religiosa. La chiesa nelle sue linee architettoniche era luminosa di splendida illuminazione ed il paese non mancò di gusto. Il giudizio del signor Prevosto era incondizionato ed entusiasta quello di don Giuseppe Mambretti parroco di Veduggio venuto in paese per dirigere personalmente il concerto suonato dalla sua banda."

 

Le campane

Sempre in quegli anni don Motta dovette far fronte anche agli acciacchi delle campane e soprattutto del castello che le reggeva. La guerra 1940-1945 aveva tolto al campanile le due campane maggiori ed una alla torre di Oriano. La quarta era stata recuperata, ma la maggiore purtroppo in fonderia era stata ridotta a rottami. Nel 1950 don Motta riuscì a far applicare il decreto governativo per riparazioni di guerra. Fu pertanto riportato in fonderia il quantitativo di materiale che era stato recuperato per la rifusione della campana. Il concerto ritornò completo, ed una seconda campana fu portata a Oriano. Però annota tristemente don Motta che "non ci fu entusiasmo: certo io non sono capace di infervorare la pratica popolare; ma al di là di questo devo accorgermi che l'interesse per le cose di Chiesa è relativo per non dire negativo. Non vorrei nemmanco essere ingiusto e a parziale discolpa debbo dire che erano giornate bruttissime e freddissime: la domenica dell'Incarnazione, previo permesso chiesto per telefono, poiché le campane erano appena arrivate in paese, Sua Ecc. il Cardinale Arcivescovo mi aveva concesso di benedire le campane, funzione che eseguii nel cortile dell'Oratorio maschile, dove erano state appese." Prima di rimettere in sede le campane fu condotta una revisione del castello che si presentava tanto male da doverlo cambiare. Ammetterà il parroco: "Debbo dire che fu anche una grazia: un ferro della terza campana si era spezzato: un'imprudenza di strappo o il peso stesso della campana che cosa avrebbe potuto provocare ? " La soddisfazione per un temibile scampato pericolo mette le ali al parroco che ricorda che "la nuova spesa me la sobbarcai così con spirito di riconoscimento al Signore per lo scampato pericolo." Navigava un po' nei debiti il nostro parroco, ma aveva fiducia prevedendo provvidenze e soprattutto "la Provvidenza a cui mi raccomando spero non mi abbandoni." Le campane, risalite sul Campanile, dopo che anche i ceppi e le ruote erano state portate in fabbrica per la verifica, risuonarono il 10 ottobre 1952.

 

La questione dell'Asilo e dell'Oratorio femminile

Il 6 aprile 1951 era morta nel frattempo suor Ernesta Brambilla, superiora dell'Asilo fin dalla sua fondazione nel 1903. Don Motta cercò un colloquio con la Duchessa, benefattrice dell'Asilo, dove era ospitato l'oratorio femminile perché provvedesse ad opere di miglioramento. Queste opere furono chieste anche dalla Superiora provinciale che ammonì la Casa Ducale di togliere le Suore qualora non si fossero apportate migliorie all'Asilo. La querelle continua fino a metà 1953 quando la Duchessa comunica il proprio disimpegno e aggrava l'Amministrazione Comunale di ogni onere relativo alla ristrutturazione. I lavori vengono eseguiti dal Comune senza che don Motta possa intervenire come vorrebbe. Anzi nel 1956 la Duchessa in visita a Cassago per vedere i lavori di ristrutturazione dell'Asilo che erano stati eseguiti arrivò alla conclusione che ora che il locale era ben messo, le "figliole dell'Oratorio, che sporcano, rovinano, rompono ..." non avrebbero più dovuto entrare nei locali dell'Asilo. La notizia trapelò fino alle orecchie del parroco e quel che temeva presto accadde. La Signora Duchessa gli consegnò una lettera dove in sostanza chiedeva che le ragazze non entrassero più in Asilo dal 1 marzo 1957. Si scatenò un putiferio con scambio di pesanti lettere, ma ogni azione del parroco fu inutile e la sera del 31 agosto 1957 la portinaia del Palazzo Ducale consegnò a don Motta un avviso ducale che con il 1 settembre, cioè l'indomani, le ragazze sarebbero state definitivamente escluse dall'Asilo. Per tutta risposta, il 1 settembre, che cadeva nella festività parrocchiale di S. Agostino, don Motta alla prima S. Messa lesse l'avviso ducale e poi aggiunse: "oggi verrò alle vostre case e mi darete la vostra offerta per l'Oratorio femminile."

Viene trovata una soluzione provvisoria grazie all'intervento della Signora Rosa Carera vedova Galli che mette a disposizione un locale vicino all'Oratorio maschile. Ma a don Motta questo non basta e subito contatta Eugenio Colnago per chiedergli un progetto e il capomastro Pozzi per eseguire i lavori. Nonostante la parrocchia avesse con quest'ultimo molti debiti, egli accetta di eseguire il lavoro, tralasciandone altri. per don Motta è il segno che preghiere delle ragazze sono state accette al Signore e così il giorno 15 settembre, incolonnate le ragazze dell'oratorio, si reca sul posto dell'erigendo locale e posa la prima pietra. Era la festa della Madonna Addolorata - annota don Motta - e nella capsula della prima pietra allegata a una pergamena fu messa una medaglietta d'oro con l'effigie dell'Addolorata. L'ultima domenica di gennaio le ragazze entrano nel nuovo salone. E' ancora rustico, senza pavimento. Sarà completato gradualmente solo il 1 giugno 1958.

L'Oratorio femminile sarà tuttavia veramente completato solo nell'agosto 1965. Sia pure concepita nel suo insieme, l'opera fu però attuata a lotti, poiché la congiuntura economica nazionale, dopo gli anni del boom, stava vivendo una fase di stagnazione che si sentiva anche nei piccoli paesi. Le finanze parrocchiali erano dissanguate e per di più l'impresa era pressata dalle richieste di altri clienti che la minacciavano di rompere il contratto. A questo punto don Motta si decise a chiedere un prestito bancario, cosa che ottenne dopo numerose noie burocratiche grazie all'intervento preciso e professionale di Eugenio Colnago. Il mutuo fu concesso a buone condizioni dalla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde più nota oggi come Cariplo.

 

La Grotta di Lourdes

Al 1958 risale la costruzione della grotta di Lourdes. Capitò in un momento poco favorevole, ma come sempre l'ottimismo di don Motta e la sua fede nella Provvidenza ebbero il sopravvento. In un dipanarsi di situazioni impreviste che vengono interpretate in chiave profetica, ecco cosa scrive in proposito don Motta: "Se mi si chiedesse: tutto pagato ? No. E hai intenzione di pagare ? Ora che la mia salute non è più bella, comincio a dubitare anche di questo. Ed allora ? La Parrocchia è la più bella realtà, caparra di vita eterna ed anche di organizzazioni materiali; chiunque ne prende contatto, vive con lei ed opera tutto ciò che vuole con lei. La grotta di Lourdes ne può essere un augurio. Non era certo nelle mie intenzioni di porre mano a quest'opera, ma in un consiglio di Giunta Parrocchiale, gli uomini di Azione Cattolica avevano fatto la proposta: in un primo tempo nicchiai, nella speranza che la proposta cadesse: ma mi venne ripetuta ed allora accettando come volontà di Gloria a Dio, promisi. L'occasione determinante mi si presentò molto più presto di quel che pensassi.

Era l8 aprile 58 e mi imbattei casualmente in operai che attendevano alla posa di pietra nel vicino istituto guanelliano dei Campi Asciutti. Che mestiere è il vostro ? Facciamo questo, ma in particolare attendiamo alla costruzione di grotte di Lourdes. Rimasi quasi sbalordito di questa circostanza, che mi si presentava come augurio ad addossarmi un'altra croce; ma non potei rifiutare ! «Bene se credete, venite su in Parrocchia e discuteremo della costruzione di una Grotta. Detto e concluso, diedero subito inizio all'opera e condividendo e alternando questo lavoro con altri, mi diedero la grotta pronta per la data che avevo richiesto: il 28 settembre 1958."

Quel giorno mons. Sergio Pignedoli, Ausiliare dell'Arcivescovo di Milano dopo aver amministrato la S. Cresima, benedisse i locali dell'Oratorio e la Grotta di Lourdes, inaugurando una devozione mariana che don Motta si augurava di lunga durata.

 

La Casa parrocchiale

A ottobre di quello stesso anno don Motta riuscì finalmente ad acquistare un terreno prospiciente la piazza della Chiesa. Don Motta giustificò l'acquisto perché riteneva quel terreno in ottima posizione per la eventuale costruzione della casa parrocchiale, e poi poteva comunque servire a tenere la piazza libera da eventuali costruzioni di carattere profano. Da quattro anni don Motta perseguiva l'idea di tale acquisto, senza mai riuscire a concludere nulla perché il Duca, che ne era proprietario, si rifiutava di cederlo. A dire il vero già dal settembre 1954 il parroco di Bulciago don Canali gli aveva suggerito di costruire la Casa parrocchiale e già da allora aveva interpellato per iscritto il Duca per l'acquisto di un appezzamento di terreno antistante la piazza della Chiesa. La risposta del suo fattore Verga fu inizialmente positiva e altrettanto gentile fu il Duca a ripetere la promessa di cessione il 2 novembre in occasione della S. Messa di suffragio nella Cappella di famiglia Visconti. Ma quando furono indicati sulla mappa i terreni richiesti, il Duca incominciò a tergiversare, a tirare per lunghe, a negare la cessione "per varie ragioni e contingenti motivi." Solo quando il 7 ottobre 1958 il Duca vendette tutte le sue proprietà in Cassago, eccezion fatta per il Salvatore e per l'Asilo, fu possibile a don Motta acquistare quei terreni dal nuovo proprietario signor Silva. Insieme con il terreno furono acquistate anche la così detta Casa del Sagrestano e la Tribuna sovrastante la sagrestia o Cappella matroneo a cui si accedeva riservatamente dal Palazzo dei Duchi. Fu predisposto anche un nuovo accesso di utilità alla Chiesa costruendo un ballatoio alla stessa quota, cui siascende da una porta della Cappella di S. Agostino.

Perfezionato il contratto di acquisto il 19 maggio 1959, in quella stessa estate don Motta incaricò il geometra perito edile Eugenio Colnago di preparare un progetto della casa parrocchiale. Presentato a mons. Moraghi, fu trovato di proporzioni piuttosto grandi, per cui il geometra Colnago preparò un nuovo progetto che fu quello poi realizzato.

La solita impresa Pozzi di Sirone assunse i lavori ed il 27 dicembre 1959 si diede il primo colpo di piccone per le fondamenta. Fu un anno di grandi piogge, ma la muratura fu completa per maggio e in agosto fu iniziata la sistemazione degli alloggi. Con la costruzione della nuova casa parrocchiale don Motta sollevò la questione della vecchia canonica che pur essendo adibita ad abitazione del parroco era di proprietà del Comune, che dal 1571, in base a una convezione sottoscritta con il cardinale Carlo Borromeo, si impegnava a pagare un sacerdote e ad assicuragli una casa di abitazione. La canonica dove risiedeva don Motta era una vecchia casa signorile che, a spese della Comunità di Cassago, era stata riadattata ad abitazione del parroco verso il 1765 quando fu costruita la nuova chiesa. Con la costruzione della nuova casa parrocchiale don Motta pensò che in base a quella convenzione del 1571 il Comune dovesse in qualche modo concorrere nelle spese. Agli amministratori comunali e al Sindaco Pasquale Milani fece una semplice proposta: la parrocchia avrebbe costruito la casa parrocchiale ma il Comune avrebbe dovuto dare un contributo corrispondente alla valutazione della vecchia. A queste condizioni la proprietà della casa sarebbe rimasta al Comune, in caso contrario a titolo di compenso ne pretendeva la cessione alla Chiesa. La questione era certamente mal posta perché quella convenzione del 1571 non aveva alcun valore giuridico, perché non era mai stata approvata dallo Stato Italiano e inoltre era pur sempre la Comunità di Cassago che avrebbe costruito la casa con le sue offerte, ma tant'è: la proposta di don Motta fece breccia in quegli amministratori poco accorti, i quali non vollero sentir parlare di contributi e preferirono cedere la canonica. La cessione ebbe un iter piuttosto laborioso che durò qualche anno ma alla fine fu risolta nel 1961 dal nuovo Sindaco Eugenio Colnago. L'edificazione della Casa Parrocchiale fu decisa e portata avanti fra non poche polemiche che fecero rumore fino alle orecchie dell'Arcivescovo Montini, il quale pare che in primo momento avesse lasciato trapelare quasi disapprovazione alla decisione di simile opera. Don Motta ricorda di essere "vissuto in una specie di timore, in una sospensione di giudizio, in una incertezza che toccava fino il dolore." Con grande soddisfazione del parroco tutto invece si appianò grazie ad una lettera personale autografa del cardinal Montini. Era il 10 aprile 1961 e don Motta la fece subito stampare sul Bollettino parrocchiale. "Reverendo e Caro don Motta - diceva la lettera - ho seguito con interesse le sue opere; credo che sarà contento dell'aiuto che le è stato dato dall'Ufficio Amministrativo. Ricordo sempre con piacere la grande cerimonia della Consacrazione della sua Chiesa; mando un benedicente saluto a lei ed alla sua Parrocchia."

Per il parroco questa parole furono di grande soddisfazione, il che lo indusse a continuare serenamente per la via che aveva tracciato.

 

Il Beneficio

Di grattacapi don Motta ne aveva avuti anche altri oltre la casa parrocchiale, che avevano messo a dura prova la sua pazienza. E' il caso ad esempio del beneficio coadiutorale allorché dovette procedere a una permuta di terreni. Confrontando la facilità delle transazioni d'inizio secolo con la farraginosità della burocrazia di Curia don Motta amaramente osserva: "mi vien da chiedermi se il mondo ora è diventato una botte di tortura o un luogo di grande purificazione e santificazione. "

Ma che cosa era successo ? In poche parole era successo che la famiglia Onofri aveva chiesto di poter acquistare un appezzamento di terra che apparteneva al Beneficio e che confinava con la sua casa di abitazione. La Curia all'inizio aveva detto decisamente di no, ma poi rispose che la permuta era possibile ma in proporzione di 1 a 3. Don Motta cercò dei terreni adatti a tale permuta e individuò una serie di appezzamenti tra l'Asilo ed il Cimitero, che appartenevano alla famiglia del conte ing. Pedroli, dove il parroco Colnaghi aveva già chiesto negli anni '30 uno stralcio di 6 pertiche milanesi con lo scopo di costruirvi l'Oratorio Maschile. Purtroppo don Motta non potè concludere alcunché perché vi erano contadini affittuari, tuttavia la parte di cui già lo stesso conte ing. Pedroli aveva fatto il disegno di stralcio era vendibile e il signor Onofri la acquistò e la diede a titolo di regalo alla Chiesa in compenso della permuta per cui don Motta stava lavorando. Alla fine fu finalmente individuato il terreno adatto alla permuta in un appezzamento alla Stazione di proprietà della signora Frigerio Anna che fu comperata dal signor Mario Onofri e ceduta al Beneficio.

La pratica passò alla Prefettura, dalla Prefettura al Ministero degli Interni, dove per interessamento del deputato comasco Martinelli sottosegretario al Tesoro fu presa in considerazione, ma non trovando congrua la permuta venne rimandata alla Prefettura per ulteriori accertamenti e rimandata di nuovo a Roma. Giunse infine il Decreto Presidenziale di Einaudi nell'estate del 1953. In tale permuta 7 pertiche del Beneficio furono convertite in 16 pertiche milanesi, assegnate sempre al Beneficio. Il valore del coltivo acquisito era inferiore a quello permutato, ma si prevedeva che il suo valore commerciale sarebbe aumentato per la vicinanza della Cementeria. La differenza di valore era stato conguagliato con £. 1.500.000 di cui 800.000 assegnate alla Chiesa e 700.000 al Beneficio, oltre a 6 pertiche milanesi confinanti con l'Asilo a titolo di regalo. Proprio su questo terreno sarebbe poi sorto l'Oratorio femminile. La perseveranza di don Motta aveva alla fine dato ottimi frutti e lo aveva ripagato da quelle che egli chiamava "umiliazioni."

 

La Cooperativa di Cassago

La vita religiosa era senz'altro la preoccupazione principale di don Motta, tuttavia egli stesso era convinto che la sua attività spirituale non poteva prescindere dalla vita sociale e politica del paese. Di qui il suo forte impegno nel sociale con scelte molto coraggiose e anche molto politiche. In anticipo di decenni rispetto agli orientamenti generali, egli credeva che negli del dopoguerra la ricerca del benessere economico in realtà fosse una scusa per mascherare il distacco progressivo della gente dalla vita cristiana. Responsabile primo di questa disaffezione alla chiesa cattolica era per don Motta la grande eresia pratica e teorica del Comunismo, che egli cercò di combattere in ogni modo. Per contrasto egli invece lodava il movimento della Democrazia Cristiana diretto "da quel grande uomo politico e di onestà ineccepibile e di pazienza ammirabile che fu De Gasperi."

Osserva don Motta che "i sacerdoti pienamente all'altezza della situazione capivano ed agivano." E' in questo genere di clima e di idee che si forma a Cassago il pensiero sociale dei cattolici impegnati in politica. Don Motta lodò e continuò a sua volta l'opera svolta in parrocchia da don Piero Pini, sacerdote aperto a tutti i nuovi problemi, che aveva dato vita a belle organizzazioni tra cui le ACLI. A don Piero Pini il parroco riconosce il merito di avere stimolato alla formazione della Cooperativa Popolare di Cassago, a cui assicurò una direzione cristiana. Nata dopo il 1948 questa Cooperativa nella sua Gestione Alimentare si era installata in un locale prospiciente la strada di proprietà dell'Oratorio. L'affitto fu fissato fino al 1951 e successivamente fu rinnovato per altri due anni. Nel '53 avvicinandosi la scadenza don Motta fa pervenire un benigno avviso di sfratto. Scrive don Motta che questo avviso "valeva per quel che valeva anche per il vincolo degli affetti esistenti: ma era sempre un richiamo nè si deve dire che la Direzione della Cooperativa dormisse."

I responsabili della Cooperativa infatti avevano acquistato 2 pertiche milanesi di terreno al di là della strada per edificarvi la nuova sede della Cooperativa. Ma nessuno, nè i soci della Cooperativa, nè il parroco, avevano intenzione di cominciare i lavori. Perché - osserva don Motta - "una costruzione è sempre una costruzione con i relativi atti di amor di Dio e di grattacapi umani."

Fu così che si arrivò al 1955, anno in cui vennero le S. Missioni, che il parroco desiderava vivere prendendosi a cuore soprattutto i giovani e "quelli deviati nel movimento socialista." Don Motta pensò di chiedere consiglio a un suo concittadino, il signor Lorenzi, che dirigeva a Barzanò una sezione sindacale socialcomunista, ma che don Motta sapeva in piena crisi politica. L'incontro fu decisivo: Lorenzi gli parlò e lo consigliò: "Lei don Giovanni prepari un ambiente accogliente per giovani, che non sia quello dell'Oratorio, verso cui possono avere delle prevenzioni. Per quanto riguarda l'attivista, s'è messo a lavorare in proprio, le dia il lavoro, lo paghi con premura e poi essendo egli amante della lettura gliela procuri sempre e graduale."

Questi ragionamenti convinsero don Motta ad assumersi l'onere di costruire il nuovo ambiente della Cooperativa e lo fece diventare il suo proposito pastorale delle S. Missioni. Don Motta acquistò dalla Cooperativa il terreno, poi si assicurò un prestito dalla Cooperativa stessa che sarebbe stato scontato in dieci anni di affitto. Il 2 settembre 1955 l'arcivescovo di Milano Montini benedisse la "prima pietra": era nata la nuova Cooperativa che con l'Oratorio doveva diventare nelle intenzioni del parroco un bel complesso forgiatore di vita e di idee cristiane.

 

La chiesa di Oriano

Da diversi anni non si metteva più mano alla chiesa sussidiaria di Oriano, che invece aveva bisogno di urgenti interventi di restauro. Inoltre la accresciuta popolazione della frazione imponeva un ampliamento del vecchio perimetro murario medioevale della chiesa. Don Motta decise di intervenire agli inizi degli anni '70 pochi anni prima di morire. Nel 1971 si incomincia a proporre a qualche progetto, che troverà una migliore definizione per la festa di S. Marco il 25 aprile del 1972. Viene posata la prima pietra che contiene una iscrizione in bel latino, come piaceva a don Motta: Populus Cassiciacensis - recita lo scritto - quam qui religiosissimus ad Sacram liturgiam diligenter servandam Templum renovavit loco Aureliani A. D. MCMLXXII. S. P. Paulo VI Ecclesiae Mediolanensis Arch. Joanne Colombo sac. Joanne Motta A. XXV. Le ragioni di queste lungaggini nell'intervento edilizio erano di tipo burocratico, dovute alle prerogative censorie che la legge attribuiva alla Curia e alla Sovrintendenza ai Beni Culturali. Il disegno dovette essere più volte rifatto fino al definitivo assenso nel maggio 1972. Don Motta forse si accorge che la malattia non lo risparmiava, ma non demorde da quella che sarà la sua ultima opera. Ciò che lo rincuora è la necessità dell'opera, una necessità che è al di sopra del parroco stesso: "prima cosa è vivere - scrive don Giovanni - se si riesce a vivere, che se non si vive chi verrà dopo di me farà con gioia quel che si è iniziato perchè ad onore del vero la sottoscrizione presenta la sua quasi totale corrispondenza e propone un elemento oltre di pazienza da parte di tutti, anche di fiducia."

Il 25 aprile 1973, don Motta celebrò nel rustico della chiesa in rifacimento. Il freddo, l'umidità e il vento indebolirono ancor più il parroco, che peggiorò in salute e morì 24 giorni dopo. Don Motta non sopravviverà alla realizzazione di quest'opera: sarà don Giuseppe Panzeri a concluderla nel 1974. Don Motta era già nella gloria dei Cieli a riposare o forse ad aspettare i suoi amati parrocchiani, e ci piace qui ricordarlo con le ultime parole che ha consegnato al Chronicon: "è ferragosto: le officine chiuse, i lavoratori che sono anche padri di famiglia raggiungono mari e monti; la gioventù è volatizzata: il parroco attende nel fresco della casa e della chiesa."