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giuseppe redaelli: LA RINASCITA SPIRITUALE FEMMINILE NEL 1200 - 1300

 Santa Monica: dipinto di Sotomayor

Sotomayor: santa Monica

 

 

 

LA SPIRITUALITA' FEMMINILE SEME DELLA CIVILTA' UMANA

di Giuseppe Redaelli

 

 

 

Introduzione

Cerchiamo innanzi tutto di chiarirci l'argomento di cui tratteremo. Il titolo recita: "La spiritualità femminile seme della civiltà umana". Ora, sulla parola "femminile", niente da dire: significa "che riguarda la donna". Lo stesso dicasi per "seme", che indica "ciò che è alle origini." Perciò: "La Spiritualità delle donne alle origini della civiltà umana."

Più difficile è cercare di chiarire che cosa s'intenda per "Spiritualità." Da un lato, "Spiritualità " indica "ciò che è proprio dello Spirito": perciò dovremo chiederci che cosa significa "Spirito".

Purtroppo, non esiste parola, termine o concetto che sia stato discusso, nella storia dell'umanità, più di "Spirito". Solo la filosofia occidentale se n'è occupata per duemilacinquecento anni, cioè almeno dai tempi dell'antica Grecia, dove era lo Spirito era chiamato logos poi per tutto il medioevo, dove si discuteva su Animus, Anima, Spiritus, Ratio e Intellectus, poi ancora nell'Età Moderna (si pensi solo alla filosofia di Decartes ...), fino all'Età Contemporanea (con l'Idealismo, lo Spiritualismo ecc.). Senza contare che, da quando è scoppiata la moda New Age, di Spirito e affini si può sentire parlare non solo presso i dotti, ma in ogni piazza, salumeria, negozio di parrucchiera ... Ma come definire una parola che ha una storia così vasta e gloriosa, e che oggi è tanto diffusa ?

Una qualsiasi definizione rischierebbe, senza dubbio, di tralasciare qualcosa, di omettere particolari importanti, in una parola d'essere incompleta. D'altro canto, non è neppure pensabile che io cerchi di riassumere la storia della parola "Spirito" in poche righe.

L'unica soluzione è di evitare di definire del tutto questa parola. Ma allora, come sbrigarsela ? Non è possibile trattare di ciò che non si ha ben chiaro, e, senza una qualche, per quanto solo abbozzata, definizione, rischio di trovarmi all'oscuro sul nostro argomento ...

Per cavarmi d'impaccio, invece che rifarmi alla gloriosa storia della filosofia e delle religioni, rivolgerò la mia attenzione al linguaggio che parliamo tutti i giorni. Nella nostra lingua comune, nel linguaggio quotidiano, la parola "spirito" viene usata per indicare una parte specifica della persona, una parte legata ai sentimenti, al pensiero, al "vero essere" di un individuo: in questa accezione, la si usa tanto per l'uomo (lo spirito di Gianni, il mio spirito), quanto per Dio (lo spirito di Dio, lo Spirito Santo); in questo modo, "spirito" entra spesso in contrasto con la parola "corpo", con la quale anzi forma la coppia di opposti "corpo - spirito".

Ora, caratteristica ovvia di tutte le coppie di opposti è che un opposto esclude l'altro. Perciò, se saprò rispondere alla domanda "Che cos'è il corpo", di certo saprò anche che cosa NON è lo Spirito, e dunque, di conseguenza, avrò anche guadagnato una qualche conoscenza SULLO Spirito stesso.

Dunque, che cos'è il corpo?

Se cerchiamo di rispondere a questa domanda direttamente, con una definizione, ci ritroveremo senza dubbio impastoiati negli stessi problemi in cui eravamo incappati a proposito della parola "Spirito": come lo Spirito, così il Corpo è stato oggetto di lunghe ed accurate discussioni ed indagini, in moltissimi campi e per tutta la storia dell'uomo.

A ben guardare, tuttavia, a noi non serve analizzare tutta la storia della nostra civiltà per sapere che cos'è il Corpo, perché Corpi ne abbiamo costantemente sotto gli occhi: così, questo tavolo, su cui scrivo, lo considero un corpo, anche se magari non ho mai studiato filosofia e fisica, e perciò non so definire l'Essenza della Corporeità; e questa sedia, su cui siedo, è senz'altro un corpo: se non lo fosse, appena cercassi di sedermi, cadrei per terra. Corpo è anche questo foglio, su cui scrivo, e questa penna, con cui scrivo. Ma non solo: Corpo è anche la mano, che tiene la penna, il braccio, che poggia sul tavolo, gli occhi, che guardano il foglio... e così via.

Ora, la prima caratteristica di tutti questi oggetti, o corpi, come ho voluto chiamarli, è che li posso percepire: la sedia, il tavolo, il foglio, la mano ecc., IN QUANTO CORPI, SONO PERCEPIBILI. Allora, diremo che Corpo è, in primo luogo, tutto ciò che può essere, o di fatto è, percepito (1). Detto altrimenti, prima caratteristica della corporeità è la (sua) percettibilità.

Se, come abbiamo visto sopra, nel linguaggio comune il concetto di Spirito entra in opposizione con quello di Corpo, e se il corpo è il percettibile, allora lo Spirito, suo opposto, sarà "ciò che non può essere percepito". Con questa definizione, che non vuole certo esaurire il campo semantico del termine "Spirito" e del concetto relativo (2), abbiamo tuttavia incontrato una nuova difficoltà.

Infatti, io dico, di un corpo, che esiste, quando lo percepisco, qui ed ora, davanti a me: la percettibilità di un corpo è cioè verifica e prova della sua esistenza. Ma, se la percezione che ho di un corpo è la garanzia prima della sua presenza, e, in ultima analisi, della sua esistenza; e, se tutto ciò che percepisco (o, il che è lo stesso, che posso percepire) è corpo; e, se lo Spirito non è percepibile, come posso affermarne l'esistenza ? Un esempio potrà forse chiarire la questione. Se o sono, per esempio, adirato, chi mi osserva dall'esterno non potrà vedere la mia ira. Potrà però vedermi digrignare i denti, stringere i pugni, diventare tutto rosso, o improvvisamente pallido, gli occhi ridotti ad una fessura ... e da tutto ciò potrà capire che io sono adirato, cioè che provo ira nel mio spirito. In questo modo, chi mi sta osservando è testimone di un moto del mio spirito.

Che cosa è successo? Come può il mio immaginario interlocutore aver percepito qualcosa che non e, per sua natura percettibile ? Molto semplicemente, egli ha percepito quanto accadeva nel mio spirito attraverso i mutamenti intervenuti nel mio corpo. Così, generalizzando, diremo che lo Spirito si mostra attraverso il Corpo, per mezzo del Corpo. Siamo così giunti ad una prima definizione, per quanto necessariamente semplicistica, del termine "Spirito". Torniamo ora alla "Spiritualità."

Oltre che significare "ciò che riguarda lo Spirito", nel nostro linguaggio quotidiano intendiamo il termine "spiritualità" come sinonimo di "religiosità", che a sua volta indica "ciò che riguarda la religione": sarà allora alla parola "religione" che dovremo rivolgerci, dopo aver scrutato lo Spirito, per capire il senso del termine "Spiritualità." Naturalmente, definire che cosa sia "religione" richiederebbe un lavoro ancora più lungo, faticoso e complesso, del tentativo di definire che cosa è spirito (3). Tuttavia, un aiuto in questo senso ci viene dalla stessa parola "Spiritualità" che, usata nell'accezione religiosa, indica propriamente ciò che ha a che fare con l'esperienza religiosa.

Nel suo bellissimo libro sul Sacro (4), Rudolf Otto definì l'esperienza religiosa come l'esperienza del "Numinosum": il grande teologo e storico delle Religioni coniò quest'espressione dal vocabolo latino "Numen" (= il divino), per significare l'esperienza cosciente irrazionale "di qualcosa di misterioso e terribile, che ispira timore e venerazione." (5)

Insomma, l'esperienza del Numinosum è l'esperienza del Sacro. Ora, sempre nel nostro linguaggio comune, Sacro entra in un "gioco d'opposti " con un'altra parola, "profano": perciò, di nuovo, una qualche definizione, per quanto approssimativa, della parola "profano" potrà aiutarci a capire che cosa sia il "Sacro". Ma che cosa significa "profano" ? A prima vista, sembra che "profano" sia solo, e soltanto, ciò che non è "sacro". Ma facciamo attenzione. La lingua italiana inserisce la parola "profano" all'interno del gioco di opposti "iniziato - profano".

Per esempio, parlando di culti e sette, a fronte dell'iniziato, cioè di colui che si è addentrato nei misteri della setta, il profano è chi ignora quei misteri, il comune uomo di strada. In questa accezione, perciò, "profano" raccoglie in sé le caratteristiche di "quotidiano", "comune", "solito": per contrasto, allora, "sacro" sarà tutto ciò che esce dalla quotidianità, l'insolito, il non comune.

Il Sacro è tutto ciò che è non - normale, non - quotidiano, non solito; a fronte di un profano che è ordinarietà, il Sacro sarà lo straordinario, nel senso etimologico di "ciò che esce dall'ordinario".

Credo che, a questo punto, sia necessario fare attenzione, perché siamo nuovamente caduti nel tranello che il binomio di opposti "corpo - spirito" ci aveva teso. Infatti, se, come il corpo, il profano rappresenta la nostra esperienza quotidiana, cioè di tutti i giorni, cioè, se tutto ciò che incontriamo nella nostra vita, giorno per giorno, tutto ciò di cui facciamo esperienza è "Profano", sembrerebbe che, nella vita dell'uomo, il Sacro, l'esperienza del mysterium tremendum non abbia alcun posto. Sembrerebbe, in altri termini, che l'uomo non possa fare esperienza del Sacro.

Nel corso del nostro discorso, si è tuttavia creato un certo parallelismo fra quanto abbiamo detto a proposito del binomio "corpo - spirito" e il discorso su "Sacro - Profano". Non solo, infatti, entrambe le coppie di termini mostrano una contrapposizione interna; non solo lo sviluppo del ragionamento ci ha portato ad un'identica empasse; ma la stessa analisi del significato dei termini ha mostrato delle analogie: il Corpo ci era infatti apparso come l'unico oggetto di quell'esperienza quotidiana, a cui, in seguito, abbiamo attribuito il carattere di "profano". Per questo motivo, credo che sia possibile estendere anche al Sacro quanto avevo già detto a proposito dello Spirito: come lo Spirito si manifesta attraverso il corpo, così il Sacro si manifesta attraverso il Profano.

Tuttavia, sembra che questa affermazione abbia bisogno di qualche chiarimento: infatti, presa alla lettera, sembra dirci che la nostra esperienza quotidiana sia un misto di Sacro e di Profano, cioè che, quotidianamente, siamo alle prese con un Sacro che ci appare, ci si mostra, attraverso il Profano.

In realtà, l'esperienza quotidiana è pronta a smentire una simile affermazione, senza contare che, se il Sacro si manifestasse quotidianamente attraverso il Profano, il Sacro stesso sarebbe il Quotidiano, e cadrebbe una basilare differenza fra i due. (6)

Torniamo all'esempio dell'ira, fatto in precedenza. Quando io sono adirato, e i mutamenti del mio corpo testimoniano dei mutamenti del mio spirito, ciò che in realtà l'osservatore vede sono solo dei mutamenti corporei, cioè propri unicamente del corpo. Che cosa gli permette di inferire, partendo da essi, lo stato del mio spirito ? Proviamo a chiarire le cose con un altro esempio.

Immaginiamoci un lavoratore che percorra, tutte le sere all'ora del tramonto, una strada che guarda verso ovest e che si snoda sulla cima di un monte. Solitamente, stanco per una lunga giornata lavorativa, preoccupato e preso fra cento pensieri, non noterà quasi il tramonto che pur vede tutti i giorni; anzi, accecato dal sole calante, avrà spesso maledetto quei raggi rossastri che gli feriscono gli occhi e gli impediscono di vedere la strada ... Una sera, tuttavia, il nostro lavoratore incappa in un contrattempo ... la strada intasata, una coda, il traffico più intenso del solito ... che lo blocca , fermo, in cima al monte, di fronte al sole che tramonta.

Allora, fermo per la prima volta, accantonati un istante, per forza o per caso, tutti i suoi pensieri, il nostro buon uomo aprirà gli occhi e VEDRA' IL TRAMONTO, e forse resterà colpito dalla bellezza del sole, dalla luce sublime, dalla cosmicità dell'evento ... Che cosa è successo ? Il lavoratore del nostro esempio, come l'osservatore esterno dell'esempio precedente, ha potuto vedere al di là del quotidiano, al di là dell'apparente, ciò che prima, e forse già da sempre, gli si mostrava; ma l'ha potuto vedere, innanzi tutto, perché lui per primo ha guardato.

L'esperienza del Numinosum richiede non solo che il Sacro appaia all'uomo, attraverso il Profano, ma anche che l'uomo si apra, lui per primo, all'esperienza del Sacro.

Abbiamo una conferma di ciò nella Bibbia cristiana. Così, per esempio, nella Lettera ai Romani, Paolo di Tarso scrive, degli increduli, che sono "inescusabili ", perché, anche se "dalla creazione del mondo in poi, le Sue [di Dio] perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da Lui compiute", (7) costoro si rifiutano ostinatamente di aprire gli occhi e guardare.

Ecco perciò che, alla fine di questo discorso, abbiamo chiarito di che argomento ci occuperemo, e quali saranno le caratteristiche del nostro oggetto che dovremo tenere sempre presenti:

Il legame stretto che unisce il quotidiano e lo straordinario, il Sacro e il profano. La necessità che avvenga la contemporanea apertura, del Sacro all'uomo attraverso il Profano, e dell'uomo al Sacro, perché si verifichi l'esperienza religiosa, cioè spirituale. Nel corso di questa breve esposizione cercheremo, tenedo presenti questi punti, di rispondere a due domande fondamentali:

Come si manifesta il Sacro nella Storia, in rapporto al femminile ed alla femminilità ??

Come hanno vissuto le donne questo Sacro, per mezzo del loro corpo, in loro stesse ?

 

Uomo, donna e sacro nella Natura

Secondo i più recenti studi psicoanalitici, l'uomo conosce se stesso attraverso il mondo e il mondo attraverso se stesso, proiettando fuori di sé i contenuti del proprio inconscio sugli oggetti del mondo, e incamerando dentro di sé quegli stessi oggetti, in cui può riconoscere tanto ciò che di se stesso vi ha immesso, quanto la loro estraneità da sé. Questo processo, che si attua fin dai primi mesi di vita del bambino, crea una particolare situazione originaria in cui non c'è un vero confine fra l'uomo e il mondo in cui vive. Solo una riflessione successiva permette di stabilire i confini fra ciò che sta fuori dell'uomo, il mondo, e l'interiorità. All'inizio del nostro secolo, l'etnologo Lucien Lévy-Bruhl credette di scoprire anche nella struttura mentale delle popolazioni "primitive" un simile processo, cui diede il nome di "partecipazione mistica". (9)

Cerchiamo ora anche noi di immaginarci un uomo, anche adulto, "primitivo", e cerchiamo di seguire le sue prime riflessioni sul mondo che lo circonda. Vivo fra cielo e terra, il nostro "primitivo" volgerà proprio lì il suo sguardo. Vedrà così il cielo, onnipresente sopra di sé, vasto, immenso, eterno. Nel cielo vedrà il Sole, che gli dà calore e vita, ma anche arsura, siccità e morte. E la luna, che con le sue fasi segna il tempo e le stagioni, e le stelle, che la notte lo riempiono di meraviglia, e gli sono compagne e gli indicano la strada ... E del cielo imparerà a leggere i segni, ad ascoltare le parole, perché innanzitutto da quello che gli viene dal cielo dipenderà la sua vita.

Ma l'ascolto richiede anche, e per prima cosa, che si faccia silenzio, che ci si apra verso chi si vuole ascoltare: e proprio in questa apertura il nostro uomo scopre il Sacro, nel Cielo che lo sovrasta, nel Sole, nella Luna e nelle stelle.

Alla Terra, poi, il nostro "primitivo" guarderà alla ricerca di frutti, radici, piante da raccogliere, sul suolo cercherà gli animali da cacciare o da allevare ... Ma anche gli alberi, sotto cui ripararsi dal sole e da cui trarre il prezioso legno, e le grotte, in cui ripararsi, e le valli da coltivare, e i monti da eleggere a propria dimora... E, per cercare tutto ciò, di nuovo dovrà aprirsi, lì dove si aprirà gli si manifesterà il Sacro. Un giorno, poi, forse lavandosi, forse bevendo, forse osservando come i campi sono rinverditi dopo il temporale, il nostro uomo si volgerà a considerare l'acqua, e vedrà come i fiumi, i mari, i laghi, ma anche le piogge siano per lui fonte e sorgente di vita, ed il Sacro di nuovo farà capolino, nella sacralità delle acque.

Se poi l'uomo guarderà al mondo nella sua interezza, vedrà che il Cielo e la Terra non sono separati, e che il Sole fa crescere l'erba con il suo calore, ma la fa anche seccare, che la Luna influenza le maree e, con il suo ciclo mensile, favorisce il crescere delle piante e delle erbe; che la pioggia irriga prati e campi e boschi e foreste; che il sole, sorgendo e tramontando, scandisce la vita delle piante e degli animali, la sua stessa vita, e che le stagioni sulla terra si alternano seguendo il cammino delle stelle in cielo; e che tutto quanto l'universo, cioè il Tutto, percorre un cammino circolare, per cui all'inverno segue una nuova primavera, alla notte un nuovo giorno, all'anno vecchio un nuovo anno, secondo un ritmo ciclico che è il ritmo stesso della vita.

Guardando dentro di sé, poi, il nostro uomo sentirà il battito del suo cuore, colpi ritmati che si ripetono regolari, e vedrà il flusso del sangue, si accorgerà che il sonno segue la veglia, come il giorno segue la notte, e la maturità segue la giovinezza, la vecchiaia la maturità, come le stagioni si susseguono fra loro: in sé ritroverà così la stessa ciclicità che già aveva scorto nel mondo.

Ora quest'ordine ciclico, che si ripete sempre uguale, ordinato e scandito da un ritmo preciso, gli antichi Greci lo chiamarono ÷üòìïò, che significa ordine, da cui viene la nostra parola cosmo. E chiamarono poi il mondo, dove quest'ordine armonico era rappresentato su grande scala, Macrocosmo, cioè "grande ordine", e l'uomo, dove quest'ordine si rivelava nel piccolo, Microcosmo, cioè "piccolo ordine". Questa relazione, per cui sia l'uomo che il mondo sono un "Cosmo", un "ordine" armonico, sottolinea lo stretto legame che li unisce: ed anche attraverso questo legame, all'uomo che lo considera, appare il Sacro.

La donna, tuttavia, la compagna del nostro ipotetico uomo "primitivo" può sentire in sé, nell'intimo della propria natura, questo rapporto con il Tutto, in un grado infinitamente maggiore di quanto non avvenga all'uomo. Così come si lega alle maree, regolandole, così la Luna influenza direttamente il ciclo della donna, e il flusso mestruale la lega al fluire delle acque.

Il ciclo della fecondità femminile riecheggia in piccolo la fecondità della natura, e, come la donna porta nel grembo il figlio prima di darlo alla luce, così la Terra nasconde nel suo seno i semi e i germogli, prima che, a primavera, inizino a germogliare. Ecco allora che, allo sguardo della donna che osserva tutto questo in sé, come allo sguardo dell'uomo, che lo scorge nella propria compagna, la donna appare la Ierofania della Vita. (10) Di questo sentire, nella nostra società contemporanea, così desacralizzata, è rimasto ben poco. Un ricordo di quanto era nel passato, tuttavia, ci è giunto attraverso i miti, i riti, le credenze che le varie religioni ci hanno consegnato. Così, in molte religioni dell'antichità, la Terra, la Fecondità, le Stagioni e le loro Dee hanno figura femminile.

Nell'antica Grecia, la Terra è Gaia, madre degli dei, la dea della fecondità del solo Demetra, e l'apparire e lo scomparire della figlia di questa, Proserpina, nel Regno dei Morti segna alternarsi delle stagioni. Così anche Nihosdzan Esdza presso gli indiani Navaho, ma anche la dea fenicia Astarte, o la mesopotamica Yavanna, il cui grembo è descritto come un giardino (hortus) fecondo. A questo punto, tuttavia, ci si pone una domanda importante: queste figure di divinità femminili sono frutto della divinizzazione della donna, o del "principio femminile", come ha voluto sostenere, negli ultimi due secoli, una certa storiografia di derivazione illuministico - positivista, o non sono piuttosto, secondo un'ottica spiccatamente "platonica", manifestazioni dell'archetipo della femminilità, di un Sacro preesistente ad ogni ierofania ?

In realtà, credo che questa sia una riproposizione del famoso problema dell'uovo e della gallina: ciò che in effetti possiamo dire è che il Sacro si manifesta attraverso il profano, al punto che un oggetto che sia una ierofania (diciamo, una pietra sacra) sarà, contemporaneamente, un oggetto comune (nel nostro esempio, un sasso).

Nella ierofania, insomma, Sacro e Profano convivono, si compenetrano, e l'uno si serve dell'altro per manifestarsi: senza l'oggetto profano attraverso cui il Sacro si manifesta, non avremmo neppure la ierofania. Così, la Terra (Tellus) è contemporaneamente suolo (humus) e Terra Madre (Tellus Mater), ma lo è non perché qualcuno lo ha razionalmente deciso, stabilendo a tavolino un qualche parallelismo fra la Terra e la donna, bensì perché la sacralità della maternità, della Vita si è manifestata attraverso la Terra, rendendola la propria ierofania, così come la sacralità della fecondità terrestre si è manifestata attraverso la fecondità della donna, a prescindere da qualsiasi discorso razionale. Il rapporto privilegiato fra la Terra e la donna si è conservato, come abbiamo visto, in numerosissimi riti. Per esempio, nei riti di sepoltura per inumazione, il cadavere dell'uomo viene restituito alla Terra Madre, a simboleggiare che, come la nascita è un fuoriuscire dal ventre materno, così con la morte si ritorna nel grembo in vista di una nuova nascita.

In molti riti contadini, poi, proprio alle donne feconde sono attribuiti compiti simbolici e pratici importantissimi: così, in Finlandia, come testimonia Eliade (11), le contadine bagnano i solchi, in cui si seminerà, con qualche goccia del loro latte; nel Borneo, poi, la tradizione vuole che la coltivazione del riso, alimento vitale per il sostentamento della popolazione, sia demandata solo alle donne.

Infine, lo stretto legame fra la donna e la Terra fa sì che questa sia più strettamente partecipe dei misteri della Natura, mentre l'uomo, escluso da un'intimità così profonda, si trova costretto ad apprenderli, e a dipendere spesso dalla sua compagna per parteciparvi. In questo modo, la donna diventa tramite fra l'uomo e i misteri della natura. Intimamente legata con la natura, padrona dei suoi segreti, la donna acquista la saggezza della Terra: un ruolo che, anche oggi, ricoprono, nell'Italia del Sud, le "mammare", padrone dell'arte dei semplici ed esperte levatrici, a cui l'uomo si rivolge per ottenere aiuto e le altre donne per ottenere consigli e suggerimenti.

Così, la donna diviene anche insegnante, il cui scopo è aiutare le donne più giovani a scoprire la loro eredità ctonia e iniziare gli uomini ai misteri della Terra. Leggiamo tracce di questo in molte fiabe, dove la fata aiuta l'eroe o l'eroina a superare innumerevoli difficoltà e, in fondo, a maturare. Ancor oggi, presso le popolazioni eschimesi, solo il rapporto con uno spirito femminile permette all'apprendista sciamano di acquistare i suoi poteri (12).

Se la donna è la ierofania della vita, simbolo della Madre Divina, allora l'unione con la donna, tramite l'atto sessuale, porterà anche l'uomo ad un'intima unione col principio divino femminile, con la Terra Madre: è quello che si chiama "ierogamia", cioè unione sacra, di cui abbiamo tre tipologie.

Nel primo tipo di ierogamia, l'unione con la donna porta l'uomo all'unione con la Terra, con il Sacro Femminile, la Magna Mater, principio di fecondità. E' l'esempio forse più semplice di ierogamia, conservato e praticato ancora oggi in alcuni rituali del ramo tantrico dell'Induismo.

Ma parlando del nostro uomo "primitivo", abbiamo visto come la prima ierofania che lo confrontava non era la Terra, ma il Cielo. Ora, dal Cielo scende la pioggia, che feconda la Terra, come il seme dell'uomo feconda la donna. Così, nell'unione rituale, in particolari periodi dell'anno, l'uomo, personificazione del Dio celeste, e la donna, personificazione della Dea terrestre, si uniscono per portare fecondità nel mondo: è il secondo tipo di ierogamia.

Presso alcuni popoli, infine, una o più vergini vengono consacrate come spose del Dio celeste: queste donne fertili, ierofanie viventi della Terra, unendosi in sposa al Dio, ne ottengono la fecondità e la fertilità per tutta la terra e per tutto il popolo. Questo è il terzo tipo di ierofania, che maggior fortuna avrà nel mondo cristiano.

 

Donne, femminilità e cristianesimo

Negli ultimi vent'anni, la femministe hanno costantemente accusato il Cristianesimo di essere una delle cause (la più grande, secondo alcune autrici) dell'oppressione della donna nella società dei secoli passati. In effetti, se leggiamo alla lettera i libri sacri del Cristianesimo e della religioni da cui questo è nato, l'ebraismo, non possiamo non simpatizzare con queste donne infuriate. Così, nell'Antico Testamento (Lv 15,19): "Quando una donna abbia flusso di sangue [...] la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino a sera. Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua immondezza sarà immondo; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà immondo. Chiunque toccherà il suo giaciglio dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e sarà immondo fino alla sera. Chi toccherà qualunque mobile sul quale essa si sarà seduta, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e sarà immondo fino alla sera. Se l'uomo si trova sul giaciglio o sul mobile mentre essa vi siede, per tale contatto sarà immondo fino alla sera. Se un uomo ha rapporto intimo con essa, l'immondezza di lei lo contamina: egli sarà immondo per sette giorni ...", eccetera. Qui sembra che la donna sia considerata immonda, cioè impura, propria in quella parte di sé, la sessualità e la fecondità, che, come sopra abbiamo visto, la rendevano una ierofania della vita.

Nel Cristianesimo le cose non vanno tanto meglio: nel fornire alla Chiesa di Efeso le regole sulla morale, così si esprime l'Apostolo delle Genti: "Le mogli siano sottomesse ai mariti [...] il marito infatti è capo della moglie [...]" (Ef 5,22-23) e, parlando a Timoteo del comportamento che le donne debbono tenere, scrive: "La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo ad alcuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; [...] perché [...] fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione" (I Tm 2, 11-14). La donna, così, non solo si trova in posizione inferiore all'uomo, ma addirittura lei è causa di ogni male che all'uomo è venuto ! Di certo siamo in un'ottica totalmente opposta rispetto a quella descritta sopra.

E tuttavia... rispetto all'Ebraismo, nel Cristianesimo compaiono moltissimi segni che parlano di una rivalutazione della donna, tanto sul piano sociale, quanto, prima ancora, a livello teologico e religioso..

Si è detto con anche troppa insistenza che, nella divinità maschile dell'Ebraismo e del Cristianesimo, non c'è alcun posto per la femminilità. Questa affermazione, credo, va corretta, almeno in parte.

Intendiamoci, non voglio fare dell'apologetica: voglio solo mettere in luce alcuni particolari che credo siano stati tralasciati, ma che potrebbero mostrare il Dio cristiano sotto una luce un po' diversa. Indubbiamente, YHWH è un Dio maschile, e indubbiamente il Dio cristiano è, in primo luogo, un Dio padre. Tuttavia, i profeti spesso attribuiscono a YHWH caratteristiche tipiche delle ierofanie femminili. Così, l'ira di Dio porta in primo luogo siccità e desolazione, mentre il suo favore dona fertilità alla terra. Per esempio, a proposito del favore di Dio verso il Suo popolo, leggiamo in Isaia, 35,7: "La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d'acqua", e, più sopra (35,6): "scaturiranno le acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa".

L'ultimo libro (in ordine cronologico" dell'Antico Testamento, poi, la Sapienza di Salomone, descrive la figura della Sapienza, figura femminile divina, che si trova "in comunione di vita con Dio" (Sap 8,3), amata dallo stesso "Signore dell'Universo" (Sap 8,3), compartecipe della Creazione: quasi un Dio al femminile, o, se si vuole (stante il dogma dell'unicità di Dio), una parte femminile di Dio, che regola e feconda il mondo naturale, come il mondo spirituale degli uomini.

Nel Cristianesimo si compie un ulteriore passo avanti: la donna diventa addirittura lo strumento attraverso cui Dio dona la salvezza agli uomini. E' vero, il Figlio di Dio, Gesù, si incarna in uomo (13), ma nasce da una donna, Maria, che sembra raccogliere in sé le ierofanie femminili che abbiamo visto sopra. Così, come la donna è ierofania della Tellus Mater, così Maria viene detta, in un Inno del XII° secolo, "Terra non arabilis quae fructum parturiit": una terra che produce frutto NONOSTANTE NON SIA STATA ARATA, non è forse feconda al massimo grado?

Ancora più feconda, poi, se pensiamo a quale frutto ha partorito. D'altronde, già l'angelo chiama Maria "Piena di Grazia" (Lc 1,28), cioè ripiena, colma della potenza efficace di Dio..

Ancora, in Maria abbiamo nuovamente la figura della donna come tramite che intercede fra Dio e gli uomini.(14) Con il dogma dell'Assunzione di Maria nel Talamo Celeste (1950), infine, la Chiesa Cattolica (15) ha reintrodotto il principio femminile del Sacro accanto ad una divinità prettamente maschile.

Lo stesso Gesù, nei confronti delle donne, assume spesso un atteggiamento inaudito nella società ebraica.(16) Nel Vangelo di Giovanni, è una donna la prima persona cui Gesù si rivela nella sua verità di Messia, inviato del Signore. Ed è alla stessa donna, una Samaritana dai molti peccati (17), che egli offre quell'"acqua viva" che toglie ogni sete: ecco che qui Gesù appare legato, da un lato, all'acqua, già ierofania femminile legata alla donna dai flussi (maree, Luna) e dalla fecondità; dall'altro, è addirittura portatore di un acqua tanto potente (cioè, feconda) da togliere ogni sete (cioè, ogni successivo bisogno di rinnovare la fecondità) a chiunque ne beva. (18)

Nel Vangelo di Luca, poi, leggiamo un episodio estremamente interessante, anche se troppo spesso trascurato: l'incontro con l'emorroissa (19), su cui vale la pena di dilungarsi un po'. I fati sono noti. Mentre Gesù si reca a casa di Giairo per curarne la figlia, una donna, "che soffriva del suo flusso da dodici anni ", gli si accosta, tocca un lembo del suo mantello e si ritrova subito guarita.

Gesù si accorge dell'accaduto, chiede chi l'abbia toccato, e, quando la donna si fa avanti raccontando la sua storia, lui le parla con dolcezza. Questa la storia. Ma perché attribuire tanta importanza a questo passo evangelico, rispetto a tanti altri? Osserviamo il testo più attentamente.

Qui si ha l'incontro fra un uomo ebreo e un donna afflitta da un male femminile, un flusso di sangue che è durato per dodici anni. Già essere stato toccato da una donna nel suo periodo avrebbe reso l'uomo impuro fino a sera: abbiamo visto sopra la normativa sacerdotale ebraica al riguardo. Nel nostro caso, però, la donna ha sofferto di questo flusso di sangue PER DODICI ANNI: al proposito, il Levitico impone: "La donna che abbia un flusso di sangue di molti giorni, fuori del tempo delle regole, o che lo abbia più del normale sarà immonda per tutto il tempo del flusso, secondo le norme dell'immondezza mestruale. Ogni giaciglio ..." e via di seguito; se poi rammentiamo che il numero dodici, nella Bibbia, sta spesso a significare una grande quantità, allora dodici anni di flusso di sangue ininterrotto significherà la più grande impurità possibile. Gesù si è perciò lasciato avvicinare (e toccare !) dalla donna impura per eccellenza, riammettendo col suo gesto all'interno della società l'esclusa, l'emarginata. Ma c'è dell'altro. La donna del racconto evangelico è stata colpita in quella parte di sé che la lega alla fecondità del mondo, che la rende una con il ciclo del cosmo. Il suo male l'ha perciò alienata non solo dalla società degli uomini, ma anche dall'armonia del tutto.

Gesù, in quanto Figlio di Dio, con il suo gesto ristora l'armonia perduta, restituisce alla donna la propria femminilità e restituisce la donna al Cosmo come simbolo (20) della fertilità rinnovata: di nuovo, l'azione di Dio che dona fecondità al mondo. Anche nei riti del Cristianesimo ritornano, trasformate in simboli, molte delle antiche ierofanie del femminile.

Quanto detto sopra dell'inumazione vale, naturalmente, anche per il Cristianesimo: la sepoltura nella Terra come ritorno al grembo materno in attesa della rinascita a nuova vita. La stessa immagine della Madre Terra, però, è stata ripresa anche in un altro rito: il rito delle ceneri. Il primo giorno dopo il carnevale, il sacerdote cosparge il capo del fedele di cenere, ricordandogli la sua origine terrestre.

Il rito è posto all'inizio di un periodo di mortificazione e purificazione di quaranta giorni, al termine del quale si celebra la resurrezione del Cristo dai morti. In questo modo si vuole, credo, invitare il fedele a ritornare nel grembo della Terra (cioè, a morire) per rinascere con il suo Dio, rinnovato, dopo un'incubazione (gestazione, se si preferisce) di quaranta giorni.

 

Donna e vita consacrata nel Cristianesimo delle origini

Abbiamo visto sopra come la donna, ierofania della sacralità della vita, si ponesse da tramite fra l'uomo e il Sacro, consacrando la propria vita per donare fecondità e prosperità alla terra e al popolo.

In quel caso, fecondità e prosperità andavano intese nel senso materiale del termine, come capacità della Terra e degli uomini di generare fisicamente frutti. Con il Cristianesimo, tuttavia, anche questo termine subisce uno slittamento. Già nel Vangelo di Giovanni, infatti, Gesù indica come fondamentale per il Cristiano la sua morte alla Terra, alla Materialità, e la conseguente rinascita spirituale (21). Anche Paolo ribadisce più volte, nelle sue lettere, lo stesso concetto.

In questa nuova ottica, in questo cambiamento di prospettiva, è ovvio aspettarsi che anche i concetti di fertilità e fecondità subiranno un importante mutamento. Per il nuovo uomo spirituale, morto alla carne, anche la fecondità avrà così una natura spirituale.

Anche qui, tuttavia, la donna mantiene, o, a seconda del punto di vista, assume di nuovo, il suo ruolo di portatrice di fecondità. Questo si manifesta, da un lato, con l'istituzione delle Vedove, un gruppo di matrone che opera, in seno alle comunità cristiane delle origini, per l'assistenza dei fedeli e la loro elevazione spirituale. Le vedove sono tutte donne scelte per la loro condotta irreprensibile, certo, ma anche per la loro età avanzata: la loro opera, di assistenza dei bisognosi, da un lato, e di edificazione spirituale, dall'altro, può ben apparire come l'acquisizione di una nuova fecondità, ben più grande ed importante, da parte di chi ha ormai da tempo perso la fecondità naturale.

D'altro canto, grande importanza assume anche il voto di verginità preso dalle ragazze in età da marito di fronte a Dio: rinunciando ad un marito terreno, queste giovani si offrono in sposa alla divinità, resuscitando la più antica ierogamia, trasformata però secondo lo spirito cristiano.

Come l'antica sposa del Dio, infatti, anche la vergine consacrata intercede presso il suo sposo per la fecondità del popolo e della terra, ma qui la fecondità del popolo è innanzitutto fecondità spirituale, e il dono che il Dio cristiano fa ai suoi fedeli, tramite l'intercessione delle donne, è dono di elevazione e di rinascita spirituale. Anche in questo caso, comunque, la donna riveste ancora il suo ruolo di tramite, e molto spesso di maestra, fra l'uomo e la divinità, per l'elevazione dell'uomo.

Paradigmatica è, in questo senso, la storia di Maria d'Egitto - per i cattolici, Santa Maria d'Egitto Prostituta. Caratteristicamente, è un uomo, un monaco di nome Zosima, che ce la racconta.

Zosima è cresciuto in un monastero in Palestina, dove, fin da bambino, si è dedicato a rigorosissime pratiche ascetiche. Giunto all'età di cinquantatré anni, il nostro monaco, sentendosi ancora lontano dalla perfezione evangelica, desidera elevarsi ulteriormente, e chiede, nelle sue preghiere, che gli sia inviata una guida. Un giorno, mentre medita, ode una voce, che gli ordina di recarsi ad un monastero sulle rive del fiume Giordano.

Qui trasferitosi, Zosima riprende le sue pratiche ascetiche con rinnovato vigore.

Durante la quaresima, egli si reca nel deserto, per meditare e digiunare, in preparazione della Pasqua. Proprio nel deserto Zosima incontrerà una donna anziana, bruciata dal sole, che vive in solitudine, immersa nella natura più selvaggia: si tratta di Maria, che a Zosima racconterà la propria storia.

Nata in Egitto, a soli dodici anni fugge di casa e, squassata da una lussuria irrefrenabile, si concede al primo uomo che incontra. Da allora, Maria vivrà per diciassette anni immersa nella lussuria e nella depravazione: dormirà nei fossi e nelle bettole e si concederà a chiunque, non per denaro, ma per piacere, guidata da un desiderio ardente e implacabile.

Un giorno, a ventinove anni, presa da una strana curiosità, Maria si unisce ad un gruppo di pellegrini che si recano a Gerusalemme. Per pagarsi il viaggio, la donna tocca il fondo della depravazione, concedendosi a chiunque e obbligando a giacere con lei chi non vorrebbe. Giunta infine a Gerusalemme, si reca, con gli altri pellegrini, alla chiesa. Vorrebbe entrare, ma una forza misteriosa glielo impedisce. Allora, dinanzi al crocefisso, la donna riconosce, in un'illuminazione folgorante, tutti i propri errori, si converte e decide di dedicarsi alla vita di penitenza e di preghiera.

Si reca nel deserto, con soli tre pani che ha ricevuto in elemosina e che, per grazia di Dio, si rinnoveranno ogni giorno per quasi cinquant'anni, dandole di che nutrirsi, e inizia la sua ascesi: tempi duri, perché il ricordo del piacere cui ha rinunciato la tormenta continuamente, senza sosta, facendola soffrire moltissimo.

Qual è il significato di questa storia? Maria, che come donna è la ierofania della fecondità, il simbolo di un fertilità che, pur tutta materiale, è comunque sacra, ha vissuto una vita dedita solo al piacere, che rappresenta una deviazione da quella sacralità: con la sua vita smodata, Maria ha cercato di annullare il Sacro nel Profano, il più grande dei peccati. Quando scorge il crocefisso, prima, e la statua della vergine, poi, Maria si rende conto del suo errore e scopre una fecondità nuova, quella della Madre di Dio, una fecondità tutta spirituale.

E' verso questo modello che ora vorrebbe indirizzare la propria natura. Tuttavia, come il fabbro non può ottenere l'oggetto desiderato senza battere e ribattere il ferro grezzo, senza gettarlo nel fuoco e nell'acqua, così anche il corpo e la natura di Maria devono passare la forgia dell'ascesi, prima che la donna possa rinascere. La Maria che Zosima incontra è una creatura divina: possiede grandi poteri spirituali, legge il cuore degli uomini. E' lei la guida che Zosima desiderava, e solo grazie a lei il monaco, uomo, potrà raggiungere la perfezione.

Attraverso l'ascesi, Maria, donna immersa nella carnalità, ha trasformato la propria fecondità umana, naturale, in una fecondità più alta, spirituale e divina: solo il contatto con questa spiritualità, divina eppure squisitamente femminile, può far rinascere l'uomo Zosima.

 

 

Note

(1) Naturalmente, non pretendo di esaurire, in queste tre righe, tutta la problematica corpo - spirito, anima - corpo, mente - corpo, o come altro la si voglia chiamare: la letteratura sull'argomento è vastissima, e il problema ha tenuto occupate menti ben più grandi e illustri del poverello che qui scrive. Tuttavia, toccare l'argomento mi serviva per introdurre quel che segue, e a tanto bastano i risultati, a ben veder ben miseri, che qui ho raggiunto.

(2) Si ricordi quanto detto all'inizio del paragrafo: è impossibile definire un vocabolo con una storia così illustre in così poche righe.

(3) Motivo per cui qui non accenneremo neppure di striscio a questa problematica: chi è interessato può leggere le opere del grande storico delle religioni M. Eliade, in particolare il suo Trattato di Storia delle Religioni (Paris 1948) e Il Sacro e il Profano (1957), da cui ho tratto grande ispirazione in questa ricerca.

(4) R. Otto, "Das Heilige" (1917)

(5) N. Abbagnano, "Dizionario di Filosofia " (Tea 1993), pag. 628

(6) Non certo l'unica differenza, perché ce ne sono molte altre, a cui qui non si vuole neppure accennare; tuttavia, ciò che qui si vuole evidenziare è il carattere di straordinarietà, di eccezionalità dell'esperienza del Sacro.

(7) Rm 1,20

(8) Unico mezzo per vivere in un mondo di corpi.

(9) In seguito, Lévy-Bruhl ritornò sui propri passi, negando la validità del concetto di Participation Mystique, che la Scuola Psicoanalitica di Zurigo aveva tuttavia già fatto suo. Successive osservazioni del fondatore di questa Scuola, C. G. Jung, e dei suoi allievi, sembrano confermare l'intuizione originale dello studioso francese.

(10) Ierofania viene dal greco, che significa " Sacro" , e éåñüò, che significa "apparire", " mostrarsi": è dunque la modalità particolare attraverso cui il Sacro si manifesta.

(11) Eliade, "Trattato di Storia delle Religioni ", cit., pag. 345. Eliade sostiene anche "L'agricoltura fu una scoperta femminile [...] La donna [...] essendo solidale con gli altri centri di fecondità cosmica - la Terra, la Luna - acquistava anch'essa il prestigio di influire sulla fertilità e il potere di distribuirla" (ibidem, pag. 266)

(12) v. C. G. Jung, "L'uomo e i suoi simboli."

(13) Ma come avrebbe potuto agire socialmente, se fosse nato donna ?

(14) Vedi, in proposito, l'episodio delle Nozze di Cana, narrato in Giovanni 2,1-11

(15) In questo con molta più lungimiranza e comprensione delle Chiese Protestanti

(16) Non solo dal punto di vista sociale, ma anche teologicamente: nella storia del Cristianesimo, fin dall'epoca dei Padri della Chiesa, la figura della Sapienza, descritta nel Libro omonimo, è stata spesso vista come prefigurazione del (parola, pensiero, discorso, Verbum Dei) descritto da Giovanni, cap. 1

(17) Per un ebreo osservante, già per questo peggio di una peccatrice !

(18) Vedi Gv, 4 passim.

(19) Lc 8,40

(20) Nel Cristianesimo, come nell'ebraismo, sembra che avvenga un cambiamento di prospettive: quello che prima era ierofania, cioè manifestazione diretta del profano nel Sacro, diventa ora Simbolo, cioè rimando ad un Sacro allontanato dal profano, ad esso trascendente. Ha detto bene Max Scheler che il Cristianesimo ha desacralizzato la Natura, rendendola libera all'azione dell'uomo.

(21) Vedi, per esempio, l'incontro con Nicodemo, in Gv 3 passim