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Percorso : HOME > Cassago > Il Novecento > Giuseppe RivaGiuseppe Riva: DON MOTTA, UN AMICO, UN MAESTRO
Il parroco don Giovanni Motta
DON MOTTA, UN AMICO, UN MAESTRO
di don Giuseppe Riva
Sono stato ordinato sacerdote nel 1969 e ho celebrato la prima S. Messa qui a Cassago il 29 giugno di quell'anno. Don Giovanni Motta è l'unico parroco che io abbia conosciuto a Cassago. Io ho trascorso tutta la mia giovinezza con lui, frequentando l'Oratorio fino a 21 anni quando sono entrato in seminario.
E' stato ancora lui che ha preparato con don Lorenzo la mia prima Messa. Mi ricordo bene il suo ingresso a Cassago a giugno del 1948. Io allora frequentavo la quarta elementare ed era maestra la signora Corti Irene. Si faceva scuola nelle aule dell'oratorio maschile dove abitava anche suo fratello Severino. Il paese era tutto addobbato per la festa e noi ragazzi di scuola facemmo un giorno di vacanza. Mi ricordo anche una gita a Torino in pullman dove visitammo i luoghi di don Bosco e il Cottolengo: fu una gita straordinaria di cui non ho mai perso il ricordo.
Per noi era una novità anche il pullman perché fino a qualche anno prima ci si muoveva solo con il carrettino. In occasione della mia prima comunione i miei genitori avevano noleggiato il camion di Bafin de Barzanò su cui avevano caricato al mattino le panche della Chiesa per poter stare seduti più comodi. Bisognava stare attenti in curva perché se era un po' stretta "se stravacàva."
Credo che la ristrutturazione dell'oratorio maschile sia stato il suo primo impegno a Cassago così come il cinema Augustus che ricavò da una vecchia filanda che esisteva già, ma che aveva bisogno di interventi urgenti. Ricordo anche la costruzione ex-novo dell'oratorio femminile: acquistò un terreno, poi li permutò con altri del beneficio parrocchiale. So bene queste cose perché ho vissuto vicino a lui. Ogni sera lo incontravo all'oratorio e se ne parlava continuamente.
Don Motta costruì il nuovo oratorio perché la duchessa aveva chiuso l'asilo alle ragazze che lo usavano come luogo di ritrovo. Mi ricordo che era il giorno di S. Pietro, allora si faceva ancora festa di precetto, e don Giovanni dopo la messa andò di famiglia in famiglia a chiedere 1000 lire. Aveva una borsa di pelle nera che apriva per chi dava un contributo: riuscì così a raccogliere circa 300.000 lire. Con quei soldi avviò la costruzione di un oratorio femminile perché a quei tempi era inconcepibile parlare di un oratorio misto. Molto interessante è stata la sua spiritualità. Io lo ricordo come un uomo povero, lo era anche perché era un po' disorganizzato e un po' spregiudicato nel fare le spese. Certo non era molto abile in ragioneria: questo giudizio non suoni negativo, soprattutto per un prete che deve principalmente preoccuparsi del bene della sua Comunità.
Aveva però una fiducia illimitata nella Provvidenza: ho in mente qualche episodio sentito da lui o dalle persone che lo frequentavano. I primi tempi aveva un mosquito ma poi acquistò una topolino usata e quando era senza benzina e senza soldi, usciva e con la macchina a motore spento scendeva "in folle." Diceva sempre che aveva trovato qualcuno in strada che gli dava qualche cosa per far benzina al distributore di fronte al Municipio. Una volta che era senza soldi e senza benzina trovò una signora che gli veniva a portare i soldi raccolti dall'Azione Cattolica e con quelli fece il pieno.
Mi raccontò anche che quando non aveva proprio più niente, prendeva la chiave e apriva la cassetta delle candele all'altare della Madonna e lì trovava sempre qualche soldo. Don Giovanni era un uomo di preghiera. Si alzava molto presto al mattino, forse anche alle quattro. Prima di celebrare Messa aveva già recitato tutto l'ufficio: questa era l'abitudine di quei tempi e al pomeriggio si incominciava già a recitarne una parte del giorno dopo. Faceva meditazione e recitava il rosario sull'inginocchiatoio che stava sul lato destro del presbiterio prima della Messa. Io ho in mente molto bene questa immagine di don Giovanni in preghiera. Aveva una spiccata devozione alla Vergine Maria e ricordo che di solito la santa Messa del sabato mattina la celebrava all'altare della Madonna. Bello era anche il mese di maggio quando lui predicava la sera: io venivo con i miei da Zizzanorre a piedi per recitare il rosario. Preparava anche i cosiddetti fioretti che scriveva su dei fogliettini che deponeva sulla balaustra: finito il rosario ne sceglieva uno che avrebbe dato in consegna per il giorno dopo. Seguiva con cura le processioni della Madonna alla festa del Rosario in ottobre quando si portava ancora per le vie del paese la sua statua. Per devozione costruì la grotta di Lourdes all'oratorio femminile. Don Giovanni fu anche un sacerdote che ha sofferto molto. Negli anni in cui ero giovane gli ero molto vicino e vedevo la sua sofferenza perché non è sempre stato capito dai cassaghesi.
Non sempre e non tutti sono stati generosi con lui. Qualche volta ci sono state incomprensioni anche notevoli. Ricordo anche una certa rivalità del parroco di Renate Pasquale Zanzi, che era più smaliziato rispetto a un don Giovanni veramente ingenuo. Mi ricordo che in una predica don Zanzi, che io conoscevo bene perché lavoravo a Renate in una ditta che lui frequentava spesso, affermò davanti ai suoi fedeli che la sua cartella personale in Curia era pulita in antitesi a quella di don Giovanni che invece conteneva diverse annotazioni. Ricordo anche un altro episodio che non riesco a togliermi dalla testa: avevo dodici anni ed era il giorno del giovedì santo. Io ero in chiesa per le funzioni religiose e seguivo quanto stava facendo don Giovanni. Secondo la consuetudine di quei tempi incominciò i riti per fare il cosiddetto "sepolcro e i giudèe" che quell'anno fu allestito presso il battistero.
Don Giovanni era alla testa della processione che portava l'eucaristia in fondo alla chiesa. Non usò però l'ombrellino per proteggere l'eucaristia e questo suscitò le ire di una persona che stava vicino a me. Disse: "Ma guarda che cosa fa. Adesso io lo scriverò al cardinal Schuster." Forse l'avrà anche fatto. Io sono poi cresciuto e ho capito il valore di quell'episodio. Ho anche poi conosciuto quale razza di peccatore fosse quell'uomo. Io ho capito don Giovanni Motta quando anch'io sono diventato parroco in un paese della cattolicissima Brianza che ha tante somiglianze con Cassago.
Il brianzolo infatti vuole bene ai preti ma ha con loro un rapporto strano. Io non so giudicare la sua predicazione perché me la ricordo poco: quand'ero giovane ciclostilavo piuttosto gli scritti di Maria Adele di cui si facevano 100 copie. Tuttavia quel poco che mi è rimasto impresso è sufficiente per dire che don Giovanni era un uomo molto colto. Gli capitò di diventare parroco in un paese dove pochi avevano studiato e che forse stentavano a capirlo. Un sacerdote che poi ho incontrato in seminario e che era stato suo allievo, mi ha parlato molto bene di don Giovanni e della sua cultura. Affermava che era l'unico che sapeva tradurre dal greco a prima vista. Mi sembra che don Giovanni accettò bene anche il rinnovamento conciliare che portò avanti qui a Cassago: non fu facile nè per lui nè per la gente, dopo secoli di tradizioni consolidate. Riuscì tuttavia nei suoi intenti e un po' alla volta con grande dedizione cambiò le abitudini e la liturgia. Don Giovanni preparò la mia prima messa assieme a don Lorenzo Fumagalli, che ebbe come coadiutore dopo tanti anni vissuti da solo.
Io conoscevo bene don Lorenzo perché avevamo frequentato il seminario assieme. Lì eravamo diventati amici anche se non avevamo la stessa età perché aveva avuto una vocazione adulta. Era stato consacrato un anno prima di me e la sua prima destinazione fu Cassago. Si trovava bene con don Giovanni e anche don Giovanni gli voleva molto bene. Dopo aver celebrato la prima messa fu don Giovanni ad accompagnarmi nel viaggio verso Vanzago, un viaggio pieno di ansie e di speranze. Ebbi l'ultimo incontro don Giovanni una mattina che venni a trovarlo. Era nel suo studio, conversò a lungo e non voleva che me ne andassi. Mi invitò più volte a restare ancora un poco con lui. Parlava di Oriano, della chiesa che stava ristrutturando, della sua intenzione di costruire una casetta lì vicino dove desiderava ritirarsi. Mi ricordo che gli risposi: "Vada lontano 100 Km perché chi arriverà dopo di lei disferà tutto ..."
Lo dico ancora oggi perché ho sperimentato sulla mia pelle la verità di quelle parole. Ricordo don Giovanni come un uomo colto, buono, un po' ingenuo, senza malizia. In lui c'era qualcosa che ricordava i fanciulli, qualcosa che lo faceva amare. Come sacerdote lo ricordo pio, dedito alla preghiera, appassionato alla salvezza delle anime. Ricordo la gioia che manifestava quando riusciva a confessare qualcuno e a prepararlo per il paradiso.
Amò molto l'oratorio dove era presente tutte le sere. Fu un uomo che ha sofferto molto: e questo dà significato a ciò che conta e a ciò che vale. Mi piace concludere riprendendo il tema dei rapporti fra il parroco e la sua gente, i suoi parrocchiani brianzoli. E' un rapporto, strano, difficile, di amore e di odio, che si capisce solo vivendolo in prima persona: io credo che purtroppo non abbiamo ancora avuto un Ignazio Silone in grado di descrivere compiutamente la fede della gente della Brianza. E' gente che succhiato la fede nel poppatoio e nel latte materno: ha una fede radicata dentro di sè.
Vivendo in mezzo a loro, io mi sono appassionato a questa gente e ne ho fatto esperienza nei luoghi dove sono stato, in particolare a Velate di cui sono stato parroco. Come la Settimana Santa così è il brianzolo: ai momenti di sconforto e di dramma si sovrappongono i momenti gioiosi della risurrezione. Alle volte si staccano, criticano, sono contrari alla Chiesa, ma poi ritornano nella comunità cristiana con più fervore di prima.
I giovani alle volte non sono capaci di testimoniare verbalmente la loro fede, però sono sempre pronti a faticare, a sacrificarsi, a dare, a donare generosamente. Per questo io voglio dire grazie al Signore per avermi fatto incontrare sulla mia strada don Giovanni. Se non l'avessi incontrato forse non sarei neppure diventato prete. Desidero ringraziare anche tutti coloro che hanno colto questa occasione per ricordare don Giovanni. Quando ci furono i funerali l'omelia fu tenuta da don Ferdinando Baj: ebbene in quella occasione sarebbe piaciuto farla a me !