Percorso : HOME > Cassago > Archivio Storico > Seicento > 1629 La carestia

1629: I drammatici effetti della carestia

Nobildonna lombarda in costume seicentesco

Nobildonna lombarda del primo Seicento

 

26 aprile 1629

Lettera di Giovan Battista Longhi parroco di Galbiate al Governatore di Milano che illustra la drammatica situazione della popolazione

 

A.S.M. Giustizia punitiva, parte antica, cart. 23 bis

 

 

È un documento molto toccante. Tenendo presente la personalità e l'operato di questo vicario foraneo, la lettera non pare forzata nei giudizi e nella triste realtà che illustra. La società che viene fotografata evidenzia molto bene i risvolti di vita misera e delinquenziale che la gente conduceva. Anche le espressioni paterne sono proprie di un prete abituato a correre da un paese all'altro per sostenere materialmente e spiritualmente la sua gente. Il documento è coevo ad una terribile carestia, quindi ad un momento di massima difficoltà, ma, per gli aspetti di vita quotidiana richiamati, va oltre, è rivelatore delle fatiche dei ceti rurali di quei decenni d'inizio Seicento. Tutto quel mondo, quel brulichio di contadini, braccianti, artigiani, piccoli proprietari, soldati, donne, giovani, religiosi, si agitava per sopravvivere e la precarietà della loro esistenza spesso li spingeva ad una lotta crudele, gli uni contro gli altri, per difendere il poco che possedevano, per arraffare anche quel poco.

 

 

Ill. ma Ecc. za

Come son certo che come ottimo padre haverà di già piena notizia della grande e comune miseria, nella quale si trova di presente questa numerosa figliuolanza dello stato nostro, e che le dolerà in estremo il cuore di vederla e di sentirla cotanto afflitta, così resto sicuro che si commoveranno quelle viscere sue paterne a segno di lagrimare, quando sappia le estreme miserie et oppressioni particolari di questi pur suoi figliuoli del Monte di Brianza.

lo sono pastore di Galbiate e vicario foraneo di due pievi di Lecco et Garlate et servitore devotissimo e molto antico della casa di v: S. Ill. ma, come lo attesterà Monsignor Reverendo suo, e non potendo ormai più sopportare i gridi universali e i pianti di questi poveri e miserabili popoli, mi è parso debito della carità pastorale di significare a v. S. Ill. ma, come capo di quell'eccelso consiglio e dei parenti della patria, come faccio con questa, le afflizioni dei loro infelicissimi figli.

Sappia dunque vostra S. Ill. ma che le cose nostre stanno in questo i stato: li poveri popoli moiono della fame; non vi è più un grano con che soccorrerli; siamo oppressi dagli alloggiamenti e necessitati a provvedere ogni dì di danaro; si leva la vacca a chi l'ha e susseguentemente il sussidio della vita, levando quel poco di latte; non abbiamo se non con difficoltà licenza di estraere dalla città un staro di fave o riso, ma, quel che è peggio, nel portarlo alle terre vien levato per rapina, così si fa col pane, che si porta, e con ogni altra vettovaglia; [sono] piene le strade d'assassini; non si lascia venire alle terre alcuna provisione che il tutto vien rubato, bisogna ben morire! Si sforzano li cavallanti di venire alla città uniti in venti in trenta, ma con ciò ritornano bastonati, maltrattati; [vi sono] molti rubamenti ogni notte et assassini, fratture nelle chiese e sacrilegi (bagno le carte nello scriverle con le lacrime), il molinaro è assassinato in quella pezza di strada nel condurre il grano o farina; viene rubato il mangiare mandato alli lavoratori di campagna; sin alli figliuoli che usino alla scuola un pane, che abbino nelle calze o nel cesto, sono schiaffeggiati; se si stende la bugata [biancheria ad asciugare] non c'è più nemmeno la camicia; non vi è più una gallina; il vitello nato di quindici giorni non si trova più sotto la madre; non si perdona neanco alli religiosi mendicanti; vengono rapite le donne e taccio cento simili cose.

Questo è parte dello stato miserando, nostro ottimo padre della patria. Come viveranno i nostri figli? E non si farà provisione a tanta miseria? La nostra speranza, dopo Dio, è riposta in loro parenti della patria. Non sopportino dunque più tante oppressioni e depressioni de noi devotissimi sudditi [...] ma accendino queste mie righe il petto pio di vostra S. Illustrissima, padre ottimo, al rimedio di tanti nostri mali e le fo riverenza.

Galbiate 26 Aprile 1629

Divotissimo Servitore Giò Batta Longhi