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Percorso : HOME > Cassago > Archivio Storico > Seicento > 1693 Pirovano eredità1693: Pirovano eredità
Il palazzo Pirovano dopo le ristrutturazioni del Settecento e Ottocento
1693
Controversie ereditarie nella linea di Gaspare Pirovano
Archivio Visconti di Modrone
1585
Giovanni Francesco Pirovano morì nel 1585 istituendo suoi eredi, come già abbiamo visto, i suoi cinque figli, fra cui il primogenito Gaspare che assunse il titolo di Triulzio III°. Da Margherita Corrada (forse una Tosi) prima di sposarsi Gaspare ebbe due figli, Giovanni Battista e Lodovico. Dopo il matrimonio, dalla stessa donna, che divenne sua moglie, ebbe Carlo.
1622
Il primogenito Giovanni Battista nel 1622 partì per il Belgio, dove ottenne il comando di una coorte di fanti alle dipendenze di un Tribuno, il nobile Marcello de Iudice.
1623
Nel 1623 fra i tre fratelli il Capitano Giovanni Battista, allora residente in Belgio, Lodovico e Carlo fu stabilito un patto in base al quale, alla morte del Padre Gaspare, la primogenitura Triulzio avrebbe dovuto passare a Carlo, in quanto nato e procreato legittimamente dopo il matrimonio contratto dal Padre. Carlo si impegnava a sua volta a pagare una pensione al fratello Giovanni Battista vita natural durante di duecento scudi annui. In caso di premorte di Carlo o di sua morte senza figli maschi o discendenti maschi sarebbe toccato al Capitano Giovanni Battista o ai suoi discendenti maschi il diritto di fregiarsi del titolo di Triulzio, dato che l'altro fratello aveva abbracciato la carriera ecclesiastica.
1625
Nel 1625 morì Gaspare Pirovano e divise la sua eredità in parti uguali fra i tre figli il Capitano Giovanni Battista, il reverendo Canonico Ordinario Lodovico e Carlo con la promessa di mantenere fra di essi il fideicomisso di cui il padre era titolare e di trasmetterlo ai loro discendenti maschi Pirovano all'infinito.
1626
Gregorio Naro, Protonotario Apostolico e Referendario di papa Urbano, Uditore generale delle Cause della Camera Apostolica nonchè Giudice ordinario della Curia romana, revoca la scomunica comminata da mons. Gio. Pietro Codalo Vicario generale di Pavia ai danni di mons. Lodovico Pirovano canonico ordinario di Milano. La scomunica era stata concessa su istanza di Uberto Maria Visconti per questioni di non obbedienza sorte fra i due. La sentenza dà ampiamente ragione a Lodovico Pirovano e condanna Uberto Visconti a pagare le spese del procedimento.
1630
Il 12 ottobre 1630 il Capitano Giovanni Battista ebbe un figlio dalla nobildonna fiamminga Robertina de Crunenburgh à Ctraco, che fu battezzato a Ovuermejre con il nome di Marcello Giovan Battista. Di quanto avvenne fece testimonianza il figlio di Marcello, il Capitano Marc'Antonio Pirovano. Il battesimo sarebbe stato impartito il 2 novembre 1630.
1631
Il 12 gennaio il capitano Giovanni Battista contrasse matrimonio con la nobildonna fiamminga Robertina de Crunenburgh da cui aveva appena avuto un figlio. Il matrimonio "contractum fuit per verba de presenti .."
1632
Il Capitano Giovanni Battista viene congedato e ottiene il permesso di ritornare in Italia, dove arriva nel 1633. Vi arriva da solo, perché abbandona moglie e figlio in Belgio.
1635
Nel 1635 muore Lodovico, Canonico Ordinario, e i due fratelli Carlo e Giovanni Battista procedono ad una nuova suddivisione della eredità. Nell'atto di divisione Carlo ribadisce il suo diritto di primogenitura e fa inserire una riserva di questo tenore: "... quae omnia fecit dictus Dominus Carolus cum reservatione quorumcumque fideicomissorum super dictis bonis divisis, si quae sunt, et non aliter ... " A sua volta il Capitano Giovanni Battista pretende che venga inserita una sua dichiarazione: "Cui reservationi dictus Io. Baptista non consensit in aliquo sibi praeiuditiali et non aliter .." Il carattere turbolento di Giovanni Battista esplose nel 1638 quando fu accusato di omicidio e per questo grave delitto venne condannato in contumacia "capitaliter " oltre alla confisca di ogni bene.
1640
Non si sa come, ma nel 1640 il Capitano riesce a liberarsi dal bando di condanna emesso dalla giustizia spagnola di Milano. Ne fecero testimonianza, in anni successivi, per motivi di eredità, il conte Anguissola e l'abate Busca il giorno 27 giugno 1698.
1642
Il Capitano si trova di nuovo invischiato in un procedimento giudiziario di natura fiscale. Probabilmente aveva tentato di ritornare in possesso dei propri beni confiscati e deve averlo fatto in maniera poco ortodossa tanto che la Regia Ducale Camera aveva promulgato una grida fiscale, che il Capitano non aveva osservato. Suo fratello Carlo, preoccupato per gli esiti negativi dei provvedimenti della giustizia fiscale, cerca di cautelarsi e riesce a ottenere dal Magistrato fiscale una prima sentenza a lui favorevole che gli assicura la validità del fideicomisso. Altre sentenze, sempre a suo favore, gli riconfermano i suoi diritti nel 1648 e nel 1649. Nel frattempo Giovanni Battista Pirovano se ne ritornò in Belgio dove rimase fino al 1653, probabilmente presso la moglie. Il fratello Carlo gli versava 250 lire ogni mese per garantirgli gli alimenti, come si evince dal contenuto di diverse lettere che scrisse al nipote Marcello Giovan Battista.
1653
Nel 1653 Marcello Giovan Battista, figlio del Capitano Gio: Battista si sposò a Bruxelles con donna Antonia de Sotello e poco dopo il matrimonio si trasferì in Italia e andò ad abitare a Milano, città di origine della famiglia Pirovano. Qui suo zio Carlo lo accolse e si diede da fare perché avesse un incarico nella pretura forse di Cantù: e in questo paese sua moglie Atonia de Sotello diede alla luce Marco Antonio, che diventò a sua volta Capitano.
1658
Nel 1658, il 25 settembre, morì Carlo Pirovano Triulzio quarto lasciando un testamento in cui nominava suoi eredi universali le sue due figlie le nobildonne Costanza Anguissola, contessa, e Margherita Busca, marchesa. Lasciò anche un legato per il nipote Marcello di 400 lire annuali, da trasmettere anche ai suoi figli.
1659
Nel 1659 morì, appena ventinovenne, anche Marcello Giovan Battista nella città di Pavia. Lasciò un testamento in cui nominava suo erede universale il piccolo figliolo Marco Antonio di soli sei anni. Quasi subito sua moglie Antonio de Sotello convolò a seconde nozze con il signor Capitano della Roccha e con il nuovo marito e il figlio avuto dal primo matrimonio partì per Napoli. In questa città Marco Antonio risiedette fino al 1690, si sposò ed ebbe due figli, Giovanni Francesco e Giovanni Battista.
1690
Nel 1690 Marco Antonio Pirovano ritornò a Milano. Fu accompagnato nel suo viaggio da Jacopo de Ciancaleonibus detto de Brancaleone. Ritornò a Milano con lo scopo di fare valere i suoi diritti rispetto al testamento del bisnonno Gaspare Pirovano contro i conti Anguissola, i marchesi Busca e la contessa Donna Teresa Visconti di Modrone. Avviò subito un processo per ottenere un compromesso e grazie all'intervento degli avvocati Corelli, Trenta e Cabiato riuscì nel 1691 a farsi riconoscere il titolo di Illustrissimo.
Quello stesso anno presentò una ulteriore petizione presso gli arbitri giudiziali circa il fideicomisso di Gaspare Pirovano. E a sostegno delle sue tesi presentò le lettere di Carlo Pirovano e del venerabile don Francesco Corrado che attestavano la nascita e permanenza in Belgio di suo padre Marcello presso la casa paterna. Le stesse lettere affermavano che papà Marcello era vissuto con la madre, trattato e considerato come figlio naturale e legittimo del Capitano Gio:Battista Pirovano e di Robertina de Crunenburgh à Cotraco. Dalle lettere presentate risultava confermato anche il legato predisposto dall'avo Carlo.
Il compromesso raggiunto con gli eredi Pirovano non aveva un gran valore, cosicché quando il Capitano Marco Antonio se ne tornò a Napoli, Jacopo de Ciancaleonibus, suo Procuratore, pensò bene di rinnovarlo chirograficamente presso l'avvocato Trenta. Costui pronunciò un lodo in cui fu recepito integralmente il compromesso, che fu ratificato da tutte le parti interessate e quindi sottoposto all'esame del Senato. Ma il Capitano Marco Antonio impugnò il lodo perché riteneva che fosse nullo e gli procurasse svantaggi, per cui si rivolse al Senato e ad una commissione presieduta da un Visconti con lo scopo di far valere le sue ragioni e precisamente la sua diretta discendenza da Marcello Giovan Battista e quindi dal capitano Giovanni Battista Pirovano e Rubertina de Cronenbourgh.
Il conte Anguissola e i fratelli Busca tuttavia impugnarono le richieste di Marco Antonio e negarono la validità sia dell'atto di battesimo di Marcello quanto di matrimonio del Capitano Giovanni Battista con Robertina di Cronenbourgh.
Marc'Antonio però riuscì ad ottenere dal Senato le lettere requisitorie per il Consiglio della città di Gand in Belgio, perché venisse fatto un estratto degli atti di battesimo e di matrimonio in forma autenticata da rimandare allo stesso Senato milanese. A questo punto insorse Jacopo de Ciancaleonibus che davanti al Senato mosse un'accusa contro il Capitano Marco Antonio pretendendo di avere la sesta parte dell'eredità Pirovano e in più agì contro Marco Antonio anche in Belgio.
Alla fine di tutte queste schermaglie procedurali il Senato emise il 23 maggio 1693 la propria sentenza che accolse le richieste del conte Anguissola e dell'abate Busca imponendo al Capitano Marco Antonio un termine entro cui presentare le sue eccezioni. Marco Antonio costituì suo procuratore in Belgio Marziale Trintio, capitano della Squadra Equestre, mentre la sua parte avversa si avvalse in Bruxelles dei servigi di Carlo Maria Renzolio. Le ricerche che furono condotte portarono alla luce la macchinazione che Jacopo de Ciancaleonibus era riuscito a compiere in Belgio. Nel marzo 1694 il Consiglio di Gand scrisse un memoriale al Senato milanese in cui dichiara le falsità imputate al Ciancaleonibus.
Lo stesso Consiglio di Gand inviò al Senato una attestazione del vescovo della città e nel giugno del 1695 inviò una nuova dichiarazione riguardante le eccezioni che gli erano state sottoposte. Fu riconsiderato l'istrumento di confesso fatto dal Capitano Marco Antonio, quando era ancora in minore età, a favore della contessa Costanza Anguissola e della marchesa Margherita Busca in forza del legato lasciato da Carlo Pirovano. La sentenza fu emessa sotto forma di Lettere Patenti alla presenza dell'Abate mons. Filippo e di Antonio Pirovano, in qualità parenti consanguinei più stretti, che rappresentavano il Capitano Marco Antonio. I due giurarono, secondo la consuetudine, di esserne a conoscenza e ne trassero uno strumento notarile.