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Percorso : HOME > Cassago > Archivio Storico > L'età romana > LicenzioCarmen Licentii
L'epitaffio di Licenzio scoperto a Roma
LICENZIO
INSCRIPTIONES CHRISTIANAE URBIS ROMAE
Epitaffio dell'anno 406
in Bullettino di Archeologia cristiana del cav. Giovanni Battista De Rossi
anno Primo, Roma 1863 pp. 6-8
La discussione, che ha chiuso l'articolo precedente, dimostra di quanto uso dee essere nella cristiana archeologia la serie delle iscrizioni di data certa. La quale serie, come ho detto nel mio proemio, verrò accrescendo con la pronta pubblicazione delle epigrafi ad essa spettanti e che di giorno in giorno tornano alla luce. Sia la prima quella di un'arca marmorea testé discavata nell'agro Verano presso la basilica di S. Lorenzo. Ne dò il disegno nella pagina seguente; e l'iscrizione si legge così:
Depositus Licentius vir clarissimus VIII idus Novembres Arcadio Augusto et Anicio Probo viro clarissimo consulibus.
Le fogliette tra le lettere sono interpunzioni, delle quali da una iscrizione africana testé sapemmo, che gli antichi le chiamarono hederae distinguentes: il ramoscello è la palma. La data ci conduce all'anno sesto del secolo quinto, cioè del 406 di Cristo, nel quale furono consoli Arcadio per la sesta volta e Anicio Petronio Probo. L'omissione del numero del consolato di Arcadio è veramente colpevole negligenza di chi lo scrisse o di chi incise in pietra questo titolo; perocché giusta le regole del datare quel numero non doveva essere omesso, e fu sempre notato nelle iscrizioni romane, che di quest'anno già avevamo (V. Inscr. Christ. t. I, p. 235-239).
Ma questa negligenza non nuoce alla chiarezza della data, essendo noto che Probo fu collega di Arcadio soltanto nel sesto consolato di lui, ed in siffatti casi il numero del consolato fu spesso taciuto (V. I. c. Proleg. p. LII). L'arca sepolcrale fu inumata all'aperto cielo fuori del cemetero sotterraneo, il qual fatto è conforme alla legge rivelata dalle tavole statistiche sopra citate, che dopo l'anno 400 i sepolcri sotterranei debbono essere stimati rarissimi e frequentissimi i non sotterranei. Il dettato dell'epigrafe bene risponde alla distinzione dei due stili, quello dell'età delle persecuzioni e quello dell'età della pace. Benché qui non sia ombra di oratoria pompa di parole, pur non v'è traccia di quella maniera di semplicità, o di quella indole affettuosa, che fu propria delle primitive memorie. Il carattere di questo epitaffio è prettamente istorico, quindi il titolo di vir clarissimus, che ci insegna la dignità senatoria del defunto, e le note dell'anno con la voce consulibus tutta distesa, che così non appare mai prima degli anni 343, 348 (V. I. c. p. XXI).
La nomenclatura però del defunto non è quale di aspetterebbe da un epitaffio istorico: il personaggio chiarissimo è nominato col solo cognome Licentius senza menzione de' suoi gentilizi. Ed anche questo è conforme ad un altro capo di osservazioni atte a dare indizi dell'età de' monumenti epigrafici, quelle sul sistema e le variazioni di nomenclatura. Nei più antichi e talvolta brevissimi epitaffi i nomi gentilizi sono assai spesso premessi ai cognomi; col volgere del secolo quarto l'uso dei gentilizi nelle memorie sepolcrali diviene ogni dì più scarso, e nel quinto quasi del tutto scompare, eccetto il gentilizio Flavius comunemente segnato colle due sole lettere FL a guisa di prenome. Infine la stessa formazione del cognome Licentius s'accorda con le leggi de' cognomi, fra i quali i terminati in entius nel quarto secolo furono comunissimi e si derivano dai participi de' verbi latini, come licens, Licentius (V. I. c. p. CXII, CXIII).
Compiuta così l'analisi della nuova iscrizione e dimostrata la conformità celle regole da me proposte, voglio anche cercare chi sia cotesto Licenzio. Egli morì in Roma nel 406 ed era entrato nel senato, ma non parche avesse ottenuto una cospiscua magistratura, poiché verisimilmnete ne sarebbe stata fatta menzione dopo il titolo senatorio vir clarissimus.
Or appunto dieci anni prima nel 396 era venuto dall'Africa a Roma agognando alle alte dignità Licenzio discepolo carissimo a S. Agostino (V. S. Paulini Nolani opp. edit. Veron. p. 758).
Il quale ebbe il grande dolore della partenza dell'amato alunno: e gli scrisse richiamandolo e pregandolo, che si desse tutto a Cristo e volgesse le spalle alle fallaci speranze del mondo; e lo raccomandò anche a S. Paolino da Nola perché giel rendesse (S. Agostino, epist. XXXII).
Questi scrisse a Licenzio in prosa ed in verso; e lo dissuadeva dalla via degli onori e dal matrimonio, che ambiva (S. Paulini Nolani epist. VIII). Il carme di S. Paolino a Licenzio comincia: Quare age rumpe moras et vincla tenacia saecli e termina così:
Vive precor, sed vive Deo; nam vivere mundo Mortis opus, viva est vivere vita Deo.
Non sappiamo quale frutto abbiano avuto tante esortazioni e tante preghiere: ma l'iscrizione ora rinvenuta dandoci un Licenzio (cognome in Roma assai raro), uomo di grado senatorio morto nel 406, al discepolo di S. Agostino sì bene si addice, che parmi certo lui esser l'onorato con quest'epigrafe. La quale empie una lacuna nell'istoria del grande dottore. Imperocché nella vita e nelle opere di S. Agostino molta parte ha il suo diletto discepolo Licenzio; ma dopo la venuta di lui a Roma se ne perde ogni notizia. Egli era figliuolo di Romaniano concittadino e celebre amico del santo; e quando questi si convertì a Dio in Milano nel 386, e rinunciata la cattedra di rettorica si ritirò nella villa di Verecondo, Licenzio lo seguì. E fu uno dei due principali interlocutori nelle celebri dispute sugli Accademici fatte in quella villa; il cui vero nome Cassiaco ed il sito rimasto sì famoso da durarne tuttora la memoria, ha testé e sagacemente dichiarato il ch. Luigi Biraghi Dottore Ambrosiano (Biraghi, S. Agostino a Cassago di Brianza sul Milanese, Milano 1854). Licenzio adunque iniziato allora negli studii della filosofia sarà entrato pur allora nella giovinezza; e bene rispondono i tempi, se dieci anni più tardi nel 396 tentò ed ambì in Roma i pubblici onori. Par che fosse appena catecumeno e mal fermo nella professione cristiana; perocché Agostino dice di lui che aveva fatto solo i primi passi verso Cristo, e S. Paolino nel carme citato ce lo descrive vaneggiarne nella speranza di divenire un dì non pur console ma anco pontefice (cioè pontefice pagano) e lo sgrida e lo compiange. Dopo ciò nulla più sapevamo di lui: ed ecco la sua arca sepolcrale esce dal nostro suolo e ci insegna che dieci anni dopo, ch'era giunto in Roma, egli morì e fu deposto in uno de' più nobili cemeteri della chiesa romana presso la basilica del martire S. Lorenzo, la cui venerazione era a quei dì straordinariamente grande non in Roma soltanto, ma in tutto l'Occidente e nella stessa Africa. Donde avvenne, che l'agro Verano circostante a quella basilica fu ne' principii del secolo quinto uno de' più ambiti luoghi di sepoltura, ed è oggi uno de' più feraci campi, che ci dieno monumenti cristiani di quell'età (V. Inscr. Christ. t. I. pag. 572). Adunque le preghiere di que' santi non furono vuote d'effetto; e come di Verecondo S. Agostino ebbe la consolazione di saperlo morto nella fede cattolica, così l'ebbe di Licenzio. Il quale poco visse, e poco progredì nella via degli onori; nè del matrimonio di lui è parola nell'epitaffio: forse s'arrese alle voci di quei santi, o sperimentò colla brevità della vita e con le deluse speranze la verità de' loro consigli. Insieme all'arca di Licenzio ne fu disotterrata una seconda in tutto simile alla prima, nella quale è inciso un lungo elogio di Fl. Magno retore della città di Roma, che assai illustra l'istoria letteraria e la cristiana. La divulgherò nel numero seguente con un breve commento.