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La dominazione di Pontida nel secolo XIV  

Mura e canale di sfogo di una cisterna nell'area del castro messi in evidenza fra luglio e agosto 2007

Mura e canale di sfogo di una cisterna nell'area del castro

 

 

LA DOMINAZIONE DI PONTIDA NEL XIV SECOLO

di Luigi Beretta

 

 

 

Nel Trecento la presenza del monastero di Pontida in Cassago assunse aspetti nuovi, che debbono essere messi in relazione alla decisione presa da papa Bonifacio VIII di assegnare questo monastero in commenda. Nel 1330 al cardinale Guglielmo Longhi successe come commendatario Giovanni Visconti prevosto di Pontirolo. Papa Giovanni XXII aveva accettato questa scelta nell'ambito di un piano di più ampio respiro che avrebbe dovuto condurre alla riconciliazione del papato con i Visconti. Costoro in realtà avevano già avanzato pretese da diversi anni su questa ricca commenda, pingue di entrate e di possessi terrieri. Già nel 1320 il monastero era stato occupato dalla soldataglia del podestà di Bergamo, sostenitore della politica di espansione di Matteo Visconti. Ed è proprio a quest'epoca che risale un curioso episodio che riguarda Cassago. Si tratta di una vicenda dai contorni fantastici e con aspetti lontani dalla nostra mentalità, dove si dipanano storie di avvelenamenti e di malefici. I fatti furono raccontati e trascritti durante un processo ove deposero vari testimoni e i relativi atti sono oggi conservati nell'Archivio Vaticano.

La ricostruzione degli avvenimenti parte dal 9 febbraio 1320 quando il chierico milanese Bartolomeo Cagnolato testimoniò nella Curia papale ad Avignone che Matteo Visconti l'aveva istigato a compiere un veneficio contro papa Giovanni XXII usando una statuina. Nella prima deposizione il Cagnolato riferì che dopo il primo abboccamento nell'ottobre 1319 aveva avuto ancora altri contatti a più riprese con il Visconti, che in quel tempo era acerrimo nemico del papa. Nella seconda deposizione dell'11 settembre 1320 il Cagnolato documentò il successivo sviluppo della vicenda, ove entra in scena un giovane nativo o originario di Cassago. Il Cagnolato infatti dichiarò che dopo essere ritornato a Milano nel marzo del 1320 con alcuni suoi famigli per sbrigare degli affari venne affrontato da Bertramino Prandebon e da un certo Cassago o da Cassago, donzello di Matteo Visconti. Il Prandebon e il nostro da Cassago lo fecero incarcerare sospettando il suo doppio gioco. Durante i 42 giorni di prigionia il Cagnolato subì diverse torture ma inutilmente, tanto che Giangaleazzo Visconti lo convocò per ordinargli di approntare un veneficio contro il papa. Il Cagnolato accettò ed ottenuti denari e statuina, ritornò ad Avignone. Nella deposizione che rese, lo stesso dichiarò che se non avesse accettato c'era già pronto a sostituirlo un certo Dante Alighieri di Firenze .... (1).

Relativamente a questo secolo conosciamo il nome di un altro da Cassago che, lasciato il paese natio, aveva cercato di farsi una posizione altrove. Si tratta di un tale Giovanni da Cassago, che aveva abbracciato la carriera ecclesiastica e che apparteneva al Capitolo della chiesa di S. Giovanni di Monza. In un documento del 20 ottobre 1351 rogato dal notaio Grasso de Rainerii, questo Giovanni da Cassago compare con la qualifica di nunzio giurato del Capitolo (2). Ciò gli aveva permesso di intimare una riunione del Capitolo di S. Giovanni di Monza, convocato per ordine di Graziano de Arona vicario dell'arciprete. La sua presenza in tale consesso mostra che l'ormai decadente influenza politica della Basilica di S. Giovanni di Monza nei nostri territori era purtuttavia ancora presente e sapeva richiamare verso la città alcuni uomini del contado. Non è da escludere del resto che questo Giovanni da Cassago appartenesse alla nobiltà locale, che così si sentiva rappresentata e tutelata nell'organo di governo di un Capitolo che amministrava ancora un ingente patrimonio economico in Brianza, fra cui certamente andavano incluse varie proprietà a Cassago e soprattutto a Oriano (3).

Su queste stesse terre vantava diritti di decima il Capitolo della Chiesa plebana di S. Vittore di Missaglia, che furono confermate nell'agosto del 1356 da un decreto di Cristoforo de Buzachis de Regio, Vicario della Martesana all'epoca di Bernabò Visconti. Con questo atto tutte le Comunità della Pieve, fra cui il locus de Orliano cum Cizanore e il locus de Cassago, consegnarono, cioè riconobbero, le proprietà pertinenti alla chiesa plebana (4). Fra le righe del decreto si scopre che un certo Passarinus de Orliano era consul et offitialis di Barzanò, mentre un certo Marchesii de Cassago possedeva terre nel territorio dipendente dal cascinale di Verdegò. Le maggiori proprietà in Cassago erano comunque di pertinenza del monastero di Pontida, che godeva di un ruolo di primo piano e di grande prestigio nella gestione sia religiosa che amministrativa del centro abitato. Nel maggio del 1348 era stato redatto un atto dal notaio Beltraminum dictum Taminum de Molteno nel quale gli uomini di Cassago "protestavano", cioè accettavano la signoria del monastero sulle terre e su altri beni esistenti nel paese. A sua volta il monastero di Pontida concedeva tali proprietà in affitto sia a livello che con contratto a termine ai nobili del posto, che a loro volta li davano da coltivare ai contadini. Nel documento si fa cenno all'esistenza di varie case o domos, ad abitazioni rurali o cassinas, oltre che a selve, boschi, brughiere, terreni coltivabili e a certi diritti di riscossione delle decime. Le proprietà si estendevano principalmente sul territorio di Cassago, ma avevano propaggini anche nei paesi vicini ed erano complessivamente denominate come "possessione de Cassago".

In quell'anno priore maggiore e commendatario del monastero era il cardinale Giovanni Colonna (1342-1348), che godeva del titolo di diacono di S. Angelo in Roma e che si distinse per una politica rigorosa di esazione soprattutto a carico del clero. Le condizioni generali di conduzione di questa "possessione de Cassago" sono note da un altro istromento del 17 marzo 1386. A quell'epoca il priore maggiore e commendatario era il cardinale francese Filippo d'Alençon, vescovo di Ostia (1379- 1397), che apparteneva alla stirpe reale dei Valois. Filippo d'Alençon era infatti il secondogenito di Carlo II di Valois, conte d'Alençon. Era entrato nella carriera ecclesiastica ed era stato prima arcidiacono di Beauvais nel 1356, poi vescovo di Rouen nel 1359, Patriarca di Gerusalemme ed infine amministratore Apostolico di Auch nel 1375. Guastatosi con Carlo V re di Francia, per contese sorte a Rouen, il d'Alençon si mise risolutamente con il papa romano e contro il papa avignonese (5). Nel 1378 fu creato cardinale col titolo presbiterale di S. Maria in Trastevere da papa Urbano VI (6), che con questa mossa sperava di rendere più difficile la collusione Parigi-Avignone. Quando venne fatto arciprete di S. Pietro, in occasione della sua entrata in Roma nel 1379, lo stesso papa tributò al d'Alençon onori fino ad allora inusitati (7).

Il d'Alençon si interessò come già i suoi predecessori presso il nuovo duca di Milano Gian Galeazzo Visconti (il 6 maggio 1385 Gian Galeazzo aveva fatto prigioniero lo zio Bernabò nel castello di Trezzo) per ottenere esenzioni fiscali, cosa che in effetti ottenne il 27 luglio 1386 per i possessi del monastero in Cassago. Nella stessa occasione Gian Galeazzo Visconti concesse l'esenzione da gravami anche per le pertinenze in Cassago del monastero di Fontanella, la cui storia è sempre stata strettamente collegata a Pontida (8). Il d'Alençon in ogni caso non governava più direttamente Cassago. Delle sue prerogative era stato investito infatti il nobile Marchollus Rozius figlio di un certo Michaellis abitante in Melzo, il quale aveva acquistato la qualifica di Affittuario Generale de' Beni e dei redditi del priorato di Pontida con pubblico istrumento rogato il 20 marzo 1386 da Odorichus Nicholaus chierico della diocesi di Aquileia, di cui il d'Alençon era patriarca commendatario. Ed è appunto il tale veste che Marchollus Rozius il 17 maggio 1386 usò del suo diritto di subinvestire la "possessione de Cassago" alle principali famiglie nobili e ai vari contadini o massari, che a quell'epoca abitavano questo paese. L'affitto di queste terre era un fatto abituale ancora prima dell'avvento del Rozio: nel 1383 ad esempio erano stati gli stessi monaci del convento e del Capitolo di Pontida a concedere l'uso delle terre con un atto rogato il 4 dicembre da Paolinum de Hoe. Come accadeva di solito in tali circostanze gli abitanti di Cassago o Comunitas hominum delegarono alcuni tra essi a rappresentarli giuridicamente. Tale atto di procura, che fu rogato dal notaio Johannes de Riboldis de Bexana il 3 maggio 1386, costituiva Sindaci e Procuratori della Comunità di Cassago i fratelli Antonio e Maxetum de Cremelina, figli del nobile Pagano, Guglielmo Victinalla figlio del nobile Manfredi, Marchollus de Bugonzio figlio del fu Guardinij e Beltramino Bolzia figlio di Zanini, tutti abitanti "in loco Cassago". La famiglia de Cremellina si è già visto che risiedeva in Cassago nel 1288, quando un certo presbiter Paganus con il figlio Alberto vi esercitava la professione di notaio. Questa nobile schiatta con ogni probabilità aveva interessi e proprietà in Cassago tali da giustificare la sua residenza per oltre un secolo (9). Nulla sappiamo invece dei Victinalla o de Victinala, da cui hanno originato gli attuali Vismara e che non compaiono più nella documentazione posteriore del XV secolo. Marcholus de Bugonzio invece denuncia nel nome la sua recente immigrazione da un cascinale prossimo a Cassago, che oggi fa parte del Comune di Inverigo: si tratta di Bigoncio, di origini addirittura romane (10). Questi Sindaci a nome proprio, cioè curando i propri personali interessi, e a nome della Comunità intera, nella loro veste di procuratori, sottoscrissero il 17 maggio 1386 il contratto di affitto con il Rozio, che venne stipulato a Melzo dai notai Mafiolus de Busso e Marcholus de Ello (11). Il locatore concedeva in uso "tenere, laborare, gaudere, ussufructum possidere et percipere" le proprietà del monastero, che consistevano in terreni, sedimina, domos et cassinas. Il contratto aveva validità per 10 anni a partire dalla festa di S. Martino di quell'anno e prevedeva come prezzo d'affitto annuale il pagamento di 112 ducati d'oro "boni, justi et fortis ponderis" (12) oltre a 12 capponi "bonos, pulchros ac ydoneos", da consegnarsi ogni anno a Melzo nel giorno della festa di Ognissanti. Oltre alle solite raccomandazioni di conservare e migliorare la buona tenuta della proprietà, il contratto prevedeva due interessanti clausole.

La prima imponeva alla Comunità di "solvere presbitero de Cassago omne ac totum id quod eidem solitum est solvi pro offitiando ad ecclesiam dicti loci et eum manutenere suis expensis": gli uomini di Cassago cioè, come era d'abitudine, si dovevano impegnare a mantenere a proprie spese un sacerdote per l'esercizio delle funzioni religiose nella chiesa del paese. Un documento proveniente dall'archivio del monastero di Cremella ci ricorda che nel 1397 a Cassago officiava un certo "presbiter dominus Iohannes de Tabiago beneficiallis ecclesiae Sancti Iohannis de Biolzago et rector ecclesie sancte Marie loci de Cassago ...". Il titolo di rector qui usato designava in realtà il prete nominato dalla Comunità, che così poteva esprimere la possibilità di gestire autonomamente la chiesa locale, quasi primo abbozzo della futura parrocchia cinquecentesca. Rector differiva da benefitialis, che indicava invece il sacerdote nominato direttamente dal dominus, che deteneva il patronato della chiesa. Presbiter Iohannes de Tabiago era rector della chiesa di S. Maria, l'antica chiesa medioevale di pertinenza del monastero di Pontida già dal XII secolo. A questa chiesa piuttosto che a quella di S. Brigida Vergine sembra riferirsi l'elenco dell'anno 1398 in cui sono indicati i contributi cui era tenuto il clero milanese. Alla voce Capellani de Massalia si trova infatti che la capella de Caxago doveva contribuire per la cifra di Lire 3 soldi 7 e denari 2 (13). Per quanto non se ne conosca oggi l'esatta ubicazione è del tutto attendibile ritenere che sorgesse al pari della chiesa di S. Brigida Vergine all'interno del castro medioevale. Nel 1386 Signori del castro erano forse i nobili de Casternago, poichè non v'è altra ragione che spieghi il loro coinvolgimento nei patti di affitto stipulati con il Rozio dalla Comunità di Cassago. Sono infatti i nobili fratelli Curadinus et Blaxinus de Casternago fq. domini Petri, residenti a Milano nella Contrada di Porta Romana, a sottoscrivere la seconda clausola sopra ricordata, che prevedeva la individuazione di due persone che nei dieci anni di validità del contratto garantissero una fidejussione per il regolare pagamento dell'affitto. I due fratelli de Casternago concessero la loro fidelitatem con tanto di rogito del notaio Paulino de Ello il 30 maggio 1386 e si obbligarono in proprio e sulle personali proprietà a onorare il pagamento dell'affitto.

L'atto che fu steso nel Broletto nuovo di Milano alla presenza di tre testimoni milanesi, Leonardo de Torgio, Ambrollis de Alliate, Franzollus de Aliate e di un brianzolo, Tomollus de Perego, abitante a Perego, non conteneva stranamente alcuna contropartita, il che fa credere che ciò rientrasse nelle prerogative e negli obblighi dei Casternago nella loro veste di domini del luogo. Nel gennaio del 1393 furono comunque sollevati da questo onere con un nuovo rogito del notaio Leonello de Modiis di Milano con il quale la Comunità di Cassago liberava i due nobili fratelli dalla fidejussione prestata. La rinuncia dei Casternago non era tuttavia del tutto disinteressata poichè varie persone di Cassago e la Comunità stessa da qualche anno, forse per carestie o forse per difficoltà congiunturali, risultavano debitori del monastero di Pontida con cui avevano direttamente pattuito un contratto di affitto nel 1383 prima che il Rozio diventasse Affittuario Generale e che probabilmente era stato garantito ancora una volta dai fratelli de Casternago (14).

A distanza di dieci anni il priore Iohannes de Tertio (15) pretendeva ora che venissero saldati i debiti ancora pendenti relativi agli anni dal 1390 al 1392. Debitori risultavano Selinotum de Casago figlio del fu Fidelis per lire 4 e soldi 4, Martinum de Tornago per la stessa cifra, Zanolus Vilio per 4 lire, Marcholus de Piotis per soli 4 soldi, Petrolus Sapa figlio del fu Pagano per lire 1 e soldi 7, Antonio Cremellina figlio del fu Pagano per lire 3 e infine la Comunità stessa di Cassago per complessive lire 16. Quest'ultima precisazione lascia intuire che una parte delle terre di Pontida erano godute da tutti e che tutti vi avevano libero accesso, forse per pascolare il bestiame o forse per fare legna. Non è da escludere che queste stesse terre siano il retaggio dell'antico gahagium dell'età longobarda.

 

 

(1) G. BISCARO, Dante Alighieri e i sortilegi di Matteo e Galeazzo Visconti contro papa Giovanni XXII, in Arch. Stor. Lomb. 1920, fasc. IV, 454. I documenti relativi al processo furono pubblicati dallo Jorio nel 1895, mentre il testo completo apparve in Von Zanbereinnwesen Aufgangs des XIV Jahrundert, in Jarbuch XVIII (1897), pp. 609-625.

(2) Arch. Duomo Monza e in PANDOLFI, Regesto dei documenti Monzesi, dattiloscritto 1962, Biblioteca di Monza.

(3) Molte erano le prerogative del Capitolo di Monza: i canonici stendevano contratti di investitura, acquisti, vendite e altro. Ciò era sintomo di un grande potere politico, sociale ed economico. Nella seconda metà del sec. XIII la vita all'interno della Canonica era estremamente articolata e interessante. Gli officiali, a capo dei quali vi era l'arciprete, erano divisi in Ordine Maggiore e Ordine Minore. L'arciprete godeva di ampi diritti e a lui spettavano tutti gli ornamenti e la dignità pontificale. I grandi riconoscimenti ufficiali degli arcipreti di Monza hanno una radice storica, in quanto un tempo spettava loro, in assenza dell'arcivescovo di Milano, di incoronare i nuovi re d'Italia con la corona ferrea. All'arciprete spettava la nomina dei canonici e la stesura degli statuta concernenti i doveri dei canonici, in cui è evidente il tentativo di limitare l'eccessiva autonomia dei singoli canonici, che non solo adempivano ai loro doveri verso la comunità, ma tendevano a rendere ereditarie le prebende, cioè le rendite di cui godevano sui beni terrieri loro affidati di proprietà della chiesa. Dell'Ordine Maggiore facevano parte i canonici: alcuni di essi erano poi designati con termini particolari in riferimento alla carica amministrativo-economica esercitata. La più importante era quella di vicarius dell'arciprete. Costui, che in genere apparteneva alle maggiori famiglie milanesi, faceva le veci dell'arciprete soprattutto nella risoluzione di controversie con altri enti o presiedeva il Capitolo convocato per questioni straordinarie. Tale carica concedendo ampia facoltà d'azione comportava spesso enormi poteri. Spesso i vicari ricoprivano contemporaneamente anche la carica di administrator. Tale termine appare nei documenti come sinonimo di canevarius, vocabolo questo che designava anticamente colui che era addetto alla custodia della caneva comune e che a buon diritto può essere paragonato al tesoriere moderno. A lui competeva l'amministrazione dei beni della comunità canonicale. Vi era inoltre il sindacus, che aveva funzioni di tipo amministrativo-giuridico. Spettava a lui la risoluzione delle controversie in cui si trovava coinvolta la chiesa di S. Giovanni con gli affittuari confinanti. Dell'Ordine Minore facevano parte i custodi, che, come i canonici e i decumani, possedevano dentro e fuori Monza molti benefici. Ciò fa ritenere che essi ricoprissero una carica di grande importanza fra gli officiali minori. Vi erano poi i chierici, i decumani e i portonarii, adibiti alla custodia delle porte. A differenza di molte altre canoniche a Monza vi era una carica tutta particolare, quella dei provisores dei mulini. Costoro si occupavano della gestione dei mulini, presenti in gran numero lungo il corso del fiume Lambro e il fatto che sia presente una carica del genere è prova evidente dell'importanza dei mulini nell'economia del territorio dipendente da Monza e della necessità di una regolamentazione dell'uso delle acque del Lambro.

(4) Archivio Prepositurale di Missaglia.

(5) P. PASCHINI, Alençon Filippo, in Enc. Treccani, VII, 294.

(6) G. EUBEL, Hierarchia Catholica medii aevi, Padova 1933-1960, vol. 6.

(7) Dopo il suo appoggio a papa Urbano VI i seguaci del papa avignonese Clemente si vendicarono del d'Alençon saccheggiando i beni che il cardinale possedeva in Provenza. Nel 1380 il papa lo nominò vescovo di Sabina e suo vicario nel patrimonio di S. Pietro e nel Ducato di Spoleto. Nell'agosto dello stesso anno però, essendosi il cardinale allontanato da Roma senza chiedere licenza, dall'ombroso pontefice fu allora considerato ribelle, ma fu solo una nube passeggera e alla morte di Marquardo di Rendek, patriarca di Aquileia, Urbano VI gli dava in commenda quel Patriarcato nel 1381. Era la prima volta che il patriarcato di Aquileia veniva dato in commenda e i friulani si ribellarono dividendosi in due partiti. Cividale fu il centro contrario alla nomina, Udine invece dichiarò che avrebbe ricevuto il d'Alençon come patriarca e principe, purchè venisse a risiedere nel Friuli, come avevano sempre fatto i suoi predecessori, e deponesse la porpora cardinalizia, che essi giudicavano incompatibile con la dignità patriarcale. Il d'Alençon andò in Friuli come cardinale e patriarca commendatario e radunò il parlamento a Gemona, dove gli udinesi levarono alte proteste. Prese il possesso di Aquileia e pose la residenza a Cividale. Incominciò una lunga guerra civile e religiosa con varie intromissioni politiche, che durò sette anni. Rendendosi sempre più difficile la sua posizione il d'Alençon rinunciò ad Aquileia e il papa in compenso lo nominò vescovo di Ostia e legato in Germania presso re Venceslao con una delegazione che durò fino al 1390. Dopo la morte di Urbano VI il d'Alençon stette col successore Bonifacio IX e tentò nel 1394 di tirare a sè l'Università di Parigi. Trascorsi a Roma ed a Tivoli gli ultimi anni della sua vita, morì il 15 agosto 1397 e fu sepolto in Roma in S. Maria Trastevere, in fondo al transetto sinistro, dove ancora si nota il sontuoso sepolcro eretto in sua memoria con l'epigrafe che recita FRANCORUM GENITUS REGUM DE STIRPE PHILIPPUS ALENCONIADES HOSTIE TITULATUS AB URBE ECCLESIA CARDO TANTA VIRTUTE RELUXIT UT SUA SUPPLICIBUS CUMULENT MARMORA VOTIS ANNO MILLESIMO CUM C QUATER ABDE I TER OCCUBIT QUA LUCE DEI PIA VIRGOQUE MATER.

(8) A. S. M., Fondo di Religione, Parte antica, n. 618, privilegi.

(9) Relativamente a questo scorcio finale del '300 conosciamo altri de Cremelina nel territorio briantino-lecchese. Un certo Antonius de Cremelina detto Matafolio figlio di ser Galizini è noto ad esempio a Lecco dove esercitava la professione di mercante di lana. Cfr. atto 12 novembre 1384 in A. S. M., Arch. Diplomatico, Fondo Religione, Pergamene, Lecco, cart. 129, cass. 65 e ancora l'atto del 21 febbraio 1387 in A. S. M., Arch. Diplomatico, Pergamene, Brescia varie, cart. 97.

(10) N. SANVITO, I paesi di Inverigo, Giussano 1989, 30-32.

(11) A. S. M., Possessi Foresi, f. 309.

(12) Nelle transazioni il ducato d'oro era preferito alle altre monete, quali la lira imperiale o i soldi, perchè il suo valore intrinseco poneva al riparo dall'inflazione che in quel secolo aveva ridotto il potere d'acquisto del denaro di oltre il 50%.

(13) Manoscritto D. 60 "Notitia cleri Mediolanensis de anno 1398 circa ipsius immunitatem", in Biblioteca Capitolare Metropolitana di Milano, pubblicato da M. MAGISTRETTI, Milano 1900.

(14) I Casternago erano probabilmente imparentati con i nobili Pirovano: così ne parla infatti la Cronaca di Goffredo da Bussero, della fine del XIII secolo. Cfr. L. Grazioli, La cronaca di Goffredo da Bussero, in Archivio Storico Lombardo, 1906, 236. I nobili Pirovano sono noti a Cassago dal XVI secolo e avevano proprietà anche a Lomagna e a Tabiago, da dove proviene un certo Moretus figlio di Guifredo de Casternago, che fu teste il 3 settembre 1226 in un atto di locazione di un terreno di Cibrone di proprietà dei canonici di Monza, Biblioteca Ambrosiana, NI 15 inf. fol. 17v.)

(15) Un altro Terzo de Terzi fu priore dello stesso monastero nel 1317 ed era originario della Val Cavallina.