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Civate: il Pantocratore re della Gerusalemme celeste
SANTI E SANTITA' NELL'ARTE ROMANICA
di Stefania Spinelli
Prima di cominciare a delineare per sommi capi le caratteristiche principali dell'arte romanica, vorrei soffermarmi un attimo sul simbolo che, come abbiamo visto all'inizio di questa serata, caratterizza la figura di san Giacomo:la conchiglia. Come gran parte della simbologia cristiana, anche la conchiglia affonda le sue radici nella notte dei tempi. Infatti la credenza nelle virtù magiche della conchiglia si trova nel mondo intero, dalla preistoria ai giorni nostri.
Il simbolismo che sta alla base di tali concezioni appartiene con ogni probabilità ad uno strato profondo del pensiero primitivo, ma ha conosciuto interpretazioni diverse: i incontra la presenza delle conchiglie nei riti agrari, nuziali o funerari, negli ornamenti vestimentari o in certi motivi decorativi. Presso certi popoli le conchiglie continuano a fornire un motivo decorativo, mentre della loro valenza magica si è perso perfino il ricordo. Il simbolismo si è così ininterrottamente degradato con il passare del tempo.
L'uso rituale e magico delle conchiglie è abbondantemente attestato nell'America pre-colombiana: il dio messicano della tempesta aveva al collo una catena d'oro a cui erano appese delle conchigliette; il dio della luna aveva come simbolo una grande lumaca di mare. Nell'antica Cina le conchiglie partecipano alla sacralità della luna e al tempo stesso sono il prolungamento delle potenze acquatiche.
Le conchiglie sono inoltre emblema del principio femminile per la loro forma bivalve ed è soprattutto questa loro caratteristica che ha contribuito alla diffusione della credenza nelle loro virtù magiche. Portate sulla pelle come ornamento o amuleto danno alla donna energia propizia alla fecondità. Presso i Greci le conchiglie sono state in stretto rapporto con le Grandi Dee. Delle conchiglie venivano consacrate ad Afrodite nell'isola di Cipro, dove la dea era stata condotta dopo la sua nascita dalla schiuma del mare. Il mito di Afrodite nata da una conchiglia era probabilmente diffuso nel mondo mediterraneo, infatti Plauto ne conosce la tradizione. La nascita di Afrodite da una conchiglia illustrava il legame mistico tra la dea ed il suo principio, ed era proprio questo simbolismo della nascita e della rigenerazione che ispirava la funzione rituale delle conchiglie.
E' proprio in virtù del loro potere creativo che le conchiglie trovano posto nei riti funerari. Un simile simbolismo della rigenerazione non si abolisce facilmente: le conchiglie che in svariati monumenti romani simboleggiano la resurrezione passeranno nell'arte cristiana. Ovunque la conchiglia figura anche tra gli emblemi dell'amore e del matrimonio: la statua di Kamadeva è adorna di conchiglie e in India si annuncia la cerimonia nuziale soffiando dentro una grande conchiglia.
In queste condizioni ci si spiega facilmente la presenza delle conchiglie in tanti riti religiosi, nelle cerimonie agrarie ed iniziatiche. Le conchiglie favoriscono la fecondazione ed hanno quindi un'influenza benefica sul raccolto.
Dal momento che le conchiglie esprimono il simbolismo della nascita e della rinascita, vengono utilizzate pure nelle cerimonie iniziatiche che comportano una morte ed una resurrezione simboliche. I vincoli magici che collegano le conchiglie alle cerimonie d'iniziazione ed in generale ai diversi riti religiosi, si ritrovano identici in Indonesia, Melanesia, Oceania. Le conchiglie hanno un ruolo importante anche nelle cerimonie funerarie in quanto la morte è una seconda nascita, esse compaiono quindi in tutti gli atti essenziali della vita dell'uomo e della collettività: nascita, iniziazione, matrimonio, morte, cerimonie agricole e religiose. Anche nella nostra religione troviamo l'uso simbolico della conchiglia considerata simbolo del primo alito di vita ed anche come immagine della tomba che racchiude l'uomo dopo la morte, prima della resurrezione.
Ma è anche un emblema dei pellegrini, poiché il pellegrinaggio è visto come atto di purificazione, quindi di rinascita spirituale. Dopo questa parentesi, che verrà seguita probabilmente da altre durante la serata, possiamo cominciare ad avvicinarci a quello che è il nostro centro d'interesse: l'arte romanica, sintesi e rielaborazione di esperienze culturali differenti come quella romana, bizantina, barbarica e paleocristiana. Il romanico (metà sec. XI - XIII) è un periodo di straordinaria fecondità creativa successivo ai secoli stilisticamente incerti dell'Alto Medioevo. Questo è un fatto che ha in sé del miracoloso e che giustifica il sorgere della ben nota leggenda dell'Anno Mille. E' questo un fenomeno di vasta portata, che investe l'intera Europa e al quale l'Italia partecipa con particolare fervore in ogni sua regione.
Dopo il Mille, tutto il mondo medioevale si organizza in un nuovo assetto basato sull'autonomia politica e amministrativa delle città, che riprendono - dopo il periodo feudale - la loro caratteristica di centri commerciali e artigiani.Commercio e attività artigianali muovono e arricchiscono l'economia e tutto ciò produce investimenti in opere pubbliche e d'arte. Nella nostra penisola, specie nelle regioni settentrionali, viene largamente accolto e consolidato questo nuovo tipo di struttura sociale, così congeniale all'individualismo italiano. Molti di questi Comuni italiani sono ancora i vecchi municipi romani, la cui attività non era del tutto venuta meno durante l'Alto Medioevo.
Il particolarismo dei Comuni non esclude peraltro una vasta apertura di interessi che si manifesta nell'ideale cavalleresco, nella fitta rete di scambi, nel carattere cosmopolitico della nuova cultura universitaria. Il moltiplicarsi dei contatti internazionali (promossi in particolare dai pellegrinaggi e dalle Crociate) fa sì che anche il mondo delle arti abbia in questo periodo un volto sostanzialmente unitario in tutta Europa, pur giungendo ogni paese ad una propria individuale determinazione "romanica" analogamente e contemporaneamente al sorgere dal comune ceppo latino dei dialetti "romanzi". I
l termine "romanico", coniato dal filologo De Caumont nel XIX sec. (durante il quale il romanticismo rivalutò l'arte medioevale), vuole appunto suggerire il fondamentale parallelismo tra i linguaggi figurativi e quelli "romanzi" del tempo, nonché sottolinearne l'ascendenza romana. Bisogna tuttavia subito chiarire che non si tratta di un mero fenomeno di derivazione: in effetti, il patrimonio artistico tardo- romano agì solo parzialmente sulla formazione dell'arte romanica, mentre in realtà un più profondo movente è da identificarsi nel risorto senso della libertà creativa dell'artista e dell'autonomia della cultura occidentale nei confronti di quella orientale. Questa nuova visione dell'arte e della vita permette all'artista romanico non solo di attingere al patrimonio del passato romano e paleocristiano, ma anche e soprattutto di "inventare" sempre nuove forme, con una esuberanza fantastica che si sottrae, anzi si contrappone, alla razionalità e alla oggettività dell'idealismo classico. Da qui la straordinaria ricchezza di motivi, che differenzia le opere d'arte di ogni paese, di ogni regione, di ogni artista, senza cancellare la comune impronta di vigoroso e fresco possesso della materia che sta alla base di ogni realizzazione artistica romanica.
Nei territori orientali (ivi compresi i territori balcanici e slavi), la tenace fedeltà alla"regola" bizantina garantisce la continuità di una tradizione ormai secolare, che solo parzialmente si rinnova adottando in architettura forme più complesse. In Italia, solo la pittura soggiace ancora a lungo all'influsso d'Oriente, sia perché proprio a Bisanzio era stata creata una completa iconografia cristiana, sia perché durante e dopo il periodo iconoclastico numerosi artisti bizantini erano immigrati in Italia. Tuttavia verso la fine del Duecento si affermeranno pittori dotati di una personalità così forte da creare una nuova concezione figurativa e narrativa, adeguata al fervore della più vigorosa e complessa spiritualità medioevale.
L'architettura - specie nelle Cattedrali dove il popolo si riuniva anche per discutere i problemi del Comune- è invece la più precoce protagonista del rinnovamento romanico. All'indefinito spaziale e alla pittorica trascendenza bizantina si oppone un robusto senso costruttivo basato sul gioco dei pesi e delle resistenze, che definisce e modella lo spazio ed anima le murature di un accentuato plasticismo. La vitalità di questa nuova concezione architettonica - che sorge dapprima in Lombardia - è confermata dalla rapidità con cui ogni regione, ogni città si affretta ad erigere chiese che ad essa si ispirano, rielaborandola secondo le tradizioni locali.
Va piuttosto sottolineato il fatto che mentre in altri paesi - Francia, Germania, Inghilterra - l'interesse si centrò ben presto sul valore lineare e verticalistico delle strutture portanti, preparando già nel sec. XII il passaggio dal romanico al gotico, in Italia predominò una ricerca di armonici rapporti spaziali. In tal senso può riconoscersi al romanico italiano un valore di risorta classicità; e da questo punto di vista appare anche comprensibile come esso durante gran parte del Duecento opponga accanita resistenza al gotico di "importazione", che a sua volta, per essere accolto, dovrà subire un processo di chiarificazione spaziale.
Scultura Romanica
A partire dall'anno mille anche nella scultura, come nell'architettura, si ha un momento di rinascita e rinnovamento anche se il repertorio è sempre di ascendenza tardo-antica. L'architettura e la scultura in un primo momento sono affiancate, nel senso che la scultura esiste in funzione decorativa delle strutture architettoniche. Le facciate delle cattedrali romaniche erano riccamente decorate con scene tratte dall'Antico e dal Nuovo Testamento, per esempio le Storie della genesi sulla facciata della cattedrale di Modena scolpite da Wiligelmo nel 1106 circa. Per quanto riguarda lo stile della scultura romanica possiamo dire che si ritorna ad una volumetria dei corpi e delle forme che prima, in periodo bizantino, erano rigidamente stilizzati. Inoltre si cerca di immettere i personaggi così realizzati in un ambiente che richiama la realtà.
I temi che si prediligono sono molto vari, sia a carattere religioso che non: storie della Bibbia, del Vangelo e della Genesi, affiancate da scene rappresentati la vita quotidiana, mostri fantastici e decorazioni geometriche. Contro le decorazioni rappresentati i mostri infernali, che avevano la funzione di turbare il fedele alla visione dell'inferno, si schierò Bernardo di Chiaravalle. In effetti l'intento delle rappresentazioni scultoree in questo periodo è quello di trasmettere un messaggio morale e religioso, che al popolo, per lo più ignorante, sarebbe risultato altrimenti oscuro.
Pittura Romanica
La pittura romanica è fortemente legata alla tradizione pittorica tardo antica e bizantina che era riuscita a sopravvivere anche nei secoli delle invasioni barbariche, a differenza della scultura e soprattutto dell'architettura. Legata alle tradizioni culturali e artistiche locali gli sviluppi della pittura romanica si differenziano nelle diverse regioni d'Italia: in area lombarda in accordo con la tradizione artistica carolingia e ottoniane, si sviluppò la tecnica ad affresco. Esempi di pregevoli affreschi nell'Italia settentrionale sono quelli di S. Vincenzo a Galliano e di S. Pietro al Monte a Civate ancora legati alla tradizione ottoniana, mentre cominciano a distaccarsi da questa tradizione gli affreschi dell'abbazia benedettina di S. Angelo in Formis con accenti bizantini, di S. Elia a Nepi, di Aquileia, di S. Maria di Castello a Udine, di Assisi nel Sacro Speco. In Toscana e in Umbria si privilegia la pittura su tavola lignea, tra i quali maggiore importanza assumono i crocifissi.
Fino ad ora si era sempre rappresentata la scena della crocifissione e mai il Cristo in Croce isolato dal suo contesto, in questo momento si apre una nuova tradizione che porterà a diventare il crocifisso il simbolo del cristianesimo. In tutto il territorio europeo, inoltre ha grande diffusione la miniatura che veniva praticata dai monaci, i quali trascrivevano testi sacri e profani per conservarli nelle loro grandi biblioteche dotandoli di raffigurazioni di vario genere, dal fregio geometrico agli intrecci fantasiosi zoomorfi e fitomorfi fino alle splendide iniziali istoriate.
Con l'architettura, invece, l'arte romanica rinnova l'immagine della città. I centri urbani del primo Medioevo, pur sviluppandosi da una base preesistente, presentano infatti molti nuovi elementi. L'impianto urbanistico è quello romano, caratterizzato dalla cosiddetta pianta a scacchiera. Su questa base il tessuto delle vie, dei quartieri, delle botteghe si infittisce enormemente.
L'aspetto delle città medievali è tipicamente intricato, fatto di vicoli e borghi che si dipanano attorno ad un centro. Questo è composto da una piazza principale su cui si affacciano le strutture più rappresentative della comunità: la Cattedrale, il Palazzo del Municipio, la Loggia dei Mercanti. Ad esse si aggiunge, in alcune città importanti, l'Università (una delle più antiche è quella di Bologna). La cattedrale romanica diventa forse l'elemento più rappresentativo della città. Qui lo spazio interno si articola per ospitare i riti religiosi: aumenta l'importanza della cripta, che custodisce le reliquie dei santi; si creano i deambulatori, corridoi di passaggio, dove sfilano le processioni; aumenta il numero delle cappelle. Alla ricca articolazione interna corrisponde all'esterno una massa muraria di notevole robustezza con forme squadrate. Inoltre lo sviluppo del monachesimo stimola la costruzione di grandi monasteri e abbazie. Abbiamo visto che le strutture religiose proliferano in questo periodo e una ragione c'è. Una caratteristica peculiare della fede cristiana nel Medioevo è infatti il legame profondo tra vita quotidiana e fede.
La fede non era vissuta come un fatto privato, oppure legato a determinate ricorrenze, ma era parte integrante della società, del costume, della vita quotidiana. Le paure legate a guerre, carestie ed epidemie, quindi la precarietà della vita, rendevano l'uomo medievale ancora più legato alla fede. Il sentimento più autentico della fede popolare si ha nel senso della penitenza, nella condivisione della Passione, nella costruzione di cattedrali e chiese come espressione di fede o pentimento.
Nelle campagne il ritmo del lavoro nei campi si alterna con la preghiera: se la preghiera è il momento solenne del contatto con Dio il lavoro è la parte penitenziale della preghiera. La vita è quindi vissuta in questa dimensione di contatto continuo con il divino. Alle fonti della spiritualità medievale troviamo un papa che appartiene ancora all'età patristica: Gregorio I, detto Magno, per la grandezza della sua opera pastorale. Egli ha tracciato la via maestra della spiritualità medievale, incentrata sulla vita contemplativa. La propensione di S. Gregorio I Magno per la vita contemplativa ed il racconto della vita di S. Benedetto da Norcia e della sua Regola, presente nei suoi scritti, sono di importanza capitale per comprendere lo spirito dell'uomo medioevale. L'uomo è visto come colui che è destinato alla visione di Dio, e la vita monastica è considerata il culmine della perfezione cristiana. Dal momento che la religiosità era il tratto principale della concezione del mondo e che l'uomo medievale interpretava ogni aspetto della realtà in una dimensione ultraterrena, sacro e profano nel medioevo si intrecciano continuamente.
Ecco per cui l'arte romanica è ricca di racconti sacri e profani in cui si sviluppa un mondo popolato di animali fantastici, spesso ottenuti fondendo corpi di diversi esseri viventi realmente esistenti. Simboli del Bene e del Male combattono tra loro e con gli uomini. Si trovano grifoni, grandi uccelli dal becco adunco, ippogrifi, cavalli alati con la testa di uccello, liocorni, cavalli con la testa di caprone, draghi e animali mostruosi a più teste. Queste creature venivano raffigurate nei minimi particolari come fossero reali ed erano immagini molto diffuse e conosciute tra la gente. Esse erano in parte frutto della fantasia dell'epoca ed in parte tratte da testi antichi assai diffusi come il Fisiologo.
Il grifone, ad esempio, è un'immagine che si conosce fin da prima che le fonti letterarie ne diano notizia:la sua immagine più antica è riprodotta su una tavolozza da stucco egizia (3000 a.C.) proveniente dal tempio di Nechen. E nella Crosso cretese, intorno al 1500 a.C., nobili grifoni di grande bellezza vegliano sul trono di Minasse. Un documento del II sec. a.C., che risale al periodo dei Ramses del XIII sec. a.C., narra che il grifone vola con la sua preda in alto "nel fulgore degli anelli solari". Vi si legge ancora: " Il grifone è guida degli animali - il suo becco è quello di falco, il suo occhio quello di un uomo, il suo corpo quello di un leone, le sue orecchie come le pinne di un pesce del mare, la sua coda quella di un serpente - Ha potere sopra ogni cosa in terra, al pari della morte. E' il vendicatore contro il quale nessun altro usa vendetta, il pastore di tutto quello che vive sulla terra". Secondo la cultura greca i grifoni sono custodi, vigorosi e combattivi, di ori e pietre preziose.
Il suo riferimento a sole, luce, e fulgore risulta evidente anche dal fatto che è sacro ad Apollo, al quale serve da cavalcatura quando, all'inizio della primavera, ritorna a Delfi dalla terra degli iperborei. Dotati dei sensi acuti dell'aquila e della forza del leone, creati in particolare per la custodia, sono i guardiani dei simboli della vita: dell'albero della vita, della pigna, dell'anfora d'acqua sorgiva, anche delle immagini dei defunti. I bestiari ne hanno dato un'immagine positiva e per il simbolismo della luce, la fusione dei due animali regali, aquila e leone, che regnano sopra terra e aria, suggeriscono in una massima sublimazione l'idea di Cristo.
Nella Divina Commedia, Dante descrive Cristo nella figura di grifone che tira il carro della Chiesa: " Un carro, in su due rote, trionfale, / ch'al collo d'un Grifon tirato venne. / Esso tendea in su l'una e l'altr'ale ... / tanto salivano, che non eran viste; / le membra d'oro avea quant'era uccello, / e bianche l'altre, di vermiglio miste ..." (Purg. Canto XXIX).
Comunque bisogna dire che quello del grifone simbolo di Cristo non è mai diventato un motivo popolare; piuttosto i grifoni hanno, nell'arte romanica e in generale, la funzione di custodi e vegliano sui portali delle chiese. I temi dell'immaginario romanico sono però anzitutto cristoligici.
Cristo domina tutta questa epoca, viene spesso presentato come giudice escatologico, in atto di decidere la sorte eterna dei beati e dei reprobi, e anche, secondo la visione dell'Apocalisse, circondato dai Quattro Viventi e dai ventiquattro Anziani. Oppure ancora mentre manda il suo Spirito sugli Apostoli e sulla Chiesa. Non mancano neppure raffigurazioni della crocifissione; gli artisti romanici presentano Gesù agonizzante, impassibile e rigido, a volte seminudo, ma più spesso in "maestà", vestito di tunica e corona. Anche Cristo poteva essere rappresentato in forma di animale (toro, ariete, aquila) soprattutto sotto forma di leone.Infatti le immagini di leoni, presenti nell'arte romanica sia in pittura sia in scultura, erano prevalentemente usate come simbolo del Bene. Erano simbolo della resurrezione in quanto si pensava che i cuccioli di leone appena nati giacessero come morti, finchè il leone padre alitava sui loro corpi.
Rappresentavano anche la forza con cui Cristo difendeva la sua Chiesa. Per questo motivo si affermò sempre di più l'uso di due leoni in pietra, posizionati a lato del portone d'ingresso di molte chiese romaniche. Animali nobili, fieri, erano spesso rivolti verso l'ingresso, come ad ammonire chi entrava. Simbolo dello spirito di giustizia, nei racconti dei Bestiari il leone veniva descritto come implacabile con chi gli si oppone ma mite con chi si mostra umile. Oltre al significato simbolico avevano anche una funzione di base di appoggio delle colonne, infatti vennero chiamati stilofori, cioè portatori di una colonna.
Oltre alla figura di Cristo, l'arte romanica affronta i temi agiografici, La Vergine Maria viene generalmente presentata come madre di Cristo, cioè come Sedes Sapientiae, in atto di consegnare suo Figlio al mondo. Tra i santi, sono frequenti i Profeti dell'Antico Testamento, gli Apostoli e alcuni patroni locali. Viene rappresentata anche la cosiddetta psicomachia, cioè la lotta morale contro il peccato e le passioni, con figure allegoriche di vizi e virtù. Si riscontrano anche temi storici, più o meno recenti, come le Crociate ed altri argomenti profani con un qualche significato simbolico: calendari, bestiari, canti epici e favole morali o satiriche. Le creature celesti vennero raffigurate secondo le indicazioni che gli artisti trovarono nella Bibbia. Angeli Arcangeli e Cherubini furono scolpiti e dipinti con attributi che li caratterizzarono e che divennero dei modelli riconoscibili. Tutti hanno ali di piuma d'uccello attaccate alle spalle, che possono essere aperte o chiuse, bianche o colorate. Angeli e Arcangeli, nei racconti religiosi sono i messaggeri di Dio presso gli uomini a cui si manifestano soprattutto durante il sonno. Come segno della propria missione a volte impugnano un bastone-scettro, segno del comando affidato loro da Dio.Oppure un ramo di palma, in segno di pace, o ancora una spada fiammeggiante per combattere il diavolo o le trombe per annunciare il Giudizio Universale. I Cherubini sono testimoni della potenza di Dio e vengono disposti intorno alla figura del Cristo risorto.
Hanno sei paia d'ali e rendono gloria a Dio. Parlando dell'iconografia romanica e d'obbligo segnalarne il simbolismo, spesso mutuato dalla tradizione pagana o da culti iniziatici orientali. Forse è proprio questo l'elemento fondamentale dell'arte romanica, meno affine alla sensibilità dell'uomo d'oggi che ha perso il senso del trascendente. L'artista romanico creò un universo di metafore, per es., raffigurare i profeti dell'Antico Testamento significava condurre il credente a Dio.
Gli animali, ai quali venivano attribuite determinate abitudini, più o meno fantasiose, diventavano mezzi per significare relazioni con il mondo morale. Anche le pietre, per le loro note proprietà fisiche, erano simbolo di virtù o proprietà morali. Lo spazio reale aveva importanza solo come scenario convenzionale nel quale si librava la vera vita, quella dello spirito. Anche per rappresentare il tempo potevano usare segni che dessero il senso dell'effimero del presente. Il tempo cosmico era illustrato con i segni dello zodiaco e con i simboli delle stagioni o dei lavori propri di ogni mese. Dal punto di vista stilistico, l'iconografia romanica ostenta tratti molto caratteristici. Anzitutto, sia nella pittura sia nella scultura, si percepisce un marcato linearismo.
Il modellato dei volumi appare a poco a poco e raggiungerà la piena maturità nel gotico. Nella pittura questa linearità dei contorni è abbinata ad una sfumatura dei colori che tralascia la raffigurazione di masse e volumi.Sia nella scultura sia nella pittura i romanici preferiscono un irrealismo simbolico. La realtà fisica li interessa relativamente. Fondamentalmente vogliono creare simboli della realtà spirituale. Quanto alla pittura romanica, si conservano nei musei importanti tavole, pannelli e pale destinate alla decorazione di altari; ma la pittura più importante è quella che decorava le absidi, le volte e le pareti di alcune chiese come San Pietro al Monte, a Civate. Alcuni documenti del 845 riportano l'esistenza si san Pietro in epoca carolingia: pare vi vivesse una comunità di 35 monaci ubbidienti alla regola di san Benedetto. L'oratorio adiacente sarebbe sorto invece intorno al XI sec. E' considerato tra i più antichi della Lombardia ed è stato recentemente ristrutturato.
Accoglie al suo interno un pregevole altare medievale con affreschi di ispirazione battesimale. Il tema prevalente è quello dell'Apocalisse; dico prevalente perché non mancano il tema riguardante il martirio dell'Apostolo San Giacomo il Maggiore e le raffigurazioni di S. Gregorio Magno e S. Marcello papa; forse vi dovevano essere anche delle scene della vita di S. Pietro.
San Pietro, elegantemente imponente, si presenta con un enorme ed alto scalone di ingresso su un porticato semicircolare.
Appena saliti i gradini appare nello spazio che sovrasta la porta centrale d'ingresso l'affresco di Cristo che consegna le chiavi dei poteri ecclesiali all'apostolo Pietro, mentre dall'altro lato di Cristo sta l'apostolo Paolo.
La didascalia dice: nos INTRA(RE) IVBE DONATOS MVNERE CULPE: iuSTITIE (P)O(R)tAS PETRO PAUL(oque d)ICATAS. All'altezza della testa di Cristo vi dovevano essere due frasi evangeliche che si ricostruiscono solo per i frammenti rimasti: tu es chRISTUS FILius dei DICO Tibi tU ES PETRUS eT SuPEr ... AEDIFICABO (eccelsi)AM ... TIBI DABO CLAVE(s).
Le figure dei due apostoli mostrano forti contrasti di colore nel volto, tra il rosso che dà risalto alle fossette delle guance e il verde che mette in rilievo la fronte, mentre negli occhi è vivida la lumeggiatura bianca. Nella lunetta interna sopra la porta d'ingresso è dipinto Abramo che ha nel seno i Giusti: è il sinus Abrahae di cui parla il Vangelo (Luca 16,22) come simbolo dell'entrata finale nel cielo. La figura è affiancata dalla didascalia (AB)RAHAM PAT(er) MUL(TAR)um GENTIUM.
La raffigurazione del sinus Abrahae è un modo di rappresentare il Paradiso. Sull'arco che incornicia la lunetta si leggono i nomi delle tre virtù teologali: SPES FIDES chARITAS. Dentro, la navata è unica, rettangolare, chiusa da due absidi laterali. La cripta è dedicata alla Madonna. San Pietro è stato trasformato, ampliato, ricostruito nel corso dei secoli e l'orientamento è ruotato fino a capovolgersi da est ad ovest. La datazione più accreditata della struttura romanica risalirebbe al XI sec.
Gli affreschi vanno dal XI al XII sec. La maggior parte degli affreschi, in cui si riscontrano anche influenze bizantine del tardo XI sec., inizio del XII, si trova nel settore orientale, più volte trasformato prima di ricevere il grandioso apparato figurativo a fresco e a stucco giunto fino a noi. Alcune tracce sono state rinvenute alcuni decenni fa anche sulla parete settentrionale e frammenti pittorici sul portale della parete nord e presso le monofore. Quasi nulla è rimasto conservato sulla parete meridionale. Pitture preziose si possono ammirare anche nella cripta e sulla volta all'interno del ciborio.
Molte citazioni in latino, testualmente tratte dalla Bibbia, coronano e descrivono i dipinti. Nella volticina appena entrati è affrescata la celeste Gerusalemme ed è da notare che tra le pitture romaniche è solo a Civate che incontriamo la visione della città celeste. E' una città quadrangolare, turrita e la sua architettura è paleocristiana; su ciascun lato sono aperte tre porte, ad ognuna delle quali si affaccia un angelo, ed ognuna è segnata con gemme simboliche, secondo la descrizione dell'Apocalisse (cap. 21, 19-21). Alle gemme sono sovrapposti con iniziali i nomi delle tribù d'Israele e quello degli Apostoli. In una cerchia di color rosso il Cristo siede su un globo e reca nella mano destra una verga che non è il pedum pastorale, ma la canna con cui Giovanni deve misurare il tempio di Dio (Apocalisse 11,1).
Poggiato sulle ginocchia e tenuto con la mano sinistra ha un libro aperto sul quale si legge: QVI SITIT-VENIAT. Sopra i suoi piedi sta L'Agnello ritto e sotto i suoi piedi sgorga l'acqua. La figura di Cristo è come incorniciata da due alberi giallastri, che possono avere un confronto con gli alberi delle figure bizantine del X sec.
Nei peducci della volta iscrizioni senza figure corrispondenti richiamano le quattro virtù cardinali: IVSTITIA; PRVDENTIA, FORTITVDO, TEMPERANTIA. Nell'altra volticina divisa anch'essa in quattro campi con fasce di colore verde-rosso vi sono i simboli dei 4 evangelisti, segnati con le diciture MATHEUS EVG- MARCUS EVG - IOHANNES EVG - LVCAS EVG. Nell'abside di destra entro un'aureola portata da 2 angeli sta il Cristo (solo il busto) benedicente. E' questo il Cristo Pantocratore, cioè onnipotente e Signore dell'universo che solitamente viene affrescato nei catini absidali. La mano destra sorregge le Sacre Scritture, mentre la destra è sollevata in segno di benedizione. Il medio e l'indice sono alzati e le altre tre dita sono congiunte per rappresentare la Trinità.
Nella parete vi sono triadi di santi con indicazioni ora quasi scomparse. Questa dovrebbe essere la cappella di San Gregorio, mentre l'altra a sinistra è dedicata a S. Giacomo Maggiore la cui rappresentazione del martirio è venuta alla luce poco più di un decennio fa. Nella seconda volticina sono rappresentati in 4 campi, divisi da fasce gialle con ghirlande di corolle bianche e brune che si congiungono nel centro, dove in un cerchio si trova il chrismon cioè il monogramma di Cristo, i 4 fiumi del Paradiso terrestre (Genesi 2, 10-14) con i loro nomi: GEON - fisoN - TIGRIS - EVFRATES. Nella volta della piccola abside sono rappresentati gli Angeli. Sulla parete destra, entrando, in abiti da messa e pastorale è S. Marcello papa in atto di parlare ad un gruppo di fedeli che tendono le mani. La leggenda asseriva che nella chiesa di S. Pietro al Monte si custodivano le sue reliquie. Dirimpetto la parete è affrescata con la figura di S. Gregorio Magno che è davanti all'altare. Sia papa Marcello sia Gregorio Magno hanno paramenti pontificali uguali: il camice bianco che arriva fino ai talloni, una dalmatica dalle maniche molto ampie, che scende oltre il ginocchio, la pianeta o casula, che si indovina rotonda e molto larga; la casula è ornata da una croce biforcuta che assomiglia al pallio, ma dà l'impressione di non esserlo perché non si notano le croci caratteristiche di questo distintivo. Non portano il manipolo e invece stringono un sottile pastorale, cosa singolare trattandosi di due papi. Fra i penitenti davanti a s. Gregorio Magno il primo indossa una tunica bianca con uno scapolare rossiccio. I penitenti davanti a S. Marcello sopra la tunica bianca hanno una specie di mantello.
Mentre i due santi pontefici sono imberbi, i penitenti sono barbuti. Essi si trovano sotto un porticato dalle snelle colonne e i due pontefici hanno alle loro spalle una basilica. Sulla parete in fondo, verso l'uscita, sono affrescate due scene desunte dall'Apocalisse: la donna, che vestita di sole, con la luna ai piedi, ha partorito un figlio che è sostenuto da un personaggio ed è di fronte all'enorme dragone. Questa scena ha molti contatti con le natività bizantine.
Più in alto lo stesso pargolo è presentato al Cristo. Il Cristo è in una mandorla di luce. Questa è una delle figure più importanti della geometria sacra; viene anche chiamata vescica piscis e si ottiene intersecando due cerchi. Simboleggia il punto nel quale due mondi chiaramente separati si incontrano. La mandorla sottolinea l'importanza dei personaggi rappresentati e indica l'irradiarsi della luce divina. Contro il drago combatte l'arcangelo Michele con tutta la schiera dei suoi angeli, ognuno dei quali è armato di lancia e trafigge il mostro. La raffigurazione degli angeli conserva molte caratteristiche paleocristiane. La donna partoriente è la Chiesa e la lotta è della Chiesa contro il diavolo, rappresentato dal drago. E qui vorrei aprire un'altra parentesi per parlare di un'altra immagine simbolica utilizzata anche nell'arte romanica: il drago. La parola drago deriva dal greco drakon, cioè colui che guarda (spaventosamente).
L'idea del drago sembra essere comune a tutti i popoli e in Occidente si è creduto alla sua esistenza fino all'Illuminismo. Solo nell'Asia orientale i draghi sono considerati esseri positivi e personificano forze dispensatrici di pioggia e purificatrici dell'atmosfera durante il temporale. Nel resto del mondo il drago è investito di un carattere negativo. Nell'Antico Testamento dio combatte con una grande spada contro serpenti e draghi, immagini delle potenze cosmiche ostili a Dio. Nell'antichità si immaginava il drago come un serpente di enormi dimensioni ed in seguito gli si attribuirono dentatura da belva e barbetta, artigli e ali e talvolta anche più di una testa. L'antica forma iconografica derivò essenzialmente dall'arte carolingia, ma subì gli influssi della civiltà celtica e germanica. Soltanto dal X-XI sec. in avanti il drago appare prevalentemente con un corpo di sauro: a scaglie, con testa di cane o di lupo, con orecchie a punta e dentatura terrifica, con ali piumate o membranacee e due o quattro zampe da rettile. L'enorme coda è per lo più fortemente ricurva. L'alito venefico o di fuoco, che si attribuisce al drago, può essere raffigurato da una lingua a forma di freccia e da fiamme che divampano tra le sue fauci. Talvolta è associato pure all'invidia o all'odio. Concludiamo ora il discorso ritornando alla chiesa dove è possibile ammirare anche il grande ciborio, con quattro scene corrispondenti alle facciate del baldacchino: le donne al sepolcro, il crocifisso, l'ascensione e la traditio clavium a S. Pietro. Ai capitelli delle colonne che reggono il ciborio sono collocati gli emblemi dei 4 evangelisti.
All'interno della cupoletta, in un cerchio nel centro, è l'Agnello dal quale partono dei raggi che si riverberano su 18 figure aureolate che in grande cerchio gli fanno corteggio. Esse sono rappresentate tutte con la tunica e 8 di esse hanno sopra la tunica una toga allacciata alla spalla sinistra. Sui pennacchi che congiungono il quadrato con il cerchio si vedono 4 angeli. Sono gli angeli che nell'Apocalisse (7,1) erano ai 4 angoli della terra per trattenere i venti, perché non scatenassero una bufera sul mondo. Si può dire che tutto il VII cap. dell'Apocalisse è rappresentato nell'interno del ciborio. E per finire, da due scalette che stanno nella parte meridionale della chiesa si scende ad una cripta dedicata alla Madonna. La cripta o confessio qui è senz'altro fuori posto poiché, contro la consuetudine, non è sotto l'altare maggiore. In essa è possibile ammirare un ciclo di stucchi riguardanti la Madonna: la presentazione del Bimbo Gesù al tempio, la crocifissione, la morte di Maria e la sua assunzione al cielo. La decorazione pittorica è andata quasi del tutto perduta.
La cripta, divisa in 3 piccole navate da 2 file di colonne, presenta un succedersi di lunette. Incominciando da sinistra la prima lunetta è vuota, la seconda ha alcuni frammenti di decorazione, nella successiva è rimasta una fascia decorativa che separa in linea orizzontale lo spazio: segue la scena della presentazione al tempio, quindi nello spazio centrale dietro l'altare i rilievi della crocifissione di Cristo e della morte della Madonna. Più avanti ai lati di una piccola finestra si scorgono affrescate due figure femminili ( due Vergini prudenti) , quindi spicca un affresco con una figura femminile (la terza Vergine prudente), più avanti ancora si intravedono solo due teste femminili; così si completa il numero delle 5 Vergini prudenti (Mat. 25, 1-13). La Madonna celebrata dunque come Virgo Prudens.
In generale si deve dire che l'arte a San Pietro al Monte ha usato uno stile discreto, devoto: non ammette scene terrificanti, nemmeno nel Giudizio contro il drago, ma appare animata dalla viva speranza che al di là dalle lotte che la Chiesa sostiene, il Vangelo sia propagandato come acqua fecondatrice di vitalità spirituale in ogni parte del mondo. Sopra la debolezza umana poi sta la misericordia redentrice del Cristo che continua ad assolvere mediante il ministero delle chiavi apostoliche.