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Luigi beretta: san nicola da tolentino

 Particolare di san Nicola da Tolentino del Perugino

Nicola da Tolentino

particolare di un'opera del Perugino

 

 

 

SAN NICOLA DA TOLENTINO

 

 

Primo e unico santo dell'ordine degli eremitani di sant'Agostino, canonizzato nel Medioevo, Nicola fu un umile religioso che non esercitò nessuna carica di rilievo all'interno del suo ordine; non fu neppure priore dell'importante convento di Tolentino. Asceta meditativo, egli aveva tuttavia profondamente impressionato i suoi contemporanei per la bontà che si irradiava dalla sua azione caritativa. Il suo culto, essenzialmente italiano fino al Cinquecento, conobbe poi una vigorosa diffusione in Europa a partire dalla Spagna.

La vita di san Nicola da Tolentino è stata profondamente influenzata dal clima d'intensa spiritualità che caratterizzava le Marche tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo e si esprimeva attraverso il fiorire di comunità che adottavano regole di vita molto diverse fra loro.

Nicola fu contemporaneo dai monaci benedettini della congregazione riformata dei silvestrini, dei movimenti di penitenti e di flagellanti, come pure dei più notevoli rappresentanti degli spirituali francescani e di Angelo Clareno. Per quanto non abbia scelto nessuna di queste strade, il misticismo ascetico in cui era immerso si riflette nel suo comportamento. 

Nella vita di Nicola non manca neppure il meraviglioso. La sua stessa nascita fu un miracolo la cui storia è stata ampiamente diffusa dal primo biografo del santo, il suo confratello nonché contemporaneo Pietro da Monterubbiano, e dalle testimonianze raccolte durante l'inchiesta per la canonizzazione che si svolse nel 1325 nella regione di Tolentino. Non potendo avere figli, il padre e la madre di Nicola invocarono l'aiuto di san Nicola di Bari e si recarono in pellegrinaggio al grande santuario dell'Italia meridionale. Si addormentarono vicino alla tomba del santo, sicuramente perché sfiniti dal viaggio; ma anche perché una sosta notturna accanto alle reliquie dava maggior forza al loro voto. Ed ebbero la visione di san Nicola, che predisse loro la prossima nascita di un figlio. Questi ricevette allora il nome, all'epoca poco diffuso nelle Marche, di Nicola e i genitori promisero di farlo entrare negli ordini. Gli anni dell'infanzia sono generalmente i meno noti della vita dei santi. Due o tre vecchi interrogati nel 1325, conservavano solo un ricordo confuso delle circostanze in cui avevano conosciuto il ragazzo e quindi l'adolescente, già notato per il carattere riservato e pio.

Un'antica tradizione agiografica vuole che, prima di vestire l'abito degli eremitani di sant'Agostino, il santo sia entrato in una comunità di canonici regolari. In ciò va sicuramente visto solo un episodio simbolico destinato a dimostrare la superiorità delle virtù illustrate dal nuovo ordine mendicante.

Come è più probabile, intorno ai 12-14 anni il giovane Nicola scelse direttamente la via religiosa dell'ordine degli eremitani di Sant'Agostino, di recente costituzione. Compì il noviziato nel vicino villaggio di San Genesio e proseguì la sua formazione di convento in convento, nella regione. Fu a Cingoli che il vescovo riformatore Benvenuto d'Osimo, anch' egli beatificato, lo ordinò sacerdote.

 

 

Un asceta, discepolo di sant'Agostino

 

Religioso e prete: fu sotto questo duplice aspetto che si affermò l'idea della sua santità nella gente di Tolentino, tra cui egli trascorse gli ultimi trent'anni della sua vita come maestro delle novizie del convento di questa città fortificata.

L'immagine più viva e sicuramente più fedele del religioso ci è stata trasmessa dalle testimonianze dei suoi contemporanei interrogati nel 1325. Una commissione composta dai vescovi di Senigallia e di Cesena fu designata da papa Giovanni XXII il 23 maggio dello stesso anno per indagare su «la vita e i miracoli» di Nicola in vista della sua eventuale canonizzazione. Gli inquirenti hanno redatto un questionario composto da ventun articoli ai quali i testimoni dovevano rispondere.

Così la procedura orientava la ricerca delle virtù più esemplari del santo secondo i criteri definiti dai chierici. Otto articoli erano destinati a provare la perfetta ortodossia dell'educazione del giovane Nicola - precauzione necessaria, in una regione che ospitava gruppi ereticali o idolatri! Altri sei articoli spiegano dettagliatamente gli esercizi ascetici del religioso. Tuttavia, l'abbondanza e la varietà delle risposte trascendono i limiti dello schema suggerito per sottolineare l'azione di un prete pio, caritatevole e misericordioso.

Nicola non fu assolutamente un mistico visionario. Il suo costante attaccamento a un'ascesi rigorosa si fondava su un'intensa pietà cristologica; le mortificazioni che egli s'imponeva lo facevano partecipare alla passione del Cristo che, quando celebrava la messa, suscitava in lui il dono delle lacrime.

La conformità di questo comportamento agli obblighi della regola di vita quotidiana dell'ordine non è sempre evidente. Ma è assolutamente rappresentativa di un religioso mendicante innamorato della povertà e dell'umiltà. Nicola praticava le mortificazioni eremitiche tradizionalmente in vigore nelle comunità che erano state all'origine dell'ordine degli eremitani di sant'Agostino, la cui organizzazione veniva ultimata proprio nel 1290; ma non era per sé che cercava l'esperienza ascetica. Se dormiva su un saccone di fieno, con una pietra come unico guanciale, se si infliggeva quotidianamente la penitenza con una frusta, delle verghe o delle catene di ferro, furono in pochissimi a saperlo, anche fra i religiosi del convento, e nessun laico ne venne direttamente a conoscenza al di fuori della comunità.

L'aspetto più noto di questa vita austera è il digiuno. Ai tre giorni di digiuno ebdomadario a pane e acqua prescritti dalla regola, Nicola aggiungeva quello del sabato in onore della Vergine. Rifiutò sempre le vivande speziate o il più piccolo pezzo di carne anche quando, negli ultimi tempi della sua vita, era indebolito dalle febbri e dalle varici alle gambe. Molti aneddoti mostrano i trucchi escogitati dagli amici, come il notaio Berardo Appillaterre, per costringerlo a mangiare un po' di carne. Un giorno, ad esempio, fu costretto contro i suoi princìpi ad accettare di mangiare una pernice poiché era stato il priore provinciale a ordinarglielo. Per rispettare l'obbedienza dovuta al superiore, pietra di paragone della regola, Nicola assunse un solo boccone di carne e fece poi portare il piatto a un confratello.

 

 

L'apostolo di Tolentino

 

Non era l'asceta afflitto dalle malattie quello che gli abitanti di Tolentino e dintorni conoscevano, quanto piuttosto l'uomo di preghiera e il prete che erano quasi sempre sicuri di incontrare a ogni ora del giorno nella chiesa del convento, assorbito nelle sue meditazioni, dopo aver recitato le ore canoniche. Quando i chierici interrogavano i laici, in un primo momento questi non definivano Nicola attraverso le tipiche virtù religiose dell'umiltà, della pazienza o dell'obbedienza; per i suoi contemporanei, i tratti più rilevanti della sua personalità furono la benevolenza e la gioiosa affabilità.

Li avvertivano in primo luogo quando, quasi ogni giorno, Nicola assolveva al suo ruolo di confessore. Facciamo parlare i testimoni. "Era talmente umile e pieno di benevolenza quando ascoltava le confessioni, che sembrava un angelo quando [mi] si sedeva accanto per confessar[mi]", dichiara donna Iacobucia, moglie di Tommaso Salimbene da Tolentino. E tuttavia il suo volto si indovinava appena, poiché spesso teneva il cappuccio ben calato, come quando accattava per le vie del villaggio.

Un'altra penitente, Aldisia Iacobucci, spiega perché tanti fedeli lo cercassero come confessore: "Esercitava una forte attrazione [era, dice il testo, attractivus]sui peccatori dicendo loro, per confortarli, che da allora in poi non peccassero più e offrendosi, se lo volevano, di compiere la penitenza in loro vece". Nella regione, quest'atteggiamento di san Nicola è innovatore. Egli rompe con la dura esortazione alla conversione penitenziale, frequente negli eremiti predicatori, e cerca di sviluppare la coscienza di un comportamento cristiano individuale incitando i penitenti a un vero e proprio atto di contrizione. Egli stesso, né profeta né denunciatore del male, si offre di alleviare la pena degli uomini incaricandosi di compiere l'esercizio di mortificazione.

L'azione caritativa, qui consolatrice, aveva anche un risvolto sociale. Altri testimoni al processo affermano che egli visitava tutti i malati di Tolentino; ma mentre si recava subito al capezzale dei malati poveri, visitava i ricchi solo se glielo chiedevano.

In varie occasioni riconciliò delle coppie separate e, di fronte a situazioni di concubinaggio noto si adoperava, senza mai emettere un giudizio, per confermare e regolarizzare la vita della coppia col sacramento del matrimonio. Vent'anni dopo la morte, i nomi dei poveri che il santo aveva soccorso erano ancora nella memoria di tutti.

Non sono poi molti gli episodi salienti, le date a cui far riferimento, che scandiscono la vita di san Nicola. Del suo comportamento determinato, insistente, si può tutt'al più ricordare la tradizione tramandata da Pietro di Monterubbiano secondo cui con la forza delle preghiere, egli avrebbe salvato l'anima del fratello da un lungo soggiorno in Purgatorio. Questa tradizione è all'origine della devozione che il terz'ordine agostiniano ha sempre mantenuto a Tolentino. Fondamentalmente, Nicola è la presenza come di un'ombra che passa per strada col cappuccio calato. Senza dubbio, è proprio perché quest'umiltà contrastava con gli atteggiamenti bellicosi, imbevuti della difesa dei privilegi, all'epoca frequenti nel clero secolare, che il popolo si rivolgeva a lui come al migliore dei preti.

 

 

Una viva devozione popolare

 

Nella mentalità medievale, quest'attrattiva popolare si trasformava molto rapidamente in culto taumaturgico. Alleviare le sofferenze morali con un consiglio, guarire miracolosamente una febbre o un ascesso, costituivano due aspetti di una stessa capacità d'azione sovrannaturale accordata da Dio. La fama di santità di Nicola s'affermò vivamente mentre egli era ancora in vita, sia per le virtù che gli si conoscevano sia per i diversi e istantanei miracoli compiuti a vantaggio di quelli che si recavano da lui per affidarglisi. Il gran numero di miracoli post mortem, annotati durante il processo o raccolti presso altre fonti da Pietro da Monterubbiano (più di trecento in tutto), fa di Nicola il più importante taumaturgo delle Marche ai primi del Trecento e conferma il rapido sviluppo di un culto assai vivo in un raggio di almeno trenta chilometri intorno a Tolentino.

Il catalogo dei miracoli è un florilegio di riti e di devozioni popolari messi in atto per guarire ascessi, mutismo, sordità e paralisi di ogni tipo, ma anche per ottenere resurrezioni, liberazione di prigionieri catturati dalle scorrerie a cavallo dei ghibellini o dai pastori ladri di bestiame, se non addirittura per risanare un bue, un cavallo, un falco.

Gli abitanti di Tolentino e dei borghi vicini promettevano offerte votive nelle quali comparivano tracce di riti magici: il cero alto quanto il malato, la statuetta di cera riproducente la sua infermità, il peso del malato in grano e via di questo passo. Si prometteva anche di visitare il santuario a piedi nudi o con le mani legate dietro la schiena in segno di penitenza, come pure di digiunare nel giorno della morte di Nicola. In compenso, al contrario di quanto si osserva relativamente alla maggior parte dei culti dei santi nei secoli precedenti, il contatto con le reliquie nel santuario non era più indispensabile per ottenere la guarigione: quasi nove malati su dieci vennero risanati a distanza.

Fra le offerte il processo di canonizzazione segnala, di certo per la prima volta con sicurezza nell'Europa occidentale, un ex voto dipinto nel 1305. È il punto di partenza di una pratica che si è perpetuata per secoli a partire dalla fine del Trecento e della quale il museo di Tolentino offre un esemplare di quasi quattro- cento tavolette.

 

 

Dalla fama alla canonizzazione

 

La vivacità del culto locale ha rapidamente determinato l'apertura dell'inchiesta ufficiale nel 1325. La copia delle testimonianze raccolte fra il 7 luglio e il 28 settembre venne presentata alla curia pontificia nel dicembre del 1326. Si sarebbe potuto pensare a una canonizzazione immediatamente successiva. Ciò non avvenne e il riconoscimento ufficiale ebbe luogo solo centoventi anni dopo, periodo durante il quale l'intero ordine degli eremitani non risparmiò gli sforzi per far trionfare la causa del suo primo santo. Al contrario, le autorità laiche ed ecclesiastiche delle Marche sembrano singolarmente disinteressate. Lo scisma dell'antipapa Niccolò V e poi la morte di Giovanni XXII nel 1334 fornirono la spiegazione ufficiale dell'interrompersi della procedura. L'ordine degli eremitani, che nel 1326 aveva già finanziato la presentazione della causa prelevando un fiorino da ogni convento marchigiano, continuò ad insistere. Nel 1341 fu istituita una messa ebdomadaria dello Spirito Santo per chiedere la riapertura dell'incartamento. Innocenzo VI acconsentì alla richiesta, prima nel 1357 e poi nel 1359.

I religiosi ottennero soltanto ilriconoscimento della validità del processo del 1325, che indubbiamente interinava l'esistenza de facto di un culto locale. Finalmente, a dispetto dei nuovi ostacoli consistenti nello scisma avignonese e nella crisi conciliare, nel 1400 papa Bonifacio IX concesse l'indulgenza plenaria ai pellegrini che si recavano a Tolentino. Frattanto, l'ordine agostiniano aveva nuovamente fatto delle collette per ottenere la canonizzazione di un santo che, "per quanto iscritto come beato nel libro dell'eternità, non è ancora riportato nel catalogo dei sovrani pontefici" (capitolo generale di Monaco, 17 giugno 1397). La gloria tanto attesa giunse infine nel 1446. Le solennità romane della canonizzazione, presiedute da papa Eugenio IV, apparvero come un trionfo degli eremitani di sant'Agostino sugli altri ordini mendicanti, costretti a seguire la processione a rispettosa distanza.

 

 

Lo sviluppo del culto di san Nicola in Europa

 

Nelle Marche, e non solo in esse, i frati agostiniani non avevano atteso le conferme pontificie per organizzare un culto. Stanno ad attestarlo le vicissitudini delle reliquie, e in particolare la separazione delle braccia dal cadavere nel 1345. Altri segni ci sono offerti dalle rappresentazioni pittoriche. La pittura di pale all'interno di una chiesa o di affreschi sui suoi muri presupponeva il consenso dei religiosi. Il ciclo degli affreschi del "cappellone" (la cappella funeraria) di Tolentino, sicuramente realizzata nel 1330, costituisce una delle più antiche rappresentazioni di san Nicola e resta il capolavoro dell'arte regionale. Sino alla fine del Trecento, numerose rappresentazioni diffusero l'immagine del santo in varie regioni d'Italia, ma non pare che egli abbia beneficiato di un culto importante nel resto dell'Europa prima del Quattrocento. L'universalizzarsi di una devozione è infatti logicamente legato alla canonizzazione ufficiale. Pertanto, varie testimonianze artistiche rendono conto di un culto che restò essenzialmente mediterraneo anche se è noto che la Vita del santo redatta da Pietro di Monterubbiano venne anche copiata in Germania. Delle rare tappe artistiche conservate in Francia, ne citeremo due dei primi del Cinquecento. La chiesa di Brou, vicino a Bourg-en-Bresse, venne costruita da Margherita d'Austria, a partire dal 1506, sull'area di un priorato benedettino per assolvere al voto fatto alla morte del conte di Savoia, Filiberto il Bello, sopraggiunta il 10 settembre 1500. La coincidenza con l'anniversario della morte del santo determinò la dedicazione di quello che rimane uno degli ultimi capolavori del gotico fiammeggiante. La statua di Nicola orna il pilastro del portale d'occidente e ricorda l'unica evidente partecipazione di una famiglia principesca al culto del santo. Al contrario, il ricco donatore della seconda opera importante resta anonimo: a lui si deve la commessa della grande pala della crocifissione dipinta da Antonio Ronzen, d'origine veneziana, per la chiesa degli agostiniani di Puget-Théniers (Alpi Marittime). In questa pala san Nicola compare in buona posizione, sul pannello di sinistra.

Mentre in Italia la devozione moderna resta legata alle reliquie di Tolentino, è in Spagna che si manifesta il maggior fervore nei confronti di san Nicola con l'uso di pani benedetti in suo nome, che il Medioevo sembra aver ignorato. Il lancio di questi pani benedetti produce miracoli straordinari; grazie ad essi venne estinto l'incendio del palazzo ducale di Venezia (1479), mentre a Cordoba (1602), Bourg-en-Bresse (1629), Genova (XVIII secolo) cessarono molte epidemie di peste. Una vasta azione taumaturgica in Belgio (dove vennero traslate delle ampolle che contenevano del sangue di Nicola), in Spagna e nell'America latina ha poi esteso in vari continenti una fama di santità che non doveva poi molto alla personalità di Nicola.

 

 

La formazione dell'ordine degli eremitani di sant'Agostino

 

Contrariamente agli altri ordini mendicanti, quello degli eremitani di sant'Agostino non è stato fondato da una personalità religiosa, ma è stato creato per volere del papato, che desiderava riunire in un solo ordine varie congregazioni eremitiche italiane che praticavano la mendicità.

Come molti monasteri e congregazioni canonicali regolari, e come la maggioranza degli ordini religiosi non monastici del XII e XIII secolo (fra cui premonstratensi e domenicani), queste congregazioni facevano riferimento alla regola fissata da sant'Agostino alla fine del IV secolo, probabilmente per il monastero di Tagaste. Ogni ordine completava questo riferimento con delle costituzioni destinate a precisare l'organizzazione, quotidiana della vita comunitaria.

L'esistenza di queste congregazioni venne riconosciuta nei concili Laterano IV e Lione II, che adottarono il riferimento alla regola agostiniana, ad eccezione di ogni nuova regola, per definire la "vita apostolica" nei confronti della "vita monastica della regola di san Benedetto (Laterano, canone 13; Lione, costituzione 23, religionum diversitatem). Esse avevano già cominciato a raggrupparsi in due principali focolai regionali: la Toscana e le Marche. In Toscana i guglielmiti, fondati ai primi del XII secolo da Guglielmo di Malavalle, e gli eremitani di sant'Agostino, insediatisi all'inizio del XIII secolo intorno a Siena, Lucca e Pisa, vennero riuniti nel 1243 da Innocenzo IV nella congregazione degli eremitani di Toscana. D'altra parte, le Marche e il sud della Romagna furono la culla delle comunità eremitiche e penitenti quali gli eremitani del beato Giovanni Bono a Cesena (fondati nel 1209 da questo precursore di san Nicola) e gli eremitani di Brettino (presso Fano), rigidissimi asceti, seguaci della più assoluta povertà, che vennero riconosciuti nel 1237.

In linea con i canoni del concilio Laterano IV, che vietavano il moltiplicarsi di nuovi ordini, l'unificazione venne organizzata da papa Alessandro IV. Nel 1256 questi confermò i privilegi degli agostiniani e propose l'elezione di un superiore generale nominato da un capitolo triennale. Il cardinale protettore Riccardo intese separatamente i priori di ogni congregazione, per poi riunirli in un capitolo generale a Roma (Santa Maria del Popolo), che accettò l'adozione generale della regola. La bolla Licet Ecclesiae del 9 aprile 1256 confermò l'unione, a capo della quale inizialmente si succedettero i priori della congregazione di Giovanni Bono.

I principali problemi che i promotori dell'unione dovettero affrontare derivavano dalla questione della povertà volontaria. Potevano i frati possedere beni comuni, e in quali limiti? D'altra parte, lo spirito autonomistico delle comunità eremitiche non si adattava facilmente agli obblighi d'obbedienza nei confronti di una gerarchia di superiori provinciali originari. Questi problemi spiegano la lentezza dell'unificazione via via realizzata in circa mezzo secolo e il mantenimento di particolari privilegi: così gli eremitani di Brettino e i guglielmiti conservavano il diritto a condurre una vita più rude e ascetica. Tutti però ricevettero la stessa ampia cocolla nera con la cintura di cuoio, mentre abbandonarono rapidamente l'attributo eremitico del bastone. L'unione obbediva a un principio di reciprocità nella federazione. Ciò spiega come l'ordine dei frati saccati, più o meno costretti ad aderire all'unione, se ne sia separato intorno al 1263, mentre i guglielmiti vennero lentamente assimilati. La definitiva stabilizzazione dell'ordine sopraggiunse con le costituzioni di Ratisbona promulgate nel 1290. Dieci anni dopo, secondo le fonti del tempo, l'ordine degli eremitani di sant'Agostino avrebbe contato trecento conventi.

 

 

Le reliquie di san Nicola

 

Per secoli il culto di san Nicola fu disociato dalla visione delle reliquie. La sepoltura del corpo venne scoperta, sotto il "cappellone", solo nel 1926. Dopo il 1345 potevano esser venerate soltanto le ossa delle braccia, che in questa data vennero staccate dalle spoglie del santo. La leggenda vuole che l'atto sia stato perpetrato da un frate agostiniano d'origine tedesca di nome Teodoro. Per un eccesso di devozione nei confronti delle reliquie, egli desiderava portarne qualcosa con sé rientrando in patria. Nottetempo tagliò le braccia al cadavere. Ma dal corpo mutilato sgorgò un fiotto di sangue vivo e il frate, sconvolto, fuggì con ciò che aveva rubato immergendosi nell'oscurità. L'indomani mattina, mentre si credeva lontano chilometri da Tolentino, era sempre sotto le mura del convento dato che aveva solo girato in tondo ... E le braccia restarono a Tolentino.

Ritroviamo la leggenda a proposito di altri beati della regione ma, dato che la separazione delle braccia è reale, è probabile che essa adombri un conflitto per il possesso delle reliquie. Nel 1492 i frati agostiniani pensarono di confezionare loro un reliquiario; dal 1487 esse vennero conservate in una cassaforte nella cappella detta delle Sante Braccia. Il comune di Tolentino custodisce ancora oggi una delle chiavi della cassa.

In occasione degli esami a cui le reliquie vennero sottoposte fra il XVI e il XVIII secolo, si constatarono una ventina di volte delle effusioni di sangue. Il fenomeno fu visibile soprattutto dal 3 agosto al 27 settembre 1679 e dal 29 maggio al 10 settembre 1699. In seguito non lo si è più osservato, ma il fatto resta una delle fonti del rito principale che si svolge a Tolentino; ogni anno, la sera del 10 settembre, i panni inzuppati di sangue vengono solennemente portati in processione per le vie della città in un'urna di vetro, e si continua a condurvi i malati perché siano benedetti al passaggio delle reliquie.

 

 

Gli affreschi di Tolentino

 

II capolavoro iconografico ispirato da san Nicola resta pur sempre a Tolentino: ed è il ciclo di affreschi che decora la volta e le pareti dell'oratorio funerario, molto probabilmente la vecchia sala capitolare. L'opera fu sicuramente realizzata all'indomani del processo (la Vita di Pietro di Monterubbiano, che può esser datata 1327, non ne parla) e prima del 1348, data in cui i documenti parlano di una cappella di San Nicola. Ma la loro datazione solleva molti altri problemi, principalmente perché suppone un cambiamento nella destinazione di questa sala rettangolare.

In compenso, gli specialisti sono ormai concordi nell'attribuire il ciclo di affreschi a Pietro da Rimini e alla sua bottega. Non tutte le scene, hanno la stessa finezza di trattamento plastico o una simile tensione drammatica. È tuttavia evidente l'influsso del ciclo giottesco della cappella degli Scrovegni di Padova. Su due registri, sono rappresentati gli episodi della vita del Cristo (in alto) e san Nicola (in basso), alla quale hanno lavorato soprattutto gli aiuti.

Nella scelta degli episodi rappresentativi gli artisti rivelano una conoscenza precisa dei documenti del tempo: il processo e la Vita di Pietro di Monterubbiano. A partire da queste due fonti, essi hanno sintetizzato in tredici scene la vita e i miracoli del santo: sei di esse sono dedicate alla sua esistenza terrena; dopo il grande pannello sul quale è raffigurato il funerale di Nicola, intorno al quale si raccolgono molti religiosi dell'ordine, di fronte alla crocifissione che occupa il centro del muro di faccia, sono selezionati sei miracoli rappresentativi, effettuati nel primo mese dopo la sua morte. Certe scene sono state gravemente danneggiate da successivi lavori come la "Salvezza delle anime del purgatorio", chiaramente ispirata dal testo agiografico. In compenso, gli artisti hanno preferito seguire le informazioni contenute nell'inchiesta del 1325 quando mostrano un giovanissimo Nicola, che non è un canonico, durante la vestizione dell'abito agostiniano, o riprendono la guarigione di un indemoniato della quale Pietro di Monterubbiano non fa parola.

La composizione del ciclo inferiore è un po' più rigida e manca a volte di prospettiva. Ma non è da meno quanto al pittoresco narrativo e alla vivacità cromatica delle scene, dominate dal nobile profilo nero dell'agostiniano; per la finezza con cui è eseguito, quest'ultimo sembra rivelare il tocco del maestro. Questi ha raffigurato il santo con una grande e viva semplicità, spogliandolo dei suoi attributi iconologici tradizionali - astro raggiante e fiore di giglio - tranne che nella scena del funerale e nel ritratto a lato della croce del Cristo.