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Alcuni visitatori del Sepolcreto Visconti
Festa di Sajopp
SABATO 13 - DOMENICA 14 MAGGIO 2006
La raccolta museale gestita dall'Associazione S. Agostino con sede a Cassago Brianza (LC) ha aderito alla giornata internazionale dei Musei promossa dall'ICOM e sponsorizzata dalla Regione Lombardia che per il 2006 è dedicata al tema Museums and young people, cioè Il Museo e i Giovani.
La proposta è stata quella di far gestire in prima persona a un gruppo di giovani universitari una giornata museale portando in mezzo alla gente le proposte culturali.
L'occasione si è concretizzata nella organizzazione di una manifestazione il 13-14 maggio in concomitanza alla festa di Sajòpp, ovvero di san Giobbe, una festa agricola contadina legata alla coltivazione del baco da seta che da secoli si svolge all'ombra di un grande monumento: il neogotico Sepolcreto di S. Salvatore dei duchi Visconti di Modrone.
L'attività si è svolta in queste fasi:
sabato 13 visita guidata al Sepolcreto per i bambini delle classi delle scuole elementari e medie
domenica 14 visita guidata per gruppi di adulti con distribuzione di materiale documentario, esposizione di lavori di ricerca storica preparati con i bambini, proiezione di un filmato realizzato dai ragazzi delle medie, allestimento di una mostra di attrezzi agricoli presso la sede-museo della Associazione S. Agostino con accesso alla visione guidata di un quadro seicentesco di autore ignoto raffigurante san Giobbe che veniva esposto in occasione della benedizione delle "maestà" che dovevano essere affisse nei locali dove i contadini allevavano i bachi.
Per l'occasione è stata preparata una guida-brochure per i visitatori.
La gente affluisce al Sepolcreto lungo il viale
TESTO DELLA BROCHURE
San Salvatore, i Visconti, Sajopp e il baco
La storia di Tremoncino, di Cassago e della Brianza vista attraverso le vicende complesse di un edificio che non smette di affascinare.
Domenica 14 maggio il Sepolcreto aprirà le sue porte ai visitatori con un gruppo di giovani "ciceroni" che guideranno alla scoperta del "Salvadur".
L'appuntamento è dalle 10 alle 12 e nel pomeriggio dalle 14 alle 17 e dalle 18 alle 19. Cassaghesi e non, tutti sono invitati a salire il viale di cipressi di Tremoncino e a riscoprire un pezzo di storia ... Nella stessa giornata, in occasione della Settimana Internazionale dei Musei, i volontari dell'associazione sant'Agostino saranno presenti presso il museo di piazza don Motta 2, alle spalle della chiesa parrocchiale di Cassago, dove sarà possibile visitare il quadro dedicato a san Giobbe, un tempo presso il san Salvatore, oltre all'esposizione di attrezzi e oggetti del mondo contadino.
Fascicolo a cura di:
Luigi Beretta, Luca Casiraghi, Ludovica Zucchi
Guide: Roberto Castelli, Alessandro Ghezzi, Alessandro Molteni, Ludovica Zucchi, Luca Casiraghi, Luigi Beretta, Elena Rigamonti
Dal san Salvatore al Sepolcreto Visconti di Modrone
La prima citazione di questa chiesa è contenuta in un elenco delle chiese di Cassago che venne redatto da Goffredo da Bussero nel suo "Liber Notitiae Sanctorum Mediolani". Dalla sua testimonianza veniamo a conoscere che verso la fine del 1200 a Cassago esistevano ben quattro chiese:
Recordatio ecclesiarum sanctae Brigidae (Item in loco Casiago de Masalia)
Memoria ecclesiarum et altariorum sanctii Gregorii (Orliano ecclesia sancti Gregorii)
Memoria ecclesiarum sanctae Dei genitricis Mariae (Cassago ecclesia sancte Mariae)
Memoria ecclesiarum et altariorum sancti Salvatoris (in plebe Alliate, loco Tornago ecclesia sancti Salvatoris).
La chiesa di san Salvatore, una tipica dedicazione longobarda (la troviamo anche nella vicina Barzanò), è qui ricordata in territorio di Tornago, nella pieve di Agliate. Si tratta probabilmente di un errore dovuto alla vicinanza dei luoghi. Dopo questa citazione bisogna aspettare 300 anni per avere nuove notizie di questa chiesa: è il 20 agosto 1571 quando Monsignor Fabrizio Piscina arriva a S. Salvatore incaricato da Carlo Borromeo che sta visitando la parrocchia di Cassago. Fotografa la situazione con una breve ma significativa nota: "Vi è sotto la cura di Sancto Jacomo et Brigida di Casagho una chiesa chiamata sancto Salvatore la quale è in cima un monticello da una banda boscho da laltra Roncho, dirutta senza altare non ha su il tetto e caschava una gran parte della muraia, et non ha reddito ne beni alcuni. Ne l'anno 1571 adi 20 agosto fu visitata dal Reverendo Fabritio Piscina nella visita che si fece a Cassagho dall'Illustrissimo et Reverendissimo monsignor cardinale ma de detta visita non se mai visto ordinatione per lo si adimandato provisione che cosa se debba fare con questa chiesa."
Nel 1571 la chiesa era dunque abbandonata e cadeva in rovina, ma il cardinale Borromeo non prese provvedimenti, forse perché probabilmente era di proprietà privata. Di certo nel primo Seicento è di pertinenza della nobile famiglia dei Pirovano che possedevano il castello di Cassago. Sono loro infatti che assolvono al legato Zappa grazie a cui venivano distribuiti ai poveri alcune staia di pane in occasione della festa della chiesa.
Nel primo Settecento in seguito ad alcuni matrimoni l'asse ereditario dei Pirovano passò ai Visconti di Modrone e con questo anche il san Salvatore.
Verso la fine dell'Ottocento il duca Guido con l'appoggio della Casa Ducale costruì una nuova chiesa sul colle di san Salvatore a Tremoncino. Oggi è chiamato ed è noto come Sepolcreto Visconti. Si tratta di una tomba di famiglia e fin qui nulla di straordinario perchè tutta la Brianza è disseminata di ricordi del passaggio della nobiltà nella storia di questo territorio. La originalità di questo monumento sta piuttosto nel suo stile, un discreto neogotico ottocentesco, unico esempio di questa arte in tutta la Brianza.
Si tratta di un'edificio privato, ancora in possesso degli eredi della famiglia Visconti, ma che è considerato un patrimonio storico e religioso della comunità di Cassago. Questo perché da secoli è luogo di devozione popolare. La chiesetta medioevale era meta di pellegrinaggi dai paesi circostanti, così come accade ancora oggi per i santuari di Bevera e dei Morti dell'Avello a Bulciaghetto. Nella zona vennero sepolti i morti della peste e diventò quindi luogo ufficiale per il culto delle vittime dell'epidemia, seppellite nell'avvallamento posto sulla sinistra del cancello d'ingresso, lato sud della costruzione. Ancora oggi all'entrata del Sepolcreto sono ben visibili su ambo i lati due teche che raccolgono le ossa dei morti di peste del luogo, traslate nell'Ottocento. La costruzione dell'edificio ha creato numerose polemiche tra Visconti, fedeli e Parrocchia. Queste ossa infatti sono state conservate nella vecchia chiesa medioevale, dove abitualmente convenivano in preghiera gli abitanti dei dintorni durante la processione. Quando la chiesetta medioevale con tutto il colle e gli appezzamenti terrieri divenne proprietà dei nobili Pirovano e quindi, per eredità, dei Visconti del ramo di Modrone, sorsero alcune querelle con il parroco che pretendeva le elemosine dei pellegrini che invece finivano regolarmente in tasca dei Visconti, ma pure si generò un progressivo allontanamento dalla gente a cui veniva progressivamente limitato l'accesso alla chiesa ormai proprietà privata. Verso la metà del secolo scorso la devozione andò estinguendosi perchè gli ossari dei morti furono compresi nella cinta delle proprietà Visconti e così nacque le devozione ai Morti dell'Avello in parrocchia di Bulciago. Quando a fine Ottocento la chiesa fu abbattuta per costruirvi sopra l'attuale Sepolcreto, gli ossari furono compresi definitivamente nel muro di cinta, il che provocò gravi conseguenze alla tradizionale frequentazione del luogo. La decisione dei nobili Visconti fu alquanto dannosa alla devozione che in altri tempi era, come testimoniano parroci dell'Ottocento, un via vai continuo, anche di notte. Da allora incominciò una lenta decadenza, poiché i pellegrini cominciarono a preferire la via dell'Avello. Nonostante ciò la devozione resiste ancora oggi, sia pure in forme molto blande.
Responsabile principale di questa situazione fu il duca Guido Visconti di Modrone che verso il 1836 commissionò all'architetto Clerichetti una tomba di famiglia. Dopo che Napoleone proibì di seppellire i cadaveri in chiesa, i cimiteri così come le tombe di famiglia furono costruiti fuori delle città e dei paesi: il duca Carlo Visconti costruì sul poggio il sepolcreto della famiglia conservando però gli ossari accessibili al pubblico. Di questa costruzione parla anche Cesare Cantù nella sua Grande illustrazione del Regno Lombardo-Veneto. Il progetto, che è conservato nell'archivio Visconti in deposito presso l'Università Cattolica, prevedeva un edificio neoclassico: probabilmente non fu realizzato. E' più probabile che si sia proceduto a qualche maquillage della vecchia chiesetta medioevale. L'edificio attuale fu invece costruito su progetto dell'architetto Giovanni Cerutti che lo ideò fra il 1884-1887. Di sicuro nel 1890 era già concluso.
Il Sepolcreto fu benedetto ufficialmente a novembre 1890: l'autorizzazione venne concessa direttamente dall'arcivescovo di Milano, il cardinale Luigi Nazari di Calabiana. In questa splendida tomba di famiglia sono ancora oggi raccolti i resti dei membri della dinastia dalla fine del Settecento ad oggi. L'elenco completo ripercorre generazioni di due secoli e permette di ricostruire la genealogia ultima dell'asse dei Visconti di Modrone. I sarcofagi sono stati disposti su due piani: all'inferiore si trovano i corpi dei duchi fino all'Ottocento, mentre al piano rialzato, nelle nicchie laterali della chiesetta neogotica, sono conservati i resti mortali dei membri che sono vissuti nel Novecento.
L'elenco attuale comprende queste trentadue sepolture:
Marianna Fagnani marchesa Visconti di Modrone (1739-1814)
Contessa Visconti di Modrone nata Gonzaga principessa Aurelia (1768-1857) madre di Uberto
Carlo Visconti di Modrone (1775-1836) cugino del padre di Uberto
Duca Uberto Visconti di Modrone (1802-1850)
Conte Carlo Visconti di Modrone (1804-1873) fratello di Uberto
Duchessa Giovanna nata marchesa di Gropallo (1805-1884) moglie di Uberto
Conte Carlo Visconti di Modrone (1833-1837) figlio di Uberto
Duca Raimondo Visconti di Modrone (1835-1882) figlio di Uberto
Conte Luigi Visconti di Modrone (1839-1879) figlio di Uberto
Conte Gaetano Visconti di Modrone (1840-1844) figlio di Uberto
Duca Guido Visconti di Modrone (1838-1902) figlio di Uberto
Duchessa Ida Visconti di Modrone nata Rensi (1850-1915)
Duca Uberto Visconti di Modrone (1871-1923) figlio di Guido
Duchessa Marianna Visconti nata Groppallo (1870-1941)
Conte Giovanni Visconti di Modrone (1873-1931) figlio di Guido
Conte Raimondo Visconti di Modrone (1877-1880) figlio di Guido
Duca Carlo Visconti di Modrone (1881-1967)
Contessa Edoarda Visconti di Modrone nata Castelbarco (1881-1929)
Matilde Visconti di Modrone nata Marescalchi (1881-1973)
Contessa Maria Visconti di Modrone (1895) figlia di Uberto
Conte Guido Visconti di Modrone (15.X.1897-11.VIII.1899) figlio di Uberto
Duca Marcello Visconti di Modrone (1898-1964) figlio di Uberto
Xenia Visconti di Modrone nata Berlingieri di Valle Perrotta (1901-1973)
Ruggero Visconti di Modrone (1906-1991)
Conte Emanuele Visconti di Modrone (1907-1945)
Conte Raimondo Visconti di Modrone (1907-1983)
Ferdinando Visconti di Modrone (1909-1963)
Conte Ottorino Visconti di Modrone (1909-1978)
Filippo Visconti di Modrone (1913-1982)
Nucci Visconti di Modrone nata Cima (1921-1990)
Contessa Matilde Visconti di Modrone (1931) figlia di Marcello
Guido Visconti di Modrone (1941-1974)
Sorta forse come una delle tante tombe di famiglia, così tanto di moda sul finire del secolo scorso, questo Sepolcreto soggioga il passante con quel suo splendido bianco marmo di Carrara, tutto arieggiante con le sue cuspidi e i suoi finestroni ogivali sottili e slanciati verso l'azzurro del cielo con ai piedi i verdi prati di granoturco che hanno sostituto i più nobili vitigni d'un tempo. Stupendo è comunque è l'accesso che fa capo a un viale prospettico in dolce salita scandito da una serie di cipressi secolari di grande effetto paesaggistico e che invita al raccoglimento spirituale.
Il Sepolcreto è realizzato in stile neogotico, così come il Duomo di Milano, completato pochi anni prima. C'è però una differenza fondamentale: il marmo bianco milanese proviene dalla val Canobbina, nei dintorni del lago Maggiore, secondo una tradizione iniziata nel tardo Medioevo per cui le chiatte con i materiali per la nuova cattedrale arrivavano via naviglio fino al porticciolo presso santo Stefano, attuale via Laghetto. L'analogia è confermata anche dalla tradizione popolare; era infatti soprannominato il "Domm de balia" per la consuetudine delle famiglie patrizie milanesi di portare a svezzare i propri figli in Brianza. L'interno della cappella superiore ha un soffitto affrescato a campiture uniformi azzurre che ricordano molto da vicino la cappella dedicata ai primi Visconti presso la Certosa di Pavia, con decorazioni in tinta ocra. Il tutto è corredato dai busti che ricordano i principali membri della famiglia. La struttura ottagonale esterna è arricchita da pinnacoli e da una doppia scalinata d'accesso alla cappella. La cripta al piano inferiore, dove si trovano i sarcofagi, è stata anche rifugio per i partigiani durante la seconda guerra mondiale. Sul lato opposto rispetto all'ingresso esiste una piccola stanzina, speculare alla sacrestia superiore, oggi murata. Seguendo il camminamento esterno si può arrivare alla balconata da cui si gode una splendida vista della Brianza occidentale.
San Giobbe a Tremoncino
La devozione che si è sviluppata nel passato a Cassago per San Giobbe è legata alla chiesa di san Salvatore a Tremoncino e alla tradizionale fiera contadina che svolgeva il 10 maggio. Era in quella occasione che venivano benedette le cosiddette maestà, delle stampe a carattere religioso che venivano appese nelle camere dove si allevano i bachi da seta. Non a caso san Giobbe era invocato proprio a protezione di cavalé, cioè di quel prezioso baco da seta che, dopo un duro lavoro, permetteva ai contadini delle entrate importanti in un'epoca in cui la vita era molto dura. A Cassago le prime vendite di bozzoli o cavalé risale ai primi anni del 1500: e probabilmente già allora il santo veniva invocato, come lo invocavano migliaia di contadini di tutta Italia, dalla Lombardia alla Calabria, dalla Toscana al Veneto. E' piuttosto bizzarro questo accostamento di Giobbe ai bachi da seta: gli studi condotti dal prof. Claudio Zanier hanno dimostrato che ciò nasce dalla rilettura dei racconti biblici in Palestina in età medioevale, che si diffonde dapprima nel mondo panarabo, poi in quello iranico e infine, attraverso Venezia e il mondo greco, anche in Italia. Nei racconti popolari viene sottolineata la perseveranza di Giobbe, nonostante le disgrazie e viene data enfasi al lieto fine. Nel contempo gli stessi racconti, così come l'iconografia medioevale, sottolineano come dalle piaghe di Giobbe nascano i vermi, gli stessi che i contadini identificavano con i bruchi del baco da seta. Con estrema naturalezza la civiltà contadina lo elegge proprio protettore per questa attività. Tutta l'iconografia si adegua a questa nuova interpretazione, che è certamente difforme dalla posizione della Chiesa ufficiale, soprattutto dopo la Controriforma, quando vengono abbandonati i santi del Vecchio testamento.
Anche l'iconografia che è rimasta a Cassago rispecchia questa mentalità: san Giobbe, nel dipinto seicentesco ora presso il museo dell'associazione Sant'Agostino, viene dipinto seduto su un mucchio di letame, assieme a dei vermi, mentre rivolge lo sguardo verso l'alto cercando Dio. La forza di questo culto fu tale che sorsero chiese, società, confraternite a lui dedicate in moltissime regioni italiane. Così nel 1619 i padri agostiniani di Spilamberto, nel modenese, poterono portare in processione un quadro di san Giobbe con i bachi e collocarlo in chiesa solennemente, non senza aver prima dato indicazioni su come allevare i bachi. Già nel 1400 Giobbe era stato dipinto in un altro eremo agostiniano, quello di Lecceto, e anche qui, non sembri una novità, se ne stava seduto in mezzo a un mucchio di foglie e letame con tanti vermicelli a fargli compagnia.
Andata persa la tradizione serica nel dopoguerra, si è andato perdendo anche il ricordo di san Giobbe o Sajopp, la cui festa, purtroppo, non solo a Cassago, ma in tutta la Brianza, sembra confinata nel territorio degli studiosi e non più in quello dei fedeli.
La storia di questo Santo è ricordata in parte nel suo nome: in ebraico Giobbe significa infatti perseguitato, colui che sopporta le avversità. Figura biblica nota, divenne modello di santità e pazienza. Si racconta che fosse originario dell'Oriente, del paese di Hus (o Uz, dagli studiosi identificato in una regione a nord dell'Arabia), e visse probabilmente intorno al 1600 a. C. Molto autorevole, facoltoso, padre di dieci figli, ma al culmine della felicità e della ricchezza fu improvvisamente colpito da una serie di disgrazie che lo privarono di ogni avere. Era però un uomo retto e timorato di Dio, tanto da sopportare i tormenti in nome di Iahweh, nonostante ogni cosa faccia credere che non fosse neppure ebreo. Giobbe ignorava che i suoi tormenti fossero voluti da Satana, il quale volle sfidare Dio sulle capacità degli uomini di sopportare ingiuste sofferenze, ma egli, benché prostrato e vacillante, non abbandonò la fede. Allora Satana ottenne da Dio anche il potere sulla sua persona, e lo colpì con una terribile malattia che gli coprì il corpo di piaghe purulente. Cacciato, fu costretto a vivere da solo nella cenere e nel letame, ricoperto da pochi stracci. Giobbe osò a questo punto chiedere a Dio il perché di tale castigo non meritato, ma subito si pentì di aver voluto comprendere l'imperscrutabile volontà divina. Allora Dio, sapiente e misericordioso, riconobbe in lui un uomo giusto e fedele, ricompensandolo per aver sopportato ogni sofferenza.
Sono numerose le testimonianze della presenza di questo culto a Tremoncino. Tra le più tarde si annovera quella del cardinale arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster. Il passaggio da San Giobbe al baco da seta per l'arcivescovo è un "volo pindarico" molto audace compiuto dalla gente del popolo.
"In maggio, il giorno della festa del Santo Giobbe, i devoti vi confluiscono anche dai paesi circostanti, onde implorare la benedizione del Santo sulla imminente coltura dei bachi da seta. E' curioso come la devozione abbia trovato un qualsiasi nesso tra il grande Paziente di Hus e i preziosi bachi che si seppelliscono nei propri bozzoli. Ma che cosa non può il genio popolare – si stupisce nelle Note delle visite pastorali del 1939 – Giobbe, come attesta la Santa Scrittura, era ricoperto da vermi. Ebbene, sia egli protettore dei bachi, i quali rientrano precisamente nel genere dei vermi! Il salto è… ardito, ma, alla fede popolare, è facile".
La Bibbia dice infatti che il corpo di Giobbe era ricoperto da piaghe, dalla pianta dei piedi fino alla testa, e da vermi, che potrebbero ricordare il baco da seta. Ciò è bastato per chiedere alla protezione dei "cavalè", con l'espressione dialettale "Sajopp su i cavalè", che veniva pronunciata durante la benedizione ai rotoli di carta speciale utilizzati per la coltivazione. Probabile pure l'ipotesi che ricollega San Giobbe all'invocazione contro la peste, rimasta, sebbene in uso scorretto, per i bachi. Del resto la zona stessa del san Salvatore era dedicata ai morti per la peste.
Il baco da seta in Brianza
Bombyx mori, dal latino bruco da seta dell'albero di gelso, è una larva di falena di notevole importanza economica in quanto utilizzato nella produzione della seta. I bachi da seta nascono da uova piccolissime dette seme-bachi, di colore biancastro o giallino. Mettendoli in incubatrice per circa 15 giorni ad una temperatura di 24 gradi e con l'umidità elevata le uova schiudono. Inizia quindi il ciclo vitale delle larve che si completa passando attraverso 5 età larvali separate tra loro da momenti di muta. Possiamo immaginare il ciclo diviso in due fasi fondamentali:
1° fase: età giovane del baco (dalla 1° alla 3° età)
2° fase: età adulta del baco (4° e 5° età)
Durante la 1° fase il baco è di piccolissime dimensioni, le foglie di gelso vengono somministrate tritate e consumate lentamente. I bachi risultano in questa fase particolarmente delicati e risentono negativamente degli sbalzi di temperatura.
Nella 2° fase i bachi assumono dimensioni via via maggiori consumando avidamente le foglie di gelso che vengono somministrate direttamente in ramo. Terminata la fase di nutrizione, dopo circa 28 giorni dalla schiusa delle uova, i bachi " salgono al bosco " ( i van al bòsch ) ovvero si arrampicano su mazzi di rametti di legno, generalmente di ravizzone o di erica, che i contadini posizionano sui graticci. Il baco produce da un'apertura situata sotto la bocca una bava sottilissima che, a contatto con l'aria, si solidifica e che, guidata con movimenti ad otto della testa, si dispone in strati formando un bozzolo di seta grezza, costituito da un singolo filo continuo di seta di lunghezza variabile fra i 300 e i 900 metri. Il baco impiega 3-4 giorni per preparare il bozzolo formato da circa 20-30 strati concentrici costituiti da un unico filo. Trascorsi 10 giorni il bozzolo di seta sarà completato e al 17° giorno il bruco ormai trasformatosi in farfalla inciderà in bozzolo per fuoriuscire all'aria aperta. Gli accoppiamenti tra gli adulti permetteranno in breve tempo di avere nuovamente le uova da cui ricomincia il ciclo. Per ricavarne il prezioso filo di seta invece i bozzoli dovranno essere raccolti prima della fuoriuscita dell'adulto e immersi in acqua calda da dove le mani esperte del "mastro filaio" sapranno cogliere il "bandolo della matassa" per iniziare le operazioni di filatura. I bachi da seta hanno un notevole appetito: mangiano foglie di gelso notte e giorno, senza interruzione, e di conseguenza crescono rapidamente. Alla fine del processo di crescita, 28 - 30 giorni, il loro peso è aumentato di circa 6000 volte e il loro volume di circa 8000. Il loro pasto è interrotto solo quattro volte, in corrispondenza di altrettante mute; l'avvicinarsi della muta è annunciato dall'inscurirsi della peluria. Le quattro mute suddividono la vita della larva in cinque cosiddette "età". Dopo la quarta muta (ovvero nella quinta età), il corpo del baco diventa giallastro e la "pelle" più tesa; a questo punto, il baco è pronto per avvolgersi nel suo bozzolo di seta (in gergo si dice anche che il baco "sale al bosco", in quanto il bozzolo viene costruito attorno a rametti secchi).
Se la metamorfosi arriva a termine e il bruco si trasforma in falena, l'insetto adulto uscirà dal bozzolo tagliando il filo di seta che lo compone e rendendolo inutilizzabile. Di conseguenza, gli allevatori gettano i bozzoli in acqua bollente per uccidere l'insetto prima che questo avvenga. L'immersione in acqua bollente facilita anche il dipanamento del filo di seta. In alcune culture, lo stesso baco, estratto dal bozzolo, viene mangiato. Alcuni bozzoli vengono risparmiati per consentire la riproduzione del baco. La falena del baco da seta è incapace di volare. Questa specie di insetto esiste ormai solo come risultato di una selezione esplicita da parte dell'uomo e ha presumibilmente perso gran parte delle sue caratteristiche originarie. A causa della sua lunga storia e della sua importanza economica, il genoma del baco da seta è stato oggetto di approfonditi studi da parte della scienza moderna.
Secondo una delle leggende relative al baco, diffusa in Cina, la scoperta dell'utilità di questo insetto si deve a una antica imperatrice di nome Xi Ling-Shi. L'imperatrice stava passeggiando quando notò i bruchi. Lo sfiorò con un dito e, meraviglia delle meraviglie, dal bruco spuntò un filo di seta! Man mano che il filo fuoriusciva dal baco, l'imperatrice lo avvolgeva attorno al dito, ricavandone una sensazione di calore. Alla fine, vide un piccolo bozzolo, e comprese improvvisamente il legame fra il baco e la seta. Insegnò quanto aveva scoperto al popolo, e la notizia si diffuse. Il baco da seta sbarca in Europa, e precisamente in Sicilia, con la conquista araba. Nei secoli il suo allevamento si diffonde anche nel nord Italia, in particolar modo lungo la fascia prealpina che va dal Piemonte al Veneto. Sono i singoli contadini, generalmente mezzadri, che investono inizialmente in questa attività, parallela alla coltivazione della terra. Un'attività potenzialmente lucrosa, che getterà le basi dell'industria serica nel Nord Italia a fine Ottocento, ma anche molto rischiosa. L'investimento iniziale dei contadini poteva essere vanificato da una primavera troppo fredda, o con forti sbalzi di temperatura, molto pericolosa per i bachi. Questi infatti venivano acquistati verso la fine di aprile, per un ciclo produttivo che poteva chiudersi entro giugno, con la vendita della seta al mercato. Si trattava della prima entrata annuale delle famiglie contadine, per di più in contanti, che per "tutelare" i propri sforzi si rivolgevano alla protezione dei santi, come san Rocco, san Sebastiano, o nel caso di Tremoncino, san Giobbe. L'allevamento del baco da seta in Brianza subì un calo durante la crisi degli anni Trenta e alla fine della seconda guerra mondiale fu abbandonato completamente, anche per la progressiva diffusione delle fibre sintetiche. Così la produzione dei bozzoli in provincia di Como, dagli anni '30 agli anni '50, passò da 1.336.558 a 126.726 chilogrammi.