Contenuto
Percorso : HOME > Cassago > Il Novecento > L'Istituto S. Antoniol'Istituto S. Antonio di Cassago
La scalinata settecentesca di accesso all'Istituto nel 1945
L'ISTITUTO S. ANTONIO DI CASSAGO BRIANZA
di don Leo Brazzoli
pubblicato su Notiziario della Provincia del Nord Italia a Como n. 17 novembre 1977
Di don Mazzucchi, da tempo infermo, racconta fratel Anania che, avendogli portato, verso le 7,30, un po' di colazione, gli chiese di enumerargli le Case dell'Opera dell'Alta Italia. - Como, Barza, Albizzate, Anzano, Lecco ... man mano che le sentiva passare, gli occhi gli luccicavano.
Quando si fermò, parendogli di averle numerate tutte, sentì dirsi: - Continua, continua ... Fratel Anania non ne ricordava più.
- Ne hai dimenticato una: - E' Cassago. Furono le sue ultime parole.
Entrò quasi subito in coma. Quasi un saluto estremo, la promessa di portarne il ricordo in Cielo. Così lo ritiene l'Istituto S. Antonio, che risponde con l'impegno a svolgere diligentemente la sua missione di assistenza ai ragazzi della Brianza. Questa casa è come un robusto pollone, spuntato sul ceppo del San Gaetano di Milano.
Mi scuso se narro in prima persona, ma è perché ho vissuto gli eventi inerenti all'apertura e alla prima vita. Il 24 ottobre del 1942, Milano subì un duro bombardamento, uno dei più disastrosi della guerra. Giunti nelle prime ore del pomeriggio, gli aerei inglesi scaricarono sulla città tonnellate di bombe producendo danni ingenti. Al San Gaetano non c'era rifugio antiaereo e ci si era ormai abituati agli allarmi che erano all'ordine del giorno. Quando urlarono le sirene, gli alunni si trovavano in cortile per la ricreazione: diedi l'ordine di sospenderla e di portarli nelle aule di studio. Cominciai poi un giro, partendo dalla prima, a fianco degli uffici, per accertarmi che tutto fosse in ordine.
Arrivato all'ultima, trovai gli alunni più grandi ammassati alle finestre, che si divertivano ad osservare le acrobazie degli aerei. Alzai la voce per rimuoverli da quel posto che poteva essere pericoloso e farli rientrare ai loro posti. Fu appena in tempo per evitare un disastro: un mitragliamento secco e deciso prese di mira proprio le finestre; non ci furono guai e lo dovemmo sicuramente alla protezione di Don Guanella, di cui ricorreva il ventisettesimo Anniversario. Cominciarono subito I boati delle bombe e I colpi dell'antiaerea. Si cercò riparo nel locale d'angolo, quello che s'incontra in fondo alla scala degli alunni e che è servito ad usi vari, attualmente a bar. Se non la sicurezza, dava una certa illusione. Furono ore di terrore. La città fu massacrata. Nella nostra zona, fu preso di mira il nodo ferroviario della Ghisolfa (allora non c'era ancora il cavalcavia e tanto meno la sopraelevata). Caddero più bombe: un forte spostamento d'aria spalancò le finestre in alto e gettò all'improvviso tutti a terra. S'eran fatti tutti pallidi.
- Hanno atterrato un aereo nemico - ebbi lo spirito di dire; e tutti ripresero fiato, anche se di aerei, non ne erano affatto caduti. L'incubo durò più di tre ore; a noi non accadde nulla. Quando, sull'imbrunire, fu dato il cessato allarme, fu un susseguirsi ininterrotto di telefonate da parte dei parenti, preoccupati per la sorte dei loro cari. Ci si persuase però che non era possibile restare nel pericolo, così come eravamo, senza un minimo di attrezzatura: sarebbe stato un tentare Dio. Si discusse come affrontare la situazione e si prospettò anche l'ipotesi di rimandare a casa tutti gli alunni. Apparve subito l'inopportunità di chiudere l'Istituto. La quasi totalità dei rimasti non aveva modo di sfollare, se no l'avrebbero fatto, come era stato per altri. Nel momento di maggior bisogno, la nostra Opera doveva dare il maggiore aiuto. Si ventilò l'idea dello sfollamento.
Dove ? - Facile a dirlo, non altrettanto l'attuarlo. Direttore era Don Gaetano Bassani, giunto proprio il giorno innanzi, sconvolto e "piangente" da Roma, dov'era stato parroco per molti anni, incapace d'afferrare la situazione. Il bombardamento gli aveva distrutto il poco spirito di cui disponeva. C'era don Filisetti, il fondatore e primo direttore dell'Istituto, allora Economo Generale, uomo di grande saggezza. Mi rivolsi a lui: vide sì, bene, il proposito, ma pose in risalto le difficoltà, tanto grandi da consigliare di non tentare neppure di superarle. Combinai di andare a Como, a parlarne con don Mazzucchi, Superiore Generale. Lui mi diede approvazione ed incoraggiamento. Mi suggerì subito di rivolgermi alla Curia per avere l'uso della Villa del Seminario, a Breccia. Manco a dire che corsi dal Direttore dell'Ufficio Amministrativo. Ma arrivavo in ritardo, quando già una parte era stata affittata.
Rientrato in casa, m'incontrai, in Pia Opera, con don Ambrogio Buzzi, al quale dissi il motivo della mia presenza a Como e la prima delusione. Mi suggerì: - Prova a chiedere la Villa estiva del seminario di Lodi a Cassago. La conosco perché è vicina al mio paese. Andrebbe benissimo. Io non sapevo neppure che esistesse Cassago. Ma il giorno dopo ero a Lodi, dal Vescovo mons. Pietro Calchi Novati a fare la mia richiesta. Mi accolse con grande bontà e manifestò il desiderio di accontentarmi. Però - mi disse ... son già in parola con le Suore Figlie di Maria Ausiliatrice di Milano, che son sul punto di conchiudere. Sono solo in dubbio perchè avrebbero un'altra scelta. Poi ho avuto una identica domanda da mons. Lodovico Gianazza, per il Collegio S. Carlo di cui è Rettore.
Ragazzi a scuola nell'Istituto nel 1949
Mi dissi: - Se le Suore di Maria Ausiliatrice sono in forse perché hanno un'altra scelta. Potrebbero almeno indicarmi questa seconda possibilità.
Andai alla Casa Ispettoriale di Via Bonvesin della Riva, dopo essermi fermato nella Chiesa di S. Maria del Suffragio, a fianco, a chiedere aiuto alla Madonna. La Superiora si mostrò di una bontà e di una comprensione eccezionale. Mi disse:
- L'alternativa è nella nostra Casa di Bellano, dove c'è un Convitto per ragazze operaie; la voi non potete andarci. A Don Guanella però cediamo volentieri ogni diritto di precedenza, contente che andiate a Cassago.
La "cessione" era fatta a noi, e pensavo d'essere a cavallo.
Tornai dal vescovo, sicuro, con la vittoria in mano:
- Le Suore di Maria Ausiliatrice si ritirano, solo per fare un piacere a noi.
Ma il vescovo non fui pienamente convinto:
-Prima di voi, ha chiesto il Collegio S. Carlo, solo se questo rinuncia, potrete andare a Cassago.
Ma Mons, Gianazza si mostrò irremovibile. Non valse la prospettiva che a loro le Suore non cedevano la precedenza. Non intendeva rinunciare all'eventuale possibilità. Fu dopo due giorni che mi telefonò, per comunicarmi "via libera". lo considerai una grazia della Madonna.
Corsi la Lodi ed ebbi il permesso di occupare la Villa. Ci fu fissata la quota di affitto in L. 20.000 annue. Ora, c'era da andare a vedere questa Villa. Un primo girono, presi il treno nel pomeriggio: secondo gli orari ben consultati, c'era il tempo di far tutto. Ma allora i treni non seguivano più orari: il mio si fermò poco oltre Sesto S. Giovanni per qualche ora e poi venne la comunicazione che non avrebbe proseguito. Così dovetti tornare a casa.
Ci arrivai a Cassago, il secondo giorno, con don Dante Redaelli. Visitammo la casa, facemmo i nostri piani, mangiammo un boccone portato con noi nel mezzanino, posto sopra la direzione e tornammo felici. Sarebbe stata per noi una sede ideale: vasta, con tutti i locali necessari, in luogo fuori dal pericolo e abbastanza comodo con Milano.
Era una casa di campagna, costruita sicuramente per qualche signorotto, desideroso di passare la stagione calda fuori città. Ora, adattata con accorgimenti ed ampliamenti, serviva al Seminario di Lodi per le ferie estive. L'aveva comprata dai Conti Parravicini di Como.
Merita d'essere ricordato che proprio lì, nel 1923, era nata la "Opera Assistenza Minorenni" di cui era fondatore don Carlo Fumagalli, che fu poi per vari anni il Superiore delle Suore della Sacra Famiglia di Mese. Poi la sede era stata portata a Maccio, come più vicina alla città che l'avrebbe dovuta "sostenere" e la casa di Cassago rimase vuota. Il 5 dicembre 1925, era stata acquistata dalla Società Anonima Beni Stabili Lodigiani, per la mensa Vescovile di Lodi, al prezzo di L 280.000. - In seguito al Concordato, in base al quale gli Enti Ecclesiastici acquistavano il diritto di possedere, in data 15 novembre 1939, era passata al Seminario Don Guanella trovava ad accoglierlo lo spirito eletto di un vecchio Amico. A fare l'acquisto era stato il vescovo Mons. Lodovico Antonelli, già Provinciale dei Frati Minori di Milano. Mentre costruiva la chiesa di S. Antonio allo Scalo Farini, aveva avuto l'incoraggiamento di don Guanella, che gli aveva donato quanto aveva in tasca - dieci centesimi ! ... - ma ben più la fiducia nella Provvidenza, e quello della sua preghiera perché andasse ad ottenere da un Benefattore la somma urgente di seimila lire.
In visita d'acquisto, era stato accompagnato dall'Abate Schuster, allora Visitatore Apostolico ed in seguito Arcivescovo di Milano. Aveva prestato la sua opera di intermediario volonteroso e disinteressato il Parroco don Enrico Colnaghi, che trovavamo ancora sul posto, ormai cieco, ma pur vivacissimo.
All'ingresso ci si incontrava - come del resto tuttora - con la cappella dedicata alla Madonna: sull'altare di marmi policromi, una bella pala dello sposalizio. Anche al soffitto e alle pareti laterali affreschi, assicurati di buona fattura: il tutto del Settecento.
A questa Cappella, si portava processionalmente il popolo di Cassago, nel secondo giorno delle Litanie Maggiori, chiudendo con le celebrazioni della S. Messa. Vi si celebrava anche quando c'era da "sacramentare" gli infermi di quelle frazioni.
Riferimmo a Milano le nostre impressioni. Don Filisetti ci disse: - Se ce la fate in un mese ad effetuare lo sfollamento, siete bravi.
Ci mettemmo una settimana.
A Milano, don Bonetti caricava sui carri e portava in stazione, Scalo merci Farini. Don Redaelli dirigeva il carico sui vagoni e li accompagnava fino a Lambrugo. Io aspettavo il carico a Cassago, per sistemare tutto nei vari locali. Finite le masserizie, sfollarono i ragazzi. Non ricordo con precisione quanti fossero, ma dovevano avvicinarsi ai duecento, se impiantammo tutte le otto classi, dalla prima elementare alla terza avviamento. L'attrezzatura scolastica era ben misera: grandi tavoli, con attorno panchine per sedersi.
In compenso ci eravamo ben premuniti per l'insegnamento. Il Provveditore aveva concesso che ci seguissero gli Insegnanti delle Elementari; anche il Direttore Didattico, Prof. Giobbi, era con noi, con tutta la famiglia in un locale a pianterreno, dove ora è il garage. Ci aveva giovato molto l'intervento del Vice-Provveditore Prof. Guarnaccia, con cui avevo stretto una relazione di quasi amicizia.
Per le classi di Avviamento ci saremmo industriati. Don Mazzucchi aveva mandato da Roma Don Antonelli ad insegnare materie letterarie e poi don Pavesi, il 14 novembre, per la matematica. Io m'ero preso Francese e computisteria; in seguito giunsero don Rollino per la dattilografia e la stenografia e don Uglietti ancora per le materie letterarie. Vi aggiungemmo qualche altro del posto e fummo a sufficienza.
La Scuola di Avviamento fu una benedizione non solo per i nostri,ma per molto altri ragazzi della zona che dovevano frequentarla molto lontano. Avemmo così un buon numero di alunni fra interni e d esterni.
Il primo anno si chiuse senza esami; fu ritenuto titolo di promozione l'iscrizione e qualche voto del primo trimestre a Milano. Il secondo ed il terzo anno ci recammo alla sede di Milano per gli esami. L'ultimo anno, nel 1946, ottenemmo un Commissario per la nostra e per un'identica scuola che funzionava a Barzanò, presso il Parroco vi facemmo gli esami con esito molto soddisfacente.
La scuola s'era staccata da Milano, per la insostenibilità della posizione giuridica, trovandoci in provincia diversa. Avevano ottenuto dal Provveditore agli studi di Como, molto comprensivo, l'autorizzazione a funzionare per l'anno scolastico 1945-46. Don Antonelli aveva attenuto la Presidenza. Il decreto ministeriale sarebbe stato formato colo il 26.6.1947.
Pochi giorni prima il 19.0.1947 era stato firmato il decreto per il riconoscimento di tutte tre le classi. Tanto tardano le ... carte !
Trattandosi di Avviamento a tipo commerciale, occorrevano le macchine da scrivere. Ce le prestò benevolmente la Scuola Piatti, ma i ladri ce le rubarono, con molte altre cose, così che dovemmo rimborsare il danno.
Toccammo con mano la Provvidenza di Dio. Bocche ne avevamo portate molte, ma viveri nulla. Pure riuscimmo sempre ad avere il necessario ed oltre. Già nei primi giorni andai al salumificio Vismara di Casatenovo per ottenere qualche aiuto. Incontrai grande bontà e comprensione. Oltre al regalo immediato la Sig. Maria Beretta, moglie del Sig. Luigi, uno dei titolati, mi disse:
- Venite pure, non tutti i giorni, ma anche un giorno sì e uno no; vi daremo con molta larghezza, anche per industriarvi con qualche scambio.
La mortadella, razionata con tessera, costava allora L. 22 al chilo; ce la cedevano a volontà a L. 18. Ed aggiungevano il "regalo" ad ogni acquisto. Quando venne a mancare il sale, divenuto prezioso come e più dell'oro, il Sig. Vismara, rimproverandoci benevolmente d'esserci lasciati prendere alla sprovvista, ce ne regalò un quintale.
Molto ottenemmo dalla Sepral, L'Ente preposto all'alimentazione; e molto raccogliemmo con la ... nostra industria. Don Pavesi fece una puntata a Melzo, dove aveva la famiglia. Trovò e comprò a buoni prezzi più quintali di riso e di farina di granturco. Su una strada vigilata da agenti dell'Annonaria, passammo indisturbati per quattro o cinque viaggi. Solo quando, finito il trasporto irregolare, mandammo la stessa persona con o stesso mezzo, a prelevare legna, con regolare buono di assegnazione, nei tre chilometri che separano Cassago da Barzanò, fu fermato ben due volte.
Pur con qualche disagio, a Cassago fu la vita normale di un Istituto. Ci scaldavamo con stufe di fortuna. Organizzavamo recite sul palco quasi tutte le domeniche. Fummo disturbati solo quando la guerra era al suo epilogo: picchiate di arerei nemici sulla strada principale, qualche movimento di partigiani, bombardamenti lontani, ma ben distinti, che annunciavano lo scontro finale.
Alessandro Pizzi con don Buzzi sulla scalinata dell'Istituto
Furono molti gli Amici e i Benefattori che ci diedero l'appoggio morale ed economico. però avevamo dato sia nel campo educativo che in quello pastorale, dove s'eran distinti particolarmente don Bassani e don Pavesi.
Si ebbe la prova della fiducia di cui godeva la nostra Comunità, al momento dell'armistizio, quando venenro a galla le ostilità e gli odi partigiani. Molti furono presi e portati via per subire interrogatori e provvedimenti. Il podestà dr. Pericle Filippis, ottima persona pur con l'iscirzione al fascio, chiese sulla parola d'essere "confinato" nell'Istituto. Lo stesso fece il Segretario Comunale Dr. Rizzo. E ne avvantaggiarono perché in breve furono rimessi in libertà, senza altri fastidi.
Quando poi, tornata la pace e finito il pericolo, ci preparavamo a riprendere la via del ritorno, si fecero avanti gli Amici per invitarci a restare. Già don Bassani, che era brianzolo, aveva deposto il pensiero della Chiesa e della parrocchia a Milano, e voleva a tutti i costi rendere definitiva la nostra presenza in Brianza. S'era dato da fare a trovare un posto vicino e ne aveva visitato a Barzanò, a Merate, a Tavernerio, ad Anzano. Le sue prospettive erano però tutte irrealizzabili, urtando contro il fattore economico.
Fu il Sig. Pizzi Alessandro, cordiale e generoso sempre, cristiano praticante - aveva l'abitudine di un po' di meditazione tutti i giorni - e industriale avveduto, che prese l'iniziativa.
Ci disse:
- Non potete andar via. troppi ragazzi han bisogno di voi. Vi dò un milione se comprate e restate.
- E dove prendiamo i restanti '
Tornò e propose:
- Vi faccio avere la metà.
- Non abbiamo l'altra metà.
E quando si stava ormai organizzando il ritorno:
- Non andate via. Coi Vismara e con qualche altro, pagheremo tutto noi.
Ed avemmo la Villa Immacolata che diventò il nostro Istituto S. Antonio. Il gruppo promotore era costituto (in ordine alfabetico) dagli industriali: Fratelli Corti di Barzanò, Molteni e C. di Lambrugo - Molteni Giovanni di Nibionno - Pizzi Alessandro di Cremella - Rossini di Costamasnaga - Vismara Francesco di Casatenovo. Anima di tutto, con l'obbligo di pagare spesso di tasca propria, il Sig. pizzi. inviarono una circolare a tutte le persone facoltose della zona, concedendo la qualifica di Socio Fondatore agli offerenti di almeno L. 150.000.
Intanto a Milano era ripresa la vita ordinaria, prima con l'assistenza a un buon numero di ragazzi profughi della Libia e poi con l'ammissione di nuovi alunni, fino al completo dei posti disponibili. Era venuto il Capitolo Generale e seguirono i cambiamenti. Fui mandato a iniziare la Casa di Gino a Como-Lora. Mi sostituì don Gino Mambretti, che prese prima il mio posto di Prefetto e in seguito, nel 1949, aggiungendo quello di Direttore. Don Bassani, ormai quiescente, con molti acciacchi, rimase a confessare fino alla morte, avvenuta il 5 dicembre 1952.
Bisognava rendere la casa più funzionale. Se in tempo di guerra, in condizioni di provvisorietà, poteva andar bene tutto, con la stabilità occorreva rivedere molte cose.
Anzitutto si provvide all'impianto di riscaldamento, di cui la casa era ancora prova: lo eseguì la Milano Termica. Nel contempo si provvide ad un adeguato impianto di docce. Si costruì il portico adiacente al fabbricato, nel cortile interno; era necessario per le comunicazioni fra i vari reparti e per riparo durante la ricreazione, in caso di maltempo. Sorse anche, addossato alla chiesa, un locale che aveva il duplice scopo di servire da palestra e da teatro. Non piacque al Superiore don Alippi, che non aveva visto ed approvato i progetti. A progettare questi lavori fu l'arch. Wilhem e ad attuarli la ditta Valassi di lecco.
Don Mambretti acquistò un lotto di terreno, all'esterno della proprietà, allo scopo di poter conservare la necessaria indipendenza; glielo cedettero i fratelli Mario e Giuseppe Ratti, per la somma di L. 385.000. Il compromesso del 1.3.1953 affrettato col solo permesso presunto del Superiore, per timore che sfuggisse l'affare, fu perfezionato con regolare atto il 15.4.1953.
A succedere a don Mambretti fu chiamato don Angelo Rollino, che "tornava" dopo un periodo di sei anni ad Albizzate. Egli conosceva bene la casa, dov'era stato economo e insegnante di steno-dattilografia negli anni dal 1944 al 1950. Sapeva del bisogno di provvedere la Scuola d'Avviamento di una sede adatta e si pose all'opera, portando la sua sagacia e la sua esperienza. Fra gli anni 1958-59, su disegno dell'Ing. Pietro Paglia, e con l'esecuzione della Impresa Valli, realizzò il nuovo fabbricato, curato con ogni impegno, così da riuscire veramente elegante e funzionale. Commentava, fra il serio e l'ironico, l'Impresario che s'era consumato un paio di scarpe nel controllare la giusta posa di ogni piastrella del pavimento.
Don Alimandi, ad assestamento avvenuto, provvide alla pavimentazione in porfido del Trentino e alla illuminazione. A dirigere la scuola. come Preside, era stato mandato don Garavaglia Olinto, sostituendo il "benemerito" don Antonelli Ferdinando, trasferito al Collegio di Roveredo. E' certo che un po' di sangue nuovo porta nuova vita e l'Istituto continuò ad acquistare buon nome nella zona.
L'andata di don Rollino a Feltre non fermò nessuna delle attività, neppure quelle edilizie. Don Cadenazzi aveva molta esperienza e molto impegno. Portò un largo contributo di opere.
Con lavori arditi, progettati e seguiti da un Ingegnere della vicina Cementeria - che fu largo di aiuto economico - raddoppiò il refettorio, chiudendolo poi con una grande vetrata, a oriente; non fu solo acquisto di spazio, ma anche di luce e di aria, in una allegra eleganza. Chi attendeva una decente sistemazione erano le Suore, ancora confinate nei locali del rustico, sotto i nudi travi del tetto. C'era, a ridosso della cucina, una casetta alla quale si guardava da tempo: una finestrella interna creava addirittura una comunicazione, sia pure chiusa abitualmente ed ermeticamente.
Si fecero delle richieste, si trattò l'acquisto e si giunse fino alla promessa di una permuta con altra casetta da costruirsi. Gli accordi si arenarono quando si trattò dell'ubicazione. I venditori chiedevano che fosse sul terreno acquistato al preciso scopo di tener lontane altre abitazioni, ciò che non fu creduto opportuno. Così, scartata l'idea, fu progettata e realizzata l'attuale casa, molto comoda e rispondente. I lavori iniziati il 2.8.1965 erano dichiarati chiusi il 22.10.1966.
Il Comune concedeva l'abitabilità il 1 nov. 1966. Ci si doveva accorgere più tardi che il terreno, su cui si era costruito, pur incluso nel recinto, era di proprietà della Cementeria. Contemporaneamente don Cadenazzi provvedeva al nuovo impianto di cucina, sostituendo la vecchia macchina trovata alla nostra venuta, con modernissime Zoppas. Furono collocate il 17 aprile 1966.
Erano stati risolti anche i problemi del guardaroba e dell'infermeria, tutt'altro che trascurabili con l'aumentato numero dei ragazzi; con qualche demolizione e con la costruzione di pareti s'erano ridotti funzionali i locali già usati a dormitorio. I servizi dell'Istituto avevano avuto una razionale ed aggiornata collocazione. Anche i tetti furono rinnovati: se ne andarono i bei coppi, per far posto alle moderne e più prosaiche tegole in eternit.
Ad eseguire questi lavori aveva chiamato l'impresa Vallassi di Lecco. Non fu trascurata neppure la piccola azienda agricola, che poteva essere di non indifferente utilità per la casa. Fu provvista di mucche per la fornitura del latte fresco e di un pollaio sperimentale che desse uova e carne: per la sua costruzione, la Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Como elargì un contributo di L. 500.000.
Don Cadenazzi scomparve presto ed improvvisamente. Aveva approfittato delle vacanze dei Morti per una breve visita al cimitero del paese nativo, Lenno, sul lago di Como. Il 3 novembre 1966, la morte lo coglieva con una congestione cerebrale, che provocò una paralisi e poi la fine, nella Clinica Valduce di Como, dov'era stato trasportato. Tornò cadavere al suo Istituto, che gli tributò un affettuoso e grandioso omaggio e lo salutò nel viaggio per il cimitero di Luino. Voleva essere vicino e fu vicino ai suoi cari.
Venne a sostituirlo don Alimandi Enrico, la cui prima preoccupazione fu quella di trasformare in Statale la scuola privata. Lo spingeva, oltre che motivi economici, la difficoltà del personale insegnante. Svolse personalmente e con tenacia la pratica al Ministero della P. I., al quale presentò domanda il 30.3.1967; col 1 ottobre dello stesso anno, nei locali dell'Istituto, in dipendenza della sede di Barzanò, già funzionava il distaccamento, a beneficio degli alunni interni e di tutto il paese di Cassago. Non è da passare sotto silenzio che, per la necessaria concessione del nulla osta, il Comune volle ed ottenne una convenzione novennale, dov'erano ben evidenziati i propri diritti, a scapito dell'Istituto. Migliorata alla bell'e meglio alle singole scadenze, fu rifatta nel marzo del 1977, tenendo conto delle necessità dell'Istituto ed applicando quote distinte per l'affitto ed il rimborso delle spese di luce e riscaldamento.
Il decreto di soppressione della Scuola legalmente riconosciuta venne solo tre anni dopo, e porta la data del 7.5.1970.
Successore di don Alimandi, fu don Giuseppe Bernasconi, che si fermò solo un anno, perché nel 1971 fu nominato primo Provinciale dell'appena costituita Provincia religiosa del Nord Italia e poi, alla morte di don Vito Zollini, Vicario Generale della Congregazione.
Ebbe tempo di por mano al rifacimento totale della centrale di riscaldamento, portata poi a termine da don Luciano Botta che lo seguì nella Direzione. Con lui, furono provviste ampi e moderne celle di refrigerazione, e la dispensa ebbe una pratica attrezzatura. Molte spese di ordinaria manutenzione hanno finora fermato il progetto che pur sta molto a cuore: la divisione delle grandi camerate in comode e raccolte stanzette. sarà il primo grosso lavoro che segnerà un altro passo in avanti.
La cronaca segue e segna soprattutto lo sviluppo economico; è chiaro che è difficile fare altrettanto con l'attività educativa e di studio, che ha più dell'ordinario: i piccoli mattoni non fanno storia, o ben di rado. fanno però i grandi fabbricati. E l'Istituto S. Antonio di Cassago fonda la meritata simpatia di cui gode in una larga schiera di Ex, che fra le sue mura si sono preparati alla vita.
(don Leo Brazzoli)
Direttori della casa:
1942 don Bassani Gaetano da Milano
1949 don mambretti Gino
1956 don Rollino Angelo
1962 don Cadenazzi Giuseppe
1966 don Alimandi Enrico
1970 don Bernasconi Giuseppe
1971 don Botta Luciano