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Fénélon: Dell'eloquenza di S. Agostino

Statua di Fénélon arcivescovo di Cambrai a uno dei quattro punti cardinali della fontana di Saint Sulpice

Statua di Fénélon arcivescovo di Cambrai alla fontana di S. Sulpice a Parigi

 

 

 

DELL' ELOQUENZA DI S. AGOSTINO

di Fénélon

Tratto dai "Dialoghi sull'eloquenza" pubblicato ad Amsterdam nel 1718

 

 

 

B. Ma S. Agostino, di cui parlate, non è lo scrittore più che ogni altro usato ai giuochi di parola? e voi pure lo difendereste?

A. No, su questo io non lo difendo. È vizio del suo tempo, al quale il suo ingegno acuto e vivace spontaneamente inchinava, e ci mostra che S. Agostino non fu un perfetto oratore; ma questo difetto non toglie che egli non avesse una grande attitudine per la persuasione. Egli è un uomo che ragiona con singolar vigoria, che è pieno di nobili idee, che conosce a fondo l'umano cuore, che è gentile e accurato d'ogni decenza nel suo discorso, che quasi sempre si esprime in modo tenero, affettuoso, insinuante. E un tal uomo non merita che gli si perdoni il difetto che in lui riconosciamo?

C. Egli è Vero che in lui solo io ho trovato una cosa, ed è: che egli commuove anche ne' suoi concettini, dei quali ve ne son mille nelle sue Confessioni e ne' suoi Soliloqui; pur bisogna confessare che sono affettuosi e che muovono il lettore.

A. Ciò accade, perché egli corregge i giuochi spiritosi quanto mai può, colla ingenuità de' suoi sentimenti ed affezioni. Tutte le sue opere sono improntate dell'amore di Dio; il quale, non solo sentiva ma sapeva esprimere meravigliosamente. Ecco la commozione che è parte dell'eloquenza. E per altro lato vediamo bene che S. Agostino conosceva molto a fondo le vere regole; poiché dice che un discorso, perché sia persuasivo, deve esser semplice e naturale; che l'arte vi deve esser nascosta, e che un discorso che par troppo bello mette in diffidenza gli ascoltatori. Vi applica queste parole che conoscete: Qui sophistice loquitur odibilis est. (De Doctr. Christ. II, 48)

Egli tratta ancora molto sapientemente dell'ordine delle cose, del passare per i vari stili; dei mezzi di far sempre crescere l'orazione, della necessità di esser semplice e familiare, e tratta anche del tuono della voce e del gesto in alcuni luoghi, quantunque tutto ciò che dicesi, sia grande quando si predica la religione; infine tratta del modo di sorprendere e di commuovere. Ecco le idee di S. Agostino sull'eloquenza.

Ma volete vedere quant'arte aveva nella pratica d'insinuarsi nelle anime, e come cercava a commuovere le passioni secondo il vero scopo della retorica? Leggete ciò che narra egli medesimo d'un suo discorso che fece al popolo, a Cesarea di Mauritania, per fare abolire un barbaro costume, e si trattava d'una vecchia costumanza che si era spinta a mostruosa crudeltà. Trattavasi di togliere al popolo uno spettacolo di cui s'era ubriacato; pensate voi le difficoltà di tale impresa. S. Agostino racconta che dopo aver parlato qualche tempo, i suoi ascoltatori gridarono e l'applaudirono, ma egli pensò che il suo discorso non li avrebbe persuasi, finché si compiacevano a lodarlo. Non curò più dunque il diletto e l'ammirazione di chi l'ascoltava, e non cominciò a sperare se non quando vide spargersi lacrime. Di fatto, egli soggiunge, il popolo rinunziò allo spettacolo, e sono otto anni che non si è rinnovato. Non è questo un vero oratore? Abbiamo noi predicatori che siano capaci di tanto? Anche S. Girolamo ha i suoi difetti di stile, ma le sue espressioni son maschie e grandi. Egli non è ordinato, ma è anche più eloquente della maggior parte di coloro che si onorano di esserlo. Sarebbe giudicar da grammaticuzzo, se si esaminassero i Padri solo dal lato dello stile e della lingua. (Sapete bene che non deve confondersi l'eloquenza coll' eleganza, né colla purezza della dizione). S. Ambrogio segue talvolta l'uso dei suoi tempi; e dà al suo discorso gli ornamenti che si apprezzavano allora. Forse questi grandi uomini che avevano visto più alto delle comuni regole dell'eloquenza, si piegavano al gusto del tempo anche per far sentire con piacere la parola di Dio, e insinuare le verità della religione. Ma del resto non vediamo noi S. Ambrogio, nonostante qualche giro di parola, scrivere a Teodosio con forza e persuasione inimitabili? Quante tenerezze egli non esprime quando parla della morte di suo fratello Satiro. E nel breviario romano eziandio non abbiamo un discorso di lui sul capo di S. Giovanni, che Erode rispetta e teme anche dopo morto; e ricordatevene e vedrete esserne sublime la fine. S. Leone è gonfio ma grande. S. Gregorio papa viveva anche in peggior secolo; pure scrisse assai cose con molla forza e dignità. Bisogna saper distinguere cosa i tempi sciagurati imposero a questi uomini grandi ...