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Percorso : HOME > Associazione > Settimana agostiniana > Settimana 2004 > RedaelliGiuseppe Redaelli: Alle origini dell'Europa: il pensiero e l'opera di Agostino d'Ippona
Somadino a Casargo:
affresco medioevale di Maria Madre di Dio
Alle origini dell'Europa: il pensiero e l'opera di Agostino d'Ippona (1)
di Giuseppe Redaelli
"Per quanto strano sembri, è possibile fissare quasi all'anno la data di nascita della cultura europea, la venuta alla luce del suo protagonista, di quell'uomo che, con l'espressione delle sue ansie determinerà inesorabilmente il corso successivo [...]. Questo grand'uomo è sant'Agostino"
(Marìa Zambiano, Agonia dell'Europa, Marsilio 1999).
La notte tra il 31 dicembre 406 e il 1 gennaio 407 d.C., migliaia di uomini attraversano le acque gelate del fiume Reno. Spezzata l'ultima difesa dell'Impero Romano, i barbari iniziano a dilagare in molte delle sue regioni. E' l'inizio della fine. Pochi anni dopo, la stessa città di Roma, inviolata da quasi 800 anni, subirà l'onta del saccheggio. In questi stessi anni, il vescovo di una città africana, Ippona, è impegnato in importanti dibattiti insieme religiosi e civili, dal cui esito si deciderà il futuro non solo della piccola provincia romana, ma della cultura e dell'ordine sociale di tutto l'Impero.
E' un uomo notevole, questo vescovo: poco più che cinquantenne, già noto in Africa come in Italia, dove un tempo era magister di retorica presso la corte imperiale, a Milano; prima Manicheo, poi accanito oppositore del Manicheismo; un uomo dalla tempra di solitario, ma amante dell'amicizia, sempre alla ricerca di una comunione spirituale con gli amici; studioso e filosofo e scrittore dagli interessi vastissimi, di un acume e di un ingegno senza pari.
E' anche un vescovo "riluttante": quando, dopo la sua conversione al cristianesimo, avvenuta in Italia tra il 385 e il 387, è ritornato nella natia Tagaste, in Africa, era intenzionato a restarci come monaco, per condurre una vita di riflessione e meditazione, circondato da un circolo di amici scelti e amati. Dio, però, aveva deciso diversamente: recatosi ad Ippona, quasi di nascosto, in visita ad un amico, viene subito acclamato presbitero dalla folla.
Alla morte del vescovo Valerio, quest'uomo straordinario ascenderà al soglio episcopale di quella città. Così, quest'uomo amante della pace e della solitudine, dei discorsi filosofici condotti tra amici, passerà alla storia non con il suo nome, Aurelio Agostino, seguito magari da quello della città che ne aveva visti i natali, ma come Agostino di Ippona.
I tempi in cui vive Agostino sono periodo di grandi trasformazioni e vasti cambiamenti, che interessano tutto l'Impero Romano. Mutamenti politici, mutamenti economici, mutamenti sociali e religiosi sfiancano una società ormai invecchiata, prossima al tramonto. Ma anche l'arrivo e l'insediamento di nuove genti, in un Impero che, per lungo tempo, era stato sostanzialmente omogeneo, pur all'interno dell'enorme diversità dei popoli che ne popolavano il territorio.
Così, nel 378, dopo essere stati sconfitti ad Adrianopoli, i romani concedono ai Visigoti una fetta di territorio della penisola balcanica (la Tracia, corrispondente all'incirca all'attuale Bulgaria). Nuovi stili di vita, nuove prospettive sul cristianesimo, nuovi culti si affermano in ogni zona dell'Impero. Nuove usanze cercano di soppiantare le antiche, mentre molti vogliono tornare ai costumi degli antenati per esorcizzare un mondo che cambia.
Il mondo di Agostino sta cambiando, ed Agostino nasce proprio sul crinale del mutamento. Ogni uomo è, sempre e comunque, uomo della sua epoca, e si confronta con i quesiti che la sua epoca gli pone - anche quando legge un testo antico, anche quando riprende antiche teorie e filosofie, lo fa con il linguaggio, le categorie e le strutture della propria epoca. Come tutti gli uomini del suo tempo, si trova a dover rispondere alle domande che sorgono dalla contingenza storica. Come ogni periodo problematico, il IV secolo dopo Cristo fa sì che gli uomini si pongano delle domande, dei quesiti. Uomo della sua epoca, Agostino vive i mutamenti sulla propria pelle, spesso ancor prima di percepirli come tali.
E così quest'uomo del suo tempo, filosofo e amante del sapere, solitario religioso, ma anche maestro, prima, e pastore di uomini, poi, si sente chiamato a trovare una risposta a quelle domande. Anche quando esamina, espone ed interpreta la Bibbia, Agostino si muove sempre nelle domande che la sua epoca pone, e che egli rispecchia e filtra attraverso la sua personale esperienza di vita.
Nella sua opera, nelle sue riflessioni, nelle lettere che scrive ad amici, rivali, corrispondenti si riflettono tutti i quesiti che un'epoca di grandi cambiamenti può porre. Il domandare, tuttavia, non si è ancora fissato in un problema, o in una serie o in un sistema di problemi. Considerare un problema irrigidisce la spontaneità, la naturalezza del domandare e dell'interrogarsi posti di fronte al fluire della vita. (2) Agostino è immerso in quel fluire, si confronta quotidianamente con la realtà, una realtà tanto interiore quanto esteriore. Non cerca una sistematizzazione, che ingessi le domande in un sistema concettuale per soli professionisti.
Anzi, esorta i suoi studenti, i suoi interlocutori, i suoi rivali ad esprimere quello che sentono, senza badare troppo alle parole: ci si intenderà sui concetti, le parole hanno un peso ed un'importanza secondari. (3) Attraverso queste domande, attraverso le risposte che ha fornito Agostino, leggiamo della trasformazione di un mondo. Tutta un'età, l'età antica, sta volgendo al termine; si profila, all'orizzonte, una nuova era, fatta di nuove mescolanze di popoli e culture, di nuovi baricentri politici e di nuove problematiche sociali. La vita di Agostino si pone proprio sul crinale tra le due epoche - e quindi nessuna opera ci aiuta a comprendere la trasformazione meglio delle due opere che rispecchiano, rispettivamente, la vita di Agostino e il divenire dei tempi. Queste due opere sono I tredici libri delle Confessioni e La Città di Dio. Attraverso queste due opere si possono osservare, in controluce, il travaglio interiore e la trasformazione di un uomo e insieme di tutto un mondo. Nell'episodio della conversione, che nelle Confessioni occupa un posto centrale e quasi spezza in due l'unità dell'opera, si riflette tutto il travaglio ed il rinnovamento di un mondo ormai stanco. La conversione di Agostino, la sua nascita ad una nuova vita cristiana, rispecchia così la nascita di un mondo nuovo, di un nuovo ordine sociale, economico, culturale e religioso.
La trasformazione del mondo antico nel "nuovo ordine" (quell'epoca che gli storici hanno a lungo chiamato "medioevo") è evidente nella trasformazione che subì, in quegli anni, il cursus studiorum dei giovani cristiani di buona famiglia. L'affermazione della nuova religione cristiana, infatti, aveva suscitato un interrogativo importante: quale valore dare alla cultura precedente, così profondamente intrisa dei valori delle antiche religioni politeiste e delle filosofie classiche? I grandi cristiani colti dei secoli III e IV erano stati cresciuti nel rispetto e nell'amore di quella cultura classica, che ora il cristianesimo sembrava dover soppiantare, e certamente non se la sentivano di rinunciare così, su due piedi, ad una parte tanto importante del loro sentire, del loro essere, dei loro valori - una parte, per lo più, di cui avvertivano giustamente la grandezza e la profondità. Così il grande eremita e asceta Gerolamo si era sentito accusare, in sogno, di essere un ciceroniano, non un cristiano, tanto grande era il suo amore per i classici latini! Agostino doveva sentire intensamente il peso della questione - lui che, poco più che studente, aveva rifiutato il cristianesimo a causa della rozzezza del linguaggio in cui era tradotta la Bibbia latina.
Come tutti i giovani della sua epoca, era stato educato all'amore per le belle lettere; come tutti gli africani colti, amava moltissimo giocare con le sottigliezze del linguaggio. (4)
D'altro canto, doveva anche rendersi conto del peso che la cultura pagana, e soprattutto la filosofia neoplatonica, aveva avuto nella sua conversione, e non doveva essergli estranea l'importanza di scienze come la dialettica e la filosofia, determinanti nell'approfondimento delle verità di fede. Per questo motivo, Agostino non decide di rigettare la cultura, ma anzi la subordina ad un fine più alto: tutto il cursus studiorum deve essere subordinato alla ricerca della sapienza, che coincide con la Verità di fede. Così a Cassiciacum, nel 386, conversando con i suoi amici e riflettendo sull'ordine che lo studente deve seguire nel compiere i propri studi, Agostino "adottò lo schema antico delle disciplinae liberales (trivio: grammatica, dialettica e retorica; quadrivio: aritmetica, geometria, musica e astronomia). Dopo aver appreso i principi delle sette arti era possibile, secondo Agostino, avvicinarsi alla filosofia, distinta, a sua volta, in due livelli, uno inferiore ed uno superiore: al primo il sapiente apprendeva il vocabolario filosofico e si esercitava a discutere, mentre al secondo, finalmente, contemplava la verità, che poi era la Verità di fede." (5)
Più tardi, nel De doctrina christiana, il vescovo di Ippona ritorna su questo punto fondamentale, re-interpretando un particolare dell'episodio biblico della fuga degli ebrei dall'Egitto: "Come gli ebrei fuggendo dall'Egitto idolatra portarono con sé, per ordine di Dio, vasi d'oro e d'argento, vesti e ornamenti che avevano preso in prestito dai loro vicini pagani, così i cristiani, fuggendo dalla società dei gentili abbandoneranno l'uso empio che essi fanno della cultura, ma toglieranno loro tutte le tecniche, le scienze e le conoscenze preziose da loro possedute, per usarle nella predicazione del Vangelo." (6)
Agostino non era stato il primo, né il solo a giungere a questa conclusione: già Origene e Gregorio di Nissa, in Oriente, avevano interpretato questo passo in modo simile; in Occidente, Gerolamo si era volto in questa stessa direzione commentando un passo del Deuteronomio. (7)
Rispetto a quest'opera di recupero e sistemazione della cultura classica all'interno della cultura cristiana, le Confessioni si trovano su di un piano completamente diverso. Agostino compose le Confessioni tra il 396 (anno della sua ascesa al seggio vescovile) e il 400 d.C. E' questo un periodo importante della sua vita, che lo vede impegnato, da un lato, a consolidare la propria preparazione e la propria autorità di vescovo e, dall'altro, a difendere il "suo" cristianesimo contro gli attacchi di donatisti e manichei. Le Confessioni, tuttavia, pur riflettendo l'atmosfera di questi anni, sono prima di tutto uno sguardo al passato, una riflessione sulla propria vita "fino a quel momento". Le Confessioni sono il resoconto del travaglio di un'anima in cammino verso la conversione, specchio, come si è detto, di quel travaglio che il mondo romano, nella sua interezza, stava affrontando - e, cosa più importante, sono una conversazione, quasi un dialogo. Sembra che Agostino non possa fare a meno di dialogare. Le sue opere sono sempre frutto di un dialogo, di una conversazione, di una discussione.
Anche il lettore più distratto se ne accorge, iniziando dai Dialoghi di Cassiciacum, che anche nel titolo portano un riferimento alla forma letteraria; e proseguendo per le grandi opere polemiche della maturità e della vecchiaia, tutte intrise di quell'ascolto e di quel confronto continuo con l'altro (o l'Altro per eccellenza, Dio, e dell'altro nell'Altro), che sono la parte fondante di ogni dialogo. Persino l'opera che sembra, più delle altre, dedicata alla riflessione personale del singolo, i Soliloquia, è stesa nella forma di un dialogo tra l'uomo Agostino e la Ragione. Proprio all'interno del dialogo Agostino cerca la risposta ai grandi quesiti di un'epoca di trasformazioni. Due sono le grandi domande cui Agostino preme di ricevere una risposta: la domanda su Dio e la domanda sull'uomo. Lui stesso si premura di ripeterlo ai suoi lettori, più e più volte: conoscenza di Dio e conoscenza dell'uomo, in tutti i loro aspetti, per quanto sia permesso alle facoltà umane. (8)
Tutto il resto, la felicità, l'ordine, la musica, le polemiche filosofiche e religiose, la storia e la politica, tutte le altre questioni sono subordinate a queste due grandi domande, le coronano e le completano, suggeriscono nuove vie per giungere a vecchie e nuove risposte. Così è anche nei tredici libri composti nel 397, ma con una particolarità. Nelle Confessioni, infatti, è lo stesso Agostino a farsi problema ad Agostino, e prima ancora a farsi domanda, a farsi questione. Non si tratta più di un uomo, dell'uomo astratto della riflessione filosofica; si tratta di quell'uomo che lui stesso, Agostino, è. Rispetto alla discussione accademica dei Dialoghi, rispetto all'appassionata ricerca di parole, definizioni, soluzioni e risposte che aveva caratterizzato gli anni di Cassiciacum, qui il domandare cambia tono, diventa più personale, più intenso, più intimo. Agostino cerca la chiarezza su se stesso, sul proprio passato, sul proprio presente e sul proprio futuro. Per cercare le sue risposte, Agostino si immerge nel fondo della propria anima.
Quel che trova non gli piace molto: miseria, male, meschinità - tutta l'oscurità che, 25 anni prima, l'aveva spinto a cercare risposte facili nei grandiosi miti dei Manichei. Ora però che ha abbandonato il Manicheismo, nel suo confronto con se stesso Agostino deve affrontare quel che la ricerca gli rivela: un'anima scissa, divisa in se stessa, quasi due uomini; e, di questi due uomini, uno è quello che più disprezza, quello le cui azioni lo gettano nella vergogna e nello sconforto; l'altro è l'uomo ideale, ricettacolo di una perfezione irraggiungibile, a cui però Agostino non può fare a meno di aspirare.
Questi due uomini, però, non sono due entità distinte, come volevano i Manichei; anzi, sono lo stesso uomo, sono un'entità sola, un uomo solo, un solo individuo - inscindibile, uno, eppure scisso e diviso: "ero ben io che volevo, ero ben io che non volevo: io, io, sempre io. Ma il volere e il non volere non erano assoluti, e quindi ero in lotta con me stesso, mi scindevo da me; scissione che avveniva, sì, contro la mia volontà, ma che non rivelava un'altra anima di natura diversa, bensì il castigo della mia. Non ero, dunque, io che creavo in me quella scissione, ma il peccato che ha sede in me, in espiazione di un peccato commesso da una volontà più libera; ero infatti un figlio di Adamo. "(9)
Compare qui, nelle pagine di Agostino, uno dei momenti fondanti della nostra civiltà europea: la centralità dell'interiorità dell'uomo e della vita dell'anima. In questo certo Agostino era stato preceduto dai grandi filosofi dell'età ellenistica, che per primi, avevano voluto separare nell'uomo le cose veramente in potere dell'uomo da quelle che non lo sono affatto. Lo stesso tema dell'interiorità ritorna insistente e centrale nell'opera di uno dei grandi filosofi da cui Agostino trasse la sua ispirazione, Plotino. Nella filosofia precedente, tuttavia, soltanto il saggio era ritenuto in grado di compiere il viaggio all'interno della propria anima. All'uomo della strada, perso e disperso nelle mille faccende quotidiane, una dimensione tanto profonda della vita non poteva certo essere accessibile. Proprio partendo dalla tradizione filosofica precedente, Agostino fonda una nuova concezione dell'interiorità dell'uomo e del suo valore.
Anzi, è proprio con la sua opera che quell'atteggiamento introspettivo, dagli antichi riservato al saggio, diventa patrimonio di tutti gli uomini. Nulla, infatti, sostiene Agostino, è più intimo all'uomo della sua interiorità e ogni uomo può, anzi, deve compiere il viaggio all'interno di se stesso. Proprio nel ripiegare sull'interiorità, però, il vescovo di Ippona compie un passo avanti rispetto ai filosofi che l'avevano preceduto. Rientrato in se stesso, infatti, l'uomo Agostino scopre tutta la sua miseria, tutta la sua abiezione. Ma scopre, anche, di non essere solo: nel fondo della sua anima ritrova il dialogo, perché nel fondo della sua anima ritrova Dio. Con le sue facoltà, l'anima si rivela immagine di Dio, richiamo a Dio: "Io ricordo di aver memoria, intelligenza e volontà; intendo di intendere, volere e ricordare e voglio volere, ricordare e intendere", così come Dio è Eternità, Verità ed Eterno e Vero Amore; e, con la sua immagine, Dio stesso è già presente nell'anima: "E, poiché anch'io esisto, come mai ti chiedo di venire in me, mentre non esisterei se Tu non fossi in me?". Questa è la cifra di quell'invito all'interiorità, che Agostino ha posto all'inizio del suo trattato sulla Trinità: "Non uscire da te, ritorna in te stesso, nell'interno dell'uomo abita la verità e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso". (10)
Proprio nell'anima, nell'interiorità dell'uomo si realizza il più autentico dei dialoghi, la confessione, l'aprirsi dell'uomo a se stesso ed a Dio dentro di sé.
Nel ritorno all'interiorità acquista il massimo risalto la tensione verso l'altro, il confronto con l'Altro. Nel ritrarsi dal mondo, Agostino ritrova la dimensione vera del dialogo; nel chiudersi in sé, ritrova l'apertura all'Altro; nel chiudersi al mondo, scopre che proprio in quella chiusura si è aperto all'essere del mondo. Per questo motivo il lascito più grande di questo filosofo alla cultura del nostro tempo sta nell'aver mostrato come l'uomo, in quanto persona, si fondi sulla propria interiorità; ma come il fondamento dell'interiorità stia nel confronto e nel dialogo con l'Altro. "Il mio bene è quello di stare unito a Dio", scrive Agostino, citando un salmo (72, 28); e continua: "se non mi stabilizzerò in lui, non potrò nemmeno essere in me".
Nel dialogo e nel confronto con Dio, Agostino ritrova la propria individualità, si riappropria della sua storia personale: diventa, insomma, una persona, che trova il suo fondamento nell'auto-relazione con se stessa e nella relazione con l'Altro fuori di sé - con Dio, prima di tutto; ma, nel dialogo, anche con il prossimo, con l'amico, con l'avversario - sempre e comunque interlocutore. All'interno del dialogo, attraverso il confronto l'individuo diventa persona; e il mio interlocutore diventa anch'egli persona, rapportandosi a me. Questa sarà la duplice eredità che Agostino consegna alla storia della concezione dell'uomo. Da un lato, dunque, l'uomo è persona in quanto in grado di rivolgersi a se stesso con il pensiero. Così, cercando una definizione filosofica del termine persona, John Locke scriverà che la persona "è un essere intelligente e pensante che possiede ragione e riflessione e può considerare se stesso, cioè la stessa cosa pensante che egli è, in diversi tempi e luoghi; il che fa soltanto con quella coscienza che è inseparabile dal pensare ed essenziale ad esso". (11)
Un secolo più tardi, Kant ribadirà che "Il fatto che l'uomo possa rappresentarsi il proprio io lo eleva infinitamente al di sopra di tutti gli esseri viventi sulla terra. Per questo egli è una persona e, in forza dell'unità di coscienza persistente attraverso tutte le alterazioni che possono toccarlo, è una sola e medesima persona" (Antropologia, § 1). D'altro canto, l'uomo è persona in quanto tensione ad altro, in quanto relazione con l'altro da sé (etero-relazione). Così, ricorda Nicola Abbagnano, Scheler definirà la persona come un "rapporto con il mondo". La persona, secondo Scheler, è definita proprio da tale rapporto, come l'io è definito dal rapporto con il mondo esterno, l'individuo dal rapporto con la società, il corpo dal rapporto con l'ambiente. Secondo Scheler, "il mondo non è che il correlato oggettivo della persona, quindi ad ogni persona individuale corrisponde un mondo individuale". (12)
Anche le scienze umane si ritroveranno nella scia dell'eredità agostiniana. Così, per esempio, Freud recupererà il carattere conflittuale dell'anima umana e ne farà il fulcro per la propria psicanalisi: l'uomo infatti combatte, secondo Freud, un eterno conflitto tra una sua parte, che rappresenta "ciò che dovrebbe essere", ed un'altra parte, portavoce di desideri e pulsioni; Jacques Lacan, il francese che rivoluziona l'opera di Freud e trasforma la concezione dell'inconscio, sosterrà che la psicoanalisi è stata anticipata, in molti suoi temi, proprio dall'opera di Agostino; C.G. Jung, l'allievo eretico di Freud, non manca di citare più volte Agostino nel corso della sua opera, addirittura ponendo l'invito agostiniano a rientrare in sé stessi al principio del suo studio psicologico sulla Trinità. Immergendosi in se stesso, Agostino ha dunque ritrovato la dimensione del dialogo con Dio e con l'altro, che lo fonda come Persona, identificata da una storia personale - e proprio Dio rende ogni singolo istante di questa storia denso di significato. La storia dell'uomo è ciò che fonda il singolo come iripetibile persona, ma al fondo della storia di un uomo, al fondo della storia di ogni uomo c'è la presenza di Dio. Ogni svolta, ogni errore, persino ogni azione malvagia, tutto quanto è avvenuto fa parte di quell'ordine che è giunto a costituire la persona Agostino, che ora si interroga sul proprio passato. Ed è come persona, accompagnato dalla costante presenza dell'Altro, quel Dio che la fonda sul piano ontologico, che il vescovo di Ippona si confronta con i quesiti della sua epoca. Tutta l'opera di Agostino si può rileggere in questo costante riferimento dell'uomo alla propria interiorità e a Dio come fondamento dell'interiorità.
Nel 410 i Visigoti di Alarico entrano in Roma e la saccheggiano. Questo avvenimento, militarmente ben poco degno di nota, acquista un significato simbolico profondo: Roma si identifica con la civiltà e la cultura, che sembrano spazzate via dalle orde selvagge dei barbari, rozzi, incolti, visti quasi come feroci animali. I pagani subito attribuiscono alla corruzione dei costumi aviti, portata dal cristianesimo, la colpa del disastro abbattutosi sulla civiltà. Se Roma avesse continuato a venerare i propri dei, di certo sarebbe scampata, ma per colpa dei cristiani gli dei hanno voltato le spalle all'impero. Anche Agostino, romano colto, non può non avvertire il peso degli avvenimenti. La domanda che tutti si pongono, "Perché è successo? Com'è possibile che sia successo?" lo porta a rivolgersi di nuovo al passato e all'interiorità - e al legame con Dio, alla ricerca di una risposta.
Nelle Confessioni, Agostino aveva ripercorso la propria storia personale, trovandovi la mano di Dio, quell'ordine che l'aveva condotto infine alla conversione, oltre il peccato e la corruzione.
Ripercorrendo ora la storia del mondo antico, il vescovo di Ippona cerca di intravedere l'ordine che ha portato agli avvenimenti del presente. Come nella vita di chi vuol essere lontano da Dio, nella storia del mondo subito compare il male: "Questa fu la vita dei romani sotto i re, durante il tempo migliore di quello stato, fino all'espulsione di Tarquinio il Superbo, per circa 243 anni. Fu allora che, con tutte quelle vittorie, comprate a prezzo di tanto sangue e di tante sventure, riuscirono appena a estendere il loro dominio di venti miglia nei dintorni di Roma." (13)
Man mano che la disamina continua, appare sempre più manifesto come non ci sia mai stata epoca, nella storia degli stati umani, in cui non vi siano stati malvagità, orrori, spargimenti di sangue. La storia appare intrisa di male fin dalle sue origini. Gli stessi figli dei progenitori sono i capostipiti di due diverse progenie di uomini: "Nacque per primo il cittadino di questo mondo, poi il cittadino estraneo a questo mondo e membro della città di Dio [...] Caino edificò una città", archetipo di quella Roma la cui storia è disseminata di tanto male; "Abele invece, come pellegrino, non ha edificato, poiché la città dei santi è il cielo". (14)
Così nasce la dottrina delle due Città, la Città di Dio e la città terrena. Ognuna delle due città è caratterizzata dal particolare rapporto che i suoi "abitanti" intrattengono con Dio: "Due amori hanno dunque fondato due città: l'amore di sé, portato fino al disprezzo di Dio, ha generato la città terrena; l'amore di Dio, portato fino al disprezzo di sé, ha generato la città celeste". (15)
Se giustizia è dare a ciascuno il suo, argomenta Agostino, e se è doveroso amare Dio, allora giustizia significa anche amare Dio. Lontana da Dio, la città terrena non può possedere vera giustizia. Certo, nella città terrena convivono giusti ed empi.
Ma, mentre gli empi vivono per fruire dei beni terreni, i giusti attendono i beni eterni, promessi loro da Dio, ed usano dei beni terreni come beni di passaggio. E poiché, fino alla fine dei tempi, le due città saranno mescolate, è giusto che anche i giusti partecipino alla difesa della pace, facendo ciascuno il proprio dovere; restando, per prima cosa, sottomessi alle autorità terrene, che giungono da Dio. Ma anche la guerra diventa un dovere. "La volontà deve sempre inseguire la pace, solo la necessità può costringere alla guerra; infatti non si cerca la pace per suscitare la guerra, ma si combatte per conquistare la pace: "Anche mentre si combatte occorre essere pacifici ". (16)
Al fondo di tutto, però, resta il ritorno all'interiorità ed il rapporto con Dio, fondante la persona come la società. Al di là di tutte le singole risposte alle domande della sua epoca, è questa l'eredità più importante tramandata fino a noi. L'uomo deve ritornare a questo rapporto con se stesso e con ciò che lo trascende, con l'altro e con l'Altro, per affermarsi come persona e dunque come cittadino. Prima di tutto, però, ed al di là di tutto, resta il legame fondamentale tra l'uomo e Dio. Grazie a questo rapporto, e soltanto al suo interno, l'uomo diventa qualcosa di più che semplicemente un uomo; rispetto all'uomo dell'antichità, in balia delle forze del destino, il cristiano si trasforma intimamente e totalmente, come uomo e come cittadino.
Nel 427 sulle coste dell'Africa settentrionale si presenta una nuova flotta, mai vista prima: una flotta di barbari, i Vandali, che si lanciano alla conquista di una delle regioni più ricche dell'Impero. Nel 430, quando Agostino muore, i vandali stanno assediando Ippona, la città di cui è vescovo da quasi quarant'anni.
Nel 442 Genserico, re dei Vandali, ottiene dal governo imperiale il riconoscimento del suo dominio sull'Africa settentrionale.
Tutto è cambiato.
Note al testo
(1) Devo l'idea per questo intervento ad un articolo del professor Giovanni Reale, comparso a suo tempo sulla pagina domenicale de Il Sole 24 ore, a proposito della (allora recente) decisione dell'Unione Europea di escludere ogni menzione del cristianesimo dalla Costituzione Europea. Al professor Reale, le cui pagine ho da allora smarrito, va il mio più sentito ringraziamento per avermi fatto cogliere un aspetto del pensiero agostiniano (e della cultura occidentale più in generale) cui fino ad allora non avevo mai neppure pensato. Anche la lettura del libro della Zambiano mi fu originariamente suggerita dall'articolo del professor Reale, e la citazione posta in calce al testo era ripresa e commentata nello stesso articolo.
(2) Cfr. C. Sini, Etica della scrittura, Milano, 1992, p. 6.
(3) Cfr. quanto Agostino scrive ai suoi interlocutori in vari luoghi del De gratia et libero arbitrio e in vari scritti anti-manichei.
(4) Come ricorda Peter Brown, "l'africano dotato [...] si dilettava del puro gioco di parole, dei bisticci, delle rime e degli indovinelli. Agostino, divenuto vescovo, riscuoterà un'ammirazione enorme dai suoi fedeli per la superba abilità nello sfoggiare fuochi d'artificio verbali." Cfr. P. Brown, Agostino d'Ippona, Torino, 1971, pag. 8.
(5) Mariella Gardinali e Lydia Salerno (a cura di), Le fonti del Pensiero medievale, Milano, 1993, pagg. 29-30.
(6) Ivi, pag. 31.
(7) Ibidem. Cfr. anche p. 26, sul passo di Dt 21, 10-13 e sull'interpretazione data da Gerolamo.
(8) Cfr. Soliloquia, I, 2: "Io desidero conoscere Dio e l'anima. Nient'altro, dunque? Nient'altro, assolutamente".
(9) Conf. 8, 10.
(10) De Vera Relig., 39.
(11) J. Locke, Saggio ..., II, 27, 11
(12) N. Abbagnano, Dizionario filosofico, pag. 667, della cui traduzione mi sono servito anche le citazioni di J. Locke e I. Kant.
(13) De civitate Dei, 3, 15, 2.
(14) Ivi, 5, 12, 1-2.
(15) Ivi, 14, 28.
(16) Mt. Fumagalli, in Mt Fumagalli, M. Parodi, Storia della filosofia medievale, Milano 1992, pagg. 62-63.