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papa gregorio magno

 Monza, cappella Zavattari: il banchetto di nozze della regina Teodolina

Monza, Cappella Zavattari:

il banchetto di nozze della regina Teodolinda

 

 

 

GREGORIO I, PAPA  (GREGORIO MAGNO)

 

 

 

A san Gregorio Magno papa e Dottore della Chiesa è dedicata la chiesa di Oriano: ignota ne è la data di costruzione, sappiamo però che era già funzionante alla fine del XIII secolo, come è attestato da Goffredo da Bussero nel suo elenco generale delle chiese milanesi. La sua dedicazione probabilmente è dovuta all'influenza che ebbe la chiesa di Monza sulle terre di Brianza e in particolare su Oriano e Cremella. Monza fu città longobarda importante, legata a Teodolinda, la regina che riuscì convertire i longobardi al cristianesimo.

Bellissimo è l'affresco del Legnanino nella Basilica di Monza (1704) che narra l'ambasciata di Gregorio Magno a Teodolinda. Nato intorno al 540 dal senatore Gordiano e dalla nobile Silvia, apparteneva alla gente Anicia, la più cospicua aristocrazia di Roma. Suo proavo era stato il santo Pontefice Felice III, e la santità era una tradizione di famiglia, tanto che dovevano salire all'onore degli altari - insieme con Gregorio - anche suo padre, sua madre e due zie materne. Il giovinetto Gregorio frequentò le scuole di retorica, applicandosi specialmente allo studio del diritto; a 31 anni d'età saliva alla carica di pretore (prefetto), la più alta magistratura di Roma. Ma un giorno i Romani lo videro - deposte le insegne del suo grado e rivestito dell'umile saio monastico - dedicarsi alla vita ascetica, all'unione con Dio, trasformando il suo fastoso palazzo del Celio in un cenobio di monaci penitenti, dedicato a S. Andrea, nella conversazione edificante dei suoi monaci. Papa Pelagio II venne però a trarlo dal cenobio per consacrarlo suo diacono e mandarlo come apocrisario (nunzio) alla Corte imperiale di Costantinopoli. Nella capitale dell'Impero greco-romano, emporio mondiale della cultura e del commercio, l'attento apocrisario poté aggiungere altre mature esperienze di governo a quelle già acquistate nelle pubbliche magistrature romane. Le sue rare doti, la nativa distinzione, resa più attraente da un'umiltà senza affettazioni e da un appassionato distacco dal mondo, gli guadagnarono l'animo degli imperatori Tiberio e Maurizio, oltre che delle basilisse, dei generali e degli alti funzionari, mentre nei monasteri della capitale era tenuto in conto di consumato maestro di ascetismo.

Dopo 6 anni di legazione sulle rive del Bosforo, richiamato da Pelagio Il, G. tornò a Roma e ritrovò l'Italia dominata dai Longobardi, l'episcopato diviso più che mai dallo scisma dei Tre capitoli, Roma e le province finitime desolate da terremoti, alluvioni, carestie, e infine da quella paurosa pestilenza che mieté innumerevoli vittime, e fra le prime lo stesso Pontefice Pelagio. L'elezione al Pontificato lo terrorizzò; tentò tutti i modi per sottrarsi al formidabile peso; ma Germano, prefetto di Roma, intercettava le sue lettere e le sostituiva con altre che supplicavano la Corte bizantina ad approvare la elezione stessa. Venne infine la conferma imperiale; e Gregorio, stretto dagli stessi mali estremi della patria e dalla sua carità, dovette accettare. Egli recava sul santo seggio una mente vasta e profonda, una carità senza misura, una energia veramente romana. Il clero ed il popolo sentirono tutto questo e lo acclamarono entusiasticamente. Gregorio iniziò il suo pontificato (590) con una grande processione penitenziale o litania septiformis che, partendo da 7 chiese diverse, dovevano far capo alla grande Basilica Liberiana dell'Esquilino (S. Maria Maggiore). La moria seguiva i pellegrini che salmodiavano in mezzo ai sontuosi monumenti romani, già in parte crollanti.

E proprio quel grande Romano, che nelle sue prime omelie vedeva nei mali della patria i segni precursori della fine del mondo, si ergeva con prontezza di comando e forza di volontà a « padre della patria ", a « prudentissimo padre della famiglia di Cristo ", come lo chiama Paolo Diacono. I Longobardi di Agilulfo e di Ariulfo comparvero nel 513 davanti alle mura di Roma atterrita; e furono la fedeltà di Gregorio, il suo personale sacrificio, le sue trattative dirette con i Longobardi, il denaro da lui sborsato (da lui che si chiamava con amarezza il tesoriere dei Longobardi), furono i consigli strategici e il soldo alle truppe da lui dati ai pochi e svogliati difensori bizantini di Roma, che salvarono la città da un nuovo saccheggio ed eccidio.

Infine Gregorio uscì inerme dalle mura alla testa del suo clero incontro ad Agilulfo, e fece sentire al re barbaro la voce di Roma, del suo vescovo, della religione di Teodolinda; e la forza brutale si piegò davanti al prestigio del sacerdozio. Agilulfo, se ne partì e promise reverenza alla Chiesa. Egli era un vigile, scrupoloso, instancabile amministratore della Respublica Christiana. La sua carità era universale, rivolta così al mendicante della strada come al nobile decaduto, allo schiavo da riscattare, al clero povero, alle vergini cristiane profughe, ai prigionieri di guerra, agli spodestati principi delle province stremate.

Mezzi ingenti sapeva trarre dai Patrimoni, vaste proprietà fondiarie che la Chiesa Romana possedeva fin dal sec. IV e che andarono via via crescendo con le donazioni, sparsi dalle Alpi Cozie alla Sicilia, dalla Gallia alla Dalmazia, all' Africa. Gregorio li amministrò con metodo perfetto, con la coscienza ch' essi erano i beni della Chiesa e dei poveri. Egli curava che i granai della Chiesa in riva al Tevere non mancassero mai di frumento, olio, vino, agrumi, frutta. Teneva un registro dei malati, dei poveri, dei profughi da nutrire: diaconie, istituti, ospizi, ospedali ricevevano ogni giorno carri di vettovaglie pontificie. La sua carità poi raggiunse i più lontani paesi, sovveniva a miserie nascoste e segrete, di cui sono monumento le sue copiosissime lettere.

Questo grand'uomo era nello stesso tempo un tipico modello di sacerdote, di riformatore, di condottiero spirituale, di liturgista, di dottore universale della comunità cristiana. Nel Laterano, circondato di monaci santi e dotti, tiene sinodi di vescovi e preti, depone con fermezza o richiama con carità i pastori indegni, rimprovera al patriarca di Costantinopoli, come uno scandalo dato a tutta la Chiesa, l'ambizioso titolo da lui assunto di patriarca ecumenico, e per reazione dà a se stesso il titolo (poi seguito dai suoi successori) di Servo dei servi di Dio.

Scrive il Liber regulae pastoralis, vero codice della vita chiericale ed episcopale, tradotto tosto in greco e perfino in anglosassone. La sua attività letteraria è intensa, ininterrotta: 35 libri dei Morali, ricco repertorio teologico; quattro libri dei Dialogi, candidi e ingenui racconti dei prodigi compiuti dai santi uomini fioriti in Italia al tempo suo, e specialmente di S. Benedetto; 40 Omelie sull'Evangelo e 22 Omelie su Ezechiele, di piacevolissimo tono familiare, pastorale, paterno.Di lui poi si conservano nel registro della cancelleria papale ben 800 lettere sugli affari più disparati, le quali sono la miglior biografia del Pontefice. Cultore e riformatore appassionato della liturgia cristiana egli ripristinò le Stazioni alle basiliche e alle tombe dei Martiri. Il Sacramentario che da lui prende nome incorporò molte preci liturgiche dei precedenti sacramentari leoniano e gelasiano ma molte furono personalmente composte da lui. Gregorio colpito da continue infermità e costretto a passare a letto molta parte del suo pontificato, moltiplica la sua attività, e rivolge il suo pensiero costante ai popoli occidentali. I Longobardi abbracciano la religione cattolica con la converso di Agilulfo, sposo della regina Teodolinda, e monumento di tale conversione è la magnifica basilica di Monza. Ariani sono pure i Visigoti della Spagna, che nel Concilio di Toledo (586) proclamano cattolica la loro nazione ricevendone nobili impulsi e congratulazioni dal Pontefice.

Il quale si preoccupa di chiamare all'unità i Donatisti dell' Africa, di mantenere nella comunione cattolica i Franchi dominati da passioni selvagge e violente. Ma il nome di Gregorio è legato soprattutto alla evangelizzazione dell'Inghilterra. Egli inviò nell'isola 40 monaci del suo monastero celimontano, con a capo Agostino, che sarà il lo arcivescovo di Canterbury. Difficile e laboriosissima evangelizzazione, ma preziosi i frutti: la Chiesa anglosassone divenne come una colonia di Roma, la Britannia l'isola dei Santi e Gregorio l'Apostolo degli Anglosassoni. A ragione l'anonimo autore del suo epitaffio saluta Gregorio come il Console di Dio. G. fu anche chiamato l'ultimo dei Romani. Gli ultimi due anni di vita li passò quasi di continuo a letto, travagliato da acerbissimi dolori; eppure le sue ultime lettere mostrano la grandezza commovente dell'anima sua.

Al patriarca Eulogio di Alessandria scriveva: « Prego la santità tua a liberarmi mercé le tue preghiere da questo corpo di morte e di affrettare per me l'ora della liberazione, e la libertà della gloria dei figli di Dio ". La morte (604) fu da lui salutata come « via alla vita ", cui vitae mors magis via est. Fu sepolto nel portico di S. Pietro, a sinistra, dinanzi al secretarium; Gregorio IV ne trasferì poi la salma nell'interno della Basilica. La sua Festa si celebre il 3 settembre. In Oriente è incluso dal 984 nel menalogio alla data dell'11 marzo, per la sua dottrina e per l'insigne carità. In Occidente è celebrato come uno dei quattro Dottori con Girolamo, Ambrogio e Agostino. L'abbondanza e la qualità delle rappresentazioni iconografiche in tutta Europa dimostrano l'estensione del culto del santo. Le sue immagini si distinguono per gli ornamenti pontificali, il gesto benedicente della mano, il libro tenuto in aria a simboleggiare la dottrina. Lo Spirito santo appare sotto forma di colomba dettandogli nell'orecchio i suoi scritti.

Gregorio si affaticò senza riposo a risolvere i problemi di governo della Chiesa, a eliminare la corruzione, a guidare il clero nella direzione delle anime, a propagare il Vangelo nei paesi barbari, ma al tempo stesso a risolvere questioni politiche, economiche, diplomatiche e militari in un periodo tormentato nel quale caddero sulle sue spalle responsabilità enormi: salvare le vite umane in tempi di guerra e di invasioni, soccorso dei poveri, mantenimento della concordia fra i cittadini, giustizia fra popolazioni diverse. Egli fu dunque non soltanto il pastore assiduo nella preghiera e nella carità, ma anche uomo di governo. Dei consul: questo è il titolo, che il testo del suo epitaffio gli attribuisce, celebra in lui lo zelo, la saggezza, l'equità esercitati negli affari di questo mondo da Gregorio, il rappresentante di Dio.