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Percorso : HOME > Associazione > Settimana agostiniana > Settimana 2002 > Agostino e Monicaagostino e monica
Sant'Agostino:
chiesa di Tyn a Praga
AGOSTINO E MONICA
Non è facile parlare di queste due figure gigantesche della spiritualità cristiana. Vissero nel IV secolo in un periodo straordinario: Monica nacque poco dopo l'editto di Costantino, Agostino conobbe il grande Ambrogio e ne restò affascinato. E fatalmente siamo affascinati noi cassaghesi che li abbiamo avuti ospiti in questo paese, hanno camminato, dove camminiamo noi, hanno parlato dove oggi chiacchieriamo, hanno discusso dove oggi discutiamo, hanno visto gli stessi splendidi panorami che noi vediamo. Parleremo di loro in un modo inusuale: lasceremo che siano loro a parlare.
O meglio che sia Agostino e narrare la vita di sua madre. Vivevamo insieme – racconta Agostino - e avremmo abitato insieme anche in futuro, questo era il nostro solenne impegno. Dopo Cassiciaco, dopo il battesimo, insieme facevamo ritorno in Africa. Ma giunti vicino a Ostia, sul Tevere, mia madre morì. Accogli le mie confessioni e la mia gratitudine, Dio mio. Non ometterò neppure una delle parole che mi partorisce l'anima intorno a quella tua serva, a lei che mi partorì con la sua carne alla luce del tempo e a quella dell'eterno col suo cuore. Educata alla discrezione e alla sobrietà, e da te sottomessa ai genitori piuttosto che dai genitori a te, quando compì l'età da marito fu consegnata a un uomo che servì come un padrone: e fece di tutto per guadagnarlo a te, parlandogli di te con quel suo modo d'essere di cui tu la facevi bella e pur nel suo contegno amabile e ammirevole per il marito.
Riuscì ad averla vinta anche con la suocera, che in un primo momento i pettegolezzi di servette maligne le avevano inimicato: a furia di cortesie, pazienza e mitezza indusse addirittura la suocera ad avvertire il figlio delle calunnie di quelle malelingue, che con la pace domestica turbavano i rapporti fra sé e la nuora, e lo pregò di punirle. Se fra due anime, due qualunque, c'era qualche dissidio o discordia lei se appena era possibile si offriva con tanto spirito di pace che se anche coglieva da entrambe le parti durissime parole di reciproca accusa - come quelle che si vomitano di solito in un accesso di furiosa inimicizia - lei si guardava bene dal riportare all'una o all'altra più di quanto potesse servire a riconciliarle. Guadagnò a te anche il marito, già quasi al limite estremo della vita temporale: e in lui che ormai era credente non rimpianse ciò che aveva tollerato nel miscredente. Era poi la serva dei tuoi servi.
Chi di loro l'aveva conosciuta, in lei rendeva lode e onore e amore a te, sentendo nel suo cuore la tua presenza, testimoniata dai frutti di una vita consacrata a te. Era stata la moglie d'un solo uomo, aveva reso ai genitori il bene ricevuto, aveva retto con devozione la sua casa, a testimonio aveva le sue buone opere.
Aveva allevato dei figli, partorendoli di nuovo ogni volta che li vedeva allontanarsi da te. Infine di tutti noi, Signore, che possiamo per tuo gratuito favore dirci servi tuoi, e ricevuta la grazia del tuo battesimo vivevamo già in una nostra comunità, al tempo in cui ancora lei non s'era addormentata in te, di tutti noi si prese cura quasi fossimo tutti figli suoi, e quasi fosse figlia di noi tutti ci servì. Mentre era ammalata un giorno ebbe uno svenimento e per breve tempo perse conoscenza. Noi accorremmo, ma presto riprese i sensi e guardando me e mio fratello Navigio che le eravamo accanto, ci chiese come una che cerca qualcosa: "Dov'ero?" Poi vedendoci addolorati e sgomenti: "Seppellitela qui", disse, "vostra madre".
Io tacevo e soffocavo il pianto. Mio fratello invece mormorò qualcosa come un augurio che lei non morisse per viaggio ma in patria, come fosse cosa meno triste. A queste parole si fece scura in volto e lo fissò negli occhi, aggrondata, perché nutriva sentimenti simili, e poi guardando me: "Ma guarda cosa dice". E quindi a entrambi: "Seppellite questo corpo in un luogo qualsiasi: non ve ne preoccupate affatto. Soltanto di questo vi prego: che all'altare del Signore vi ricordiate di me, dovunque sarete". Espresse questo pensiero come poteva, e poi tacque: il male s'aggravava e la metteva a dura prova. Il nono giorno della sua malattia, nel suo cinquantaseiesimo anno di vita, il mio trentatreesimo, quell'anima religiosa e devota fu liberata dal corpo. Le chiudevo gli occhi e un'enorme tristezza mi affluiva in cuore e mi fluiva in pianto, e in quel momento gli occhi sotto il veto violento della mente si ribevevano le loro polle fino a disseccarle, e in questa lotta stavo molto male.
Mio figlio, Adeodato, lui sì era scoppiato in lacrime quando lei aveva esalato l'ultimo respiro: e tutti noi l'avevamo costretto al silenzio. Allo stesso modo il ragazzo che era in me e che si struggeva in pianto, sotto il rimprovero d'una voce adulta - voce del cuore - taceva, lui pure. Non ci sembrava appropriato celebrare quel trapasso con pianti e lamenti e singhiozzi, perché così di solito ci si duole di una qualche infelicità di chi è morto; o di una estinzione in qualche modo totale. Ma lei non era morta infelice, e neppure era morta del tutto. E mi ricordai per sempre di quel che m’aveva chiesto: : "Seppellite questo corpo in un luogo qualsiasi: non ve ne preoccupate affatto. Soltanto di questo vi prego: che all'altare del Signore vi ricordiate di me, dovunque sarete".