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Anita Savini: A 50 ANNI DALLA PRIMA MESSA DI DON GIUSEPPE CORTI

Immagine del sacerdote cassaghese don Giuseppe Corti

Immagine di don Giuseppe Corti

 

 

1974: A CINQUANT'ANNI DALLA PRIMA S. MESSA DI DON GIUSEPPE CORTI

di Anita Savini

Notiziario Parrocchiale, anno I, 6 giugno 1974

 

 

 

Sono cinquant'anni da che don GIUSEPPE CORTI ha celebrato la sua prima Santa Messa.

«Bella, immensamente bella, traboccante di gaudio e di letizia è la cerimonia cui noi assistiamo ». Era questo l'intercalare continuo che il parroco don Enrico Colnaghi diffondeva nella piccola chiesa di allora con la sua voce argentina.

Era festa di cuori, di anime e di popolo che unico diversivo aveva la Chiesa e le sue sagre! Nacque a Cassago nel 1899, primo di nove figli di Giovanni Corti e di Giovanna Savini (l'ultimo è l'attuale sindaco: sig. Ilario Corti).

Don Giuseppe, sempre serio e compreso della sua vocazione, era il conforto ed il sostegno morale soprattutto della mamma di cui ricopiava il carattere e lo spirito. Donna mite e benefica era la signora Giovanna. Aveva a suo carico, giorno per giorno, un giovane malato. A lui mandava quanto passava sulla sua tavola per la famiglia: «Una bocca in più - diceva - ma è una carità fiorita in tempi di miseria». Rimessosi in salute venne assunto come aiutante in ufficio postale di cui la signora era gerente ed in seguito formò la sua brava famiglia. Don Giuseppe così preparato salì all'altare compreso di una missione di Calvario e di lavoro.

Venne assegnato alla parrocchia di Cremella che in quegli anni, come Cassago, si riduceva a poche case e casupole. Parroco di Cremella, da parecchi anni era il prozio: don Giuseppe Villa morto nel 1932. Con ardore giovanile si mise al lavoro costruendo un salone-oratorio e preparando una filodrammatica che riuscì opera di intelligenza e di bravura dando così vivacità all'inerzia del paese ed alla monotonia del tempo.

Non era entusiasta del confessionale perché Lui vedeva la vita semplice e retta. Così passò i 18 mesi di vita sacerdotale strappando rovi e gettando la buona semente. La figura dello zio parroco don Villa era patriarcale ed era in venerazione nei dintorni. Lo chiamavano Il Viciniore ed a lui spettava nella nostra parrocchia la parte solenne di aprire, ad esempio, le Quarantore. Si iniziavano al canto solenne delle Litanie dei Santi ed i bambini, puntualissimi, al canto di Sancta Pelagia rispondevano in coro a voce spiegata: Sancta Penagiaaa ...

La chiesa allora era il simbolo del disordine: piccole sedie liscate per il popolo oltre le panche tarlate; ogni stile di sedie fisse per le famiglie benestanti (quella della signora Isolina sovrastava la ventina presso il Confessionale del Parroco!). Se poi a Natale la signora Isolina metteva il cappello allora la superiorità era ancor più evidente. I topi avevano libera circolazione. Polvere secolare sui confessionali; le grate portavano il respiro delle anime. Perfino la duchessa Xenia poteva fare con le unghie dei ghirigori ed esclamava ogni tanto: «Che ambiente! ».

Sembrava che il curatino fosse deciso a mantenerci in francescana povertà. Infatti proibiva alle donne di interessarsi di pulizia in chiesa ma gli uomini, sollecitati, non arrivavano al meglio. Fu così che proprio in quegli anni si iniziarono le prime iniziative per ampliare la chiesa in occasione del Centenario della morte di S. Agostino (1930): raccolta di stracci, ossa, uova, offerta mensile degli operai e fu una gara di solidarietà spontanea e sentita.

Il pro-zio parroco, ogni tanto andava alle acque di Boario (e con il fegato ... centenario sopravvisse a due coadiutori, don Giuseppe e don Carlino) lasciando la cura a don Giuseppe assistito dalle rispettose cordialità delle domestiche Claudina e Santina. Era premuroso di accompagnare i visitatori al castello dei conti Sessa dove la signora, con tanto di cappello, sferruzzava tutto il giorno (come faceva a Cassago la duchessa Xenia) mentre girava lo sguardo ad osservare ciò che il paese presentava di vario ed i monelli.

A novembre del 1925 don Giuseppe cadde ammalato: febbre, rossori in viso, gli occhi lucidi, brividi di freddo. Il coadiutore di Cassago, don Carlo, portava le notizie e diceva che si aspettavano da Milano i risultati delle analisi del sangue: che furono quelle di tifo. Non c'era allora la penicillina e fu fatale. Nella notte fra il 9 e 10 dicembre il sacerdote entra in coma .. dopo aver chiesto la celebrazione delle Messe gregoriane. In quei giorni di fiera tradizionale sulla piazza della chiesa di Cremella ... proprio sotto la finestra del sacerdote agonizzante che stava per chiudere una vita giovanissima votata a Dio. Fu osservato il silenzio.

Nelle prime ore del mattino del 10 dicembre 1925, don Giuseppe si presenta vittima pura a Dio. Riposa nel cimitero di Cassago.

Don Enrico Colnaghi scrisse sull'immagine ricordo: Anima mite e candida, mente aperta ed eletta, cuore largo e generoso. Queste le nobili doti che come gemme preziose ornavano l'animo suo e gli schiudevano dinanzi un orizzonte pieno di luce e di bontà per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime.

Morte immatura lo strappò violentemente all'intenso affetto dei suoi cari che a lui votano un ricordo imperituro e gli consacrano lacrime cocenti in un cuore trambasciato dal dolore ».