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Immagine di Costantino
MILANO 313: EDITTO DI COSTANTINO: STORIA, LEGGENDA, CONSEGUENZE
di Giuseppe Corti
L'editto di Milano del 313, di cui quest'anno si sono celebrati con numerose iniziative i 1700 anni dalla sua emanazione [1] - così come si celebrarono i suoi fasti con non minore trionfalismo anche nel 1913 [2] - costituisce senz'altro una delle svolte più importanti nella storia dell'Occidente, non solo dal punto di vista religioso ma anche per le profonde implicazioni che ebbe dal punto di vista sociale, culturale, giuridico, persino nelle stesse istituzioni dell'impero romano. Superata questa constatazione storica, che comunque considero irrefutabile, ci muoveremo lungo tre direttrici, deliberatamente molto sintetiche ed in qualche caso semplificatrici: la prima riguarda lo stesso editto di Milano, e come esso si inserisce nei rapporti pre-esistenti tra l'impero e le comunità cristiane; la seconda farà un passo indietro esaminando i caratteri razionali dell'ultima persecuzione anti-cristiana; la terza infine, capovolgendo il carattere tradizionale con cui l'editto viene presentato, si soffermerà soprattutto sugli elementi di paganesimo che, come conseguenza soprattutto dell'azione di Costantino, sono penetrati nel cristianesimo e l'hanno, in un certo qual senso, deformato rispetto la tradizione precedente ed insieme l'hanno costituito come oggi si presenta. Diciamo subito che il termine utilizzato "editto di Milano" - che anche noi useremo per brevità e comodità - è fuorviante [3]. E' vero che tra il gennaio ed il febbraio 313 i due imperatori, Costantino e Licinio, si incontrarono a Milano; è del pari vero che affrontarono anche il problema religioso in generale, ma soprattutto la questione cristiana, che assillava l'impero ormai da 10 anni, da quando nel febbraio del 303 era iniziata quella che viene ricordata come l'ultima grande persecuzione. Ma le ragioni di questo incontro erano molto più politiche e militari: Costantino e Licinio s'erano incontrati per dividersi l'impero, per sigillare un patto di alleanza contro Massimino - il rivale di Licinio in Oriente - e per cementare questa loro alleanza con il matrimonio di Licinio con la sorellastra di Costantino. Per alcuni versi la questione religiosa era già stata affrontata e risolta circa due anni prima, con un documento, l'editto di Nicomedia del 30 aprile 311 [4], che aveva già concesso la libertà di culto ai cristiani, la stessa che veniva riconosciuta nell'editto di Milano. Come mai di quel documento, che viene ricordato anche come editto di Galerio dal nome dell'imperatore che lo promulgò, non è quasi rimasta traccia, mentre tutti citano invece, e per giunta attribuendolo a Costantino, una disposizione di cui non è rimasta testimonianza in Occidente, proprio la parte dell'impero assegnata e retta da Costantino? Perché, e questo è l'altro paradosso di questo editto è che le sue testimonianze provengono tutte dall'Oriente: il documento ci è stato infatti trasmesso da Lattanzio, che ne riporta il testo latino, in cui probabilmente è stato redatto, nel "De mortibus persecutorum", e da Eusebio di Cesarea nella traduzione greca fatta probabilmente da lui stesso ed inserita nell'"Historia Ecclesiastica" [5]. Ma entrambi parlano di un atto pubblico che hanno conosciuto in Oriente, l'uno a Nicomedia e l'altro a Cesarea. E la cosa diventa ancora più intrigante se aggiungiamo che Lattanzio, un retore cristiano, fu chiamato dallo stesso Costantino come pedagogo del suo figlio maggiore, funzione che Lattanzio svolse in Occidente: se avesse avuto conoscenza di una pubblicazione di questo editto non avrebbe esitato a parlarne. Come mai allora questo strano silenzio e questa strana definizione ed attribuzione? Diciamo subito che non ci troviamo di fronte ad un falso clamoroso come la celebre "donazione di Costantino", un personaggio, come vedete, che viene spesso chiamato in ballo involontariamente.
Probabilmente Costantino ha concordato i termini delle disposizioni verso i cristiani con Licinio a Milano, ma non ha reputato opportuno trasferirle in un editto perché esisteva già quello di Galerio; ma c'è una ragione più importante per cui Costantino viene visto come protagonista di questo evento: e sono le conseguenze estremamente lineari, inequivocabili e continue nel tempo che lui ne ha tratto: qualunque sia stata la forma e la misura della conversione di Costantino non possiamo negare il suo favore alla Chiesa cristiana, che si è espressa nell'erogazione di denaro, nella costruzione di munifici luoghi di culto, nell'esenzione del clero da obblighi fiscali, nel trasferimento allo stesso clero di funzioni giuridiche, nella scelta di dare ai figli un'educazione cristiana, in quella di farsi coinvolgere e di partecipare attivamente alla vita ed alle scelte, anche dogmatiche della Chiesa stessa, nelle dimostrazioni pubbliche di rispetto verso il cristianesimo e di disprezzo verso la religione pagana, nel favore dimostrato verso i cristiani nella scelta di funzionari pubblici [6] Costantino ha veramente modificato il suo rapporto personale e pubblico con il cristianesimo; è andato ben oltre la tolleranza, lo ha favorito e ne ha favorito la diffusione; era naturale che all'artefice di questa svolta venisse attribuito anche un documento che forse non ha promulgato: esso comunque ne sintetizza la logica ed i comportamenti. L'editto di Galerio ci consente comunque di porre il problema dei rapporti tra l'impero ed il cristianesimo, che sono in genere visti sotto la luce della persecuzione da parte dello Stato: questo è vero solo in parte. La condizione del cristiano era difficile: dipendeva dall'ostilità del governo centrale o di quelli locali e dall'astio delle popolazioni: possiamo farcene un'idea pensando alla condizione della popolazione ebraica in Occidente nei secoli passati. Ma interventi a loro favore da parte di governi e di magistrati non mancarono; senza voler ripercorrerne la storia - che tra l'altro deve lavorare su documenti di dubbia autenticità e di difficile interpretazione [7] - basta ricordare che Eusebio di Cesarea, un autore che questa sera ci terrà parecchio compagnia, all'inizio del libro VIII dell'Historia Ecclesiastica considera l'ultima persecuzione una punizione di Dio per la mollezza dei costumi dei cristiani, il sorgere tra di loro di ambizioni e di contrasti per raggiungere posizioni di potere e di onore [8]; l'affermazione di Eusebio richiama i rimproveri dei profeti dell'Antico Testamento, che avevano giustificato le sventure del popolo ebreo proprio per le sue manchevolezze di fronte al loro Dio, che ama spesso essere definito "geloso"[9].
Ma questo dà l'idea che la condizione dei cristiani, pur pagando ad Eusebio lo scotto del suo eccesso polemico, era nettamente migliorata: ci sono altri dati che lo confermano: sappiamo che nella corte imperiale di Diocleziano ci sono funzionari cristiani [10], sappiamo che la chiesa principale di Nicomedia, una delle capitali orientali dell'impero, sorgeva proprio di fronte al palazzo imperiale [11], sappiamo, questo ci è noto da atti conciliari, che i cristiani ricoprivano anche cariche pubbliche che talvolta costringevano a "contaminazioni" con i culti pagani [12]; sappiamo anche di interventi richiesti da vescovi cristiani al sovrano contro loro confratelli, che si erano segnalati per eterodossia, ma che non volevano lasciare il seggio [13]. Dunque, come spesso accade, i rapporti restavano ambigui ed indefiniti, sempre sul crinale dell'accettazione e del rigetto, ma consentendo ai cristiani di proseguire con successo la loro attività di proselitismo. Vedremo tra poco le ragioni che portarono alla grande persecuzione; vorrei ora tornare a soffermarmi sull'editto di Galerio perché ci consente di capire i caratteri della religione pagana e di comprendere le differenze che la distinguono dal cristianesimo ed insieme vedremo affiorare proprio quegli elementi di paganesimo che sono penetrati nel cristianesimo. Quando Galerio emana quell'editto la situazione dell'impero e la sua personale sono drammatiche: ci sono ben 5 contendenti l'un contro l'altro armati alla ricerca dell'incremento del loro potere e Galerio, che dovrebbe essere il regolatore di queste contese, non riesce ad imporsi a nessuno. Per di più lui stesso è gravemente malato: dalla descrizione che ce ne dà Lattanzio, una descrizione clinica che sembra compiacersi di elementi repellenti, sembra che si trattasse di un cancro allo stomaco giunto all'ultimo stadio al punto che l'imperatore era inavvicinabile per il fetore emanato [14].
Oltre a ciò, probabilmente prima della sua morte, una terribile carestia, seguita da una ferale pestilenza, aveva colpito l'Oriente: la sua drammaticità viene messa in risalto proprio da Eusebio di Cesarea che sottolinea come persino esponenti dell'aristocrazia cittadina, dunque la classe che meglio avrebbe dovuto essere tutelata dal dramma della carestia, non erano in grado neppure loro di provvedere ai loro bisogni [15].
Quest'ultimo fenomeno ha bisogno di una considerazione: gli eventi naturali particolarmente allora - ma si tratta di un modo di sentire da cui non siamo del tutto immuni neppure oggi - non si spiegavano soltanto con cause naturali, ma erano proiezioni, manifestazioni della volontà del divino, dimostravano che la divinità era irritata, ostile agli uomini, e che bisognava venire a capo, ammorbidire questa ostilità, ricreare un corretto rapporto tra Dio e l'uomo. Si tratta, in condizioni diverse, della stessa logica su cui si fondavano le condanne dei profeti al popolo eletto. Che fa Galerio di fronte a questa situazione? Egli prende atto del sostanziale fallimento della persecuzione: notate che c'è una differenza sostanziale tra questo documento e quello di Costantino; l'atto di Costantino è l'atto di un uomo che ha cessato di essere pagano; quello di Galerio è il provvedimento di un uomo che sceglie la tolleranza di fronte al cristianesimo, ma resta pagano. Egli infatti si attribuisce, e non la considera una colpa, di esser stato la causa della persecuzione, proprio al fine di ristabilire il miglior rapporto, direi il rapporto più universale con gli antichi dei, che sono stati la ragione ed il fondamento della grandezza di Roma e della continuità del suo impero. Ma i risultati non sono stati pari alle speranze: non hanno ravvivato gli antichi culti pagani, di cui l'editto constata amaramente un declino evidentemente inarrestabile, e contemporaneamente hanno causato l'abbandono dei culti cristiani, che proprio la persecuzione ha reso più difficili e dunque più limitati; egli si rende anche conto di aver toccato una divinità, e questa è la sua paura, evidentemente potente. Qual è la conclusione di tutto ciò? Constatato che i cristiani sono protetti da un Dio potente, visto che gli dei pagani sono molti ed accrescerne il numero non è un problema, autorizza i cristiani a venerare il loro Dio. Questa rappresentazione è volutamente riduttiva ed ironica ma comunque non siamo molto lontani dalla realtà. Va detto che Galerio non ottenne quello che aveva richiesto: lui morì "pochi giorni dopo" l'editto di Nicomedia [16] e la guerra civile tra gli aspiranti al potere divenne ancora più aspra e sanguinosa. Ho ricordato i successi del cristianesimo, ma non bisogna ignorare una costante difficoltà che proveniva da un dato di fatto; non era ancora una religione lecita; i suoi aderenti erano sempre sotto la spada di Damocle della persecuzione. Il cristianesimo continuava ad essere visto come un corpo molto coeso al suo interno, ma in sostanza estraneo allo Stato, non partecipe ai riti civili in cui si esprimeva la fede religiosa e l'adesione politica. [17]
Questo spiega l'avvio dell'ultima grande persecuzione, che coincide con un momento di sicurezza militare, grazie ai successi dell'esercito, e di riorganizzazione amministrativa. La persecuzione non è l'atto dissennato di un sovrano, ma parte ad una data precisa e con obiettivi molto chiari. Innanzitutto la data: gli editti anti-cristiani vengono emanati a partire dal 23 febbraio 303 in coincidenza con la festa dei Terminalia. Teniamo presente che nel mondo antico i numeri ed i simboli avevano un valore molto più forte e significativo di quanto accade oggi: la festa dei Terminalia, in onore del dio Termine, celebrava la fine dell'anno, che nell'antico calendario romano terminava a febbraio; nel 303 vigeva un calendario simile al nostro e l'inizio dell'anno veniva celebrato, come oggi, il primo gennaio; tuttavia l'antica festa era rimasta, ed era rimasta con il suo nome [18], è evidente il significato che si vuole dare quando in tale periodo si emanano editti di tale durezza contro due fedi religiose non inquadrabili nell'ambito del paganesimo, ovvero il cristianesimo ed il manicheismo. Notiamo che l'ebraismo, che pure aborriva le pratiche pagane, non ebbe a soffrire di questi provvedimenti. Si voleva farla finita con il cristianesimo, si voleva, per l'appunto, "terminare" di aver a che fare con esso [19]. E non meno precisi sono gli obiettivi che si perseguono: l'attacco si propone di colpire le comunità cristiane su tre direttrici molto chiare: la distruzione dei luoghi di riunione; lo smembramento comunitario e organizzativo; la repressione culturale; a ciò si aggiunge la privazione di diritti personali dei cristiani [20]. Sembra di sentire accenti non nuovi; in fondo gli stermini del XX secolo si sono mossi, con esiti più drammatici e con una applicazione più metodica, lungo le stesse linee. Il primo dato colpisce il patrimonio: le chiese vengono distrutte, in qualche caso bruciate o rase al suolo, saccheggiate dei loro arredi e comunque rese inservibili per le funzioni rituali; il patrimonio che le stesse chiese possedevano viene confiscato o alienato; l'editto di Milano, a differenza di quello di Galerio, si soffermerà proprio sulla restituzione di questi beni alla Chiesa [21].
La seconda direttrice colpisce l'organizzazione della Chiesa: i vescovi, e in qualche caso anche i semplici sacerdoti, vengono arrestati: alcuni sono incarcerati, altri uccisi, altri sono inviati ai lavori forzati, in genere nelle miniere; assistiamo anche ad atti, frequenti in quell'epoca, di mutilazione delle persone: alcuni vengono storpiati e/o accecati di un occhio; qui è facile cogliere la lettura simbolica: dove ha volto gli occhi il tuo Dio che consente che tu venga privato della vista? Non è infrequente il caso di vescovi e sacerdoti che fuggono per salvare la vita. Ma come potete vedere l'obiettivo è raggiunto: le comunità non hanno più luoghi dove riunirsi e non hanno più punti di riferimento comunitari. Uno degli elementi più forti del cristianesimo, la loro coesione, viene lacerata; la pratica si riduce ad un'attività fatta molto di nascosto, in gruppi sparuti e timorosi. Il terzo elemento, la repressione culturale, si può dividere in due diversi modi d'azione: da una parte viene prodotta dal mondo pagano un'ampia letteratura di difesa dell'avita religione e di duri attacchi al cristianesimo; dall'altra viene intimato a vescovi e sacerdoti di consegnare i libri fondamentali della fede cristiana, che sono prevalentemente, ma non solo, i testi confluiti nel Nuovo Testamento, per essere bruciati pubblicamente. Non possiamo farci un'idea precisa dell'ampiezza e del vigore della pubblicistica anti-cristiana, perché di essa possediamo pochi titoli e pochi frammenti [22]: tutta questa produzione, dopo il trionfo del cristianesimo, ha subito lo stesso destino sofferto prima dai testi cristiani: è stata bruciata, ed i pochi frammenti che ci sono pervenuti riguardano gli autori più noti e le critiche più sottili; lo stesso Agostino ci ha conservato alcune pagine, poche, di questi scrittori, ovviamente per contestarle [23].
Il fine che ci si proponeva era comunque evidente: si volevano evidenziare le contraddizioni della fede cristiana, una fede recente, con pochi secoli di vita, con la pratica pagana, che aveva alle spalle secoli e che costituiva uno dei fondamenti di un impero anch'esso secolare. La distruzione dei libri cristiani si inseriva nel processo di svuotamento dei punti di riferimento di cui ho appena parlato: accanto alle sedi, ai referenti mancavano anche i documenti che definivano e rinsaldavano questa fede. Notate che la parola "traditori" ha un rapporto diretto con i fatti di quei giorni; infatti "tradere" significa consegnare, ed i traditori sono per l'appunto coloro che hanno consegnato i libri sacri. Voglio sottolineare l'importanza di questa distruzione: i libri venivano tutti scritti a mano, pagina dopo pagina, lettera dopo lettera; era un lavoro lungo, faticoso e costoso; costava anche il materiale che veniva utilizzato: il papiro o la pergamena su cui venivano scritti i libri antichi era anch'esso materiale caro e pregiato. Bruciare questi testi, o bruciare persino intere biblioteche con opere degli autori del primo cristianesimo, significava eliminare un patrimonio di difficile, lunga e costosa ricostituzione. Ebbene, per non consegnare questi libri non pochi uomini, e non di poco conto, hanno preferito morire, perché essi venissero conservati e trasmessi alle future generazioni di credenti; in qualche caso li sapevano leggere, forse in qualche caso neppure, ma per questi sono morti. A noi oggi non è richiesto un sacrificio simile per accedervi; oggi i libri possono essere riprodotti facilmente e rapidamente in migliaia di copie e anche il loro prezzo è abbastanza modesto e comunque accessibile. Ma la produzione letteraria del primo cristianesimo è una della pagine più morte nella coscienza del nostro tempo; sono poche le pubblicazioni, anche se molto selezionate; sono pochissime le presenze nelle biblioteche, sia in quelle pubbliche per non parlare di quelle religiose, anche in questa terra se-dicente, e sottolineo, molto se-dicente cristiana. Pascal, il grande filosofo francese del XVII secolo, rivolto ai suoi rivali religiosi li esortava chiedendo: "conoscete almeno ciò che contestate" [24].
Il mio appello, se possibile, è ancora più disperato: io vi dico: "conoscete ciò che professate". Potete decidere che ci sono cose più importanti nella vita, e scegliere di trascurare queste; ma perlomeno lo avrete fatto consapevolmente. Il dramma di oggi è che ciò viene del tutto ignorato, come non fosse esistito, come non fosse servito a definire il cristianesimo storico; sono testi certo impervi, talora difficili, sovente discutibili o scorretti secondo la dogmatica attuale, ma quanta passione, quanto vigore di discussione e di scontro, quanta esigenza di chiarire le proprie ragioni di fede soprattutto a se stessi e ad una comunità partecipe, appassionata e coraggiosa troviamo in essi! Come sapete, alcuni anni fa si discusse molto sull'inserimento delle "radici cristiane dell'Europa" in una costituzione che non ha mai visto la luce: ebbene, lo possiamo scrivere in tutte le costituzioni, in tutte le leggi, in tutti i documenti pubblici, ma ciò che non opera nella nostra coscienza è del tutto inutile. Non ci si alimenta di ciò che si ignora. E dopo questo sfogo personale torniamo alla storia, anzi all'interpretazione delle conseguenze che l'azione di Costantino ha avuto sul cristianesimo: abbiamo alcuni documenti dell'imperatore che risalgono allo stesso 313 o poco dopo, conservati da Eusebio di Cesarea e nell'appendice dell'opera di Ottato di Milevi, un vescovo africano che narra le vicende dello scisma donatista, una lacerazione che segnerà profondamente e per diversi decenni la chiesa africana. Per quanto concerne lo scisma la preoccupazione di Costantino è evidentemente quella di conservare l'unità della Chiesa, che costituiva il pendant dell'unità dell'impero, che egli perseguì con determinazione ed infine raggiunse [25]; in questo caso egli manifesta una certa ostilità, non comunque del tutto preclusiva, nei confronti della fazione che era in contrasto con la chiesa ufficiale [26].
Negli altri documenti l'imperatore esenta i sacerdoti dai servizi pubblici perché devono adempiere correttamente esclusivamente la loro funzione [27]. Notate come in entrambi i casi Costantino appaia preoccupato della correttezza nell'adempimento del culto. Questa sua preoccupazione appare anche in altri documenti più tardi [28] e ne parla con insistenza Eusebio di Cesarea nella biografia che gli ha dedicato [29], di questa correttezza cultuale fa parte soprattutto il rifiuto dei sacrifici di sangue, che era uno degli elementi più importanti del culto pagano, ma anche quello respinto dai cristiani con maggior forza [30].
Questo suo scrupolo potrebbe sembrarci una fisima personale davanti alla quale restare indifferenti, ma non è così, perché in esso Costantino tradisce la presenza dell'antica tradizione pagana e la trasferisce nella liturgia cristiana; anche la liturgia è estremamente rigorosa perché ne va della sua efficacia. Osserviamo per un attimo il paganesimo, procedendo in modo molto semplificante: notiamo subito che rispetto alla fede ebraico-cristiano presenta mancanze notevoli: è privo di una teologia, non ha un libro sacro: i greci, a loro discolpa, potrebbero citare i loro numerosi miti, che non sono comunque paragonabili alla Bibbia, ma i romani erano privi anche di questi; non hanno una visione religiosa del mondo che parta da Dio e ritorni a Dio, in cui il cosmo e la storia trovano insieme spiegazione e senso; non fondano la morale in uno stretto rapporto con la religione, come facevano gli ebrei; non voglio dire che il mondo antico fosse un mondo sregolato, le società avevano norme simili e perseguivano le stesse colpe; ma l'ebraismo sente il bisogno di sanzionarle maggiormente legandole a Dio, nel paganesimo i valori sono semplicemente un prodotto dell'uomo. Cosa univa allora il paganesimo, che vediamo così carente di elementi di coesione dal punto di vista religioso? Ebbene proprio la liturgia, il culto, soprattutto la correttezza rigorosa nell'adempimento del rito. Nelle cerimonie collettive che vedevano una larghissima partecipazione di popolo, ed a Roma la presenza delle massime autorità dello Stato, e nelle altre città dell'impero comunque dei suoi rappresentanti più alti, la comunità, attraverso il sacrificio agli dei, stabiliva il suo rapporto con Dio, ne cercava la protezione ed era garantito nella sua tutela; notate che il rapporto con la divinità non poteva essere coercitivo, perché la divinità conservava la sua autonomia, ma ci andava molto vicino, perché Dio non poteva esentarsi dal tener conto del sacrificio. E tutta la storia romana, non solo dell'impero, dimostrava come questo rapporto fosse stato tenuto correttamente: la storia provava il favore degli dei, al punto che Cicerone, il famoso oratore romano, giunse a dire che i romani erano eguali o forse inferiori ad altri popoli in ogni attività, ma erano senz'altro superiori a tutti nel culto degli dei [31].
Ora se la cerimonia era così importante non poteva essere svolta sbadatamente: bisognava essere molto precisi nei gesti, nelle parole, nei tempi; già ho parlato della presenza delle autorità, che era un'ulteriore dimostrazione dell'onore in cui si teneva la divinità. Se nelle cerimonie capitava un errore, la si ripeteva e, se necessario, la si ripeteva più volte perché non si potevano commettere errori. Su questo terreno anche l'ebraismo si presentava vicino al paganesimo: era una religione che non ignorava i sacrifici, anche se meno cruenti, e che era ricco di regole e di divieti. Ma in tutto ciò il cristianesimo si presentava rispetto alla tradizione antica completamente e consapevolmente rivoluzionario perché condannava i sacrifici e ne vietava severamente la partecipazione [32].
Potete capire come in ciò stava una delle ragioni delle persecuzioni: il comportamento cristiano dimostrava indifferenza, e persino ostilità, nei confronti di quello Stato di cui facevano parte e di cui gli altri cercavano di garantire la salute; letta con occhi pagani questa era una insolente affermazione di alterità. Se ora ci trasferiamo in ambito cristiano notiamo il fenomeno inverso; se leggiamo con attenzione i documenti del primo cristianesimo, i vangeli, le lettere di Paolo, anche altri testi, persino testimonianze pagane che riguardano i credenti [33], notiamo una straordinaria assenza di esortazioni a pratiche liturgiche: l'unico elemento di grande evidenza è la celebrazione eucaristica, ma sia nei vangeli che in Paolo, che è il primo a riferirne, è estremamente sobria [34]. Anzi l'impressione che abbiamo è che lo stesso Cristo, nelle parole che gli vengono attribuite, tenda più a distogliere che ad esortare a pratiche di culto: nella parabola della preghiera del pubblicano e del fariseo viene messa in rilievo l'inutilità della preghiera del fariseo [35], quando parla dell'offerta al tempio egli invita l'offerente a riconciliarsi prima con suo fratello, e poi a fare l'offerta [36], nella parabola del samaritano viene spesso trascurato il particolare che ben due persone legate al culto del tempio vedono lo sventurato ferito, ma passano oltre [37]. E la preghiera simbolo del cristianesimo, il Pater noster, che per inciso compare solo in due vangeli su quattro, è molto breve, e se lo leggiamo nella versione di Luca, che è la meno nota, è ancora più sintetico [38], e sempre nello stesso Luca essa sembra quasi strappata al Cristo, sentita con un'esigenza di identificazione, di cui il cristianesimo primitivo si sente privo [39], e sempre lo stesso Cristo la contrappone alle lunghe preghiere pagane, perché Dio, che lui chiama Padre, conosce le esigenze dei figli, non meno di quanto faccia un buon padre [40].
E questo è naturale, perché la radicalità cristiana non parte della pratica religiosa ma dalla modificazione della coscienza; e se lì sta il nocciolo del cristianesimo il culto è un momento strumentale, direi pure marginale. Non saranno le parole a salvarci [41]: il Cristo, su questo, è di una coerenza assoluta. La domanda che ci dobbiamo porre diventa questa: viviamo più nel cristianesimo di Costantino o in quello di Cristo? Teniamo presente che Costantino, se non fosse stato per la conversione al cristianesimo che ha messo in subordine tutto il resto, sarebbe ricordato come uno degli imperatori romani più criminali, il che è tutto dire: a parte le numerose guerre da lui intraprese, tutte con fini di conquista, il che ci illumina sull'ambizione dell'uomo, egli ha fatto uccidere la moglie, un figlio, il suocero, un cognato, alcuni nipoti, e tutto per una questione di potere; non si è fermato davanti a nulla [42].
E si è fatto battezzare in punto di morte, con una interpretazione della logica salvifica del rituale battesimale non so quanto dogmaticamente corretta, ma certo eticamente sconvolgente [43].
A questa estrema attenzione al rito, alla liturgia Costantino ha contrapposto una totale indifferenza alla morale, del tutto subordinata al successo politico: in ciò appare evidente che Costantino ha modificato l'oggetto ed in parte le forme del culto, ma non ha minimamente considerato quella trasformazione interiore che è l'elemento nuovo del cristianesimo; e questa logica, non lo possiamo negare, è moneta corrente in molti cristiani ed anche nella concezione stessa di parte della Chiesa. Naturalmente non voglio concludere che le persone devote, rispettose dei rituali della Chiesa, siano criminali; si può benissimo conciliare la devozione e la moralità, ma bisogna stabilire dove sta il primato. Perché la funzione liturgica ci impegna per un'ora, l'essere cristiani in ogni minuto della nostra povera vita. Voglio ricordare ora una delle più ardenti preghiere di Pascal, purtroppo poco conosciute: egli ebbe a scrivere Cristo sarà in agonia fino alla fine del mondo [44], e quell'agonia, ricordiamolo, non deriva da una celebrazione liturgica in più o in meno, ma dalla deficienza dei cristiani di fronte ai principi etici che loro stessi proclamano: non so se in quella notte tragica il sonno dei discepoli sia stato reale, ma la simbologia è di immediata evidenza: al momento dell'ardua testimonianza la coscienza è addormentata: infatti Cristo è solo, non tra i suoi nemici, ma tra i suoi compagni. Non dimentichiamolo. Questo rapporto tra Costantino ed il cristianesimo ci introduce ad un altro argomento altrettanto importante: quello tra il cristianesimo ed il potere politico. C'è un dato storico interessante da considerare: una delle cariche che gli imperatori romani conservarono ininterrottamente più a lungo da Augusto fino all'età di Ambrogio fu quella di pontefice massimo. Questa funzione la vediamo rappresentata iconograficamente in rilievi o statue con l'imperatore che porta una lunga toga che gli copre anche il capo e talora ha accanto anche gli animali del sacrificio; in questa veste troviamo rappresentati sicuramente Augusto e Marc'Aurelio, e sappiamo che anche l'imperatore Giuliano fu un fanatico dei sacrifici. La ragione dell'associazione di questa funzione religiosa ai sovrani è molto semplice: la religione romana, come abbiamo visto, è un religione essenzialmente civica, attenta al rapporto formale con il divino; e l'imperatore era il supremo garante di questo rispetto. Il suo primato, oltre che militare e giuridico, era anche religioso [45].
Non si tratta di una concezione soltanto romana: anche gli ebrei, che per alcuni versi avrebbero dovuto essere latori di un'idea completamente opposta, sono invece allineati su questa linea: la famiglia degli Asmonei, che reggerà lo Stato ebraico fino ad Erode assomma al suo interno, anche se non nella stessa persona, la funzione di sovrano e di sommo sacerdote. Ed Erode, che non potrà ricoprire questa carica in quanto non è giudeo [46], si riscatterà continuando a nominare ed a deporre gran sacerdoti, naturalmente al fine di poter contare su persone ben disposte verso di lui [47].
Questo fenomeno della teocrazia, più come controllo della casta sacerdotale sul potere politico che non come assunzione dello stesso, la troviamo anche oggi in alcuni paesi arabi. Questa funzione dell'imperatore costituiva uno degli elementi di contrasto più forti con il cristianesimo, che per il resto rispetta e riconosce il sovrano, ma non lo può accettare come officiante e mediatore tra Dio e l'uomo, non solo perché disconosce le divinità pagane, ma perché questa funzione è stata già svolta una volta in modo perenne e definitivo dallo stesso Cristo: ricordiamo la celebrazione dell'eucarestia: il sacrificio è stato compiuto, ora è imminente il regno di Dio. Ogni atto che lo ripropone, per quanto larvatamente ed in totale inadeguatezza, costituisce un sacrilegio per un cristiano. Lo stesso Costantino pare rendersi conto della necessità di rompere questo equivoco: dopo la vittoria su Massenzio nel 312, dunque pochi mesi prima dell'editto di Milano, rifiuta la celebrazione al Campidoglio al Tempio di Giove, una consuetudine dei generali vittoriosi, con un gesto destinato a lasciare una forte impressione [48].
Ma la rottura si compie soltanto nei confronti del culto pagano, non si compie dentro la realtà cristiana. Costantino resta pontefice, il che può essere stata una scelta di opportunità - in fondo il paganesimo era largamente maggioritario e l'uomo era molto concreto ed accorto -, e trasferisce questa funzione nei confronti del cristianesimo, ma soprattutto, e questo è il fatto più sconcertante ed insieme più notevole, il cristianesimo gliela riconosce in toto: quando scoppia la contesa donatista sia i donatisti che i cattolici si rivolgono a Costantino, e sarà lui a stabilire i sinodi per risolvere la contesa [49], quando esplode l'eresia ariana ancora una volta entrambe le parti cercheranno ascolto e favore presso Costantino [50]. Chi convoca il concilio di Nicea, che viene considerato il primo concilio ecumenico? Ancora Costantino [51].
E quando comincia il concilio? Solo dopo che Costantino ha dato il via ai lavori [52]. E qual è la formula di fede adottata? Quella che Costantino ha approvato e, si badi bene, non perché la ritenga la meglio argomentata, ma soltanto quella che ha avuto più consensi [53]. E chi trasmette le delibere conciliari alle chiese sparse nel Mediterraneo? Ancora una volta l'imperatore [54]. Come vedete, la subordinazione della Chiesa è totale. E ricordate che il Costantino del concilio di Nicea non è neppure un battezzato. In sostanza il cristianesimo sostituisce il paganesimo, ma ne eredita di fronte all'imperatore il ruolo subalterno; come vedete anche qui siamo dentro una logica pagana. Quale soluzioni poteva scegliere la chiesa cristiana di fronte a Costantino? una opposizione come quella espressa contro i suoi predecessori non era neppure pensabile, visto i favori che Costantino le dimostrava. Ma un rapporto di divisione degli ambiti senz'altro sì. Del resto era la soluzione prefigurata nei vangeli e la stessa di Paolo: rispetto per l'autorità, ma autonomia totale in campo religioso [55]. Invece la soluzione che emerse, e che avrà effetti duraturi, è un'altra: si forma uno stretto legame, per cui un'entità sostiene l'altra e viceversa. L'autorità politica offre la sua protezione al cristianesimo e l'autorità religiosa riconosce e consacra la legittimità del sovrano. In questo connubio la Chiesa erode, certamente limita la sua autonomia soprattutto in una componente fondamentale: la capacità di differenziazione dal potere. E questo rapporto privilegiato finisce con il sacrificare lo Stato, inteso come comunità dei cittadini, a chi lo regge e governa, rendendo marginale il giudizio sui suoi principi ed i suoi comportamenti. Questa situazione emerge subito in modo drammatico proprio con Costantino: ho già ricordato i suoi crimini; ebbene non c'è una parola, una sola parola dei sant'uomini dell'epoca che lo riprenda; certo svolgere il ruolo del profeta Nathan era rischioso [56], ma molti cristiani pochi anni prima erano morti per la loro fede. Vediamo emergere proprio in questo modo diverso di porsi di fronte al potere la differenza che si sta instaurando: non si difendeva più la propria cristianità fino alla morte, ma ci si adeguava ad una logica di opportunità e di vantaggi. Non a caso la Chiesa post-costantiniana non è priva di grandi intelligenze, ma è carente di profeti. Ricordiamo la parola evangelica: se non sarete il sale della terra, cosa distinguerà la vostra presenza nel mondo ? [57]
E per trasferirci in tempi più vicini a noi e rilevare la tragica contemporaneità di questa soluzione non dimentichiamo per chi in epoca fascista è stato utilizzato il termine di "uomo della Provvidenza"[58]. Oltre a questi ambiti, in cui è stata importante la posizione personale di Costantino, ve ne sono altri dove più che di influenza diretta si può parlare di modi di sentire e di rapportarsi a potenze e dimensioni del sovrumano in cui il paganesimo è penetrato nel cristianesimo ed ha finito per caratterizzarlo secondo la sua sensibilità. Facciamo degli esempi pratici: le nostre chiese sono dedicate alla Madonna, colta in alcuni aspetti particolari della sua natura e della sua funzione, e prevalentemente ai santi; se ci rechiamo negli ospedali, soprattutto in quei reparti dove più forte è la sofferenza e la vita maggiormente a rischio, vediamo sui comodini dei malati ancora molte statuette della Madonna, soprattutto di Lourdes, ma anche molte immagini di santi venerati per le qualità taumaturgiche che sono loro attribuite. Sono elementi talmente entrati nella nostra vita che non ci facciamo più caso: ma vi possiamo cogliere due elementi significativi: innanzitutto la Madonna o il santo viene rappresentato; le nostre chiese sono piene delle loro raffigurazioni. C'è anche un altro dato da considerare: la Madonna o il santo sono invocati per fini specifici, possiamo dire che sono specializzati; questo trova il suo acme nell'invocazione di santi protettori di alcune categorie di persone o di attività. Trasferiamoci ora per un attimo nel mondo ebraico ed islamico: la raffigurazione del divino ed anche dell'umano è assolutamente vietata; gli ebrei evitano persino di pronunziare il nome di Dio, tanto ritengono ineffabile la sua santità. Se invece ci rapportiamo al mondo pagano ci rendiamo conto di trovarvi la stessa logica cristiana: i templi sono dedicati alle numerose divinità, le divinità sono raffigurate, ci si rivolge alle divinità in funzione della richiesta che gli rivolgiamo: anche lì troviamo divinità specifiche per la salute, gli affari, i sentimenti. Possiamo aggiungere in ulteriore elemento: in molte chiese, soprattutto in santuari, troviamo frequentemente degli ex voto; ebbene ce n'erano in abbondanza anche nei templi pagani. L'uso dell'incenso nelle celebrazioni liturgiche è un dato tranquillamente acquisito; bene, la pratica era pagana, ed il primo cristianesimo l'ha duramente combattuta [59].
Ed un altro culto specifico, che troverà il suo vertice parossistico nel Medioevo, ma che comincia a diffondersi in quest'età, è quello delle reliquie, in quest'epoca soprattutto, ma già non solo, dei martiri: questo culto presenta aspetti sconcertanti, come il furto o lo scambio delle reliquie, o persino lo smembramento dei corpi, le cui parti vengono divise tra più chiese, e spesso di città diverse. L'efficacia della santità sarebbe trasmessa non solo dai corpi, ma anche dagli oggetti appartenuti ai santi: il che dilatava a dismisura il numero delle reliquie. Anche questo culto è un lascito pagano, che i primi cristiani avevano ferocemente schernito [60].
Un altro elemento meno evidente, ma anch'esso facilmente verificabile, lo possiamo trovare nella letteratura, in questo caso più degli eroi antichi che non delle divinità del mito: se confrontiamo le vite degli eroi con le agiografie dei santi vediamo come esse presentino delle costanti: un episodio all'inizio della loro vita che ne caratterizza il destino; spesso gli ostacoli all'interno della famiglia; sovente la vita errabonda - sia i santi che gli eroi in genere non sono sedentari -, senza parlare dei prodigi, che abbondano sia nelle vite degli uni che degli altri [61].
Certamente anche il cristianesimo primitivo ha avuto delle raffigurazioni: ma erano dedicate a Cristo o a episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento; a lungo si è esposta la croce, non il crocefisso; il Cristo vi è stato aggiunto posteriormente. Aggiungo che tutto questo non è accaduto improvvisamente con Costantino, ma questo processo è stato accelerato dopo di lui: il santo prima era soltanto il martire che portava l'imitatio Christi fino alla morte: dopo vediamo che la santità si estende ai vescovi, ai monaci, ai principi [62], e di tutti l'unica cosa certa che sappiamo è che sono stati uomini come noi. Con una differenza sostanziale tra le vite dei santi e quella degli eroi o dei racconti mitici: ovvero il carattere morale della loro vita, cui il mondo pagano non sempre s'interessa. Come ha potuto accadere questo fenomeno che differenzia moltissimo il cristianesimo dalle altre religioni monoteiste? Ebbene proprio perché ha operato entro un substrato pagano che aveva le sue esigenze interiori e le ha trasferite nel cristianesimo. Teniamo presente che nell'età costantiniana, comprendendo in essa il periodo che va da Costantino fino alla fine del IV secolo, assistiamo ad un fenomeno senza precedenti nel mondo antico, quello delle conversioni di massa: una religione che noi sappiamo in crescita in tutto l'impero, ma certamente non maggioritaria, diventa anche grazie e forse proprio per il favore imperiale - Costantino ha convertito molti più uomini di Cristo - la religione prevalente [63], ed in essa sono confluiti non soltanto pagani scettici o inquieti, ma anche pagani tiepidi, tutti però con un concetto del divino, con l'esigenza che quella loro concezione del divino non venisse disintegrata: e questa loro religione popolava il mondo di potenze sovrumane, ma a cui ci si poteva rivolgere, accessibili e bendisposte; in un certo qual senso i santi le hanno sostituite, per quanto con la limitazione di intercessori, sebbene non so fino a che punto operi questa distinzione. Ed il cristianesimo uscito da questa esperienza ha tenuto conto delle loro esigenze. Sia ben chiaro che non voglio dare un giudizio di merito, la mia è solo una constatazione, sempre nell'ambito di quel lascito che il paganesimo ha trasmesso al cristianesimo, e sempre, lo ripeto, procedendo per sommi capi. Ricordiamo, per valutare le differenze, che nei vangeli Cristo rifiuta persino il titolo di "buono", perché può essere conferito solo a Dio [64].
Concluderò con un elemento un po' a margine, che riguarda gli edifici di culto, ovvero le chiese, ed in particolare le basiliche [65]. Durante il governo di Costantino e dei suoi figli ne furono costruite molte e munifiche, spesso con fondi imperiali o comunque pubblici [66], e s'impose anche, soprattutto in Occidente uno stile: la navata centrale che culmina nell'abside con navate laterali più piccole. Si tratta di una forma che vediamo replicata nel suo nucleo centrale anche nelle chiese più modeste. Ed in merito poniamo l'accento su due fatti: l'uso della basilica ed il carattere della basilica. Per quanto riguarda l'uso possiamo notare che a partire dall'età costantiniana, per quanto la documentazione che noi abbiamo sia più precisa solo per l'età posteriore, la chiesa comincia ad essere utilizzata per fini civili: processioni, consacrazioni, celebrazioni di vittorie [67].
Il che recupera l'uso pagano del tempio, soprattutto della triade capitolina a Roma, come espressione di ringraziamento agli dei; ma si tratta di un uso prima del tutto ignoto alla chiesa cristiana, che al massimo poteva servire, oltre che luogo di riunione e di preghiera, alla formazione catechetica. L'altro dato riguarda la natura della basilica: essa non nasce come chiesa e serve ad altri fini; il nome deriva da Basileus, che in greco significa sovrano; la basilica quindi è una reggia, anzi una sua parte precisa: la grande sala delle udienze e, se necessario, del giudizio. Del resto, se ci pensiamo, l'edificio presenta queste caratteristiche: lo spazio del sovrano è sopraelevato, nettamente separato da quello degli altri presenti, ed è così anche per il sacerdote, ben distinto dai fedeli, staccato dalla massa, impegnato da solo nella celebrazione del suo rito; la partecipazione dei fedeli è passiva, e quando non lo è, è strettamente codificata. Ricordiamo i benefici concessi dall'imperatore ai sacerdoti affinché il rito fosse eseguito correttamente: qui, in questo rapporto con il divino, tutto deve essere fatto per bene, non ci devono essere elementi di disturbo. E se notate questo distacco si evidenzia proprio nel momento culminante del rito, quello della celebrazione eucaristica: si parla spesso di mensa eucaristica; ma la mensa presuppone dei partecipanti intorno a un tavolo come nell'Ultima Cena; qui non c'è assolutamente nessuna mensa; e nel momento della comunione, che non si chiama com-unione a caso, si evidenzia l'imbarazzo della celebrazione stessa: è un momento, per come viene impostato, di isolamento, non di com-unione. E' sempre stato così? potevano essere proposte e passare altre soluzioni? Noi possiamo osservare un esempio di soluzioni possibili ad Aquileia: qui ci troviamo di fronte a due basiliche, che sorgono l'una accanto all'altra, costruite in un lasso di tempo molto vicino, ma con due concezioni diverse: quella di destra è più piccola, più vicina alla forma quadrata; non siamo in grado di stabilire dove fosse posto l'altare, ma non possiamo escludere che fosse al centro e dunque i fedeli lo circondassero. Quella di sinistra è molto più grande, di forma rettangolare, ha le classiche navate e l'abside canonica; è molto più adatta anche a processioni solenni. Ebbene entrambe le basiliche furono costruite nella prima metà del IV sec., quella quadrata pochi anni dopo l'ascesa al potere di Costantino, la seconda in un periodo in cui il trionfo del cristianesimo era saldamente assicurato dalla protezione imperiale [68], ma il modo di concepire il rapporto tra sacerdote e fedele nel frattempo è profondamente mutato. In una chiesa a struttura circolare, pur nella differenza dei ruoli, sarebbe stata posta in rilievo l'eguaglianza di sacerdote e fedeli partecipi al rito comune; in una struttura basilicale viene, al contrario, sottolineata la differenza, il distacco. Il sacerdote si innalza e si isola, assume il ruolo di mediatore tra l'uomo e Dio, come il sovrano nella tradizione pagana, in un atto che solo lui compie e può compiere; si accentua la sua sacralità a detrimento della fratellanza: assomiglia per l'appunto più ad un sovrano o ad un giudice che a un compagno di fede. Da ciò appare evidente che la soluzione della basilica così come la vediamo e la concepiamo è stata soltanto una risposta al modello edificatorio di chiesa [69].
Non voglio giungere a dire che Costantino l'abbia imposta e quella sia diventata subito l'unica soluzione, ma limitarmi ad osservare che la basilica risponde ad una logica che da Costantino in poi ha finito con il diventare dominante e con l'eliminare tutte le altre. Questo rapporto tra Dio ed il sovrano ed il sacerdote e Dio si può riscontrare anche in altri elementi che non sono così generalizzati, ma che si presentano nelle chiese con una certa frequenza: talora nell'abside è raffigurato il Cristo pantocratore, ovvero signore dell'universo, ed il sovrano è signore nel suo regno; e sulla parete di fondo, talora su quella di ingresso, possiamo trovare anche il Giudizio Universale, e qui vediamo di nuovo associate la funzione del sovrano come giudice supremo degli affari terreni e quella del Cristo, come giudice supremo nell'altro mondo; il concetto di autorità regale e sacerdotale viene unificato ed esaltato; la sacralità è un loro attributo; ed il laos, i laici, che indica proprio il popolo, non ne sono minimamente partecipi. Il gioco dei rimandi, come vedete, è insieme semplice e sottile. Permettetemi di osservare che tutto questo è radicalmente diverso dal Verbo che percorreva le strade della Palestina. Vorrei concludere con due osservazioni confortanti, l'una concettuale, l'altra di natura storica: non dobbiamo guardare a questi processi di osmosi e di fusione con occhi negativi: le civiltà si integrano, non si distruggono reciprocamente, e questo è senz'altro meglio. E ciò accade anche nelle religioni: il cristianesimo ha mutuato molto dall'ebraismo - pensiamo soltanto al lascito del libro sacro -, ed entrambe hanno trasmesso molto all'islam. Del resto il termine di sincretismo, che si usa per definire il confluire di idee diverse e talora contrastanti in un'altra dottrina, si usa soprattutto in ambito religioso. Ed in secondo luogo non dimentichiamo che il cristianesimo, assumendo la romanità come valore ed in parte disciplinandosi su di essa, ha conservato la civiltà occidentale negli anni terribili delle devastazioni barbariche, anzi è diventato il punto di riferimento, la forza che ha fatto sopravvivere i segni, i valori, l'organizzazione di quella civiltà [70].
Si ricordi al riguardo quanto ad Ambrogio stia a cuore il legare alla romanità il concetto di ortodossia e come ami presentare gli eretici anche come cattivi cittadini, disposti ad intese con il nemico [71]. Nel gioco dei paradossi, che questa sera abbiamo visto, molto del paganesimo è sopravissuto nel cristianesimo in una forma sia partecipata che più intima, al di là delle conversioni forzate e della distruzione dei templi pagani [72], e ritengo che questo sia stato anche motivo non piccolo del suo successo.
Conferenza tenuta a Cassago il 3 settembre 2013 nell'ambito della Settimana agostiniana dedicata a "Anno della Fede. L'esperienza di sant'Agostino".
Il testo è stato completamente rivisto, anche se ne è stato conservato il carattere discorsivo, e sono state aggiunte le note; queste ultime non hanno carattere esaustivo, ma fanno tutte riferimento a mie letture del passato o recenti; si noti che in qualche caso si citano testi di difficile reperimento. La scarsità dei titoli in italiano è dovuto alla scarsità di studi accurati sugli argomenti.
Note al testo
(1) - Ricordo solo per la varietà degli argomenti trattati ed il valore dei numerosi relatori il convegno Costantino a Milano. L'editto e la sua storia (313-2013), 8-11 maggio 2013 (atti in corso di pubblicazione); ed alcuni dei saggi, che saranno citati ad hoc, raccolti in: Costantino prima e dopo Costantino (a cura di G. Bonamente, N. Lenski, R. Lizzi Testa), Munera 35, Bari 2012
(2) - Sul convegno del 1913 vd. i rilievi critici puntuali di A. Melloni, In hoc signo. Cristianesimo e potere dopo Costantino, in: La sapienza del cuore. Omaggio a Enzo Bianchi, Torino 2013, pp. 220-45
(3) - Infatti Lattanzio, De mortibus persecutorum 48, 1 usa il termine "litterae", che rimanda più al concetto di rescriptum, mandatum, ovvero lettera circolare inviata in risposta ai governatori; forse è da mettere in relazione all'editto di Galerio, di cui si parla nel testo, ed al sorgere di alcuni problemi interpretativi dello stesso
(4) - Il testo latino in Lattanzio, Mort. pers.34; la traduzione greca in Eusebio, Historia Ecclesiastica VIII, 17, 3-10
(5) - Lattanzio, Mort. pers. 48: Eusebio, Hist. Eccl. X, 5, 2-14
(6) - Sulla legislazione costantiniana si possono consultare B. Biondi, Il diritto romano cristiano I, Milano 1952; P. Coleman-Norton, Roman State and Christian Church. A collection of legal documents to A.D. 535, vol. I, London 1966; P.P. Joannou, La législation impériale et la christianisation de l'empire romain (311-476), Roma 1972 ; L. De Giovanni, Chiesa e Stato nel codice teodosiano. Saggio sul libro XVI, Napoli 1980; R. Delmaire, Les lois religieuses des empereurs romains de Constantin à Théodose II (312-438). I. Code Théodosien Livre XVI, Paris 2005
(7) - Due ottime esaustive esposizioni dei rapporti tra l'impero e la Chiesa in W.C.H. Frend, Martyrdom and Persecution in the early Church, Oxford 1965 e M. Sordi, Il cristianesimo e Roma, Bologna 1965
(8) - Eusebio, Hist. Eccl. VIII, 1
(9) - Sul diretto intervento di Dio nella persecuzione con fini "didascalici" verso i suoi fedeli resta sempre autorevole J. Sirinelli, Les vues historiques d'Eusèbe de Césarée durant la période prénicéenne, Paris 1961, pg. 412-54.
(10) - Lattanzio, Mort. pers. X, 1
(11) - Ibid., XII, 3.
(12) - Vd. i canoni 1-4 e particolarmente 55-57 del concilio di Elvira, l'odierna Granada; su questo concilio, di poco anteriore alla persecuzione, vd. M. Sotomayor, Las Actas del concilio de Elvira, estado de la cuestion, in Revista del centro de Estudios Historicos de Granata y su Reino, 3, 1989, pp. 35-67
(13) - Il caso più noto di intervento dell'imperatore in questioni ecclesiastiche riguarda la deposizione di Paolo di Samosata dalla sede di Antiochia: Eusebio, Hist. Eccl. VII, 29.
(14) - Lattanzio, Mort. Pers. 33; più sintetico Eusebio, Hist. Eccl. VIII, 16, 2-5
(15) - Eusebio, Hist. Eccl. IX, 8, 1-12. Sulla datazione R. M. Grant, The case against Eusebius, or, Did the father of Church History write History?, Studia Patristica XII, Berlin 1975, 413-21, in cui Eusebio viene accusato di aver modificato il periodo delle due sciagure per fini di parte
(16) - Lattanzio, Mort. pers. 35, 3
(17) - In merito, rispettivamente in una posizione di difesa e, al contrario, di orgogliosa rivendicazione Origene, Contro Celso VII, 62 - VIII; Tertulliano, Apologeticum XLII e passim
(18) - Vd., particolarmente attento al calendario delle festività romane, R. Turcan, Rome et ses dieux, Paris 1998
(19) - Ne è ben consapevole Lattanzio, Mort. pers. 12, 1.
(20) - Su questa persecuzione, oltre alle pagine che gli vengono dedicate nei volumi di Frend e di Sordi cit. a n. 7, si può consultare l'ampio saggio di W. Portmann, Zu den Motiven der diokletianischen Christenverfolgung, Historia 39, 1990, 212-48
(21) - Lattanzio, Mort. Pers. 48, 7-10; Eusebio, Hist. Eccl. X, 5, 9-12
(22) - Dell'opera di Porfirio, Contro i cristiani, in 15 libri ci sono pervenuti i frammenti raccolti da A. von Harnack, Gegen die Christen, Berlin 1916, tradotti in italiano in Contro i cristiani, Milano 2009; si noti che Porfirio è stato oggetto di ben 4 confutazioni da parte di autori cristiani, rispettivamente di Eusebio di Cesarea (in 25 libri!), di Metodio di Olimpo, di Apollinare e di Filostorgio; tutte queste opere sono interamente perdute. Del testo di Ierocle, L'amante della verità, ci è giunta la parziale confutazione di Eusebio, Contro Ierocle. Non conosciamo la pubblicistica minore, ma il fatto che Eusebio, Hist. Eccl. IX, 5 ci parli della pubblicazione di falsi Atti di Pilato ci fa ipotizzare che si sia curata una specie di catechizzazione anti-cristiana anche con opuscoli di scarso valore e rivolti ad un pubblico di cultura limitata.
(23) - Le contestazioni riguarderebbero solo Porfirio e sono contenute in Agostino, De civitate dei, passim
(24) - B. Pascal, Pensieri, 194, ediz. Brunschvicg
(25) - Cfr. R. Farina, L'impero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del cristianesimo, Zurigo 1966; Eusèbe de Césarée, La théologie politique de l'Empire chrétien. Louanges de Constantin (Triakontaeterikos). Introduction, traduction originale et notes (ed. P. Maraval), Paris 2001
(26) - Eusebio, Hist. Eccl. X, 5, 21-24; X, 6; Optatus Milevitanus, De schismate Donatistarum, CSEL 26, Vienna 1893, pp. 204-6
(27) - Eusebio, Hist. Eccl. X, 7; Optatus, Schism. Donat., pp. 211-12
(28) - Vd., ad es., nella raccolta delle leggi dell'età costantiniana a fino a Teodosio II raccolte nel Codex Theodosianus, rec. T. Mommsen - P.M.Meyer, Berlino 1905, la legge XVI, 2, 2 del 319
(29) - Eusebio, Vita Costantini II, 14; IV, 17; 18, 3; 22; 56.
(30) - Eusebio, Vita Const. II, 44-45; IV, 23. Vd., in merito, J. B. Rives, Between orthopraxy and orthodoxy: Constantine and the animal sacrifice, 153-63; e B. Bleckmann, Konstantin und die Kritik des blutigens Opfers, 165-80, entrambi in: Costantino prima e dopo Costantino cit. n. 1
(31) - Cicerone, De natura deorum II, 3, 8
(32) - Si può leggere con profitto A. Brent, The imperial cult and the development of church order: concepts and images of authority in paganism and early Christianity before the age of Cyprian, Leiden 1999, sebbene non ne condivida i tempi dell'ordinamento della Chiesa, a mio giudizio anticipati
(33) - Ad es. la nota lettera di Plinio il Giovane, Epistulae X, 96, 7
(34) - I Cor. 11, 23-26; Mt. 26, 26-28; Mc. 14, 22-24; Lc. 22, 19-20
(35) - Lc. 18, 9-14
(36) - Mt. 5, 23-24
(37) - Lc. 10, 31-32
(38) - Mt. 6, 9-13; Lc. 11, 2-4
(39) - Lc. 11, 1. Sono i discepoli a chiedere una preghiera, facendo esplicito riferimento a quelle in uso presso la comunità di Giovanni Battista
(40) - Mt. 6, 7-8
(41) - Mt. 7, 21
(42) - Va ricordato che anche Agostino ne subisce il fascino e ne parla in termini estremamente encomiastici in De Civitate Dei V, 25
(43) - Eusebio, Vita Const. IV, 61, 3-62. Su di essa M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005
(44) - B. Pascal, Pensieri, 553, ediz. Brunschvicg
(45) - Cfr. Alan Cameron, The Imperial Pontifex, Harvard Studies in Classical Philology 103, 2007, pg. 341-84; L. Cracco Ruggini, «Pontifices»: un caso di osmosi linguistica, in. P. Brown, R. Lizzi Testa (eds.), Pagans and Christians in the Roman Empire: The Breaking of a Dialogue (IVth - VIth Century A.D.), Münster 2011, pg. 403-2; entrambi insistono sull'uso del termine di Pontifex, senza più l'attributo di Maximus, anche dopo la rinuncia a questo titolo da parte di Graziano nel periodo 382-383, probabilmente sotto l'influenza di Ambrogio. Si deve tener presente che l'attribuzione del titolo di pontefice al vescovo di Roma si trova per la prima volta in un documento del IV sec., che essa si affermò faticosamente e divenne consueta solo in periodo rinascimentale; cfr. I. Kajanto, Pontifex Maximus as the Title of the Pope, Arctos Acta Philologica Fennica 15, 1981, pg. 37-52
(46) - Eusebio, Hist. Eccl. I, 6, 2
(47) - Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche XX, 247-51
(48) - Resto ancora convinto delle testi esposte da J. Straub, Konstantins Verzicht auf den Gang zum Capitol, Historia 4, 1955, pp. 297-313, per quanto a conoscenza della discussione posteriore in merito tra A. Fraschetti e F. Pascoud
(49) - Optatus, Schism. Don., CSEL 26, I, 22-25; pp. 204-06; Eusebio, Hist. Eccl. X, 5, 18-24. L'indagine più attenta resta quella di W.C.H. Frend, A Donatist Church. A movement of protest in Roman North Africa, Oxford 1952, 1985.
(50) - Eusebio, Vita Cost. II, 63-64. Su tale controversia le analisi più accurate restano quelle di M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975 e R.P.C. Hanson, The search for the Christian doctrine of God: the Arian controversy, 318-381, Edinburgh 1988
(51) - Eusebio, Vita Const. III, 6
(52) - Ibid. III, 13, 1
(53) - Ibid. III, 12, 4-5; 13, 2 - 14; Filostorgio, Historia Ecclesiastica I, 9.
(54) - Ibid. III, 16; il documento III, 17-20
(55) - Mt. 22, 16-22; Mc. 12, 13-17; Lc. 20, 20-26; Rom. 13, 1-7
(56) - Si tratta del profeta che rimprovera David per l'adulterio con Bethsabea, moglie di Uria; l'intero episodio in II Samuele 11-12, 15
(57) - Mt. 5, 13. Da notare che il versetto segue immediatamente le beatitudini, di cui costituisce la sintesi pratica
(58) - Sull'argomento, oltre al cit. saggio di A. Melloni, di cui a n. 2, cfr. G. Zamagni, Fine dell'era costantiniana. Retrospettiva genealogica di un concetto storico, Bologna 2012
(59) - Cfr. B. Caseau, Constantin et l'encens. Constantin a-t-il procédé à une révolution liturgique?, in Costantino prima e dopo Costantino, pg. 535-48. Per quanto riguarda l'ostilità cristiana basti accennare al caso della rimozione dell'ara della Vittoria nel senato romano all'epoca di Ambrogio
(60) - Su tale culto nel cristianesimo antico: Reliques et reliquaires, in: Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie (H. Leclercq), XIV/2, col. 2294-2363. La polemica è ancora viva nello stesso IV sec. ; ce ne dà testimonianza Girolamo, Contra Vigilantium, in cui attacca Vigilanzo proprio per le sue critiche alle forme del culto dei martiri; cfr. M. Kahlos, The importance of being pagan, in Pagans and Cristians cit., p. 187-92, soprattutto p. 188-89
(61) - Averil Cameron, Christianity and the rhetoric of empire: the development of Christian discourse, Berkeley 1991
(62) - Cfr. il classico di P. Brown, Il culto dei santi. L'origine e la diffusione di una nuova mentalità, Torino 1983 (testo originale 1981).
(63) - Vd. in merito R. Stark, The rise of Christianity: a sociologist reconsiders history, Princeton 1996; cfr. R. MacMullen, The second church: popular Christianity A.D. 200-400, Atlanta 2009, con dati profondamente differenti. Sulle conversioni, con punti di vista molto diversi, cfr. A. D. Nock, La conversione. Società e religione nel mondo antico, Roma-Bari 1974 (testo originale 1933) e R. McMullen, La diffusione del cristianesimo nell'impero romano, Roma-Bari 1989 (testo originale 1984).
(64) - Mt. 19, 16-17; Mc. 10, 17-18; Lc. 18, 18-19
(65) - Sul genere pagano della basiliche R. Krautheimer, Early Christian and Byzantine Architecture, 41986; M. J. Johnson, Architecture of Empire, in: N. Lenski (ed.), The Cambridge Companion in the Age of Constantine, Cambridge 2006, pg. 278-96; sulle basiliche romane vd. J. Curran, Pagan City and Christian Capital: Rome in the Fourth Century, Oxford 2000
(66) - R. Krautheimer, The ecclesiastical building policy of Constantine, in Costantino il grande, dall'antichità all'umanesimo (Atti del Colloquio, Macerata 18-20.12.1990), a cura di G. Bonamente e F. Fusco, II, Macerata 1993, pg.509-552
(67) - M. Humphries, From emperor to pope ? Constantine to Gregory, in: Religion, dynasty, and patronage in early Christian Rome 300 - 900 (eds. K. Cooper - J. Hillner), Cambridge - New York 2007, pg. 19-58
(68) - M. Humphries, Communities of the blessed: social environment and religious change in Northern Italy, Oxford - New York 1999
(69) - Un'interpretazione teologica della basilica secondo il canone costruttivo costantiniano la troviamo già, e da chi ce lo saremmo potuto aspettare?, in Eusebio, Hist. Eccl. X, 4, 63-69, in un simbolismo di lettura complesso ed impervio anche letterariamente
(70) - Cfr. per una sintesi, tuttavia precisa ed efficace SACHOT M., "Religio/superstitio" : Histoire d'une subversion et d'un retournement, Revue de l'Histoire des Religions, 208, 1991, pg. 355-94
(71) - Il che è stato ribadito nelle relazioni di M. Sannazaro, "Gog iste Gothus est". Presenze barbariche a Milano e in Italia Settentrionale tra fine IV ed inizio V secolo alla luce delle testimonianze storiche ed epigrafiche, e di G. Visonà, "Gog iste Gothus est". L'ombra di Adrianopoli su Ambrogio, in: Ambrogio e i barbari: atti del sesto Dies academicus 26-27 aprile 2010, Studia Ambrosiana 5, Roma 2011, rispettivamente a pg. 95-119 e 133-67
(72) - Per quanto riguarda conversioni forzate ed attacchi ai templi pagani si può attingere ai saggi contenuti in: Violence in late antiquity: perceptions and practices. Based on papers presented at the fifth biennial Conference on Shifting Frontiers in Late Antiquity, held at the Univ. of California, Santa Barbara, in March 20-23, 2003, Aldershot 2006. Per quanto riguarda le chiese, purtroppo solo in Oriente, cfr.: G. Fowden, Bishops and Temples in the Eastern Roman Empire A.D. 320-445, Journal of Theological Studies n.s. 29, 1978, pg. 53-78