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Luigi Beretta: La visita pastorale di Padre Leonetto Clivone

Particolare del battesimo di Gesù

Particolare del battesimo di Gesù

 

La visita pastorale di Padre Leonetto Clivone

di Luigi Beretta

 

 

Appena un anno dopo il suo insediamento stabile a Cassago, il parroco Antonio Brambilla ricevette la visita pastorale del padre gesuita Leonetto Clivone, rettore della Casa dei Gesuiti di Milano e dottore in utroque jure (1), la cui relazione, allo stato attuale delle nostre conoscenze, costituisce un documento di fondamentale importanza storica. Com'è noto, non potendo attendere da solo all'impegno della Visita Pastorale, che aveva iniziato il 14 settembre 1566 a partire dalla pieve di Gorgonzola, S. Carlo aveva delegato allo scopo alcuni sacerdoti, tra cui appunto troviamo il gesuita padre Leonetto Clivone (2). In un primo tempo per la pieve di Missaglia si era pensato a Filippo Sormani prevosto di Asso, ma la sua impossibilità ad assolvere l'incarico, poichè "le cose del seminario anchora lo chiamavano" (3), aveva deciso a favore del Clivone. Fu questi dunque che scrupolosamente condusse a termine la mansione di esaminare ogni ecclesiastico, nonchè tutte le chiese e gli oratori della pieve di Missaglia. Questo particolare incarico viene sottolineato anche dal testo degli atti, dove si attribuisce a Leonetus de Clivone la qualifica di Visitator Deputatus per Illustrissimum et Reverendissimum dominum Mediolani Archiepiscopum in Executione dictae Commissionis (4).

La sua visita incominciò il 15 ottobre a Missaglia, dove sorgeva la Chiesa Prepositurale capopieve di S. Vittore e proseguì per più di un mese toccando tutte le altre terre della Pieve. A Cassago giunse venerdì 14 novembre, probabilmente verso mezzogiorno o nel primo pomeriggio, dato che in quella stessa mattinata si era già portato nel paese confinante di Cremella. Ad accoglierlo trovò il parroco Antonio Brambilla e da quanto ci risulta vi rimase per alcune ore in quello stesso pomeriggio, visitando la parrocchiale e la limitrofa chiesa di S. Gregorio a Oriano, di cui ci ha lasciato due distinte relazioni. Il mattino seguente invece proseguì per Barzanò dove continuò la sua visita nella chiesa dei SS. Vito e Modesto, che a quei tempi era già consacrata. La parte di questi atti relativa a Cassago e Oriano è assai interessante poichè ci assicura la prima organica descrizione cinquecentesca dello stato e delle condizioni spirituali di questi due paesi. Sfortunatamente essa ci fornisce ragguagli solo per l'aspetto ecclesiastico, nè poteva essere altrimenti, per cui ne risulta chiarita quasi esclusivamente l'immagine della nascente parrocchia. Questa relazione del Clivone si presenta essenziale, asciutta, non senza qualche ombra, che va opportunamente richiamata e corretta.

Tanto per incominciare il testo in questione esordisce proprio con un errore, di cui si fa fatica a comprendere l'origine e che può essere giustificato solo dalla frettolosità dello scrivano al seguito del Clivone o da una, per il momento incomprensibile, ignoranza del clero locale. Contro ogni tradizione il Clivone infatti scrive erroneamente che la parrocchiale di Cassago è dedicata ai SS. Giacomo e Cristoforo. In realtà se il primo costituisce il santo cui viene di solito riferita la chiesa, per il secondo non esistono indicazioni in questo senso. Una così bizzarra e anomala attribuzione può comunque trovare una qualche giustificazione in consuetudini popolari che ebbero la possibilità di prevalere in un momento di confusione, quale poteva essere il periodo di riorganizzazione ex-novo della parrocchia, soprattutto con un parroco nuovo. Si può pensare a tal proposito che qualche pittura del santo o addirittura la sua festa "qual ancho si osserva quasi in ogni luogho in questi contorni giorno seguente alla epiphania" (5), abbiano goduto in quegli anni di una popolarità tale da farlo associare al titolo secolare della chiesa. A sostegno di questa ipotesi si può ricordare l'alta frequenza di questo nome nell'onomastica locale, quale appare dai censimenti del 1571 e 1574, la cui diffusione è di poco inferiore a quella di Giacomo. In ogni caso, qualunque ne sia stata la ragione, la dedicazione a S. Cristoforo restò un fatto episodico, circoscritto a questa sola documentazione e senza altre appendici. Non viene citata in questo contesto invece S. Brigida Vergine, l'altra contitolare della chiesa, che ne fu all'origine la vera patrona. Il suo titolo, per quanto ci è noto, dopo essere stato citato una prima volta dal Bussero verso la fine del XIII secolo, riappare nei documenti solo poco dopo, di lì a quattro anni, nel 1571 (6).

Da questo momento però ebbe molta fortuna, tanto che la sua festa patronale restò a lungo la più importante del paese dopo quella di S. Agostino. I motivi del ripristino cinquecentesco di questa dedicazione sono poco noti, così come le ragioni che ne produssero un così lungo oblio. Probabilmente ciò dipese dagli interessi, che qui ebbe il monastero di Pontida fra il XII e il XV secolo, la cui dedicazione a S. Giacomo Maggiore inevitabilmente dovette influenzare la devozione popolare locale. Forse nel prossimo futuro la scoperta di qualche carta medioevale potrà chiarire gli aspetti di questa questione. La relazione del Clivone prosegue prendendo in esame l'aspetto degli edifici ecclesiastici principali del paese.

 La sua descrizione incomincia dalla chiesa parrocchiale. Egli annota che essa è "satis pulchra et partim picta", cioè sufficientemente gradevole d'aspetto e parzialmente dipinta. S. Carlo nel 1571 scriverà addirittura "pulcherrima picta", cioè dipinti bellissimi. Essi si trovavano, secondo quest'ultima relazione, sotto gli archi delle colonne dell'altare maggiore e probabilmente si estendevano fino ad abbellire buona parte dell'altare stesso. Purtroppo non abbiamo la minima idea di che cosa raffigurassero, nè sappiamo quale fosse il significato autentico dell'apprezzamento del Borromeo, se volesse elogiare cioè la fattura artistica o più semplicemente manifestare il suo compiacimento per il valore religioso del soggetto o ancora intendesse rimarcare il buono stato di conservazione dell'opera. Certo è che in quegli anni tali dipinti dovevano apparire nel loro splendore poichè erano stati affrescati di recente. Per l'esattezza tali pitture erano state terminate il 1 luglio 1542 da un certo Paulus Sumensis, così come si leggeva in margine a tali dipinti. Quando nel 1759 questa chiesa fu demolita per essere ricostruita più a valle, Carlo Sangalli, che ne curò il progetto e i lavori, ricopiò l'iscrizione e ce la tramandò. Il testo, che possiamo ritenere fedele all'originale, riportava precisamente: "H. Opus Pinsit M. R. Paulus Sumensis Calendas Iulij MDXXXXII" (7).

Lo stesso Sangalli affermò nella medesima circostanza che l'iscrizione si trovava sotto il "volto del coro de l'una parte, ove restava apogiato l'Architrave", mentre "de l'altra parte" esisteva ancora un'altra iscrizione, anch'essa scritta in latino e coeva della precedente, che recitava: "H. O. F. F. Cristoforus et Ambroxius de Brambilla Fratribus III idus iulij M.D.XXXXII" (8). Il contenuto stesso di queste due scritture e soprattutto la minima differenza nelle due date permettono di ipotizzare che nel 1542 la parrocchiale di Cassago fu soggetta a lavori di ristrutturazione o più probabilmente di restauro, durante i quali, per abbellire ulteriormente la chiesa, si decise di affrescarne parte delle pareti. I lavori in muratura, che interessarono l'architettura dell'edificio, a quanto pare furono commissionati o condotti a termine dai fratelli Cristoforo e Ambrogio Brambilla. Anche se improbabile, non è da escludere però anche una interpretazione più restrittiva, in base alla quale tali due iscrizioni ricordano un solo episodio e cioè che i due fratelli Brambilla commissionarono delle pitture a Paolo da Somma. Comunque sia andata, la storia personale di questi due committenti, soprattutto di Cristoforo, il solo dei due di cui non si siano perse le tracce, è oltremodo interessante, poichè ci permette di aprire nuovi squarci nella conoscenza della struttura della società di Cassago in quegli anni. Oltre alla citazione del 1542 i loro nomi compaiono anche in un atto del 27 giugno 1524 rogato dal notaio Erasmo Perego di Barzanò, in cui Angelino de Brambilla loro padre li nominava eredi di un legato che prevedeva a favore della chiesa di Cassago la celebrazione di sei messe e l'offerta di tre staia di frumento ogni anno per la durata di 10 anni. Questo legato però non fu mai assolto prima del 1571, quando S. Carlo ne pretese l'esecuzione. Dei due fratelli il solo Cristoforo però ormai abitava a Cassago.

Ed è di lui che fortunatamente la storia non è stata avara di notizie. Da quel che sappiamo Cristoforo o Tofeno de Brambilla era nato nel 1518 e si era sposato almeno due volte. La sua ultima moglie, di nome Lugretia, era nata nel 1531 e gli aveva dato cinque figli, Andrea, Bernardino, Francesco, Massimiliano e Battista. Di professione massaro, abitava nel capoluogo con la sua numerosissima famiglia nelle case di proprietà di un certo Francesco de Corte e nonostante questo stato in locazione, la sua condizione economica doveva essere sicuramente florida, poichè poteva permettersi dei servi al suo servizio, di cui conosciamo anche i nomi: un tale Giovanni de Balzarotti nel 1574 e Vincenzo e Margherita nel 1578 (9). Cristoforo ed Ambrogio erano inoltre con ogni probabilità cugini del parroco Antonio Brambilla: una volta il padrino o compadre di Battista, un nipote di Cristoforo, fu Pedro figlio di Simone e fratello del parroco. Non solo, ma a celebrare il suo battesimo il 9 dicembre 1570 fu chiamato Donato Perego curato di Cremella (10): quest'ultima procedura è particolarmente significativa, dato che veniva seguita dal parroco Brambilla ogni volta che nasceva un suo nipote. Tutto ciò permette di accreditare l'effettiva relazione di parentela accennata e ci manifesta chiaramente i legami ed il prestigio di cui poteva godere in tutte le sue diramazioni la numerosa famiglia dei Brambilla. Per il momento non è possibile procedere oltre in questa analisi, soprattutto perchè non siamo in grado di saper stimare il valore economico e la reale entità degli interventi sostenuti nel 1542. A tal proposito il Clivone è molto generico e si limita ad accertare il buono stato di conservazione della struttura e la piena usufruibilità dell'edificio. Tra l'altro ce ne fornisce le dimensioni, che erano di 15 braccia di lunghezza e 10 di larghezza vale dire poco più di 9 x 6 m. circa. Sono queste le misure di una chiesa piuttosto piccola con una modesta capienza, che poteva dar posto al massimo a un centinaio di persone, sufficiente tuttavia a soddisfare le esigenze della popolazione residente nel capoluogo.

Non abbiamo notizia della sua costruzione, tuttavia i rudimentali criteri architettonici di costruzione, con l'assenza di sacrestia e campanile ne fissano la data in un'epoca tardo-medioevale. Sicuramente era già eretta nel XIII secolo poichè, come già accennato, viene citata nell'elenco delle chiese milanesi, redatto dal Bussero, il cui manoscritto viene correntemente ascritto ad uno scorcio tardivo di quel secolo. La sua struttura originaria, che si era mantenuta probabilmente inalterata nelle sue linee essenziali fino alla visita del Clivone, doveva di lì a poco essere oggetto di varie modifiche ed ampliamenti per renderla conforme alle nuove norme in materia di architettura religiosa proposte dal Concilio di Trento e vivamente propugnate dai due Borromei. L'esito finale di questi successivi interventi ci è stato ancora una volta conservato dal Sangalli, il quale nel 1759 ne disegnò l'icnografia, prima che tutti gli edifici del complesso parrocchiale venissero irrimediabilmente demoliti. Il rilievo eseguito in tale occasione trova una valida conferma nelle mappe catastali teresiane, redatte pressapoco nel medesimo periodo. Tra i due, il disegno del Sangalli è il più dettagliato e il più nitido, ed è quello che garantisce una migliore ricostruzione delle trasformazioni e delle sovrapposisizioni architettoniche realizzate dal '500 in poi. La condizione iniziale è sostanzialmente fotografata dalla relazione del 1567. Innanzittutto bisogna precisare che questo edificio viene definito chiesa parrocchiale e non capella curata, come ad esempio appare nella visita pastorale del 1571, nella cui stesura originale è anzi ancora ben visibile la cancellatura di una precedente scrittura ecclesia parochialis e la sua correzione, per l'appunto, in capella curata. Tutto ciò a dimostrazione della relatività delle definizioni usate in quegli anni per riclassificare organicamente il patrimonio edilizio ecclesiastico, la cui interpretazione più restrittiva e giuridicamente corretta fu senz'altro appannaggio del primo Borromeo. In ogni caso il titolo di chiesa parrocchiale ebbe ben presto il sopravvento e tale rimase da allora in poi fino alla sua demolizione a metà Settecento. Rendeva autorevole questo titolo indubbiamente la nuova funzione che aveva assunto.

Nè va dimenticato che il suo inserimento in un complesso urbanistico che comprendeva anche il cimitero e la casa del curato, la rendeva decisamente più imponente e maestosa di quanto non fosse in realtà da sola. All'esterno presentava il tetto ricoperto interamente di tegole, mentre la facciata doveva essere piuttosto tozza, soprattutto per l'assenza del campanile, che avrebbe potuto ingentilirne l'aspetto. I fedeli erano richiamati alle funzioni religiose da una piccola campana, che si trovava appesa a un pilastrello appoggiato su una casa contigua alla chiesa, soprannominata "casa della torre", a ricordo dell'antica presenza in loco di una torre inclusa nel castro medioevale. Questa campanella era suonata tirando una fune, che dal pilastrello scorreva lungo il tetto e il cortile di questa casa giù fino nel recinto del cimitero, da dove veniva azionata a mano dal parroco o dal prete, che celebrava il servizio religioso. La precarietà di questa condizione fu subito deplorata dal Clivone, che cercò di porvi rimedio ordinando di costruire un campanile o quantomeno un pilastro sulla parete della chiesa, dove poter fissare le campane. In entrambi i casi le soluzioni proposte permettevano di tirare le campane dall'interno dell'edificio evitando così gli evidenti disagi di uscire ogni volta allo scoperto. Questo suggerimento a quanto pare fu scrupolosamente seguito tant'è che solo quattro anni dopo S. Carlo poteva già vedere in piedi un campanile accanto al cimitero. Quest'ultimo si trovava di fianco alla chiesa, a cui era strettamente legato senza soluzione di continuità e consisteva in una striscia di prato di una pertica circa in parte aperto e in parte recintato da un muretto. Qui, probabilmente addossato alla parete esterna della chiesa, sorgeva una piccola cappella dedicata a S. Rocco, il noto protettore e taumaturgo degli appestati, di cui è nota la diffusione del culto in Europa e principalmente in Lombardia, dove gli furono dedicate un'infinità di cappelle e santelle, specialmente lungo le strade di campagna. Sicuramente era una costruzione della fine XV secolo o inizio del XVI secolo, l'epoca cioè di maggior espansione di questo culto, che faceva seguito al periodico ricorrere di pestilenze, che nelle nostre campagne si abbatterono nel 1451, 1472 e infine nel 1524 (11).

Questa cappella, sufficientemente ampia da possedere anche un altare, si trovava tuttavia in uno stato di abbandono, tanto che il Clivone, dopo aver preso atto che ormai non vi si celebrava più per mancanza di legati e di redditi, ordina di chiuderla e di distruggere l'altare. La storia di questa costruzione, che grazie alla pietà popolare aveva conosciuto ben altra importanza, tuttavia non finisce qui, poichè verrà ben presto destinata ad un nuovo uso e, reintegrata nella struttura della chiesa, in epoca borromaica ne diventerà la sacrestia. Accanto alla chiesa sorgeva anche la casa parrocchiale, che la Comunità di Cassago si era impegnata a garantire al sacerdote, che vi avesse preso residenza. Questa casa aveva quattro camere, due al piano terra e le altre al primo piano ed era servita da una corte, da un pozzo e da un piccolo orticello, che confinava con la chiesa stessa. In questa canonica il parroco Antonio Brambilla abitava da solo. Nella relazione egli viene definito rector dicte ecclesie a conferma del fatto che era stato eletto e veniva mantenuto dagli abitanti del luogo. Nel 1567 la Comunità di Cassago ex eorum devotione gli pagava 80 lire imperiali l'anno per reggere la Rettoria e garantire la regolare assistenza religiosa. Come sarà specificato in altri documenti, gli abitanti di Cassago si addossavano oltre il salario anche le spese di manutenzione della chiesa, le quali dovevano pur sempre essere onerose relativamente alle loro disponibilità o agli impegni da assumere. Questi ultimi in effetti aumentarono rapidamente soprattutto per adeguare le strutture della chiesa alle accresciute esigenze e alle nuove normative ecclesiastiche, che la modificarono sensibilmente nel breve volgere di qualche anno, specialmente nell'architettura interna. Dalla relazione del Clivone si apprende che originariamente era a una sola navata e, anche se questo particolare non viene ricordato in tale occasione, probabilmente già con due entrate, così come annotò invece il Borromeo nella sua visita del 1571. La descrizione dell'interno è alquanto fugace e povera di rilievi, per cui rimandiamo a quella del Borromeo, che esprime più ricchezza di particolari. Gli elementi essenziali presenti nel 1567 sono il pavimento solato, ricoperto cioè di lastre di pietra, e due altari. Brilla al contrario l'assenza di una sacristia e del battistero, dei quali si sollecita peraltro la pronta esecuzione.

Dei due altari il maggiore si trovava nell'area dell'abside ed era abbellito sia dalla presenza delle pitture di Paolo da Somma, che dalla soluzione architettonica di una scalinata con due colonne in pietra silicea, che sostenevano la travatura. L'altro altare era dedicato a S. Maria, un titolo questo in cui sembra rivivere il ricordo della scomparsa e forse più antica chiesa medioevale di Cassago. Si trovava sulla sinistra di chi entrava. Non aveva a quel tempo alcun ornamento, era scoperto, senza bredella e senza alcun paramento, il che dimostra lo sconfortante stato di abbandono della chiesa proprio nel momento in cui si facevano i primi tentativi per ridare dignità e funzionalità agli ambienti religiosi. Per porvi rimedio il Clivone sollecita un immediato intervento in grado di adattarlo all'aspetto richiesto dalle normative generali in materia, che prevedevano la presenza di un tabernacolo per conservarvi il sacramento dell'eucarestia. L'ordine è a dir poco tassativo e ne dà carico agli uomini di Cassago, che si dimostrano peraltro favorevoli e ben disposti a sostenerne le spese. Erroneamente il Clivone scrive che questi altari non godevano di redditi, persuaso in ciò forse dalle dichiarazioni del Brambilla, che ne aveva in quel momento una limitata conoscenza. In realtà, come avremo modo di apprendere, esisteva tutta una serie di legati di vecchia data, che furono rivendicati dai funzionari di S. Carlo, il quale negli anni '70 di quel secolo, ne pretese ed ottenne il soddisfacimento, sia pure non sempre con successo, dopo anni di incuria motivati sostanzialmente dalla mancanza di un clero locale che ne rivendicasse i diritti. Che l'insediamento del parroco fosse avvenimento recente lo si capisce pure dalla povertà qualitativa e quantitativa degli oggetti sacri, dall'arredamento e dai paramenti ecclesiastici (12). Il Clivone afferma ad esempio che non si conservava ancora il Santissimo Sacramento, nè vi erano pissidi, di cui anzi ordinava perentoriamente l'acquisto. L'altare era comunque dotato di un tabernacolo di legno dove, al dire del parroco, veniva conservata l'Eucarestia, per periodi di tempo però assai brevi. L'olio santo consacrato nella notte di Pasqua nella chiesa plebana di Missaglia, da dove era poi distribuito ad ogni suffraganea, era invece conservato in tre vasi di piombo legati insieme tra loro. Nella chiesa inoltre non v'era traccia di reliquie di alcun santo o quanto meno non se ne conservava più memoria. A destra dell'altare maggiore, appena sotto la bredella di legno, si trovava il Sanctuarium, che però era lasciato costantemente chiuso. I paramenti e il mobilio non sono elencati. A dire il vero si fa riferimento ad una descrizione allegata agli atti, il cui spazio però è lasciato in bianco.

Con ogni probabilità questo elenco non era altro che una copia di quello redatto pochi mesi prima dal curato, precisamente il 17 giugno ed inviato alla Curia milanese. Si tratta della Notificatione de tutti li beni mobili et immobili della giesia di S.to Jacomo di Cassagho plebe di masalia ducato di Milano (13), dalla quale apprendiamo, per la parte che ci riguarda, la originaria dotazione della chiesa. Per gli oggetti sacri sono elencati un calice con la coppa argentata, una croce di ottone, un cresmino di peltro e una pietra consacrata, fra i paramenti troviamo invece due canzelle verdi, cinque tovaglie "fruste", due palii di cuoio indorati, un palio di panno bruno, un paramento semplice e tre pianete, una di stoffa morella, una rossa e la terza di bombasina bianca. La bombasina o bombace era il termine di allora per indicare il cotone, che a partire dal '400 sarebbe stato destinato a soppiantare la lana come fibra tessile di largo consumo in Europa. L'arredo era costituito da un banchino di pioppo e da due casse, di pioppo e di noce, mentre per le funzioni liturgiche il sacerdote poteva disporre anche di un sacramentario nuovo e di due messali, uno nuovo e uno vecchio (14). Tutto l'elenco è, come si vede, una aperta denuncia dell'estrema povertà della chiesa. I libri liturgici "nuovi" dimostrano però che qualche cosa si stava muovendo anche a Cassago, per la necessità di avere un servizio regolare quantunque non ancora quotidiano. Se di fatto fino ad allora la chiesa era vissuta di donazioni episodiche e sporadiche, si prospettavano ora tempi nuovi, che avrebbero visto l'impegno corale di tutta la comunità. Numerosi segni ne mostravano l'accresciuta disponibilità, non ultimo il nascere di un rinnovato fervore religioso. Il Clivone ci informa a questo proposito che le persone che si accostavano alla comunione erano circa 150 e tutti erano confessati. Il parroco inoltre insegnava la dottrina cristiana tutti i giorni festivi dopo pranzo, probabilmente con successo perchè non si lascia spazio a lamentele. Tra le altre cose veniamo a sapere che in quell'anno esisteva già la Schola Corporis domini, destinata ad assumere un ruolo di primo piano nella gestione della parrocchia. Sia pure limitatamente a questi brevi cenni, la situazione spirituale di Cassago, che emerge da questo quadro è complessivamente positiva a differenza di quanto accadeva invece talora nei paesi vicini, dove non solo la popolazione, ma il clero stesso manifestavano ignoranza o negligenza delle disposizioni del Concilio Tridentino (15). A Calò ad esempio il curato era simoniaco e concubino (16), a Capriano officiava un prete veneziano sospeso a divinis, che aveva un figlio carnale (17), a Montesiro il sacerdote era usuraio, non vestiva l'abito e portava armi (18).

Nè mancavano incresciosi episodi di violenza e di sangue, che coinvolgevano direttamente lo stesso clero. A Costa il parroco fu picchiato selvaggiamente (19), lo stesso accadde al curato di Sovico (20), mentre nella chiesa di Correzzana la moglie di un signorotto locale spaccò la testa ad contadino con la spada, mentre stava pregando (21). A Cassago fortunatamente non si verificarono mai episodi del genere, nè vi furono turbolenze particolari, se si escludono le esuberanze e i disordini che potevano essere provocati dall'osteria del paese, di cui si lamenta il parroco. Antonio Brambilla annota infatti che « all'hosteria se gioca a carte giorno e notte et se gli fano mangiarie e ivi si dicono parole insolite et altri inconvenienti et tutto ciò in causa l'hoste », che era un certo Andrea de Sappi.I documenti contemporanei non dicono altro e neppure il Clivone, che termina la sua relazione con alcune ordinanze, di cui s'è già fatto cenno, fra le quali spicca certamente quella di rimuovere il Sanctuarium dal posto dove si trovava e di metterlo in altro luogo più idoneo. Senza perdersi in altri preamboli nello stesso pomeriggio di venerdì 14 novembre il Clivone si incamminò alla volta di Oriano, dove visitò la chiesa di S. Gregorio, definita nella circostanza con il termine di "parochialem". Questo attributo non è una svista perchè compare comunque altre due volte, il che è indubbiamente è assai significativo. Diverse ragioni possono aver spinto il Clivone ad adottare questa formula, non ultima la considerazione che si trattava di una chiesa propria di una comunità indipendente, con una propria amministrazione civile separata. Ciò non toglie tuttavia che lo stesso Clivone ammetta a più riprese la sua dipendenza spirituale dal parroco di Cassago ed arrivi a proporre addirittura la sua unione con la chiesa di Cassago. La realtà stessa dei fatti del resto lo invitava a questa proposta. Ormai la chiesa di Oriano non conservava più nè il Santissimo Sacramento nè gli oli sacri o qualsiasi altro strumento necessario per una chiesa con attributi e funzioni parrocchiali. Le ragioni di questo declino erano diverse e il nostro visitatore apostolico tenta di analizzarle ed elencarle. Prevalgono al solito le motivazioni di natura economica. Come spesso accadeva a quei tempi, queste chiese di campagna non possedevano redditi propri e, come tristemente annota il Clivone, ciò era la causa diretta dell'assenza di un sacerdote. Il sacerdote non c'era in pratica perchè non si riusciva a mantenerlo. La comunità di Oriano per assicurarsi in ogni caso un minimo di servizio religioso si era perciò appoggiata a Cassago, ritenendo più utile e vantaggioso chiedere a pagamento l'amministrazione dei sacramenti al parroco del paese vicino piuttosto che mantenersene uno in proprio. Per un naturale processo storico di integrazione, favorito dalla straordinaria vicinanza delle due chiese - non più di un quarto di miglio - Cassago ed Oriano erano destinate ad avere un solo parroco. Nel 1567 questo processo era ben avviato e stava giungendo ormai al suo stadio conclusivo.

La stessa relazione del Clivone conferma che in quell'anno il parroco di Oriano era lo stesso parroco di Cassago. Che si trattasse ormai nei fatti se non di diritto di una medesima parrocchia non v'è dubbio, tant'è che il Brambilla per le nascite, le morti e i matrimoni non teneva registrazioni separate, ma faceva un tutt'uno di entrambi i paesi. Per questa sua attività riceveva dalla Comunità di Oriano come paga annuale un modium, vale a dire un moggio di grano (22). A differenza della Comunità di Cassago che pagava in denaro, Oriano pagava dunque in natura. Questa consuetudine si mantenne per qualche anno finchè fu abolita in epoca borromaica da S. Carlo, il quale preferì un censo fisso. Anche se non siamo in grado di valutare il valore venale di questa offerta al parroco, la sua stessa esistenza è un parametro che descrive efficacemente le abitudini pregresse di questa comunità e la natura della sua economia, che poteva sì contare sulla propria produzione agricola ma non sulla liquidità della moneta. Vien da chiedersi a questo punto come abbia potuto questa comunità in altri tempi costruirsi addirittura la chiesa. Forse erano proprio altri tempi, con ben altre possibilità reddituali o forse vi fu un intervento di qualche nobile locale. L'origine di questa chiesa e la sua storia primitiva sono però piuttosto incerte, dato che per tutto il medioevo essa è citata con sicurezza solo una volta nell'elenco delle chiese e cappelle milanesi redatte dal Bussero (23). Il Clivone si limita ad annotare che è "antiqua", senza specificare altro. Può darsi che la sua fondazione sia da imputare a qualche donazione o alla volontà testamentaria della nobiltà locale o ancora alla presenza di un insediamento monastico (24). Si sa ad esempio che nel XIII sec. Oriano fu sede di una casa di Umiliati, composta prevalentemente da donne, che dovevano pur avere un luogo dove riunirsi per il culto (25). Ma il Clivone non vi fa cenno nè richiama in tal senso a dicerie popolari, indizio questo che, se mai vi furono, da lungo tempo ormai se ne era persa la memoria. O forse, più semplicemente, il Clivone non ebbe materialmente il tempo di sentirle e trascriverle. L'ora era tarda infatti e il visitatore apostolico presumibilmente aveva fretta di concludere la ricognizione della chiesa. Quanto alla grandezza questa era un po' più corta di quella di Cassago e larga quasi uguale. Misurava infatti 11 braccia di lunghezza e 9 di larghezza, cioè 7x6 m. circa. Tutto il tetto era coperto di coppe, mentre il pavimento era in pietra. Probabilmente mostrava già qualche crepa e altri segni, che ne dichiaravano la vetustà. Sulla facciata, poco sopra la porta d'entrata, si innalzava un pilastrello, dove era attaccata la campana, i cui rintocchi richiamavano i fedeli alle funzioni religiose. In effetti ve ne era bisogno, poichè stranamente la chiesa sorgeva al di fuori del perimetro abitato, in un luogo anzi posto nella direzione opposta di sviluppo del paese. Tutto ciò certamente non era casuale. Altri fatti descritti dal Clivone sono altrettanto non senza ragione e purtuttavia così stravaganti da meritare la nostra attenzione. Da un lato la chiesa non aveva una casa parrocchiale annessa, sia pur piccola, dall'altro però mostrava la presenza di ben due altari. Inoltre in contrasto con le ristrettezze economiche cinquecentesche, la cappella maggiore era addirittura ben dipinta. Tutto fa credere che questa chiesa abbia conosciuto nei secoli addietro ben altro uso e non è da escludere che potesse appoggiarsi a un monastero o a una casa religiosa, forse di Umiliati, la cui struttura a colonnato pare sopravvivere nelle corti e negli edifici abitati che sorgono nei suoi pressi. Purtroppo manca qualsiasi documento che possa suffragare questa ipotesi, che tuttavia sopravvive ancora nella tradizione orale contadina locale. Già nel '500 però di questa tradizione era scomparso ogni riferimento storico, tant'è che il Clivone non può apprendere dalla gente del posto neppure la dedicazione dell'altare minore. A tal punto era giunta l'ignoranza del popolo e del clero locale e la disaffezione spirituale alla propria chiesa !

In questa occasione il Clivone dovette limitarsi ad accertare che questo altare senza nome, senza reddito e senza paramenti si trovava subito a destra dell'entrata. Forse si può attribuire il titolo di quest'altare a S. Marco. Non si spiegherebbe altrimenti la sua perdurante associazione a S. Gregorio nel titolo della chiesa come appare in vari documenti ufficiali già a partire dal '600. L'altro altare invece, il maggiore, era posto in una cappella con cielo a volta, tutta dipinta e munita di grate e con un cancelletto di legno. Quest'ultimo nel corso della visita fu trovato chiuso. Il Clivone annota pure che non esisteva sacrestia, mentre tutt'intorno alla chiesa si estendeva un grande cimitero di una pertica circa, tutto aperto e senza alcuna recinzione. Dal '500 in poi l'intera struttura della chiesa non subì che rari interventi, tanto che la descrizione del Clivone corrispondeva assai bene a quella che si poteva osservare ancora in questo secolo. Fra il 1974 e il 1975 alcuni lavori di ampliamento ne hanno però sensibilmente modificato l'aspetto originario, con una irreparabile perdita della cappella maggiore e dei dipinti, che essa conservava sotto le ripetute incrostazioni di calcina sovrappostesi dal '500 in poi. Come nel caso di Cassago, anche per la chiesa di Oriano si ripete la mancata descrizione dei paramenti, che il testo rimanda ad una lista allegata. Quest'ultima non c'è e parrebbe proprio che possa coincidere con quella stilata "de comissione de monsignor Castelio Vicario generale" dal Brambilla medesimo il 17 giugno di quello stesso anno, il quale tra l'altre cose testualmente si sottoscrisse "curato di oriano". Orbene secondo questo inventario la chiesa di Oriano possedeva una cassa di noce, 4 tovaglie molto logore, un paramento semplice, un calice con coppa in argento dorato, una croce di ottone, un messale "frusto" e due cancelle con i corrispettivi candelieri di legno (26). A quanto sembra la Comunità di Oriano non poteva permettersi proprio molto. La sua povertà tra l'altro trova una esplicita conferma dalla quantità delle offerte. Il Brambilla sostiene nello stesso documento che per riparare la loro chiesa gli abitanti erano riusciti a raccogliere in elemosine solo 8 lire imperiali e 9 soldi, la stessa quantità che sarà nuovamente dichiarata di lì a un anno. Non si sa quando fosse iniziata la raccolta, certo è però che se la prendevano tutti con comodo. O forse bisogna anche considerare che a Oriano si celebrava pochissimo la S. Messa o quasi niente del tutto, per cui mancavano pure le occasioni più propizie per l'offerta delle elemosine. Il Clivone del resto ammette che praticamente ogni attività spirituale faceva capo a Cassago, tant'è che a Oriano non esisteva la Scuola del Santissimo Sacramento nè si insegnava la dottrina cristiana. Per istruirsi nella fede cristiana bisognava ormai recarsi a Cassago, dove il parroco la teneva regolarmente la domenica.

A quanto pare costoro erano sufficientemente ligi ai loro doveri cristiani e al proposito il Clivone non esprime lamentele e si limita a certificare che tutti sono confessati, mentre quasi 50 persone partecipavano all'Eucarestia. A questo punto il Clivone termina la descrizione della chiesa, forse anche per l'ora ormai tarda del giorno e intima alcuni cambiamenti, che saranno in gran parte realizzati. Impone innanzittutto che l'altare senza nome sia demolito e che quello più grande sia predisposto in conformità alle norme per la celebrazione eucaristica pena l'interdizione degli offici divini nella stessa chiesa. Chiede inoltre che il cimitero venga recintato per salvaguardare la dignità del luogo. Infine non dà altri ordini se non quello di sollecitare l'unione di questa chiesa con quella di Cassago. Con questa preoccupazione tutt'altro che trascurabile il Clivone esaurisce il suo compito in questo paese, anche se ha tralasciato di visitare la chiesa di S. Salvatore a Tremoncino. I suoi atti, per quanto sommari, incompleti e necessari di opportune integrazioni con quelli posteriori, sono di importanza fondamentale perchè costituirono l'indispensabile base per ogni decisione futura adottata per questo paese da S. Carlo, che con ogni probabilità li lesse e tenne conto dei loro contenuti.

 

 

(1) Leonetto Clivone o anche, come compare in altre scritture, Clavone, Chiavone, Chivone o Clavonius, nacque a Vicenza nel 1525, si laureò in legge a Padova ed entrò tra i Gesuiti il 3 maggio 1559. La sua adesione agli ordini religiosi fu motivo di un doloroso dissidio familiare con il padre. Il 2 ottobre 1559 fu inviato al collegio di Montepulciano. Il 28 settembre dell'anno dopo lo troviamo rettore del collegio di Forlì. Nel 1565 è a Milano, dove rimase fino al 10 ottobre 1572, giorno della sua morte. La sua attività pastorale fu molto apprezzata da S. Carlo, che in occasione della malattia, che poi si rivelò mortale, ebbe a scrivere di lui: "Piaccia a Dio si è per suo servitio di conservare il P. Leonetto in vita, poichè non potrebbe la chiesa nostra di Milano se non riceverne molto incommodo della perdita, che se ne facesse". Cfr. Biblioteca Ambrosiana P. 7 inf., fol.529.

(2) Altri visitatori delegati furono il prevosto di Desio Bernardino Cermenati, Gerolamo Rabia, superiore della Congregazione della Dottrina Cristiana, per le pievi di Gorgonzola e Cornagliano, il prevosto di Asso Giacomo Filippo Sormani, per le pievi di Erba, Oggiono, Vimercate, Agliate, Asso, Bollate e Bruzzano. Il Clivone visitò ancora le pievi di Desio e Cantù. Cfr. Biblioteca Ambrosiana F. 108 inf., fol. 333, 293- 294, 350-351 e 414.

(3) Biblioteca Ambrosiana, F. 108 inf., fol. 293-294.

(4) Visita del p. Leonetto Clivone del 1567 in Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 40, 31.

(5) Cfr. Feste di voto non so che sia voto ma di consuetudine, foglio della seconda metà del XVI sec., in Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.

(6) Visita Pastorale del 20 agosto 1571, in Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.

(7) C. SANGALLI, Distinta Relazione della demolizione della Chiesa vecchia e casa parrocchiale e Costruzione della Nova con li fatti più rimarchevoli, 1759, in Arch. parr. Cassago: "Questa opera dipinse M. R. Paolo da Somma il 1 luglio 1542".

(8) C. SANGALLI, op. cit. : "Quest'opera fecero fare Cristoforo e Ambrogio de Brambilla fratelli il 13 luglio 1542".

(9) Cfr. Stati d'anime della parrocchia di Cassago del 1571, 1574 e 1578, in Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.

(10) I Registro battesimi, morti e matrimoni in Arch. parr. Cassago.

(11) ORLANDI, Pestilenze in Valsassina, Lecco 1931, 1.

(12) L'obbligo della residenzialità del clero, previsto dal Concilio di Trento, era stato ratificato in Milano dalla prima Sinodo Diocesana, indetta dal 28 al 30 agosto 1564 dal Vicario Generale Nicolò Ormaneto. In quella occasione la processione inaugurale dal Duomo a S. Ambrogio parteciparono "1200 preti tra quelli della città et i foranei, tutti in habito honesto et decente", fra i quali è possibile si trovasse anche il Brambilla. Certo è che la residenzialità effettiva del clero, scarsamente praticata per l'innanzi, fu ottenuta in breve tempo, tanto che in una lettera del 3 febbraio 1565 S. Carlo se ne congratulava con l'Ormaneto, scrivendogli: "Lodato sia il Signor Iddio che mi dite di non haver dentro Milano, alcuno contumacio circa la residenza". Cfr. C. MARCORA, Nicolò Ormaneto Vicario di S. Carlo, in Memorie Storiche della Diocesi di Milano, VIII, 1961, 258 e 266.

(13) Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18, 239.

(14) Nel primo '500 si ebbero due edizioni del Messale Ambrosiano. La prima è del 1522 ed è una ristampa dell'edizione già curata dal sacerdote Francesco Crespi (Impressum Mediolani per Dominum Jo:Angelus Scinzenzeler impensis B. Ioa. Iacobi et fratrum de lignano mercatorum ac civium Mediolanensis. Anno Domino MCCCCCXXII die XX septembris ). La seconda è del 1548.

(15) Si legga a questo proposito una lettera del Sormani, prevosto d'Asso, inviata a S. Carlo il 20 novembre 1566, dove testualmente scrive che "dal signor Alberto Lini in nome di V. S. Illustrissima son avisato della ignoranza delli Curati della Pieve d'Oggionno, et perciò che fusse ben avertito in far provision a tali inconvenienti, però V. S. Illustrissima sappia che fra tutte le Pievi che ho visitato, che penso a questa hora aver visitato circa 80 chiese et più, non penso haver trovato 4 parochiani idonei, et forse 12 comportabili ...", Biblioteca Ambrosiana, F. 108 inf., fol. 293-294.

(16) Arch. Curia Arciv. Milano, Sez. X, Pieve di Agliate, vol. 37, q. 27.

(17) Ibidem, vol. 1, q. 9.

(18) A. CAPPELLINI, Besana, 1978, 53.

(19) A. S. M., Fondo Notarile Ronchi Gio. Pietro fu Gio. Antonio, filza 18189.

(20) Ibidem, atto 9 settembre 1576.

(21) Ibidem, atto 28 gennaio 1577.

(22) Questa quantità corrispondeva a poco più di 146 litri attuali. Ogni moggio era suddiviso in 8 staia

(23) BUSSERO, op. cit., col. 151 C: " Orliano, ecclesia sancti gregorii". Un'altra citazione di dubbia attribuzione (Sono note infatti diverse località denominate Oriano, che non si possono attribuire al nostro: nel 1059 è citato un Orliano nel paese di Maderniano, cfr. L. PRIORATO, S. Giuliano Milanese, Cassago 1989, 35; nel 1184 è noto un "campo de Orliano", cfr. C. MANARESI, Atti del Comune di Milano, 209; un altro Oriano si trova nel Varesotto e infine Oriano è citato in un documento del 1087 fra i possedimenti di Pontida presso Cazzago nel bresciano) si trova in un diploma di re Enrico del 22 febbraio 1045, che conferma i possessi del monastero di S. Dionigi fondato dall'arcivescovo Ariberto, cfr. G. P. PURICELLI, De SS. Martyribus Arialdo Alciato et Herlembaldo Cotta Mediolanensibus veritati ac luci restitutis etc., Milano 1657, IV, 93, 12. Più pertinente appare invece il ricordo di una "ecclesia Sancti Gregorii in Ormano (Orliano)" nell'elenco delle chiese sottoposte alla giurisdizione dell'arciprete della Basilica di S. Giovanni di Monza, quale appare in un decreto di papa Alessandro III redatto a Benevento il 31 marzo 1169, cfr. Biblioteca Capitolare Monza, Pergamene e Privilegi papali e A. F. FRISI, Memorie storiche di Monza e sua Corte, Milano 1794, II, 68. Vari atti del XIII sec. confermano in effetti la presenza della chiesa monzese nella località di Oriano e nei territori annessi, dove possedeva varie proprietà agricole e fondiarie.

(24) Si può suggerire anche un'ipotesi più suggestiva, che rimanda addirittura all'epoca romana e preromana. Scavi condotti in questa zona e nell'adiacente Pieguzza hanno rivelato l'esistenza di una probabile via di comunicazione lungo la quale sono state scoperte nel 1972 ben quattro tombe con ceramiche preromane. L'attuale chiesa di S. Gregorio di Oriano potrebbe quindi trovarsi in quella stranissima ubicazione, completamente all'esterno e distante dal centro abitato, proprio perchè si è sovrapposta ad un preesistente luogo di culto o a un tempietto pagano edificato lungo una antica via di comunicazione per il nord.

(25) Si vedano in proposito gli atti d'inizio '200 riguardanti l'affitto di una casa e di terreni di proprietà della chiesa monzese a favore di una Comunità di persone, prevalentemente donne, che vi appaiono denominate come "sorores omiliatorum". Cfr. Biblioteca Ambrosiana, Codice NI 15 inf., atti del 2 settembre 1212 e del 24 giugno 1227.

(26) Inventario delli beni mobili et immobili della giesia di S.to Gregorio di oriano plebe di masalia ducato di Milano, in Arch. Curia Arciv. Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.