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Percorso : HOME > Africa agostiniana > Itinerari agostiniani > Tunisia anticaITINERARI AGOSTINIANI: Tunisia antica
Ricostruzione di una lumachiera, con resti preistorici che sono appartenuti ad una civiltà
detta capsiana dalla città di Capsa, l'antico nome latino dell'attuale Gafsa (7000-5000 a. C.)
Questa lumachiera consiste in un ammasso di ceneri frammisti a resti in pietra
(pietre bruciate e microliti), utensili in selce e anche resti di alimenti,
più sovente gusci di lumache o molluschi che venivano mangiati dai Capsiani.
Riproduzione nella Sala I del Museo del Bardo a Cartagine
TUNISIA ANTICA: ARCHEOLOGIA E STORIA
Il duplice legame di questa regione con l'Oriente e l'Europa si propone già per l'epoca preistorica con la discussa origine della civiltà capsiana (da Capsa, oggi Gafsa, luogo ove fu inizialmente identificata), che alcuni studiosi vorrebbero far derivare dal Paleolitico superiore europeo e altri da un unico centro, posto in Oriente, dal quale entrambe le civiltà si sarebbero irradiate. Pur non potendo vantare resti paragonabili alle pitture rupestri della vicina Algeria, la Tunisia preistorica ha fornito un'ampia messe di strumenti microlitici, punte di freccia, coltelli di selce dalla lama accuratamente lavorata e gusci di uova di struzzo decorati con incisioni geometriche (buona parte di questo materiale è attualmente esposto al Museo del Bardo di Tunisi).
Fu con l'arrivo dei coloni fenici che, dopo qualche incertezza, si suole ora nuovamente collocare alla fine del II millennio a. C., dando così credito alle cospicue fonti classiche che i facili approdi della costa tunisina si popolarono di numerosi centri. Tuttavia, con la parziale esclusione di Utica e Cartagine per le quali sono attestati resti ceramici databili già agli inizi dell'VIII secolo a. C., un lunghissimo periodo intercorse tra il primo insediamento di un emporio fenicio e lo sviluppo di una vita urbana archeologicamente documentata. Tra i centri che hanno fornito reperti di epoca fenicia risalenti al VI-VII secolo a. C. vanno ricordati Kerkouane (capo Bon) con la vicina necropoli di Gebel Mlezza, Hadrumetum (Sousse), Leptis Minor (Lamta), Thapsus (Rass Dimasse), Acholla (Rass bou Tria), nonché la città dal nome non identificato che sorgeva nei pressi dell'odierna Mahdia e le fortezze recentemente scoperte a Rass ed-Drek e Rass el-Fortas.
Queste ultime, insieme ai resti di strutture più antiche rinvenute nella fortezza romana e poi ispano-turca di Kelibia, forniscono una chiara testimonianza del saldo controllo che i Cartaginesi mantennero sulle coste. A causa delle distruzioni operate dai Romani e del sovrapporsi di stratificazioni posteriori, le vestigia dell'antica Cartagine sono scarsamente spettacolari se confrontate a quelle dei successivi insediamenti romani sul suolo africano; tuttavia hanno fornito preziose informazioni che, unite alle numerose notizie delle fonti classiche (Polibio, Diodoro Siculo, Appiano, Strabone e altri), hanno permesso di ricostruire con una certa precisione l'aspetto della metropoli punica.
Nuove risposte agli interrogativi di storici e archeologi stanno giungendo anche dall'attività delle missioni internazionali che operano dal 1974 nel quadro del progetto Unesco per la salvaguardia di Cartagine, mentre gli scavi condotti negli ultimi decenni a Kerkouane, sito abbandonato tra il III e il II sec. a. C. e mai rioccupato, hanno contribuito a chiarire più in generale la struttura urbana delle città puniche. Il centro abitato era solitamente racchiuso da una cinta di mura a doppio paramento di almeno 3 m di spessore, nella quale si aprivano porte fiancheggiate da torri. Gli insediamenti, posti quasi sempre sul mare nei pressi di un'altura, avevano uno o più impianti portuali attrezzati con moli e banchine, oltre a un caratteristico bacino di carenaggio artificiale (cothon) scavato nel banco roccioso costiero. Già dal V-IV secolo a. C. l'impianto viario delle città era costituito da strade rettilinee e parallele molto strette, che si intersecavano perpendicolarmente formando isolati regolari.
Tomba altare del Tofet di Cartagine
nella Sala del Tofet del Museo del Bardo
Le abitazioni private erano inizialmente edifici piuttosto modesti, realizzati con mattoni crudi su un basamento di pietrame, ma divennero col tempo sempre più complesse, con uno stretto ingresso a gomito che immetteva in una corte centrale, il cui pavimento era sovente decorato con uno strato di cemento grigio misto a frammenti di terracotta e marmo.
Le costruzioni turriformi raffigurate in alcune rozze pitture parietali della necropoli di Gebel Mlezza, nonché in un cippo calcareo e in un pendente d'oro rinvenuti a Cartagine, sembrano confermare che gli edifici urbani erano composti da più piani, come sosteneva lo storico Appiano. Il rifornimento idrico era affidato a pozzi, sorgenti sotterranee e soprattutto cisterne per la raccolta dell'acqua piovana, di cui ci sono giunte numerose vestigia. Mentre siamo quasi privi di documentazione archeologica sui templi - posti di solito sull'acropoli della città, ma anche lontano dall'abitato - non mancano dati su un altro luogo sacro, il tophet, connesso al rito del sacrificio di fanciulli alle divinità protettrici. Si tratta di un ampio recinto, posto inizialmente al di fuori del centro abitato, che ospitava un'area sacrificale dove erano sepolte, segnalate da cippi funerari e stele votive, migliaia di urne contenenti le ossa o le ceneri dei fanciulli immolati.
Le stele forniscono un'interessante documentazione relativa alla produzione artistica punica, caratterizzata dall'impiego congiunto, con scopi puramente decorativi, di motivi iconografici propri delle varie civiltà dell'area mediorientale ed egea. Tali motivi, originariamente carichi di valori simbolici, venivano tradotti dagli artigiani punici, secondo una tendenza già propria dell'arte fenicia, in figurazioni astratte e stilizzate, che denotano una mancanza di comprensione, o quanto meno di interesse, per il significato originario delle immagini. La produzione artistica punica si presenta sostanzialmente inferiore a quella fenicia per qualità di esecuzione e varietà (a Cartagine mancano, ad esempio, le coppe metalliche e scarseggiano gli oggetti in avorio e le statuette in bronzo): essa comprende, oltre alle già ricordate stele, sarcofagi in pietra, oggetti in terracotta con funzione votiva e apotropaica quali figure realizzate a stampo e al tornio, protomi e maschere grottesche, amuleti in pasta silicea smaltata e in osso, sigilli e graziosi gioielli in oro e argento. Interessanti analogie con materiali rinvenuti a Mozia, in Sicilia, mostra la ceramica punica dell'area tunisina, che si differenzia da quella del resto dell'Africa. La maggior parte dei reperti, comprese due classi di oggetti tipicamente punici (i cosiddetti rasoi in bronzo di influenza egizia e i gusci di uova di struzzo dipinti), è conservata nel Museo del Bardo a Tunisi e nel Museo nazionale di Cartagine insieme a numerosi oggetti di importazione (scarabei egizi, buccheri etruschi, ceramiche protocorinzie ecc.).
La definitiva sconfitta cartaginese del 146 a.C. comportò in quest'area notevoli trasformazioni, in primo luogo nell'uso del territorio. I Romani si affrettarono infatti ad assicurarsi il controllo di un entroterra molto più ampio di quello già in mano cartaginese, mirando a sfruttarne la vocazione agricola meglio di quanto avessero fatto i loro predecessori. A tale scopo, da un lato furono perfezionati e differenziati a seconda delle zone i metodi di coltura, dall'altro furono realizzate impegnative opere idrauliche (acquedotti, serbatoi e dighe) per assicurare sufficienti risorse idriche a tutte le aree agricole. Alle città costiere, spesso di origine punica, si aggiunsero nel cuore del paese numerosi centri, nei quali Romani e immigrati italici convivevano con popolazioni locali romanizzate; sono proprio queste città romane dell'interno - tra le quali spiccano Thugga (Dougga), Mactaris (Maktar), Thysdrus (el-Jem), Bulla Regia (Hammam Darraj), Sufetula (Sbeltla) e Thuburbo Majus (Henchir el-Kasbat) - che ci forniscono oggi le emozioni più intense, grazie all'estensione e alla ricchezza delle vestigia ancora esistenti. Questo perché, già nei secoli che precedettero la conquista araba, l'instabilità politica e la crisi economica provocarono un regresso nella vita urbana e un ritorno al nomadismo, con conseguenti periodici episodi di razzia che accrescevano il senso di insicurezza della popolazione cittadina.
Fu così che molti di questi centri, un tempo assai fiorenti, furono abbandonati o si contrassero notevolmente, limitando il fenomeno delle spoliazioni dei monumenti antichi e quello della sostituzione edilizia. In molti casi l'intero impianto urbano è ancora visibile, con il complesso monumentale articolato intorno al foro, centro della vita cittadina, e uno o più stabilimenti termali, templi e teatri, oltre al tessuto delle abitazioni private, talvolta poveramente erette in terra pressata talaltra lussuosamente decorate con raffinati pavimenti a mosaico. Le città di nuova fondazione, compresa la colonia impiantata nell'area precedentemente occupata da Cartagine, sorsero secondo il classico schema romano a pianta quadrangolare, a volte ritoccato per rispondere alla particolare conformazione del terreno. Maggiori irregolarità si riscontrano negli insediamenti già esistenti, nei quali all'impianto originario, parzialmente rettificato, vennero affiancati nuovi quartieri a maglia regolare. Dougga, il più integro dei complessi antichi della Tunisia, conserva un articolato foro, visivamente collegato al Capitolium (tempio dedicato alla triade capitolina Giove, Giunone e Minerva), alla piccola esedra antistante e alla piazza del mercato, la cui pavimentazione reca incisa una rosa dei venti.
Mosaico di età bizantina (VI sec. d. C.) da Bordj Ejedid a Cartagine
Molto interessante è anche l'inconsueto foro quadrato di Sufetula, sul quale affaccia un Capitolium assai ben conservato, composto da tre templi distinti e collegati posteriormente da arcate. Qui, come nella maggior parte dei monumenti romani dell' Africa occidentale, il risultato estetico non si affidava alla grandiosità della proporzione né alla ricchezza della decorazione, bensì al sobrio equilibrio dei volumi e alle lievi differenze nel trattamento delle superfici che determinavano gradevoli variazioni chiaroscurali. Questa scelta era in parte dovuta al tipo di materiale impiegato, per lo più pietra arenaria e calcare data la scarsità di marmo sul suolo africano. Un gradevole effetto cromatico offre il grande anfiteatro di Thysdrus, realizzato in pietra rossa proveniente dalle cave della vicina Sullectum; questa poderosa struttura, che oggi emerge tra le casupole di un piccolo villaggio arabo, è forse il più suggestivo dei monumenti romani dell' Africa. Spettacolari sono anche i resti delle terme di Antonino a Cartagine, che con una superficie coperta di circa 18000 mq furono le più grandi dell' Africa. La gigantesca scala dell'edificio, eretto su piani sopraelevati per l'impossibilità di scavare sotterranei, è oggi più facilmente leggibile grazie ai restauri, condotti tra il 1984 e il 1986 sotto l'egida dell'Unesco, che hanno portato tra l'altro all'anastilosi di una delle grandi colonne del frigidarium, il cui capitello corinzio si erge a oltre 20 m di altezza. Estremo interesse offre anche il santuario di Tanit-Caelestis a Dougga, un esempio dell'adattamento delle forme romane ai culti locali.
Dalle numerosissime città romane dell'interno e della costa, ma in modo particolare da Cartagine, proviene una grande quantità di opere scultoree, appartenenti a edifici di culto, teatri e terme, che consentono di equiparare quest'area alle province più attive del Mediterraneo. Si tratta di statue dei generi più diversi: da raffigurazioni eroiche o pomposamente ufficiali di imperatori a ritratti intrisi di crudo realismo e animati da un'estrema intensità espressiva. Non mancano raffinate opere di ascendenza ellenistica, come le due lastre raffiguranti Vittorie alate, e neppure testimonianze della scultura indigena, quali terrecotte e rilievi con divinità libiche, caratterizzate da una rude solennità.
La quasi totalità dei reperti è oggi conservata nelle sale del Museo del Bardo a Tunisi, dove è esposta anche una serie di opere d'arte che facevano parte del carico di una nave, proveniente da Atene, naufragata intorno al 100 a. C. davanti alle coste di Mahdia e scoperta agli inizi del secolo: si tratta di statue e oggetti in bronzo del II sec. a. C., capitelli in marmo pentelico, nonché stele attiche con iscrizioni e rilievi, di due secoli più antiche, usate forse come zavorra. Il museo di Tunisi è tuttavia famoso soprattutto perché ospita una delle più importanti collezioni di mosaici risalenti in gran parte al II-IV sec. d. C., periodo in cui la civilizzazione romana della Tunisia toccò l'apogeo. Al repertorio mitologico più comune (assai diffuse le scene dionisiache) si affiancano raffigurazioni di giochi circensi, catture di belve feroci, paesaggi nilotici e scene di pesca, queste ultime comprendenti un vero e proprio catalogo dei più comuni abitatori del mare. Assai interessante da questo punto di vista è anche il museo di Sousse, in cui si conserva tra l'altro uno splendido «Trionfo di Bacco ».
Ancora controversa è la questione della discendenza ellenistica o alessandrina di questi mosaici e dell'eventuale arrivo di cartoni contenenti repertori di decorazioni da imitare, ma è comunque indubbio che le locali officine di mosaicisti dettero prova di una grande abilità artigianale e di una notevole autonomia nella resa cromatica. Il Cristianesimo introdusse nuovi spunti di ispirazione senza però modificare sensibilmente le forme di espressione artistica; interessanti sono tuttavia alcuni mosaici di V-VI sec., provenienti da edifici consacrati al nuovo culto.
Neppure l'arte della breve dominazione bizantina (534-670) mostra caratteri particolarmente originali, mentre mancano del tutto vestigia specificamente ricollegabili al precedente effimero controllo dei Vandali sul paese (439-534). Poiché manca una letteratura cartaginese e vi sono grandi incertezze nella trascrizione e traduzione della scrittura libica propria delle popolazioni autoctone, il territorio dell'odierna Tunisia passa definitivamente dalla protostoria (fase in cui un popolo lascia tracce nei documenti scritti di altri popoli) alla storia solo con la conquista da parte di Roma. La Cartagine romana dovette essere un centro culturale di grande richiamo: qui infatti compirono i loro studi Apuleio (c. 125-180 d. C.), Tertulliano (II-III sec. d. C.), S. Cipriano (c. 205-258 d. C.) e S. Agostino (354- 430 d. C.). Il primo, autore del celebre Asino d'Oro, è una delle figure più singolari e interessanti della letteratura provinciale latina: dalla sua opera trasse ispirazione Boccaccio per alcune delle sue novelle.
Con Tertulliano, apologeta e scrittore cristiano, inizia la teologia latina occidentale e si affaccia alla storia la cristianità africana, che avrà poi in S. Cipriano e in S. Agostino rispettivamente uno dei Padri e uno dei quattro grandi Dottori della Chiesa.