Percorso : HOME > Cassago > Epoca Romana > Scoperte archeologiche

Fiorenzo Moreschi: Le scoperte archeologiche a Cassago

Il parco storico-archeologico S. Agostino a Cassago

Il parco storico-archeologico sant'Agostino

 

 

LE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE A CASSAGO

Fiorenzo Moreschi

 

 

Una duratura tradizione locale ha sempre orgogliosamente tramandato che a Cassago soggiornò S. Agostino assieme a sua madre Monica, al figlio Adeodato, al fratello Navigio, all'amico Alipio e altri discepoli e amici africani. Dall'autunno del 386 d.C. fino agli inizi della primavera del 387 d.C. essi sarebbero stati ospiti di Verecondo, amico e collega di insegnamento di Agostino nelle scuole imperiali milanesi, il quale mise a loro disposizione la propria villa di campagna perchè si riposassero dagli affanni e dalle preoccupazioni della vita di città e perchè potessero prepararsi in tutta tranquillità al battesimo cristiano. Questa tradizione che ha avuto preziosi riferimenti nei secoli passati in scrittori e letterati ambrosiani [1], a Cassago si è solidamente trasformata in devozione religiosa, che ha elevato Agostino a patrono del paese cercando un po' ovunque segni della sua presenza, come fossero reliquie.

L'autorevolezza di questa tradizione, che affonda le proprie radici in una origine che si perde nel tempo, ha sempre posseduto una intrinseca forza, che ha stimolato molti appassionati a sognare di poter scoprire un giorno la villa di Verecondo. Questo desiderio è stato coltivato a lungo e da varie persone in varie epoche e se sinora non si è ancora concretizzato ciò non toglie nulla alla tensione della ricerca perchè i risultati ottenuti fino ad oggi sono incoraggianti. Le straordinarie scoperte archeologiche del passato anche recente, sono lì a dimostrare che nulla è impossibile se ciò che si cerca affonda nelle radici della storia. La villa di Verecondo in realtà è immersa nella storia: nei Dialoghi Agostino ne parla con precisione, con chiarezza, specificandone l'architettura e gli ambienti. Agostino ricorda anche che è esistito il rus Cassiciacum, dove lui ha soggiornato per diversi mesi con familiari ed amici africani (Confessioni 9, 3, 6) .

Lo stesso Verecondo non è un sogno, ma è una persona vera, che visse e conobbe Agostino, il quale a lungo ne conservò il ricordo storico (Epistola 7 a Nebridio). La storia quindi indica che la villa di Verecondo è esistita: ricercarla e trovarla non è dunque un sogno romantico, ma è un atto concreto di archeologia applicata. Le vicende che verranno narrate sono la cronaca di questo tentativo di localizzare la villa di Verecondo, una cronaca, che è anche testimonianza di altre numerose scoperte, che hanno allargato l'orizzonte delle ricerche archeologiche, facendo intravedere episodio dopo episodio le tappe di una possibile ricostruzione della storia di Cassago dalle sue origini. Questa cronaca inizia da lontano e si collega idealmente con quanti per primi intrapresero questa avventura. Senza di loro forse non sarebbe stato possibile quanto poi è accaduto in questi ultimi decenni, quando molteplici scoperte archeologiche hanno dato corpo a quel sogno coltivato per secoli.

 

Le testimonianze del passato 

Già nel '600 qualcuno si era accorto che a Cassago si conservavano vestigia d'antichità e che queste erano forse da mettere in relazione a S. Agostino. Chi ne parlò fu il cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano (1595-1631), famoso per la sua passione per la cultura e le cose antiche, che lo stimolarono a fondare la Biblioteca Ambrosiana. Orbene il Borromeo, che visitò Cassago durante le sue visite pastorali, lasciò scritto che "... id porro Casissiacum quem locum inclyti Doctoris verba ce­lebrant, nos credidimus esse Cassagum, coniecturamque nostram et natura loci et ratio nominis et veterum aedificiorum reliquiae, plurimaque vestigia antiquitatis adiuverunt. " [2]

Già allora erano evidenti dunque reperti di interesse archeologico a Cassago sia sotto forma di ruderi di vecchi edifici sia sotto forma di abbondanti vestigia d'antichità, presumibilmente romane. Una di queste, una lapide, era addirittura conservata nella chiesa medioevale di S. Brigida Vergine. Di questa lapide, che andò persa durante i lavori di ampliamento della chiesa parrocchiale nel 1930, conserviamo tuttavia il testo, che fu studiato dal Mommsen, il quale riportò: 

MARRILLA ROMINI F. O. V. M. F. [3] 

Lo stesso Mommsen scrisse inoltre di essa "cum ecclesia antiqua diruta est et absumpta in turri campanaria facienda ". In realtà la lapide non fu incorporata nel campanile, ma rimase murata nel pilastro di S. Giacomo nella nuova chiesa parrocchiale fino al 1930 quando, come lasciò scritto Vincenzo Confalonieri, "dal parroco con scarso senso civico fu interrata nel rifacendo pavimento." Del testo di questa lapide, che esprime la presenza in epoca romana di una certa Marrilla, esistono tuttavia varie versioni e diverse interpretazioni da ascrivere principalmente a Carlo Sangalli, l'architetto-ingegnere che curò la demolizione della vecchia chiesa medioevale e la costruzione della nuova nel 1759-1760, a Seletti [4] e a mons. Luigi Biraghi [5].

Il Sangalli il 13 febbraio 1759 annotò che "nelle rovine di detta chiesa si è trovato le infrascritte iscrizioni sopra una lapide di sasso ciericcio di figura semicircolare di lunghezza di Braccia 3 circa:

MARILLA R(ecepto) OMINI F(austo) O(raculo) V(eneris) M(onumentum) F(aciebat)." [6]

La demolizione della vecchia chiesa medioevale non permise il recupero di altro materiale. Tuttavia ne doveva esistere dell'altro nelle adiacenze, poichè nel dispositivo finale che definì le condizioni di permuta intercorsi fra i nobili marchesi Pirovano e la parrocchia di Cassago, riguardo ai terreni, dove sorgeva la vecchia chiesa e dove avrebbe dovuto sorgere la nuova, si fa esplicito riferimento a "un prato o orto tutto cinto e attraversato d'alcuni muri dirocati e antichi ", che sono forse gli stessi venuti alla luce nel 1930, di cui ci occuperemo più avanti. In quest'area nel 1855 fu rinvenuto un canale che dal Palazzo Visconti immetteva nella fontana di S. Agostino: ne dà notizia Filippo Meda citando una lettera del parroco don Ambrogio Clerici a mons. Biraghi del 21 giugno di quell'anno in cui viene annunciata la scoperta [7]. Altre e nuove scoperte antiquarie sembra venissero compiute sul finire del secolo scorso dal conte Lorenzo Padulli morto nel 1882. Il buon conte aveva scoperto nel giardino dinanzi al suo palazzo, ristrutturato dal signor Luigi Maggioni nel 1985, un condotto in mattoni, che egli fece risalire ad epoca antichissima ed anzi avanzò l'ipotesi, senza mai comprovarla, che si trattasse del canale dei bagni della villa di Verecondo. Il conte, che era Sindaco di Oriano, si diede molto da fare dopo la scoperta e riuscì nel suo intento di denominare la strada che da Cassago conduce a Bulciago "via S. Agostino", come di fatto ancora oggi si chiama. Ancora agli inizi del '900 quindi le conoscenze archeologiche erano molto limitate e non andavano più in là di dotte ed erudite trattazioni.

La prima, importantissima, fu scritta da mons. Luigi Biraghi (1801-1879), Dottore dell'Ambrosiana, il cui volumetto Sant'Agostino in ritiro a Cassago di Brianza sul milanese per sette mesi, dato alle stampe nel 1854, ebbe il pregio di esaltare e di rafforzare il tradizionale convincimento locale del soggiorno di S. Agostino a Cassago con argomentazioni a carattere scientifico, epigrafico e linguistico. Altri testi eruditi, ma di minore pregio, furono redatti ancora nel 1914 e nel 1928. Il primo fu letto in una seduta del Consiglio Comunale di Mariano Comense il 15 dicembre 1914 da D. Vismara e toccò i rapporti intercorsi fra Verecondo, Agostino e Manlio Teodoro, uomo quest'ultimo di vasta cultura, cui fu dedicato il De Beata Vita (1, 1), uno dei Dialoghi di S. Agostino scritto a Cassiciaco. Il testo riporta diverse citazioni in gran parte retoriche, con qualche interessante accenno alla ubicazione delle ville romane di Manlio Teodoro e di Verecondo [8]. La seconda relazione, che risale al 1928, fu scritta da Caterina Santoro, assistente alla Sopraintendenza dell'Archivio Storico Civico di Milano, che tracciò un quadro sommario ma interessante dei fatti più salienti della storia di Cassago dal medioevo in poi, suggerendo spunti fino ad allora imprevedibili per la ricerca archeologica. Alla Santoro si deve inoltre l'ideazione e la realizzazione dello stemma del Comune di Cassago, che fu adottato nel 1929 [9]. I tempi sembravano ormai maturi per una esplorazione archeologica, tanto più che si stava avvicinando la ricorrenza del XV centenario della morte di S. Agostino e Cassago desiderava celebrare degnamente tale occasione con qualche scoperta.

In effetti verso il 1930 ci fu un tentativo di indagine suggerito dallo studioso benedettino dom Germain Morin, che visitò Cassago e il palazzo Visconti, rimanendo impressionato dalla architettura dei suoi sotterranei [10]. Il Morin sollecitò una esplorazione archeologica che di fatto avrebbe dovuto svolgersi sotto la direzione del prof. E. Ghislanzoni Soprintendente alle Antichità della Lombardia e del Veneto, ma alcuni contrattempi ne impedirono il sopralluogo. L'ampliamento della chiesa, che fu portato a termine nell'agosto del 1930, permise tuttavia di compiere durante gli scavi alcune scoperte archeologiche di un certo interesse. Tutto ciò che si conosce ci è stato assicurato dalla testimonianza di chi partecipò a quei lavori ed ebbe perciò l'occasione di vedere e di seguire personalmente i rinvenimenti.

Fra le varie memorie certamente quella di maggior pregio fu quella manifestata l'8 settembre 1985 dal signor Ambrogio Cattaneo, classe 1909, che all'epoca dell'ampliamento della chiesa parrocchiale era un giovanotto iscritto alla appena costituita sezione locale di Azione Cattolica. Tale appartenenza lo aveva invogliato a prestare gratuitamente il proprio tempo libero aiutando i muratori nell'opera di costruzione. In tale attività ebbe modo di vedere che i lavori di sterro fecero affiorare alcune tombe presso l'attuale scalinata che porta all'altare maggiore. Il signor Vincenzo Confalonieri confermò in altra occasione questa scoperta e precisò che si trattava di due tombe le cui lastre portavano delle incisioni e delle scritte. Esse si troverebbero ancora sotto il pavimento ai piedi dei tre gradini che portano all'altare maggiore. Sotto il portico della chiesa settecentesca, che fu demolito per poter procedere all'allungamento della chiesa, si rinvenne invece un lungo muro, che attraversava tutta la chiesa. Fu scoperto a circa 1 metro di profondità, proseguiva d'ambo i lati e da una parte si concludeva nei giardini del parroco, che diede un pezzo di terra per costruire l'attuale strada che corre a fianco della chiesa.

Questi giardini erano di vecchia fondazione, come si evince sia dalle mappe catastali teresiane settecentesche sia soprattutto dal portale d'entrata, che ancora reca incisa la data 1630. Il Cattaneo enfatizzò molto la scoperta di questi muri e ricordò che furono parzialmente demoliti per far posto alla nuova costruzione. Sul piazzale della chiesa invece gli scavi di fondazione riportarono alla luce numerosissime ossa. Appena si scavava, se ne trovava, tanto che si pensò si trattasse di un cimitero. Durante i lavori di palificazione del terreno, che si rivelò fragile e poco consistente, gli scavi permisero di scoprire una tomba dove fu trovata anche una moneta, che fu ritirata dal parroco don Enrico Colnaghi. In questa stessa tomba, che giace attualmente sotto il pavimento a metà chiesa, furono infine riversati vari materiali di scarto, fra cui anche la lapide con dedicante MARRILLA. 

 

L'epoca attuale

L'opera di ricostruzione post-bellica e soprattutto lo straordinario sviluppo urbanistico del paese negli anni '60 fornirono finalmente l'occasione in epoca recente per procedere su tutto il territorio di Cassago a estese escavazioni, che hanno inevitabilmente riportato alla luce quanto era custodito sotto terra da decine di secoli. Quanto descriveremo è ciò che è stato reso di pubblica conoscenza, fermo restando che possono essersi verificate altre scoperte, che però non furono mai rese note. Per fortuna nostra varie persone si dimostrarono assai sensibili a questo tema e personalmente o con l'aiuto di amici, ebbero cura di informarsi e di conservare quanto gli scavi occasionalmente riportavano alla luce. Il primo di cui si abbia notizia certa risale al 1956 e fu registrato da Pasquale Cattaneo, benemerito cultore delle antichità cassaghesi, promotore e poi primo presidente della Associazione storico-culturale S. Agostino. In un suo dattiloscritto dal titolo Breve Storia di Cassago Brianza (Cassago e Oriano), che risale all'ottobre 1956, egli infatti annotò che "recentemente in occasione di scavi per le fondamenta di una costruzione ai confini di Oriano con Renate furono rinvenute delle anfore e delle urne cinerarie, probabilmente dell'epoca romana ...". La scoperta fu fatta dove un tempo sorgeva la trattoria del "Maggiolino" e precisamente in un prato di proprietà Onofri, situato all'incrocio tra le attuali via Marconi e via N. Sauro al confine con Renate e con il Tornago, una località quest'ultima che restituì in altra occasione una spada riferibile alla tarda età del bronzo [11]. Alcune persone, che a quell'epoca lavoravano presso la ditta Onofri, ebbero l'opportunità di vedere il manufatto e ricordano che fu scoperto a mezzo metro circa di profondità. Consisteva in una tomba rettangolare di 70x100 cm circa a lastroni regolari in pietra dello spessore di 7-8 cm. Al suo interno furono rinvenute un'anfora, tre monete, dei vasi e delle ossa. Un altro rinvenimento occasionale avvenne nel 1958 ai Campiasciutti durante lavori di scavo nella locale cementeria. Fu il guidatore della escavatrice stessa, il signor Salvatore Perego, ad accorgersi dell'affioramento di un'anfora e, dopo la comprensibile sorpresa, egli stesso interruppe i lavori per procedere al recupero di quanto affiorava dal terreno. Il signor Perego ha successivamente fornito una precisa ricostruzione dell'episodio, che ha consentito di acquisire utilissimi elementi per la datazione e l'interpretazione del manufatto. Secondo il suo racconto la ruspa mise a nudo l'anfora a una profondità di circa 70 cm nel mezzo di un terreno coltivo circondato da boschi. Purtroppo la violenza dell'urto la spezzò in due pezzi.

L'anfora poggiava su una tegola tagliata a metà delle dimensioni di circa 60x25 cm ed era sormontata e chiusa allo stesso modo da un'altra tegola analoga alla precedente e spezzata in due. Sia le tegole che l'anfora erano in terracotta rossastra e si presentavano ben conservate. La struttura del manufatto era integra al momento della scoperta, non mostrava manomissioni nè infiltrazioni d'acqua. All'interno dell'anfora il signor Perego trovò una moneta che recava iscrizioni che lui non comprese, ma che un responsabile della cementeria riconobbe latine. Oltre alla moneta l'anfora conteneva una patera in terracotta rossastra del diametro presunto di 25 cm, una punta di ferro, forse "una punta di falcetto" come suggerì lo scopritore, dei pezzi di stoffa nerastra dura e un ammasso globoso assai leggero e spugnoso, probabilmente residui di ossa. Altre persone che videro il manufatto ebbero la sensazione che si trattasse di una tomba. Tutto il materiale rinvenuto fu infine posto in una scatola e consegnato alla Direzione della Società Cementeria di Cassago. L'anfora alta circa 70 cm risale probabilmente alla tarda età repubblicana o al primo impero. Queste scoperte stimolarono Pasquale Cattaneo ad approfondire gli studi sul Rus Cassiciacum di S. Agostino con la segreta speranza di poter scoprire qualcosa di più circa la villa di Verecondo. La sua attesa non durò a lungo. Già nell'agosto del 1960 egli prendeva i primi contatti con la Soprintendenza ai Beni Archeologici di Lombardia per segnalare il rinvenimento di alcune pietre da selciato nello scavo di una vasca biologica nel cortile della villa Visconti di Modrone.

Il 9 agosto 1963 vi fu un secondo sopralluogo di funzionari della Soprintendenza per visitare la villa ormai in corso di demolizione e in tale circostanza Pasquale Cattaneo consegnò al signor Francesco Giacomini un suo dattiloscritto datato 1961, in cui esponeva le ragioni per cui Cassago doveva considerarsi l'antico Cassiciaco di S. Agostino [12]. La demolizione della villa Visconti, che fu portata a termine in quello stesso 1963, permise il recupero di numeroso e interessante materiale archeologico di epoca romana o romano-barbarica, che era stato riutilizzato in situ nel medioevo per costruire le fondazioni più antiche della villa stessa. Oltre a Pasquale Cattaneo altri appassionati si preoccuparono di salvare il salvabile pur tra mille difficoltà. In una nota autografa di Confalonieri Vincenzo che risale al 1965, troviamo testualmente "nel 1963 questa bellissima villa-castello fu demolita (un vero peccato), molte cose antiche furono distrutte in fretta e furia. Io sottoscritto ho individuato e contato n. 7 tombe o sacelli forse di epoca romana poi spezzate e utilizzate per fare il fondo alla strada che attraversa il parco già dei Visconti. N. 2 di questi sacelli per fortuna sono ancora intatti e abbandonati tra i calcinacci e i ruderi della villa demolita. Un pezzo di tomba sono riuscito malgrado la gretta sorveglianza a metterlo in salvo con altri pezzi di valore certamente archeologico ". Le due tombe di cui parla il Confalonieri furono effettivamente salvate e sono oggi conservate nel Parco Archeologico S. Agostino assieme ad alcuni basamenti di colonna, che furono recuperati in quei giorni.

Tutte queste tombe provenivano dal basamento del muro su cui appoggiava la torre della villa, ricostruita nel 1800 su un preesistente edificio definito "quadam turri et recepto" nel 1479 [13] e che troviamo già attestato in documento del 1409 [14]. In quello stesso periodo un geometra, il signor Giuseppe Giussani, si preoccupò di fotografare i materiali che affioravano dalla demolizione, il che ci ha permesso di disporre di una buona documentazione delle tombe scoperte. Lo stesso signor Giussani oltre a riprodurre la planimetria dell'intero edificio si interessò dei leganti della struttura muraria sfruttando le sue conoscenze tecniche di geometra. Egli osservò che esisteva una notevole differenza di leganti nelle varie architetture della villa: mentre la maggior parte dell'edificio si presentava composta di pietre unite da comune malta di calce in uso in Lombardia dal medioevo sino alla fine del secolo scorso, la parte centrale dal piano terra sino all'altezza approssimativa di 5 m. presentava muri di spessore superiore ai 2 m. composti di legante tenace e compatto molto simile per colore e resistenza alla calce idraulica impiegata con l'avvento del cemento. Poichè nel passato solo i romani impiegarono leganti cementizi da loro ottenuti mediante mescolanza e cottura di rocce calcaree e argilla oppure, dove possibile, sostituendo a questa la pozzolana, il Giussani avanzò l'ipotesi che almeno una parte della costruzione doveva essere appartenuta ad un edificio romano.

La scoperta delle tombe sembrò sul momento confermare la sua supposizione. L'esplorazione sistematica dei ruderi della villa e soprattutto l'accurata ispezione del muro di cinta del parco annesso alla villa permisero infine a Vincenzo Confalonieri di recuperare vari frammenti epigrafici oltre a materiale lapideo, fra cui un capitello. Si rinvenne fra l'altro un sasso con iscrizioni mutile, di difficile interpretazione poichè conservava solo due lettere: la prima era certamente una V, mentre la seconda potrebbe essere una A, P o R. Di maggior interesse si presentava invece una iscrizione scoperta nel muro di cinta su una lastra di marmo biancastro levigato, rotta in due pezzi e delle dimensioni 370x175x45 mm. Sul retro si notava una ampia scanalatura, che scorreva dall'alto verso il basso, che forse serviva per innestare il pezzo su qualche monumento funerario.

La scritta riportava il testo X. O. V. M. F. IV che richiamava con stupefacente analogia il contenuto della lapide di Marrilla. Queste ultime scoperte rinnovarono la tensione per la ricerca, ma le indagini non approdarono ad altri rinvenimenti. Tuttavia nel febbraio del 1967 si verificò un imprevedibile colpo di fortuna, che inaugurò una esaltante stagione di scoperte archeologiche estese a tutto il territorio di Cassago. Come lasciò scritto Pasquale Cattaneo "il giorno 1 febbraio scorso, l'agricoltore Moreschi Ivan, conduttore anche della «Trattoria Belvedere» si accinge a riassettare un suo casotto, che gli serve anche da fienile e ricovero di attrezzi. Deve sostituire alcuni pali di sostegno del tetto, costituiti da tronchi d'albero e scava le buche per impiantarveli. Mentre scava, ad un certo punto, non incontra più il molle terreno bensì dei sassi che si rivelano essere un muro. La curiosità spinge il signor Moreschi ad allargare il buco e a scavare più profondo e viene alla luce una quantità di cocci, di ceramiche, che, ripuliti, assomigliano alle ceramiche antiche che si vedono nei musei. Affiora anche qualche frammento d'ossa e si presume di essere in presenza di una tomba antica." [15]

La vasca rinvenuta è situata in località Belvedere di Oriano, a circa 15 m. dalla strada provinciale per Renate nella proprietà del Commendatore Dottor Cesare Como, che con grande sensibilità diede il proprio assenso ad ulteriori scavi. Il resoconto dettagliato di quanto accadde in quei giorni alla Pieguzza fu annotato su un quaderno. La semplicità dell'esposizione nulla toglie alla freschezza della narrazione, che ci riporta a quella memorabile scoperta:  1. 2. 1967 Il Signor Moreschi Ivan nel praticare un buco nel terreno scopre un muro sotterraneo. Continuando a scavare si mette in luce una costruzione rettangolare che a noi sembra una tomba. Nel terreno di scavo si rinvengono cocci di ceramiche e qualche osso. Viene segnalata la scoperta, da parte di Cattaneo Pasquale, alla Soprintendenza alle Antichità. 

4. 2. 1967 Il Soprintendente alle Antichità della Lombardia Prof. Mario Mirabella Roberti, in una visita sul posto, constata che si tratta non di una tomba, ma di una vasca per acqua di m.1,60 x 1,98 profonda cm.76, costruita con muri (spessi m. 0,30) in spezzoni di pietra con strato di tegoloni privati di orli a cm. 70 dal fondo. E' intonacata in malta signina con smussature in malta agli angoli per la buona tenuta dell'acqua e per facilitare la pulizia. I cocci scaricati all'interno sono di ceramica nera del I° secolo d.C. C'è anche un frammento in terra sigillata chiara. 

6. 2. 1967 Il Prof. Mirabella ci invia L. 20.000 per fare un saggio di scavi nel senso ortogonale al lato maggiore della vasca. Moreschi Ivan scava alla distanza di circa 20 metri dalla vasca e si scoprono altri tre muri che fanno pensare a cubicoli. Nello scavo vengono alla luce altri cocci di ceramiche. Moreschi Fiorenzo con pazienza e passione riesce a mettere insieme parecchi oggetti.  Il Prof. Mario Mirabella-Roberti quello stesso 6 febbraio inviò una lettera a Pasquale Cattaneo indirizzandola al Comune di Cassago, dove prestava la sua opera come messo comunale.

Nella lettera il Soprintendente esprimeva la gratitudine per la segnalazione e nello stesso tempo dava una interpretazione di quanto scoperto oltre a suggerimenti per nuovi scavi. "Le sono molto grato - scriveva M. Mirabella Roberti - della segnalazione tempestiva del ri trovamento in proprietà Riccardo Como. Si tratta di una vasca per acqua in spezzoni di pietra con strato di tegoloni privato degli orli ... La vasca è bene sia lasciata, almeno per ora aperta. Si può fare un saggio di scavo in senso ortogonale al lato maggiore della vasca per vedere se si incontrano altri muri nel campo. Mi farà piacere se vorrà informarmi dei risultati."  Gli scavi procedettero alacremente e nuove note ci ragguagliano delle scoperte: 

10.6.1967 Gli scavi proseguono e rivelano un muro a secco parallelo alla strada del cimitero. Dalla parte orientale verso la strada, a circa un metro di profondità cessa il muro e si scopre terra vergine. In questo strato si rinvengono pochissimi frammenti, invece dalla parte opposta, ossia a occidente, gli scavi rivelano un deposito ricco di materiale di rifiuto e di frammenti di ceramiche e tegole, qualche ferro, qualche vetro e ossa di animali. 

21.6.1967 Oggi scavando ebbi la gradita sorpresa, un bel tondino di balsamario, tutto a frammenti e ricomposto in parte, molte ceramiche nere, tra le quali alcune molto rozze, l'impasto della ceramica presenta un materiale impregnato di granuli di sabbia.  Agosto. Niente scavi. Incoraggiato e stimolato dal prof. Mirabella con pazienza da certosino, dopo aver ripulito per bene i cocci di ceramica, ero riuscito nel frattempo a ricostruire vari oggetti, fondi di patere, di vasi, di ampolle.

Il Soprintendente alle Antichità approvò l'opera svolta e promise il suo appoggio per la costituzione di un piccolo museo dove esporre il materiale rinvenuto. La scoperta della vasca alla Pieguzza non era passata inosservata agli addetti ai lavori e da Briosco il prof. Davide Pace, lo scopritore delle iscrizioni rupestri in Valtellina, scrisse una lettera alla signora Giacomini in cui affermava che "prima di tentare alcunchè avrei bisogno di sapere se la Soprintendenza sia cògnita di rinvenimenti antiquari accaduti a Cassago." All'affermativa risposta della Soprintendenza il prof. Pace replicava che "mi compiaccio che a Cassago vigili con tanta passione il messo comunale ... non mi occuperò di Cassago se non in quanto il mio interessamento possa rivelarsi utile e non disturbi valide indagini altrui."  Accompagnato dal prof. Luigi Zuffada e dal signor Michele Ronchi, il prof. Davide Pace eseguì finalmente una ricognizione archeologica a Cassago il 12 settembre affidandosi all'ottima guida di Pasquale Cattaneo. Nella casa di un amico del Cattaneo, probabilmente il signor Confalonieri Vincenzo, gli fu mostrato un frammento architettonico di granito ghiandone. Nella forma curva del pezzo lesse la parte residua di un'iscrizione che trascrisse ANN. CDXX. Egli rilevò che le due scritte erano integre quantunque mutile. Il frammento epigrafico era stato rinvenuto nel muro di cinta del parco Visconti, che già aveva restituito altri reperti e forse ne conservava ancora. Purtroppo il custode si opponeva tenacemente alla ricerca. Presso le case prospicienti la distrutta scuderia della villa il prof. Pace osservò tre lastre in pietra che formavano il selciato e che servivano da battente al cancello di ingresso della villa Visconti dalla piazza della Chiesa e vi riconobbe alcune lettere che interpretò come M. I. I. C. "Certa è la M seguita dall'interpunzione di forma triangolare, certo - scrisse più tardi - è che il segno seguente sia proprio I: immediatamente dopo tale segno è il limite di frattura della pietra. Certa mi è sembrata la I sottostante la M, elaborato è il segno successivo, che mi parve possa leggersi C."

Al Cattaneo, stupito della scoperta nella pubblica via, fu raccomandato di estrarre e conservare la pietra. Il che fu fatto prestamente, come successivamente diede comunicazione il Cattaneo con sua lettera del 29 ottobre, in cui scriveva che "ho fatto recuperare quel frammento epigrafico. Contrariamente alle apparenze è risultato un ammasso cubico di 50 cm di lato." La ricognizione del prof. Pace toccò quindi la località Belvedere, dove però non gli fu possibile vedere la vasca recentemente rinvenuta perchè coperta da un'enorme catasta di legna. Esaminò tuttavia gli affioramenti del campo della Piegüza esortando il Cattaneo a evitare che la ricerca di frammenti fittili sconvolgesse i muretti o comunque le sistemazioni litiche che gli scavi avrebbero portato alla luce. Nello stesso tempo gli illustrò l'opportunità di documentare graficamente e fotograficamente il complesso murario, rilevando che la sistemazione litica definita dal Cattaneo come selciato, poteva forse interpretarsi come un muro.  Il 17 settembre furono ripresi i lavori e "nello scavare, tra le pietre trovai una bella punta di freccia in pietra silicea, alla profondità di circa 60 cm dal suolo coltivo, ancora molte ceramiche nere e qualche frammento di terra di sigillo."  29.10.1967 Seguendo sempre lo scavo in direzione del muro, si è trovato un masso da un lato segato, ed incorporato nel muro, altri frammenti di ceramica nera in grande quantità, un manufatto litico, forse raschiatoio, di forma triangolare in pietra silicea, trovata ad una profondità di circa m. 1,20 dal livello del terreno coltivo.  Quello stesso 29 ottobre Pasquale Cattaneo scrisse al prof. Davide Pace ragguagliandolo delle ultime novità.

Dopo aver accennato che il 15 di quel mese una squadra di cinque milanesi di "Italia Nostra" era venuta a Cassago a scavare alla Pieguzza con la promessa di ritornare, il Cattaneo annuncia che è stato trovato un nuovo frammento di pietra con la scritta LIMES, presso la fontana che esisteva un tempo dove oggi sorgono le scuole elementari del capoluogo. Nel contempo scrive: "altra bella notizia: il giorno 27 di questo mese è stata costituita legalmente con atto notarile l'Associazione S. Agostino punto d'appoggio della leva per le ricerche archeologiche in Cassago ad invenendum i resti della villa di Verecondo". Gli scavi nel frattempo proseguivano alacremente e il diario ricorda che "il 12.11.1967 lo scavo continua verso la riva, si trovano moltissimi frammenti di ceramiche nere, tegulae e frammenti di mattoni." 

27.11.1967 Le ceramiche abbondano sempre, ce ne sono di parecchie forme, tra l'altro un orlo di pestello di ceramica chiara, all'interno del pesto c'è uno strato di granuli di sabbia, per favorire la macinazione dei prodotti, un frammento di pietra ollare con l'incrostazione del fuoco. 

2.12.1967 Oggi mi sono spostato in un piccolo scavo verso la strada ed ho trovato parecchi frammenti di ceramiche in terra sigillata chiara, tra l'altro fondi di patera, frammenti di orli di vasi, pochi frammenti di ceramica nera. 

5.12.1967 Ancora molti frammenti di terra di sigillo chiara, fondi di patera, orli di crateri in ceramica nera, ingrandimento dello scavo, le ceramiche si trovano ad una profondità di circa 60 cm. dal suolo coltivo ed a 90 cm. si trova terra vergine.  Nello scambio epistolare fra il Cattaneo e il prof. Pace si trattò anche della questione dei materiali fittili che continuamente affioravano e ad una specifica richiesta del Cattaneo il prof. Pace rispose: "Credo che forni a Cassago se ne possono trovare. E' indubitabile che la villa di Verecondo avesse forni sia per le terme sia per altri usi. Forni per laterizi e per vasi è probabile fossero esistiti in ogni vico. A Cassago se ne dovrebbe trovare anche in zone non pertinenti alla villa di Verecondo. Penso che di fornaci la Brianza fosse ricca."

Il 20 dicembre ci fu poi una scoperta importantissima: 

20.12.1967 Sempre nello scavo verso la strada ho rinvenuto un frammento di Patera con impresso un sigillo (DIICIA) ed altri frammenti di ceramiche in terra di sigillo chiara, un bel frammento di ciotola pure in terra di sigillo, pochi frammenti di ceramica nera.    

Lo stesso giorno il Cattaneo informava il prof. Pace della scoperta del bollo in planta pedis: "I milanesi di Italia Nostra - scriveva - non si sono fatti più vivi. Erano stati trascinati dal geometra Venegoni Danilo, un arredatore di Milano in relazione con un mobiliere di Cassago. A scavare siamo sempre in due o tre. Ho fatto fare un rilievo della zona archeologica. Il materiale che si rinviene è sempre abbondante di cocci, ceramiche e di tegole. Di particolare valore un raschiatoio di selce a forma triangolare e poi un fondello di ciotola di terra sigillata col marchio di fabbrica.

Altre scoperte di muri (chiamiamo così quegli strati di pietrame sistemati a secco) in continuazione di quelli già rinvenuti, mi fanno pensare ad un castelliere o terramara postpalafitticola o almeno ad un vico fortificato a suo modo." Il Cattaneo concludeva ricordando che "altri frammenti di tegole romane furono rinvenute nei pressi del palazzo Visconti nella demolizione del muro di cinta. Ad essi attribuisco particolare importanza quali minime, ma certe testimonianze della villa di Verecondo." Il prof. Pace si mostrò molto interessato alla scoperta del bollo in planta pedis DIICIAs che lesse DECIANUS e di cui fornì una interessante spiegazione [16]. Gli scavi alla Pieguzza continuarono fino a tutto febbraio 1968. Il diario degli scavi testimonia le successive scoperte: 

21.12.1967 Si ritrovano sempre in gran quantità frammenti di ceramiche in terra di sigillo e frammenti di un grosso pesto in ceramica molto chiara, poche ceramiche nere. 

15.1.1968 Dopo un periodo di riposo, mi sono rimesso a frugare nel terreno, nello scavo verso la strada si trovano sempre parecchie ceramiche in terra di sigillo e qualche frammento di ceramica nera, un grosso frammento di un'ansa di una grossa anfora vinaria ed un piedino di anfora. 

18.1.1968 Lo scavo prosegue, sempre moltissimi cocci di ceramica nera, qualche frammento in terra sigillata chiara, le ceramiche si trovano a circa trenta centimetri dal suolo coltivo. 

28.2.1968 Scavando questo pomeriggio, sempre da solo, ho trovato una grande quantità di cocci in terra sigillata ed un bel fondo di vaso, parecchie ceramiche nere, diversi orli di vaso, un piccolo frammento di vetro.

29.2.1968 Allargando lo scavo rivengono alla luce parecchi cocci di terra sigillata, frammenti di piccole olpi ed urnette. Altri frammenti di ceramica nera con lavorazione a rombi concentrici, 7 frammenti sempre di ceramica con decorazione a pettine. Sono parecchi e penso di riuscire a mettere insieme qualche pezzo. Questo materiale si rinviene a circa 30 cm dal suolo coltivo.  La maggior parte dei rinvenimenti avvenne dunque presso i muretti a secco che distavano 7-8 m dalla vasca. Lì furono trovati tubi per acqua in ceramica, un frammento di macina, una armilla oltre a gran parte del materiale fittile. I vetri e le pietre ollari si rinvennero invece solo nella vasca. L'eccezionalità della scoperta diede valore a quanto i "vecchi" del luogo ricordavano da tempo e cioè che già agli inizi del '900 furono rinvenute varie "cose" durante la costruzione di una casa presso la vasca. Non si era ancora conclusa l'eco dei risultati degli scavi che quasi subito, il 10 marzo 1968, fu rinvenuta una tomba in località Crotto mentre si stava scavando per costruire un accesso stradale nelle proprietà Giussani in via Volta. Si trattava di una tomba che fu attribuita ad una cultura gallo-romana e che oggi conosciamo essere appartenuta alla cultura di La Tène in un periodo che va dal II al I secolo a.C. In quella occasione la neonata Associazione S. Agostino allestì prontamente una mostra archeologica il 17 marzo, che suscitò un vivo interesse e un duraturo apprezzamento [17].

Con lettera del 1 settembre 1969 il Soprintendente alle Antichità della Lombardia prof. Mario Mirabella Roberti consegnò al Sindaco di Cassago signor Ilario Corti i reperti perchè venissero esposti e nel contempo ne fornì la catalogazione che riportiamo di seguito.  Elenco inventario degli oggetti rinvenuti il giorno 10.3.1968 a Cassago B.za (CO) località "Crotto" in una tomba scoperta in proprietà Giussani, via Volta n.9/b. Il materiale viene dato al Comune di Cassago B.za in "deposito temporaneo dello Stato": 

St. 10104 Ciotola di ceramica campana a vernice nera (all'ext. presso il piede, il graffito V I) diametro cm 11, altezza cm 4

St. 10105 Patera in terracotta rossastra, diametro cm 19 h=4,5 cm

St. 10106 Frammento di patera in terracotta rossastra diametro prevedibile cm 19

St. 10107 Microceramica coppetta carenata, terracotta giallo-grigia diametro mx. cm 6,5

St. 10108 Olla biansata a bocca larga, terracotta grigia, diametro alla bocca cm 10, diametro max cm 12,5 h= cm 15

St. 10109 Vaso troncoconico con impressioni a spina di pesce in ceramica rosso-gialla, diametro cm 14, h= cm 9

St. 10110 Vaso troncoconico carenato con impressioni verticali ricomposto da più frammenti, ceramica rosso-gialla, diametro max cm 12,5 e h= cm 10

St. 10111 Frammento di coperchio in ceramica grossolana annerita dalla cottura, h= 5,7 diametro prevedibile cm 14

St. 10112 Frammenti di una lama di cesoia, lunghezza attuale cm 11 in ferro

St. 10113 Frammento di una fibula in ferro lunghezza cm 4,5

Milano, 1/9/1969 Il Soprintendente M. Mirabella Roberti

La doppia scoperta alla Pieguzza e al Crotto stimolò i soci della Associazione S. Agostino a intraprendere ovunque esplorazioni e a prestare attenzione a tutte le escavazioni che venivano eseguite in occasione di costruzioni di nuovi edifici. Questo oscuro lavoro diede subito buoni frutti. A Zizzanorre in località Prisòm, cioè la Prigione, trovai una punta di freccia in selce rosata, mentre scavi di assaggio presso la fontana S. Agostino condotti dal sottoscritto e da Peppino Giussani permisero di evidenziare l'esistenza di un muretto a secco a circa un metro di profondità e della lunghezza di circa un metro, presso cui furono rinvenuti tre tasselli di mosaico. Ma una scoperta ancora più eccezionale ebbe luogo nell'ottobre del 1971 quando, sempre nelle adiacenze della Pieguzza, furono trovate alcune tombe a circa 1 m di profondità del terreno coltivo, mentre si stavano eseguendo lavori di sbancamento in via S. Marco per allargare e rettificare la strada che da Oriano conduceva a Cassago. La scarsa attenzione dei lavoranti purtroppo non permise un efficace recupero del materiale di interesse archeologico e quasi certamente diversi pezzi andarono dispersi. La prima tomba fu trovata casualmente presso la deviazione che la medesima strada presentava verso Zizzanorre ed era una tomba a lastroni delle dimensioni di circa 2x1,5 m. Conteneva materiale fittile di buona fattura e di "notevole bellezza", come ebbe a sottolineare il compianto don Lorenzo Fumagalli coadiutore in quegli anni a Cassago.

Poco tempo dopo la ruspa scavando nel terreno coltivo per allargare la curva della strada presso l'abitazione di proprietà Giussani Fiorina rinvenne un nuovo manufatto: a una profondità di circa mezzo metro fu individuata un'anfora coricata alta circa 70 cm., che fu recuperata a frammenti, per la violenza dell'impatto. In seguito venne ricomposta nella forma originaria. Altre due tombe apparirono alla vista nei giorni seguenti a 1,5 m di profondità circa del terreno coltivo a poco meno di 30 m di distanza dalla prima ed erano costituite da camere a lastroni di pietra con abbondante materiale fittile.  La tipologia complessiva di questo gruppo di tombe attesta la presenza di un insediamento celto-gallico, già emerso del resto nelle vicinanze dai ritrovamenti relativi all'età di La Tène affiorati alla Pieguzza. Alcune reperti lasciano intuire addirittura contatti con la civiltà etrusca. Un nuovo episodico recupero venne compiuto nell'estate del 1977 su segnalazione del signor Peppino Giussani, che estrasse un basamento di colonna in pietra bianca da un muro in fase di demolizione in cui era stato reimpiegato. Il muro di proprietà dello stesso Giussani si trovava presso una torre-colombaia nelle adiacenze dei ruderi della villa Visconti. Una comunicazione autografa del signor Confalonieri Vincenzo del 14 giugno 1979 al prof. Luigi Beretta indicava invece tra le varie "antichità scomparse dalla chiesa parrocchiale un tempietto, che a parere degli esperti era di epoca romana. Era grazioso e serviva in sacrestia per mettere il fuoco e carbonella per uso liturgico." La Pieguzza ritornò al centro dell'attenzione nuovamente a luglio del 1981, quando, in occasione di scavi per la posa delle condutture di metano, la ruspa a circa 1 m di profondità mise in luce in via don E. Colnaghi, a una decina di metri dalla vasca evidenziata nel 1967, una bella tomba di epoca romana 18, che venne datata dalla dott. ssa Maria Fortunati Zuccàla al I secolo d.C. in piena età repubblicana-imperiale. Quattro lastre disposte verticalmente racchiudevano al loro interno due patere di cui una nera (St. 51664), un falcetto, una fibula e resti di ossa. La patera in vernice nera presentava il diametro superiore di cm 28,5 quello inferiore di 11 cm e una altezza di 5 cm.

Di buona fattura, mostrava tre cerchi concentrici con decorazioni a foglie di palma. Nuove indagini furono sollecitate in quello stesso anno dalla Associazione S. Agostino, che aveva fatto opposizione al Piano Regolatore Generale, che con sommo scandalo, prevedeva in questa area la costruzione di nuovi edifici.  L'opposizione fu riconosciuta valida dalle autorità regionali a motivo della importanza del luogo come sito archeologico e così nell'ottobre del 1983 iniziarono degli scavi di assaggio, che furono compiuti dalla ditta Fumagalli, proprietaria dei terreni e assegnataria della licenza edilizia. Gli scavi inizialmente condotti con delle ruspe in modo selvaggio provocarono la risentita reazione del funzionario della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Lombardia dott.ssa Maria Fortunati Zuccàla, che impose la sospensione del saggio ordinando uno scavo con assaggi a profondità non superiori ai 30 cm. Il 19 ottobre apparvero dei muri a secco disposti senza una apparente geometria. Nuovi assaggi condotti sotto la direzione del dott. Lanfredo Castelletti e della dott. ssa Isabella Nobili permisero infine il 16 novembre di individuare una vasca o pozzo-cisterna di forma trapezoidale, con le basi lunghe 282 e 286 cm e i lati obliqui di 292 e 260 cm. L'altezza del muro del manufatto risultava mediamente di 72 cm. Si trattava di una vasca o cisterna di epoca romana forse opera di rurali piuttosto poveri. Strutture di questo genere in realtà erano solitamente costruite da facoltosi o ricchi, che tuttavia li esigevano in mattoni. Qui i muretti erano in ciottoli e pietra legati da abbondante malta. L'ispezione del materiale contenuto nella vasca fu eseguito il 18 novembre e permise di recuperare uno spillone assai bello, frammenti di patere, ossa, mandibole. Sul fondo si notarono molti tegoloni del tipo usato per le abitazioni. Probabilmente la località ospitava abitazioni di cui la vasca era una specie di riserva di letame o forse era un deposito di acqua per uso umano o forse animale. Le sue dimensioni erano quasi doppie rispetto a quella rinve­nuta nel 1967 a una decina di metri di distanza. Come scrisse la dott. ssa Isabella Nobile "il lato S-W si presenta interrotto al centro fino a circa metà altezza forse per permettere il deflusso o l'immissione di acqua.

Lungo i lati, all'innesto col fondo, corre una zoccolatura con sezione a quarto di cerchio, anch'essa rivestita, come le pareti interne e il fondo della cisterna, da uno strato di malta di cocciopesto allo scopo di renderla impermeabile. Il riempimento, composto da terriccio nerastro con ciottoli e frammenti di laterizio, conteneva abbondante materiale fittile, per lo più frammenti di ceramica comune, ma anche un fondo di patera in terra sigillata tardo-imperiale con bollo in planta pedis e un ago crinale in osso. La struttura, con il relativo riempimento, era interamente ricoperta da un deposito di circa 30-40 cm di terriccio con ciottoli e frammenti di laterizi, che costituivano lo strato coltivo presente su tutta l'area. In seguito ad accordi intervenuti fra la Soprintendenza Archeologica e l'impresa costruttrice si è provveduto alla conservazione in loco del manufatto predisponendo, a spese della stessa impresa, una copertura permanente [19]. " In realtà questa copertura non fu mai eseguita e a tutt'oggi la vasca si trova interrata nel giardino delle costruzioni che furono successivamente innalzate. La raccolta di materiale proseguì fino a dicembre inoltrato con il recupero di numerosi frammenti di tegoloni frammisti al terreno. Alcuni erano interessanti perchè lavorati a mano, tanto che si notava ancora il sottile segno delle dita, probabilmente di donna. Vennero raccolti anche strumenti di lavorazione in pietra, amigdali e qualche raschiatoio. Avvicinandosi la ricorrenza del XVI centenario del soggiorno di S. Agostino a Cassiciaco, l'Associazione S. Agostino sul finire di quello stesso anno 1983 aveva predisposto in accordo con l'Amministrazione Comunale la bonifica dell'area adiacente la fontana di S. Agostino. Ed è appunto durante gli scavi qui condotti che si ebbero ulteriori scoperte. Inizialmente il signor Luigi Panzeri riscoprì il 7 settembre un canale di alimentazione in pietra della fontana. Poi se ne mise in luce un secondo, infine nel tentativo di mettere in evidenza le fondazioni della vasca, si ripristinò l'originaria struttura della fontana, che non era rettangolare, come ormai appariva da decenni, ma a forma tipicamente di mandorla. La sorpresa fu ancora maggiore quando apparve un muretto monco di fattura assai diversa dalla fontana in cui era inglobato e che richiamava una tipica tipologia costruttiva romana. Sotto la guida di Padre Mario Viscardi, che aveva già incoraggiato ad una esplorazione capillare dei terreni della Pieguzza, i lavori vennero proseguiti scendendo di livello e il 10 dicembre apparve infine un muro ad angolo, che presentava due nicchie in mattoni e tegole. Nel novembre dell'anno seguente furono ripresi gli scavi e ben presto furono evidenziate due camere, che contenevano grandissime quantità di materiale fittile di epoca rinascimentale e settecentesca. Le due camere erano state certamente riutilizzate in epoca moderna come vasche per il trattamento della calcina, i cui residui erano ancora visibili a strati frammisti a sassi di fiume, mattoni, tegole, ceramiche.

Il signor Chiolerio Luigi eseguì il rilievo di quanto veniva affiorando. Le due camere con le due nicchie nel muro frontale sono tuttora visibili nel parco archeologico S. Agostino presso la omonima fontana. Sempre in queste adiacenze e precisamente il 12 novembre 1986 il signor Panzeri Mario scoprì un sasso granitico di forma allungata e piatta, terminante a semicerchio, nel cui centro si osservava un cerchio con inscritta una croce. Si trovava inserito nella struttura muraria portante la volta di un tratto delle fondazioni della demolita villa Visconti. Mancando iscrizioni è difficile interpretare il manufatto: forse ha un carattere funerario cristiano, ma non è da escludere la possibilità che risalga ad epoche ben più lontane nella storia, quando nell'età del bronzo il semplice disco raggiato internamente simbolizzava il sole. Potrebbe rappresentare anche una specie di limite o cippo confinario tra diverse proprietà. Un'altra casuale scoperta fu fatta nell'estate 1989 dopo che i signori Bonacina Giancarlo e Redaelli Pietro detto "cà rùsa", avevano segnalato la presenza nei boschi di Zizzanorre di un masso erratico parzialmente lavorato. Un sopralluogo mise in evidenza che si trattava di un masso erratico semilavorato forse per cavarne una tomba. La lavorazione fu tuttavia interrotta per motivi sinora sconosciuti. Nel luglio del 1991 i coniugi Merlo Angelo e Riva Flavia rinvennero nel giardino della loro abitazione alla Pieguzza a cinquanta metri circa dalla cisterna scoperta nel 1983 una piccola olletta fram­mentaria databile all'età romana. Infine nel 1992 durante lavori di dissodamento di un terreno, condotti per farne un giardino, vennero alla luce in proprietà Colnago alla Pieguzza un blocco litico frammentario lavorato a treccia, forse base di un capitello o di un vaso. Nell'aprile del 1993 nei cosiddetti "orti del parroco", situati dietro il palazzo municipale, Perego Benvenuto rinvenne una specie di conduttura litica a circa mezzo metro di profondità. Al suo interno non fu rinvenuto nulla: scavi più estesi, che interessarono l'intera area, furono successivamente condotti nel gennaio 1994 sotto la direzione degli archeologi Maria Fortunati Zuccala e Paul Blockley. Tali scavi rivelarono altri condotti litici di difficile interpretazione e lettura, mancando qualsiasi riferimento ceramico e metallico che potesse consentirne la datazione. Gli unici frammenti scoperti erano relativi a ceramiche tardo medioevali e quattrocentesche. Sin qui giungono le scoperte archeologiche certe. Altre sono note dalle dicerie popolari, ma non sono documentate o documentabili. In ogni caso ciò che è stato scoperto in questi ultimi trent'anni ha un valore immenso, poichè ha chiaramente dimostrato che Cassago fu stazione d'insediamento preromana, che conobbe un rigoglioso sviluppo in epoca tardo-repubblicana e imperiale fino all'età barbarica. La continuità di questi insediamenti è straordinaria e ben documentata dalla tipologia delle ceramiche, soprattutto alla Pieguzza, dove maggiori furono le scoperte sia per qualità che per quantità.

La presenza umana non si concluse a Cassago in età barbarica, ma proseguì in epoca longobarda, come testimonia uno straordinario documento dell'854, che ricorda un certo Gaiderisso de Cassiaco figlio di Agemundo di legge longobarda. La presenza longobarda a Cassago denuncia la preesistenza di strutture e di edifici di interesse economico o militare ed è un implicito riconoscimento della esistenza in loco in epoche anteriori di un insediamento produttivo o di una villa rustica, che potrebbe identificarsi proprio con la villa di Verecondo. Tutta la tipologia della ceramica del resto richiama la presenza di un insediamento signorile e nello stesso tempo produttivo a conduzione agricola: della villa di Verecondo non ci resta ormai che scoprirne le fondamenta. Finalmente l'augurio e la speranza dei nostri padri forse non sono così lontani dall'avverarsi.

 

 

Note   

(1) Cfr. TRISTANO CALCHI, Mediolanensis in Libros viginti Historiae Patriae, manoscritto del 1490 A 233 Inf. della Biblioteca Ambrosiana; FEDERICO BORROMEO, De' Piaceri della mente Cristiana, Milano 1625, p.104-105; GIUSEPPE RIPAMONTI, Historia Ecclesiae Mediolanensis, decas prima, 1617. 

(2) FEDERICO BORROMEO, De Christianae mentis Jucunditate, Mediolani 1632, 87. 

(3) C. I. L., V, 2, 5662. 

(4) C. REDAELLI, Notizie Storiche della Brianza, Milano 1826, fasc. 3, pp. 158-159: "MARILLA R(ecepto) OMINI F(austo) O(pi) V(otum) M(erito) S(olvit)". 

(5) L. BIRAGHI, Sant'Agostino a Cassago di Brianza sul milanese in ritiro di sette mesi, Milano 1854: "MARILLA R(ubrii) OMINI F(ortunato) O(ptimo) V(iro) M(onumentum) F(aciebat)". 

(6) C. SANGALLI, Distinta Relazione della demolizione della Chiesa Vecchia e Casa Parrocchiale Costruzione della Nova con li fatti più rimarchevoli, 1759, in Archivio parrocchiale di Cassago. 

(7) F. MEDA, La Controversia sul "Rus Cassiciacum", in Miscellanea Agostiniana, II, Roma 1931, 56. 

(8) Cfr. Prolusione "Notizie Storiche" di D. VISMARA, in Archivio Parrocchiale di Cassago B. za, cart. 17. 

(9) Archivio Comunale, Cat. I, fald. 1.

(10) G. MORIN, Où en est la question de Cassiciacum ?, in La Scuola Cattolica, 1927, 54-55: "..il y a sous la ville actuelle, sous le tertre verdoyant qui la supporte un ensemble imposant de constructions qui ont produit sur mon esprit une impression très vive. Ces constructions sont aujourd'hui sous terre, fermées de toutes parts à la lumière: mais il n'en a pas toujours été ainsi, comme il résulte des nombreuses fenêtres percées de différents côtés dans les épaisses murailles; tout cela a dû s'éléver au-dessus du sol, avant que celui-ci eût été exhaussé, de façon à former la colline fortice qui porte la ville. Jamais je n'aurais soupçonné l'existance de cette autre villa souteraine, ni ne m'y serais aventuré, sans l'assistence du curé de l'endroit et d'un serviteur du Duc: il y a là tout un monde souterain avec diffèrents étages, des escaliers, des fontaines, etc... Il nous a fallu, je m'en souviens, un assez long temps pour en examiner soumairement tous les coins."

(11) A. BORGHI, Il territorio di Lecco prima dei Romani, Lecco 1978, 29.

(12) Tale dattiloscritto è ancora conservato nell'Archivio della Soprintendenza alle Antichità della Lombardia nella cartella Pos. V: Cassago Brianza (CO).

(13) Arch. Storico Milano, cart. 60, Registro Lettere Ducali, 1479.

(14) Cfr. "... petia una campi ... iacens in dicto territorio de Cassago ubi dicitur post turrim ...", in V. LONGONI, Torri e campanili nella Pieve di Missaglia, Oggiono 1988, 102.

(15) PASQUALE CATTANEO, Cassago, Importante scoperta archeologica, in L'Eco della Brianza, 1967.

(16) Il frammento in questione, comunicò il prof. Pace, è "a fondo piano di diametro 6,5 cm con parete dritta, pertinente con ogni probabilità a una tazza. Sul fondo interno in planta pedis si nota un bollo DIICIAs, che va quasi sicuramente letto come DECIANUS, non attestato altrove e forse rapportabile a una fornace locale. La coppia di aste verticali II ha infatti la funzione di E. Tale uso ebbe origini arcaiche, tuttavia l'abitudine del segno gemino II per esprimere E si protrasse anche in età imperiale. Documentato già nelle iscrizioni falische, il gemino II corsivo, sia dipinto che graffito, è copiosamente testimoniato a Pompei, Ercolano, Stabia e nelle Catacombe di Roma, ma non è raro trovarlo in altri luoghi anche molto lontani quali la Dacia. Va sottolineato che la E rappresentata da II è particolarmente diffusa nelle iscrizioni graffite dei sepolcri protoimperiali dell'alto Verbano. Il segno s in alto a destra della scritta DIICIA ha il valore di nus per cui tutto il bollo va in­terpretato DECIANUS. Il reperto è attribuibile al I-II secolo d.C."

(17) Un foglio conservato presso l'Associazione S. Agostino fornisce un elenco dei pezzi esposti, che qui riproduciamo: "Frammenti ceramica in terra sigillata chiara. 3° e 4° sec. d.C. Ceramiche, anse di anfore, fondelli, orli rinvenuti nei pressi della vasca (Pieguzza). Embrici frammentati (Tegoloni) rinvenuti nei pressi della vasca. Frammenti di ceramiche varie (Vasca Pieguzza). Frammenti di ceramiche varie. Notare 2 orli con decorazione a ditale rinvenuti presso la vasca. Pezzi di ceramica decorati a pettine. Frammento di selce. Scorie di ferro; Anello in ferro (Vasca Pieguzza). Vaso di ceramica nera e orli superiori di vaso pure di ceramica nera del I secolo d.C. (Vasca Pieguzza). Materiale rinvenuto nei pressi della vasca: scorie di ferro, frammenti vetro, di selce, denti di animali. Frammento punta di freccia in selce azzurro-rosata. Trovata in località Zizzanorre nel luogo detto prigione. Corredo di tomba Gallo-Romana del III-II secolo a.C. rinvenuto in località Crotto di Cassago Brianza. Fondo di padella Ollare (Materiale rinvenuto nella vasca Pieguzza). Orli di vasi in ceramica nera (Rinvenuti nella vasca Pieguzza). Frammenti di ceramica provenienti dalla vasca della Pieguzza. Notevole fondo di piatto con marchio di fabbrica DIICIA. Un frammento di orlo con decorazione Villanoviana. Frammenti di piatto decorativo con testa umana di età Pompeiana. Materiale proveniente da Milano (Donato da Moreschi Fiorenzo). Frammento marmoreo con decorazione parietale proveniente da Eclano (Dono del prof. Lisino Giannasca). Lucernetta votiva della Civiltà Fenicia rinvenuta in località Pedra Senta Comune di Bosa (Nuoro) 700 a.C. Dono del Dottor Luciano De Rin Campus). Materiale proveniente da Avellino (Dono di Don Olinto Garavaglia)." Il 25 ottobre 1986 la dottoressa Fortunati-Zuccàla, dopo averli catalogati, ritirò i reperti archeologici custoditi presso la Sede dell'Associazione S. Agostino per portarli in Soprintendenza a Milano. L'elenco comprende: Tomba del Crotto: Ciotola di ceramica campana a vernice nera (St. 10104), Patera in terracotta rossastra (St. 10105), Frammento di patera in terracotta rossastra (St. 10106), Microceramica coppetta carenata giallo-grigia (St. 10107), Olla biansata a bocca larga in terracotta grigia (St. 10108), Vaso trococonico con impressioni a spina di pesce in ceramica rosso-gialla (St. 10109), Vaso troncoconico carenato con impressioni verticali ricomposto da più frammenti (St. 10110), Frammento di coperchio in ceramica grossolana annerita dalla cottura (St. 10111), Frammenti di una lama cesoia, lunghezza attuale cm 11 in ferro (St. 10112), Frammento di fibula in ferro della lunghezza di cm 4,5 (St. 10113). Tomba via don Colnaghi: Patera in vernice nera (St. 51664), falcetto in ferro. Tombe via S. Marco a Oriano: Piccola coppa in vernice nera (St. 51665), Olla frammentaria a parete ovoide con collo diritto (St. 51666), Olletta biansata (St. 51667), Brocca corpo ovoide e piede svasato (St. 51668), Bicchiere ricomposto da numerosi frammenti (St. 51669), Anforetta ad anse pizzicate, tre frammenti (St. 51670), Anforetta o olpe (St. 51671), Tazza ricomposta da frammenti a parete svasata (St. 51672), Ansa bicostolata (St. 51673), Frammenti vari (St. 51674). Località Pieguzza: Patera tardo-impero con impressioni di figure e simboli mitologici (St. 51675), St. 51982, St. 51983, Fondo di tre frammenti di olla (St. 51676), Orlo svasato di pestello o mortaio con strato abrasivo (St. 51677), Frammento di parete con cordolo, forse coperchio (St. 51678), 4 frammenti di fondo piano annerito (St. 51679), Frammento forse di coperchio con presa (St. 51680), Frammento di dolio a fondo piano con parete aperta e spessore grosso (St. 51681), Frammento di un grosso coperchio con presa scanalata (St. 51682), 2 frammenti di parete con presa scanalata, probabile olla (St. 51683), Frammento di parete con bordo ondulato e presa digitale (coperchio) (St. 51684), Frammenti di parete con cordone ondulato (St. 51685), Frammento di fondo di patera con 2 scanalature concentriche (St. 51686), Frammento parete di olla (St. 51687), Frammento di fondo forse di tazza con scanalatura (St. 51688), Frammento parete con orlo diritto, forse dolio (St. 51689), Frammento di parete aperta carenata, forse bacile (St. 51690), 2 frammenti di parete svasata forse olla (St. 51691), Frammento di parete con inclusi (mortarium) (St. 51692), Frammento di parete aperta e orlo diritto, forse dolio (St. 51693), 2 frammenti di parete di grosso recipiente (St. 51694), Frammento di collo dritto e labbro distinto, forse olpe (St. 51695), 4 frammenti di olla ovoide, scanalature ad orlo (St. 51696), Frammento di coperchio con presa a pomello (St. 51697), 3 frammenti con piede diritto e fondo rientrante con planta pedis (St. 51698), Frammento di collo e parte parete di anfora (St. 51699), Frammento di parete di patera in terra sigillata con motivo a giglio (St. 51700), Frammento di fondo rientrante svasato di tazza (St. 51701), 2 frammenti di fondo di grossa patera (St. 51702), Frammento di parete con cordone ondulato di grosso contenitore (St. 51703), Frammento di piccola olla con orlo estroflesso (St. 51704), Fondo piano e parete aperta di tazza (St. 51705), Fondo piano, piede svasato (St. 51706), Frammento di fondo piano con vernice arancio (St. 51707), 6 frammenti composti con decorazione a fasce oblique (St. 51708), Frammento di collo di anforetta (St. 51709), Frammento di fondo piano e parete aperta di grosso bacile (St. 51710), Frammento di fondo con decorazione a foglia punzonata (St. 51711), Fondo con piede ad anello di tazza in terra sigillata (St. 51712), Bicchiere a rocchetto ricomposto da tre frammenti (St. 51713), Olletta a corpo ovoide schiacciato (St. 51714), Coperchio frammentario con imboccatura aperta (St. 51715), Tappo per contenitore (St. 51716), Frammento di fondo piano di tazza in terra sigillata con bollo DIICIAS (St. 51717), Frammento fondo piano con foro centrale con tre anelli concentrici (St. 51718), Vaso in pietra ollare composto da 2 frammenti riuniti più 9 frammenti, frammento di olla in impasto nocciola, olla in impasto nocciola, 40 frammenti di orli di olle varie, frammento di olla con presa, frammento di orlo di olla, fondo e parete ovoide di balsamario, coppa in argilla fine depurata, carenata, fondo e parete di olpe, coppetta in argilla arancio frammentaria, orlo e parete di forma aperta, frammento di fondo di patera decorata con semicerchi a punzone, frammento di fondo di coppetta, frammento di fondo e parete di coppa in impasto arancio, bordo e orlo frammentario di anfora, frammento di orlo in terra sigillata, fondo di patera frammentario con semicerchi concentrici, frammento di ansa bicostolata, fondo e parete frammentari in pietra ollare, fondo e parete di olpe frammentaria, fondo e parete frammentari, 5 frammenti riuniti, fondo di coppetta frammentaria, frammento di orlo e bordo di anfora, 3 chiodi in ferro, 1 fibula, 1 reperto in ferro, bordo e orlo frammenta­rio di coppa in argilla, orlo di parete di olla, parete con presa di grossa coppa, fondo concavo di coppetta, fondo, piede e parete di coppa, 3 frammenti di anse, frammenti di parete ed orlo di coppa, frammento di fondo, piede e parete di coppa, frammento di fistula in argilla arancio ed invetriatura interna, collo di olpe in vetro, collo, labbro e parete di ampolla in vetro, fondo di balsamario in vetro, armilla in bronzo ed anello in bronzo, fibula in ferro, frammenti di lama in ferro, frammenti di pugnale.

(18) Cfr. Scoperta una tomba romana a Cassago, in Il Resegone, 24 luglio 1981, n. 30 pag. 17.

(19) Notiziario della Soprintendenza Archeologica della Lombardia, 1984, 60.