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I quattro Dottori della Chiesa cattolica
La questione della musica in Agostino d'Ippona
di Giuseppe Redaelli
La nostra storia inizia in Germania, in un monastero femminile benedettino non lontano dalle rive del Reno. Corre l'anno 1178, quando il monastero di Rupertsberg riceve dalle autorità religiose l'interdetto, vale a dire la proibizione di celebrare i sacramenti: pare che nel cimitero del monastero sia stato sepolto un nobiluomo scomunicato.
Le monache negano: il nobiluomo si era riavvicinato alla Chiesa prima di morire. Anche alti prelati, vescovi ed anti-vescovi, i canonici del capitolo di Mainz, sono coinvolti nella breve disputa. E' però notevole che, di tutte le cose proibite al monastero, quella che più pesi alle monache sia l'ordine di "leggere a bassa voce l'ufficio divino invece di cantarlo".
Tanto grande è la tristezza per aver ricevuto quest'ordine, che la badessa del monastero, Ildegarda di Bingen, si sente costretta a scrivere una lettera ai prelati di Mainz, per metterli in guardia contro ciò che impongono: "Voi tutti, prelati della Chiesa, dovete essere molto prudenti nell'emanare decreti che ordinino di fare silenzio ad un'assemblea intenta a cantare le lodi del Signore, perché [...] potrebbe trattarsi di un'astuzia di Satana che vuole distogliere gli uomini dall'armonia celeste e dalla delizia paradisiaca del canto. Talvolta gli uomini, ascoltando un canto, sospirano e gemono, rammentandone l'origine divina e paradisiaca; per questo il profeta, considerando la profonda natura dello spirito, sapendo che l'anima stessa è una sinfonia, esorta anche nel canto a esaltare Dio con la musica del liuto e con la cetra a dieci corde. Il liuto si riferisce alla disciplina del corpo, la cetra, che suona più alta, all'essenza dello spirito, lo strumento a dieci corde all'obbedienza della legge." (1)
Come sempre ardita, in un'epoca in cui alle donne è concesso solo di ascoltare e tacere, la badessa di Rupertsberg parla ai suoi superiori non in tono di supplica, ma ammonendoli: il loro interdetto potrebbe essere "un inganno di Satana", loro, ordinando alle monche di mormorare l'ufficio divino, potrebbero essere sotto l'inganno del demonio; e la musica, quel canto di cui le monache sono state private, ha un'origine paradisiaca; anzi, la stessa anima è una sinfonia! Da dove giunge al medioevo questa concezione tutta particolare della musica e del canto? Per capirlo è necessario fare un altro passo indietro e spostarsi un poco a sud della Germania di Ildegarda. Ci troviamo ora nell'Italia settentrionale, in quella zona che oggi chiamiamo Brianza.
L'anno è il 386: l'Impero romano ha i giorni contati, in meno di un secolo non ne rimarrà quasi altro vestigio che qualche monumento antico, spezzato qua e là attraverso la campagna. (2) E proprio nella campagna brianzola un potente dell'epoca, Verecondo, possiede una villa, destinata ai suoi momenti di ozio e di riposo. In questo periodo, tuttavia, Verecondo ha prestato la sua villa ad un amico africano, Aurelio Agostino, insegnante di retorica alla corte imperiale, che ha lasciato gli impegni ufficiali per ritirarsi a meditare, in previsione del battesimo cristiano.
E' notte. Agostino, malato e nervoso, non riesce a dormire. Sdraiato a letto, ascolta il silenzio. Ascolta i suoni della notte. Tra questi suoni nota quello generato dall'acqua di un fiumiciattolo, vicino alla villa. Ben presto nota come l'acqua che scorre possieda un ritmo diverso, nelle ore notturne, rispetto a quello che possiede durante il giorno. Nella notte suoni e pause posseggono un ordine differente. E la riflessione porta altre riflessioni. Ben presto Agostino sveglia gli amici e propone loro una discussione proprio sul tema del ritmo e dell'ordine universale.
Che cosa hanno a che fare, però, il ritmo, la musica e il canto con l'ordine universale voluto dal Creatore?
E perché la musica e il canto rivestono un ruolo tanto importante nella vita delle monache di Rupertsberg?
Per gli antichi, la musica come disciplina scientifica era, innanzitutto, teoria del ritmo e dell'armonia. Come tecnica rappresentativa, era soprattutto il canto ad essere preso in considerazione. Canto, però, significa prima di tutto capacità di modulare la voce secondo ritmi e lunghezze, capacità di usare le pause; e, ancora, capacità di modulare i toni alti e bassi per ottenere un effetto particolare sull'uditorio. In questo, la teoria musicale apportava un fondamentale contributo alle discipline del linguaggio e, in particolare, alla retorica: i discorsi, infatti, dovevano sempre sfruttare ritmi e pause per aumentare l'efficacia della parola. Come retore, specialista del linguaggio e della bella composizione letteraria, Agostino doveva quindi essere particolarmente interessato, da un punto di vista professionale, alla teoria musicale.
Un interesse tale, anzi, da spingerlo a scrivere un'opera specialistica proprio sull'argomento, il dialogo De Musica, in sei libri, di cui i primi cinque specificamente dedicati ad una trattazione tecnica della teoria del ritmo e dell'armonia. E' il sesto libro, tuttavia, a risultare il più profondo dell'opera.
L'interesse di Agostino per la musica, infatti, aveva anche radici filosofiche più profonde delle esigenze professionali di un mestierante della parola. Agostino si era formato alla filosofia sui libri dei neoplatonici, che, come Platone prima di loro, avevano raccolto e tramandato alla tarda antichità il lascito della filosofia pitagorica.
Per questa scuola filosofica, fiorita nell'Italia meridionale intorno al VI secolo a.C., i numeri costituiscono il principio e la radice di tutte le cose. Anzi, tra le diverse parti del tutto si possono sempre scoprire precisi rapporti matematici, precise ricorrenze matematiche si ritrovano nei diversi moti dei corpi celesti. Ascoltiamo cosa scrive Aristotele sulla loro scuola: "I Pitagorici per primi si applicarono alle matematiche e le fecero progredire, e, nutriti delle medesime, credettero che i principi di queste fossero i principi di tutte le cose che sono. E, poiché nelle matematiche i numeri sono per loro natura i principi primi, e appunto nei numeri essi ritenevano di vedere, più che nel fuoco, nella terra e nell'acqua, molte somiglianze con le cose che sono e si generano [...]; e, inoltre, poiché vedevano che le note e gli accordi musicali consistevano nei numeri; e, infine, poiché tutte le altre cose, in tutta la realtà, parevano a loro che fossero fatte ad immagine dei numeri, e che i numeri fossero ciò che è primo in tutta quanta la realtà, pensarono che gli elementi del numero fossero gli elementi di tutte le cose e che tutto quanto l'universo fosse armonia e numero."
L'universo intero, per i pitagorici, è dunque armonia e numero; ma, poiché il numero, come "accordo di elementi limitanti e illimitati", è ordine, allora tutto l'universo, in quanto determinato dal numero, è ordine. "I sapienti (Pitagorici) dicono che cielo, terra, Dei e uomini sono tenuti insieme dall'ordine [...] ed è proprio per tale ragione che essi chiamano tutto questo ‘cosmo', ossia ‘ordine'". Ma non solo: i cieli, ruotando secondo numero e armonia, producono "una celeste musica di sfere [...] che le nostre orecchie non percepiscono, o non sanno più percepire, perché abituate da sempre a sentirla". E come l'universo, così anche l'anima è armonia numerica, dunque anche l'anima è musica. Su questo filone teorico si muove anche un autore posteriore ad Agostino di circa un secolo: Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, autore di un trattato De institutione Musicae, che, insieme al dialogo agostiniano, costituirà il più importante lascito della tarda antichità al medioevo in materia di teoria musicale. Boezio distingue tre generi di musica: una musica strumentale, una musica umana ed una musica cosmica. La musica strumentale, che comprende anche il canto, la sola cui oggi diamo il nome di "musica", è il genere di musica più basso. Musica umana è invece la musica che il filosofo, raccolto in introspezione, ritrova nelle profondità della propria anima. Musica cosmica, infine, sono l'ordine e l'armonia universali che costituiscono la struttura dell'universo fisico.
Secondo Porfirio, infatti, la struttura dell'anima del mondo è costituita da accordi musicali (proporzioni aritmetiche); ma sono gli stessi accordi a formare l'impalcatura su cui è costruito l'universo. Ecco allora che la musica diventa mezzo privilegiato per chi desidera elevarsi "dalle cose di quaggiù alle cose superiori".
Plotino, il fondatore del neoplatonismo, descrive il percorso che il filosofo deve percorrere, dal suono sensibile a quel che va al di là del suono: "Dopo le sonorità, i ritmi e le figure percepibili dai sensi, il musico deve prescindere dalla materia nella quale si realizzano gli accordi e le proporzioni e attingere la bellezza di essi in se stessi. Deve apprendere che le cose che lo esaltavano sono entità intelligibili: tale è infatti l'armonia: la bellezza che è in essa è la bellezza assoluta, non quella particolare. Per questo, egli deve servirsi di ragionamenti filosofici che lo conducono a credere a cose che aveva in sé senza saperlo."
Di tutta questa tradizione si farà erede Agostino, e, attraverso il vescovo di Ippona, la concezione pitagorica e platonica della musica giungerà al medioevo e alla musica moderna.
Vediamo dunque con maggiore attenzione l'analisi agostiniana del significato spirituale della musica, così com'è contenuta nel sesto libro del dialogo De musica. Dopo aver discusso, nella prima parte del libro VI, sul problema della percezione del ritmo, Agostino si volge a considerare il piacere estetico derivato dall'ascolto del ritmo. La sua domanda è: che cosa fa sì che un determinato rapporto musicale sia piacevole all'udito, piuttosto che sgradito? Che cosa distingue la musica dal rumore?
La risposta, sulla scorta delle osservazioni che Agostino ha condotto nei libri precedenti, forte dell'eredità pitagorica e platonica, giunge semplice ed immediata: è il ritmo, è l'armonia a costituire la musica.
Ecco dunque che il suono viene ricondotto a precisi rapporti matematici. I rapporti matematici, tuttavia, non hanno nulla della musica sensibile. Così, al di sotto della musica "carnale", Agostino ne ha scoperta un'altra, una musica puramente razionale, fatta di rapporti puramente matematici, di quell'armonia numerica che i pitagorici vedevano alla base di tutto l'universo in quanto cosmo. La musica che colpisce i sensi, quella prodotta dagli strumenti musicali e dal canto, non è che un pallido riflesso di questa musica sublime; ma proprio sulla musica razionale la musica sensibile fonda la propria bellezza, la propria capacità di rapire e commuovere l'animo dell'uomo. Lo studio della musica conduce dunque l'uomo a distogliersi dalla sensibilità, per rivolgersi ad una bellezza, ad un ordine che trascendono la fisicità, la materialità e lo conducono alla considerazione delle cose spirituali. In ultimo, lo studio della musica, lungi dall'essere, in Agostino, futile soddisfazione di una vana curiosità, o mero strumento al servizio di un mestiere professionale, diventa mezzo per rivolgersi alla contemplazione di Dio Creatore: "La ragione comprese che in questo grado, tanto nel ritmo quanto nell'armonia, i numeri regnano e conducono tutto a perfezione: osservò allora con la massima diligenza di quale natura fossero e li scoprì divini ed eterni perché col loro aiuto erano state ordinate tutte le cose supreme". (3)
Attraverso l'ascolto e lo studio della musica, l'anima può essere ricondotta a trovare in sé quell'ordine e quell'armonia, persi con il peccato, e prepararsi così all'azione della Grazia divina. Sarà dunque questa alta concezione della musica che giungerà al medioevo, e, tramite questo lungo periodo di dieci secoli, alla musica moderna, a Bach, a Mozart e a Beethoven, per il tramite dei tanti movimenti esoterici dell'età moderna. E sarà questa concezione della musica che farà disperare le monache di Rupertsberg per l'interdetto, la musica che farà scrivere alla badessa Ildegarda:
"Aspetti esteriori ci possono indicare realtà interiori e attraverso i suoni disposti in armonia e la voce degli strumenti musicali, arpe e cetre, possiamo trasformare le nostre azioni e il nostro essere interiore [...] Per possedere di nuovo la dolcezza della lode a Dio, della quale Adamo si dilettava insieme agli angeli prima della caduta nel peccato [...] i santi profeti, ammaestrati dallo spirito che li ispirava, non soltanto composero canti e salmi, ma inventarono vari strumenti musicali mediante i quali fusero insieme molteplici suoni. Fecero tutto questo affinché coloro che ascoltavano quei suoni, sia attraverso la qualità della musica strumentale, sia attraverso il significato delle parole recitate (entrambe realtà sensibili ed esteriori), crescessero in sapienza interiore con la dottrina e con l'esercizio."
Note al testo
(1) Ildegarda di Bingen, Lettera ai prelati del capitolo di Mainz, cit. in Mt. Fumagalli Beonio Brocchieri, Ildegarda la profetessa, p. 162.
(2) Cfr. la bellissima discussione sullo stato delle campagne italiane in V. Fumagalli
(3) De ordine, II, 14.