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Cassago: l'entrata di don Motta nel 1948
SUL FILO DELLA MEMORIA: UN PARROCO CHE AMAVA SANT'AGOSTINO
di Tina Beretta Trezzi
Le mie radici brianzole portano il segno sacerdotale di tre preti, differenti per la loro storia personale, ma uniti nella condivisione evangelica come servizio. Erano legati dalla passione agostiniana e dalle letture di Romano Guardini. E qui la mia testimonianza diventa difficile perchè scopro un luogo della mia anima.
Don Olimpio Moneta, parroco di Tabiago e Nibionno: dall'Università lo ritrovai in tempo per il funerale di mio padre.
Molti ricordano le prediche calde, coinvolgenti, di un pastore sempre in prima persona, sempre con gli ultimi. Non a caso era amico di David Maria Turoldo. Non si arrese se non alla morte fisica.
Don Attilio Meroni, parroco di Moiana e Merone, amico di famiglia, apostolo delicato, sorridente. Visitava la tomba dei miei genitori nel cimitero della sua chiesa dove presto avrebbe riposato anche lui, stroncato da tante sofferenze.
L'altro incontro fu con don Giovanni Motta, parroco di Cassago Brianza. Guidava e amava con la purezza di cuore che lo rese unico, speciale. Lo conobbi al tempo del ginnasio, quando eravamo in pochi a cercare il Rus Cassiciacum che faceva scrivere e discutere molto. Più da noi che all'estero in verità. Io arrivavo serena quassù perché Guardini, studioso, tra l'altro, di Agostino, non ha mai dubitato, parlandomi a lungo dei Dialoghi di Cassago (R. Guardini, La conversione di sant'Agostino, Morcelliana, Brescia 1957). Anche il mio primo maestro e professore, il filosofo vicentino Giuseppe Faggin, dava per scontato che il luogo dei Soliloquia fosse questo e lo confermò nel suo libro Le Confessiones, Marzorati, Milano e nell'Enciclopedia Cattolica.
L'incontro con don Motta resta fondamentale. E' il filo interiore tra l'adolescenza e la giovinezza di una donna, ancora sotteso nella stanza privilegiata dello spirito. Confessore, amico, padre spirituale come lo fu per mio padre ? Non me lo chiesi mai. Per me era un uomo di Dio, un prete dalle certezze profonde, un pellegrino che non percorreva strade curiose o sentieri di moda. Viveva il sacramento dell'ordine concretamente, da testimone fedele, missionario fra le coscienze senza turbarle. Apriva alla preghiera e alla meditazione quanto la Chiesa consegnò alla sua vocazione. E lo faceva in maniera semplice, immediata, da uomo brianzolo cioè puro, oltre le parole e le suggestioni.
Don Giovanni mostrava nella sua stessa persona le contraddizioni paoline della purezza di cuore: quasi ruvido, ma gli bastava aprire la porta di casa per accogliere con sincerità; quasi timido, ma poi guardava negli occhi; quasi scontroso, ma pronto ad accogliere nella propria sensibilità; quasi senza parole, a volte, ma attento all'ascolto e alla comprensione perchè aveva ascoltato da sempre il Mistero del Regno di Dio e capiva anche quelli che ne erano fuori.
Lo sentii più volte ripetere: "Nessuno, accesa una lucerna, la mette in un luogo nascosto, nè sotto il moggio, ma la pone sul lucerniere affinchè coloro che entrano vedano il suo chiarore." (Mt 5, 15 e Mc 4, 21)
Lui leggeva così il tessuto dell'esistenza. "Occorre una conversione dello spirito - diceva - una intenzione autentica che superi i primi significati e le apparenze facili, altrimenti ci toccherà la risposta che il Signore diede a Nicodemo." Chi non è rinato dall'alto non può vedere (nel senso greco, vedere dentro) il Regno (Gv 3, 3).
Di fatto aveva compreso l'originalità del pensiero agostiniano. non arrestarsi di fronte alla "lettera" delle Scritture per attraversare l'allegorismo e vincere la superbia dell'intelligenza. Il rapporto di don Motta con Agostino è tutto nelle sue parole che leggo in un diario ingiallito: "Bene. Tu, quelli che vengono dal Giappone, l'università, i docenti. Ma non sapete che questo sommo dottore, maestro della Patristica e della Chiesa universale, si annullò nella grandezza del Creatore fino a dimenticare se stesso per conoscere ogni bisogno, ogni ruga dell'altro ? Pregatelo, cercate di imitarlo e, se non ritenne di lasciare notizie più precise su questo luogo, accettate, senza troppe brame intellettualistiche. Il suo credo ut intelligam è un grande atto di umiltà e Dio gli tolse le pene di una inquietudine senza speranza."
Era una mattina d'autunno, il cielo terso e l'aria già fredda. Sulla piazza della Chiesa c'erano quattro giovani giapponesi indaffarati con macchine fotografiche, cavalletti e cineprese. In un francese stentato, fra molti inchini, mi spiegarono che stavano preparando un servizio sulla permanenza di Agostino nel Rus Cassiciacum per la loro facoltà di filosofia (Osaka).
Allora non potevamo nemmeno immaginare la fondazione ufficiale dell'Associazione, gli studi, le pubblicazioni, le settimane agostiniane, persone che vengono dai luoghi più disparati. Allora non esisteva il libro delle presenze, mancavano i visitatori noti per scienza e dottrina che oggi si onorano di giungere alla "cittadella agostiniana." Vorrei ricordare che Cesare Cavalleri, direttori di Studi Cattolici, fu colpito da questa figura di parroco nella "sua chiesa sul monte" e mi chiese un lungo articolo per condividere con i lettori della rivista la mia esperienza davvero importante. C'è anche una bella foto di Cassago Brianza fra le montagne di Lecco e le pianure dolci dell'Alta Brianza.
Per me don Giovanni Motta è quanto sono riuscita a dire, il dottore in filosofia, il professore che antepose sempre il cuore semplice e umile: un dono che non ho ricevuto per merito, ma per grazia, "dono" che sento sempre di più col passare degli anni, perchè i giovani sono egoisti, nel senso buono, ed è giusto sia così, perchè devono costruirsi e costruire attorno a loro.
Quando scrissi il primo saggio, e non ritenni casuale l'argomento fissatomi dal docente di morale, La grandezza semplice del curato d'Ars, pensai subito a don Giovanni. Hanno molti punti in comune ! La fedeltà all'impegno sacerdotale costruita su pochi elementi fondamentali: sincerità, centralità della santa messa. Pregare, confessare, predicare, perchè le opere nascano dallo spirito. Tutti e due hanno sperimentato che non sono i miracoli o le macerazioni a riempire la vita, ma il Cristo vivente nei fratelli, in ogni fratello. Pascal assicura che un grande incontro continua oltre se stesso con segni e coincidenze. E' vero. Molti anni dopo la morte di don Motta mio marito ed io abbiamo percorso a piedi El camino de Santiago de Compostela. Al ritorno, Attilio Nicora, allora vescovo ausiliare di Milano, scelse per la copertina del suo libro la nostra diapositiva della "chiesa sconsacrata" (Santo Domingo de Bonaval) dalla quale nasce il titolo Vivi il mistero posto nelle tue mani. Noi abbiamo pensato a don Giovanni, che questo mistero ha vissuto in fondo. Proprio in nome di questo mistero, Paolo scrive a Timoteo: "Carissimo, non vergognarti della tua testimonianza da rendere al Signore nostro, nè di me che sono in catene per lui. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore, di saggezza." (2 Tm 1, 6- 12)
Desidero ricordare il cosiddetto giallo della lettera autografa di Alessandro Manzoni dove l'illustre autore ritrattava la sua precedente convinzione, secondo la quale aveva preferito Casciago a Cassago. Successe la mattina degli studenti giapponesi in piazza. Don Giovanni scelse la chiave di un mobile scuro, alto. Mi volgeva in parte le spalle e passava carte e registri da una mano all'altra, poi nominò la lettera, a voce bassa, intento a proteggere più che a nascondere. Mi parve un pò scosso nel suo breve cercare, tanto che non ritirò la chiave dalla serratura e parlò d'altro.
Resterà insoluto il giallo anche i prossimi futuri storici ? Forse, ma, conoscendo la saggezza e l'onestà del Parroco, la lettera sarà nella grande casa di tutti i parroci della diocesi. Là ognuno di loro affida e confida. Certo don Giovanni aveva la forza e la rettitudine del padre Cristoforo manzoniano e la sua parola anche umana aveva un carattere di "avvenimento" come relazione immediata e condivisa.
Scrivevo le frasi che più mi colpivano. Ne ho scelto cinque.
Preghiamo perchè la sofferenza non sia solo sofferenza, ma offerta d'amore.
Preghiamo perchè la morte non sia fine, ma congiungimento eterno.
Ogni volta che ci aggrappiamo alle nostre idee, ai nostri studi, non contempliamo più, perchè il cuore non è più semplice e Dio si rivela ai piccoli.
Nessuno è sufficiente a se stesso e tutti hanno bisogno gli uni degli altri. Dunque tutti iamo poveri e non ci resta che percorrere le vie delle Beatitudini. (Parole che ricordano quelle di Turoldo, non a caso si laurearono nello stesso periodo all'Università Cattolica)
Sono un prete servitore che attende il giudizio per essere chiamato amico.
Il perdono è la luce della nostra intelligenza oltre che del nostro cuore. Un uomo è buono se ha dato e ricevuto il perdono.