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Percorso : HOME > Cassago > Le origini > ZizzanorreLe Origini di Cassago: Zizzanorre
Il complesso edilizio di Zizzanorre visto dall'alto.
ZIZZANORRE
UNA IPOTESI DI SOLUZIONE ALL'ENIGMA DELL'ETIMO
testo di Nando Sanvito
A volte anche una banale ricognizione tra sentieri per disegnare il percorso di una gara ciclistica può riservare incontri inaspettati. È quanto è successo a me qualche tempo fa, quando mi sono imbattuto nell'oasi di Zizzanorre. Da semplice appassionato di natura, arte, storia e linguistica ho apprezzato tutto quanto di questo si raccoglie in quello scrigno di un ettaro e ringrazio la famiglia Pedroli di avermi aperto le porte della dimora.
Una delle cose che più incuriosisce di questo microborgo è sicuramente il toponimo: ZIZZANORRE, così bizzarro e inusuale per le usanze fonetiche brianzole.
Caesius, Cisius e Sutianus zoppicano ...
Finora dagli studiosi sono state suggerite, anche se in modo prudente, due possibili spiegazioni del toponimo in questione. La prima è stata timidamente avanzata quasi un secolo fa dal linguista Dante Olivieri [1] appoggiandosi alle tesi del collega Giandomenico Serra [2]: l'etimo di ZIZZANORRE si potrebbe far risalire al termine Caesianorum, mutuato a ritroso attraverso la prima documentazione scritta del toponimo, cioè Suzanorem, citato in una copia amanuense [3] di un diploma imperiale del Barbarossa datato 1162, che conferma il luogo come proprietà del monastero di Civate. Il termine Suzanorem è chiaramente declinato all'accusativo singolare, ma Olivieri lo cita invece all'ablativo della forma Suzanore. È probabile che lo studioso dia per scontato un passaggio, quello del genitivo plurale (di possesso) -um che porta poi alla desinenza -e, intesa non tanto come ablativo latino orfano della preposizione in, quanto piuttosto corruzione volgare di quel genitivo, quella ad esempio della trascrizione Sozanore apparsa 50 anni dopo in un inventario dei possedimenti della Basilica di Monza del 1206 o nella Sezzanore [4] di poco successiva a quest'ultima. Una filiera linguistica questa, di solito utilizzata più comunemente per quei toponimi che richiamano nomi di seconda declinazione con -orum trasformato in -ore.
Sia come sia, resta il fatto che per questi studiosi Zizzanorre indicherebbe un luogo colonizzato da un clan familiare della gens Caesia o comunque vincolato al gentilizio latino Caesius o Caesidius, un nome di cui si sarebbe trovata traccia in Brianza anche a Erba, nell'epigrafe ora scomparsa di una chiesa.
Prima di approfondire ulteriormente questo faticoso accostamento linguistico Suzanorem-Caesianorum viene spontanea una banale considerazione empirica: è realistico scomodare il marchio di una colonizzazione etnico/gentilizia per identificare un minuscolo luogo che nel XIII secolo riusciva a dare da mangiare a un solo nucleo familiare [5]?
Più recentemente Carlo Vergani [6], seppure sul solco della interpretazione dell'Olivieri, pare limitare la spiegazione del toponimo al solo nome personale Caesius: quindi possedimento vincolato alla proprietà personale di un Caesius, più che a un gruppo sociale, se bene interpreto la posizione dello studioso.
Anche ammettendo, come fanno altri [7], che analoghi antroponimi vengano non dal latino Caesius ma dal nome celtico di persona Cisius, Cis(s)us o Cissa , in tutti gli altri casi analoghi, come derivazione toponomastica abbiamo un villa Caesiana (Cesana Brianza), Cixiano/Cixano (Cesano Maderno), Chizano/Gizano (Cesano Boscone), Cisiano/Cixiano (Cisano Bergamasco), Cixade (Cesate) o Gaeso (Cesana Torinese), tutti toponimi che si discostano da quel primitivo Suzanorem/Sozanore. E' vero che versioni successive dei toponimi in questione possono far pensare a significative assonanze: ad esempio Zizzanorre in un documento del 1232 è scritto Sezzanore che si avvicina al Sezana con cui viene citato un secolo dopo (1346) il locho di Cesana negli ‘Statuti delle strade e delle acque del contado di Milano'. Ed è vero che in epoche più recenti per indicare ZIZZANORRE abbiamo avuto formulazioni scritte quali: Cizanore (estimo del Monte di Brianza, 1456), Cizano (Status animarum loci Cassaghi, 1571), Cicanorii (testamento di Giovanni Nava, 1680), Cizanò (catasto di Oriano, 1720), Zizari (Compartimento Ducato di Milano, 1751), Cizzano (carta topografica del Brenna, 1841), Sizano (in vari testi a cavallo tra XIX e XX secolo) ma apparirebbe incongruo collegare queste versioni con quelle di vari secoli prima, specie se all'epoca il toponimo progenitore si discostava significativamente da quelli.
Ma affrontiamo ora alla radice il paragone linguistico. Terza declinazione latina alla mano, l'accusativo singolare Suzanorem presuppone in linea puramente teorica che il nominativo possa essere stato Suzanor (con varianti irregolari Suzanoris/ Suzanores). Ma, immaginando pure tutte le corruzioni volgari e tardo latine possibili dei nomi Caesius o Cisius, è credibile che da questi si arrivi a giustificare come esito finale Suzanor (o al limite Suzanoris/Suzanores)? L'ipotesi sembra davvero molto forzata.
Ricostruzione dell'area occupata dal lago
Sarebbe più convincente a questo punto prendere in esame nomi tardo latini o di provenienza germanica come Sutius, Sutianus o Sozanus, ma sono nomi di cui non c'è quasi traccia in ambiti territoriali omogenei a quelli cui si riferisce la nostra ricerca.
Alla fine dei conti, l'ipotesi di vincolare la nostra località a un antroponimo si mostra degna di considerazione ma non troppo convincente.
Lago di Zizzanorre e Baciolago
Appare più plausibile che la soluzione dell'enigma linguistico ZIZZANORRE si debba ricercare non in una radice antroponomastica, ma in una caratteristica fisica del luogo. Ci orienta in questo la geologia. Se ci si posiziona dietro la villa (ex Nava, Lurani-Sirtori, oggi Pedroli) si avrà la nitida visione che Zizzanorre è un piccolo altopiano che guarda quello che oggi si chiama Parco della Valletta, un'area notevole per dimensione, i cui campi venivano chiamati in dialetto brüghera (brughiera), ad indicare una zona umida, per niente favorevole alla coltivazione, utile al massimo per il pascolo. In effetti quest'area è il residuo di una conca lacustre di acqua stagnante legata al ritiro dell'ultima glaciazione würmiana, l'argilla impermeabile è la sua carta d'identità e il motivo della sua umidità. Se guardiamo una stampa pubblicata nel 1823 per il Viaggio pittorico nei Monti di Brianza dei pittori e coniugi tedeschi Carolina e Federico Lose raffigurante una veduta prospettica della villa Pirovano (ora abbattuta) e del colle coltivato a vigneto di Cremella, nel lato destro inferiore del quadretto si noterà disegnato un uomo seduto su una panchina che guarda il passaggio su una striscia d'acqua di un barcaiolo intento a remare … È da supporre che quella barca disegnata dai Lose fosse posizionata in una striscia d'acqua corrispondente a una ex conca lacustre diversa da quella adiacente a Zizzanorre e individuabile piuttosto nell'area sottostante cascina Elena e Cascina Maria, in un territorio di pertinenza del comune di Cremella: da questa illustrazione si dovrebbe dedurre che nel primo quarto del secolo XIX persisteva almeno una porzione minima di quell'originario bacino idrico, magari solo a intermittenza stagionale, ma insomma non del tutto esaurito come invece appare oggi, a due secoli di distanza da quella traccia pittorica.
È probabile che i Lose abbiano ritratto quel panorama posizionati sul colle posto di fronte a Cremella, a quasi 400 metri di altezza, chiamato Baciolago: un toponimo a ricordo di quello che le carte geologiche ci dicono, cioè che da quel poggio fino a un paio di migliaio di anni fa si poteva ammirare un lago, anzi in teoria almeno tre! Quello di Zizzanorre/Oriano (chiamiamolo così, impropriamente), a sud-ovest, non era il più vicino alla sommità di Baciolago , ma sicuramente il più grande, vasto in origine quanto un territorio di quasi 200 ettari, attraversato oggi dalla Roggia della Valletta e poi dalla confluenza con la Bevera , un'area limitata a meridione grosso modo dalla costa dove sorge oggi il cimitero di Besana fino alla Cascina Geroli e ai fianchi da una parte dalla criniera di Oriano e delle Cascine Immacolata e Odosa (Renate), dall'altra dalle prime dolci pendenze verso Prebone e Cortenuova.
Il lago più prospiciente al colle Baciolago, a sud-est della sua sommità e che - come detto - copriva l'area sottostante le Cascine Elena e Maria, era la più piccola delle tre conche lacustri presenti qui, una quindicina di ettari circa, oggi percorso da un paio di riali che confluiscono nella Roggia della Valletta, il cui corso iniziale doveva lambire in origine a oriente quella conca lacustre. Intermedio, per dimensioni, era infine il terzo lago, quello situato a ridosso di San Feriolo, la cui area oggi è attraversata dal torrente Gambaione e che oggi potrebbe avere idealmente il suo centro più o meno nell'edicola/Cappelletta della Madonna degli orfani, sulla strada sterrata che unisce San Feriolo al cimitero di Cremella: una terza conca lacustre dunque, approssimativamente di una cinquantina di ettari, separata dalla seconda da una striscia di terra ricordata ancora oggi dal toponimo Isola e che tale doveva apparire visivamente ai nostri antenati, sebbene si trattasse di fatto di una penisola.
Nonostante fosse la più piccola, la conca lacustre in parte esigua ancora esistente all'epoca dei Lose era dunque quella di Baciolago, forse perché più profonda delle altre due. Detto per inciso, ritengo il toponimo Baciolago o Bazolago (XVI secolo) o Bagiulà (nella parlata locale) derivante da un termine tardolatino (bada=guardia, sentinella), bada + lacum/lacus/lacuum il cui esito finale nella corruzione volgare è stato Baciolago passando per Baggiolago/Bazolago, a intendere un punto di guardia/avvistamento sul lago o sui laghi. Ai nostri giorni la sommità del Baciolago è proprietà privata, adibita ad abitazione con piccolo parco, ma dall'esterno delle pertinenze si può ancora intravedere nel punto più alto un roccolo in pietra o muratura: andrebbe verificato (ammesso che qualcuno non l'abbia già fatto) se vi siano riscontri che in origine quel roccolo o qualche struttura di esso fosse in realtà una piccola torre o comunque un punto di avvistamento e di controllo del territorio circostante, che se nel primo quarto del XIX secolo era ancora navigabile da una imbarcazione, a maggior ragione doveva esserlo mille anni prima.
Un'isoletta ... a roccolo
E a proposito del toponimo Isola (Cremella), va ricordato che vicino a Zizzanorre ve n'è un altro simile: Isoletta, nel comune di Cassago. Credo che tale toponimo sia un diminutivo di Isola per differenziarlo in origine dal toponimo di Cremella ma anche per rispetto delle proporzioni tra i due lembi di terra. Già, ma quali?
Quello di Cremella, l'abbiamo detto, è chiaro: l'area attorno alla rotonda della strada provinciale 48 nei pressi di cascina Maria, una striscia di terra che in epoca antica appariva circondata a nord dal lago, che per comodità abbiamo definito di San Feriolo (sebbene più di metà di quell'area ricada ancora sotto il comune di Cremella) e a sud dal lago delle Cascine Elena/Maria (usiamo anche qui un termine improprio ma utile ad intendersi). Il toponimo Isoletta a Cassago è invece del tutto ingiustificato per la posizione geografica che occupa. L'unica spiegazione plausibile di quel toponimo è che dall'area indicata come Isoletta partisse una via di comunicazione che portasse effettivamente a un'isoletta e dunque quel nome indicasse di fatto un segnale stradale col quale nel tempo ha poi finito per essere identificato: non a caso oggi l'Isoletta corrisponde a una rotonda viaria. Già, ma quale isoletta? Mi sembra abbastanza evidente che per gli antichi, abituati alle acque stagnanti o umide a intermittenza stagionale del lago di Zizzanorre/Oriano, l'unico luogo che potesse apparire simile a un'isoletta fosse il piccolo promontorio su cui è situato il roccolo di Zizzanorre: quella doveva essere per loro l'Isoletta, anche perché a nord provvedevano quasi del tutto ad isolarlo le acque del rio di Zizzanorre che confluivano e confluiscono tuttora nella sponda destra della Roggia della Valletta. La via di comunicazione doveva essere quella che c'è ancora oggi e che passa dal crinale di Zizzanorre, a mezza costa, un toponimo - quel Suzanore - in questo caso apparso in tempi successivi a quello di Isoletta: su quel ‘promontorio' del Roccolo - oggi proprietà della famiglia Pizzi di Villa Sessa-Kramer - è stato trovato un reperto del neolitico.
In conclusione, questa lunga digressione serve a dire che non solo le carte geologiche ma anche i toponimi e le illustrazioni d'epoca rivelano la presenza di acque stagnanti da queste parti e questo ci può essere molto utile all'ora di risolvere l'enigma linguistico di ZIZZANORRE
Una nuova strada interpretativa
Un appassionato e colto storico locale, Luigi Beretta, in un studio [8] di alcuni decenni fa su altro tema rispetto al quale di cui ora ci stiamo occupando, ha fatto però incidentalmente una allusione all'ipotesi che il toponimo ZIZZANORRE possa forse "derivare anche dal termine caesura, cioè luogo adibito a cava, forse di argilla, il cui sfruttamento poteva dipendere o aver generato l'insediamento della Pieguzza [9]", località molto vicina a Zizzanorre, dove tra il 1967 e il 1983 sono stati rinvenuti vari reperti di età romana. Beretta fa riferimento al già citato inventario delle proprietà della Basilica di Monza di inizio XIII secolo, che elenca un prato ad cesuram. Rispetto alla tesi antroponimica del Serra, ritengo l'ipotesi avanzata en passant dal Beretta un progresso nella direzione giusta: la soluzione del giallo-Zizzanorre va cercata negli elementi morfologici caratterizzanti la sua ubicazione. Nello specifico però l'ipotesi-caesura presta il fianco a più di una controindicazione. La prima chiede conto di come mai in quell'inventario non si utilizzi un toponimo già in uso da almeno un secolo 7 per identificare quel prato; la seconda la suggeriscono i geologi, secondo i quali l'attività cavatoria in quella zona sarebbe stata poco redditizia per via della scarsa qualità delle argille ivi deposte.
L'ultimo ostacolo poi è di natura linguistica ed è doppio: da una parte il significato in latino medievale di quel cesura potrebbe essere più regolarmente e facilmente inteso come ‘taglio d'alberi', nel senso di zona disboscata per far legna o per renderla abitata o per altra ragione, compresa quella di adibirla a prato o a coltivo; inoltre la trasformazione da caesura in suzanor/is/es (o anche viceversa) presenta gli stessi scogli che abbiamo notato per l'ipotesi Caesianorum.
Troppe versioni scritte. Perché?
Sulla scia di questa strada aperta dal Beretta, vorrei provare ad indicare un'altra possibile soluzione dell'enigma linguistico ZIZZANORRE, incrociando elementi fonetici, storici e geologici. E' probabile che la forma scritta del nostro toponimo sia maturata in un ambito linguistico dove la comunicazione orale avveniva ormai unicamente in una lingua celtica romanizzata con contaminazioni longobarde (in questa terra grosso modo corrispondente al dialetto brianzolo) e tra i ceti alti il latino medievale si stava trasformando o si era già trasformato in volgare: in atti notarili o diplomi regio/imperiali, i nuovi toponimi venivano redatti con la semplice trasposizione latinizzante del termine volgare o ‘dialettale' in questione o addirittura direttamente in volgare come succede nel 1237 in un elenco degli abitanti di Cremella, soggetti a prebende in favore dei canonici di Monza per l'affitto dei terreni, tra i quali vengono registrati i soliti Zanbono e Petrazio di Sizanò [10].
Fatta questa premessa concentriamoci sul cuore del toponimo, sui vari suza/soza/sezza/siza con cui le prime trascrizioni documentate (sec. XII/XIII) cercano di dare conto di un elemento della lingua parlata.
Anzitutto registriamo che ci sono quattro diverse versioni nell'arco di un periodo relativamente breve (75 anni), considerate le lente trasformazioni dell'epoca: a distanza di soli 5 anni ad esempio il Sezzanore scritto dal notaio Joahnnes Forzani di Cremella diventa il Sizanò dell'amanuense dei canonici di Monza ...
Allargando il periodo da analizzare e prendendo in esame l'arco di tutti i nove secoli di cui abbiamo testimonianza scritta di Zizzanorre, possiamo concludere che raramente si è vista una tale confusione sulla identità scritta di un toponimo: abbiamo circa una ventina di diversi modi di scriverlo, in un paio di occasioni addirittura nello stesso documento convivono due differenti formulazioni ... [11] E c'è di peggio! Abbiamo assistito persino a banali errori di trascrizione da parte di funzionari ducali, imperiali e regi, non nel Medioevo, ma nel XVIII secolo: si va da Zizarone a Zinzanore . Che il ramo lombardo del cognome Zinzani venga da quell'errore?
Giusto per la cronaca, dopo un iniziale (documentata nel XIII secolo) appartenenza alla Corte di Cremella e tranne il breve periodo dell'annessione a Barzanò durante il Regno italico cisalpino, Zizzanorre è sempre stato unito come entità comunale a Oriano fino alla soppressione del 1927 con l'unificazione nel comune di Cassago.
A proposito della incredibile pluralità di varianti scritte del toponimo Zizzanorre, potremmo avanzare una triplice spiegazione: una radice latina che potesse prestarsi a differenti interpretazioni; l'oggettiva difficoltà di riprodurre con gli strumenti fonetici della scrittura volgare del tempo il suono di una vocale della lingua parlata, una scrittura - ricordiamolo - non ancora codificata e relativa a una lingua in formazione; infine, la continua variazione della trascrizione fonetica potrebbe anche essere stata incoraggiata dall'uso corrente di quel termine nella vita quotidiana e per questo motivo di volta in volta soggetto ad essere reinventato nella variante linguistica dello scrivano di turno: il funzionario regio della corte di Pavia, il monaco di Civate, il notaio milanese, il canonico monzese. Ognuno di questi apporta la sfumatura fonetica particolare del suo ‘dialetto' pavese, lecchese, milanese o monzese così come il brianzolo Johannes Forzani ci mette la sua personale latinizzante trascrizione del termine che udiva e usava nella parlata locale.
Sciuscianò!
Ma quale sarebbe il termine in questione? Diamo credito alla versione scritta più antica di cui abbiamo testimonianza: quel Suzanorem redatto a Pavia dal cancelliere imperiale Uldaricus per confermare l'appartenenza feudale del luogo al monastero di Civate.
L'etimo suza richiama il verbo volgare suzzare/suzare e più precisamente il suo participio passato/aggettivo süzà. A proposito di suzzare, il vocabolario degli Accademici della Crusca traduce con "diciamo di quelle cose, per natura mollicciche, quando si vanno a poco a poco, per sé medesime, rasciugando", in questo modo di fatto lo caratterizza in senso passivo, che ben si sposa con süzà. E' curioso che la Lessicografia della Crusca citi il verbo come variante di sugare, tradotto con "succiare" (succhiare) e faccia derivare entrambe le forme verbali dal latino sūgĕre, salvo poi spiegare che suzzare corrisponde come significato ai verbi latini tergere/siccare. nsomma il termine suzzare verrebbe da una radice sūgĕre (succhiare) ma per spiegarne il significato bisogna far riferimento al verbo siccare (asciugare), col nostro süzà (suza) dunque derivato dal participio sucta, ma il cui significato va cercato nella forma contratta sicta, traducibile con gli aggettivi asciutto, asciutta, asciutti. Questa confusione sarebbe da imputarsi al latino volgare e al latino medievale che hanno finito per sovrapporre nel participio/aggettivo exsuctus/ă/um entrambi i significati: succhiato/asciugato (asciutto).
Si potrebbe obbiettare che gli accademici della Crusca a cavallo tra XVI e XVII secolo si riferivano a un volgare italico ormai consolidato e non è detto invece che il suzare in uso qualche secolo prima nell'area geolinguistica del volgare lombardo occidentale, quale appartiene il brianteo, potesse avere un'altra sfumatura di significato. L'eredità del latino volgare e medievale è comune e questo dovrebbe essere garanzia di uniformità, ma ci viene in soccorso la miniera d'oro della sopravvivenza ai nostri giorni delle forme dialettali, nel nostro caso il brianzolo, preziosissimo non solo all'ora di verificare il significato di un toponimo, ma anche per testimoniare come suonasse approssimativamente alle orecchie in origine quel toponimo, ben prima che un documento imperiale o notarile lo cristallizzassero in una forma scritta.
Zizzanorre ancor oggi in dialetto si pronuncia Sciüscianò, anche se mille anni fa è probabile che quella ‘a' potesse suonare più simile a una ‘e'. Quel che comunque appare subito evidente è la possibile assonanza tra la forma parlata dialettale e quella scritta volgare: Sciüscianò -Süzanòr. Il verbo/aggettivo volgare Süzà nella forma scritta Suza è il modo con cui si è voluto rendere il fonema celtico romanizzato Sciüscià/Sciüsciè. Oggi questo aggettivo dialettale significa "succhiato"; per dire "asciutto" si usa invece il termine söcc/sücc/seucc (a secondo dell'ortografia usata) analogamente al sych dell'attuale gallese. Ma siamo sicuri che, all'epoca della nascita del nostro toponimo, presumibilmente diversi secoli prima della sua documentazione scritta, la lingua celtica romanizzata parlata in queste terre non avesse inizialmente anch'essa un unico participio/aggettivo o comunque una omofonia per indicare le parole "asciutto"/"succhiato"?
Ci conforta al proposito confrontare il nostro toponimo con uno analogo posto in un territorio, il cui dialetto appartiene alla stessa lingua lombarda occidentale del brianteo, cioè il novarese: Sizzano nel medioevo si scriveva Sicianum/Sitianum il cui etimo probabilmente pescava nel contratto sictus del latino siccare (asciugare); ebbene, nel dialetto locale novarese Sizzano si pronuncia Sciön, con interessante assonanza fonetica con la radice del participio/aggettivo sciüscià. Anche lì probabilmente in origine c'era un unico termine per definire due aggettivi, termine in un secondo tempo diversificatosi in süé e süscié.
All'asciutto ...
Tirando le somme: all'ora di trascrivere il toponimo Sciüscianò, a confondere gli scrivani non c'era solo l'incertezza nel rendere in volgare il suono di quelle vocali celtiche o quale significato dare alla parola, ma anche le diverse sfumature di pronuncia nei vari dialetti dello scrivano di turno, che variavano dal Sciüscià/sciüsciè brianzolo o di Civate al Sciscià milanese passando per il Sciüsció monzese e il Ciucià pavese
Ma l'aggettivo asciutto individuato come etimo di Suzanor a cosa va riferito? Dobbiamo tornare sul retro di villa Pedroli e guardarci attorno. Quel prato è sul bordo di un crinale terrazzato sotto il quale ci sono le terre umide, argillose, a pascolo, quasi 200 ettari di una ex conca lacustre del disgelo glaciale. Il pianoro della costa di Zizzanorre è l'ultimo o il primo, a secondo da dove si guardi, campo asciutto del territorio. Campo o prato su cui poter fare fienagione, terra di coltivo, anche terrazzandolo: questa sua caratteristica, questa sua carta d'identità lo ha reso un loco abitabile. L'aggettivo asciutto tra l'altro fa da contraltare all'altro toponimo sito a Cassago, i camp sic - come si dice nella parlata locale - i "Campi asciutti" (campi sichi/campisicchi in volgare, in questo caso la radice è nel verbo latino siccare [12]), anch'essi abitati ma localizzati sul versante opposto di Cassago, pure qui al limite di una ex conca lacustre glaciale (la quarta della serie in questo nostro excursus), quella della foce del rio Gambaione, al confine con Bulciago, in corrispondenza di cava e cementeria. Del resto anche sul limite est dell'ex bacino lacustre glaciale di Zizzanorre/Oriano troviamo i prata bona che danno origine al toponimo di Prebone, i pré bon, i primi prati utili alla fienagione fuori dalla zona umida e paludosa.
Chi arriva da una frequentazione dello sport agonistico, sa che in quasi tutte le discipline il fattore "anticipo" gioca una parte decisiva. E allora proviamo anche qui a giocare d'anticipo nel caso dovesse sorgere qualcuno con argomentazioni inoppugnabili a smontare la nostra equiparazione linguistica tra l'eredità tardo latina e il celtico romanizzato a proposito dell'exsuctus/sciüscià della radice di Suzanor e ci costringesse dunque a interpretare in forma attiva quell'aggettivo asciutto, nel senso cioè di asciugato o succhiato. Che senso avrebbe attribuire questi aggettivi a un fundus o pratum. A cosa potrebbe voler alludere un'espressione tipo "prato succhiato"?
Nell'area sottostante Zizzanorre non mancavano delle isolate torbiere: aree esigue compatibili con un'attività estrattiva non certo su scala commerciale, ma unicamente finalizzata al consumo ad uso di chi abitava in quella zona. È ipotizzabile che Il fundus/pratum/locus di Zizzanorre a un certo punto e per un periodo limitato di tempo abbia potuto fungere da essicatoio, cioè da deposito di torbe da far seccare per essere usate come combustibili per riscaldarsi o cucinare?
Altra ipotesi: poco sopra Zizzanorre c'è una sorgente d'acqua, che alimenta un torrentello - chiamato Rio di Zazzanorre - lungo meno di 1 km. Più vicino all'abitato è presente anche una risorgiva/fontanile, sistemato a mattoni a mo' di pozzetto. Tali flussi d'acqua sono stati nel tempo oggetto dell'intervento dell'uomo, attraverso canalizzazioni, deviazioni, arginature per permettere di sfruttare a vigneto le balze superiori o liberare i terreni da coltivare nel declivio a oriente dell'abitato di Zizzanorre: che il termine "succhiato" volesse forse far intendere che la posizione naturale di Zizzanorre garantisse sì prati asciutti, ma che sia stato comunque necessario un intervento umano perché una piccola parte di questo locus fosse in qualche modo prosciugato dall'uomo imbrigliandone le acque? Analogamente, visto che abbiamo scomodato Sizzano: in quella terra del novarese dovremmo allora dedurre che i prati asciutti di Sciön siano stati aiutati a restare tali dall'intervento dell'uomo che ha dovuto tenere a bada le acque della roggia Canturina o dei torrenti Strego e Strona?
Sia come sia, di questo enigma linguistico resterebbe comunque da giustificare ancora un ultimo passaggio: come si è arrivati alla formulazione scritta finale di Suzanor? Abbiamo già notato che tutti i toponimi di località limitrofi a Zizzanorre e che avevano una desinenza in -orum/-ore hanno visto trasformato il loro toponimo in lingua volgare in una versione tronca: Barzanò, Dagò, Vianò, Romanò, Viganò. Zizzanorre invece, sebbene in epoca medievale abbia avuto versioni scritte in volgare quali Sizanò/Sozanò e soprattutto quella orale tramandata in dialetto, Sciüscianò, anch'essa tronca, alla fine però quell'-ore finale lo ha mantenuto, non è stato troncato ed è rimasto nel toponimo attuale, addirittura rafforzato (probabilmente per ipercorrettismo) da un'altra r. Perché?
L'equivoco di una desinenza
Al netto di possibili scelte arbitrarie di funzionari amministrativi regi o locali, la prima banale argomentazione è che la desinenza del genitivo plurale di Suzanor non potesse essere declinata in -orum/-ore ma, in quanto termine della terza declinazione latina, in -um/-e. Che poi sulla spinta del linguaggio parlato e per analogia fonetica abbia finito per seguire la stessa sorte scritta dei tanti toponimi tronchi volgari presenti localmente è anch'esso comprensibile e scontato. Resta il fatto che tutto fa pensare che quella desinenza -ore non possa però essere confusa con la corruzione di un genitivo plurale maschile latino, come nel caso dei vari Barzanò, Dagò, Vianò, Romanò, Viganò. E allora come dobbiamo interpretare quell'elemento morfologico -or/-ore?
Io credo possa essere letto come elemento residuale di una parola composta: -or sarebbe la sopravvivenza del sostantivo femminile latino al nominativo ora (plurale orae), che significa estremità, margine, orlo, limite, fine, confine ma anche costa.
Una eccezione, certo! Ma non così fuori luogo come potrebbe sembrare. A 15 km in linea d'aria da Zizzanorre abbiamo un esempio di toponimo analogo a quello della ipotesi qui descritta: il limite orientale della città di Como è segnato da una frazione chiamata Lòra e ancor più vicino, nella confinante Besana, il toponimo Lorino, che qualcuno ha creduto di interpretare con l'etimo dialettale òra ("aria" nel senso di vento), convincente per spiegare le tante cascine Boffalora presenti nel territorio lombardo, nel nostro caso invece potrebbe essere riferito proprio a un luogo che segnava il ‘limite' delle pertinenze territoriali di Casatenovo (cui apparteneva fino a qualche secolo fa) con Besana e le cui dimensioni di locus, sia in termini geografici che di densità abitativa, assomigliavano molto a Zizzanorre.
In conclusione, la filiera linguistica che propongo a spiegazione di quel Suzanor/Suzanore è la seguente: dal latino (prati) exsucti ora si è progressivamente passati sulla spinta del toponimo orale Sciüscianò al volgare scritto (prè/prà) suza - n - or, (pronuncia süzanòr) con una n subentrata a fare da raccordo tra due vocali, il tutto traducibile con l'espressione "limite del prato/campo asciutto" o "costa del prato/campo asciutto"; solo in subordine, in caso di senso attivo del verbo, "limite del prato/campo prosciugato"; come ultima ipotesi infine e dipendente da terrae (exsuctae ora) "costa della terra seccata", a ricordo delle torbe.
Spero che tutte queste osservazioni possano stimolare altri contributi ad approfondire o anche correggere tali tesi. Al di là delle argomentazioni di natura linguistica, geologica o storica, mi piace pensare che l'enigma linguistico ZIZZANORRE si dissipi sedendosi sulla panchina dietro villa Pedroli ad ammirare uno splendido luogo e un prato straordinariamente fiorito a primavera, chiamato per un migliaio d'anni con uno strano nome: sia stato solo il merito di madre natura ad evocarlo o anche l'intervento umano. resta il fatto che questo luogo, sul ciglio di una grande conca lacustre, ha segnato per qualche migliaio d'anni il confine dei prati asciutti, abili a fienagione e coltivo, consentendo all'uomo di abitarci, proliferare ed edificare un piccolo gioiellino integrato di natura e architettura rurale
NOTE
(1) - Dante Olivieri, Aggiunte al Dizionario di toponomastica lombarda - voce Zizzanorre - SERIE Terza, Milano 1935
(2) - Giandomenico Serra, Contributo toponomastico alla teoria della continuità nel medioevo delle comunità rurali romane e preromane dell'Italia superiore, Cluj 1931, p. 250
(3) - C. Bognetti-C. Marcora, L'Abbazia Benedettina di Civate, Lecco 1957, pagg. 144-145.
(4) - Archivio di Stato, Milano, Pergamena, cass. 592 e GIORGIO GIULINI in Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano ne' secoli bassi, Milano 1857, vol. 7 , pagg. 160-163: vengono riportati gli statuti di Cremella del 1232. Tra i convocati alla loro stesura compaiono "Petraccius de Sezzanore" e il suo servo "Zanebotius", che ritroveremo citati 5 anni dopo in un altro documento (vedi più avanti frase relativa alla successiva nota 10)
(5) - È stato ipotizzato (Pier Fausto Bagatti Valsecchi, Anna Maria Cito Filomarino, Francesco Süss, Ville della Brianza, Milano 1978), che i rustici neogotici della villa seicentesca fatta costruire dai Nava a Zizzanorre "potrebbero essersi sovrapposti a corpi autenticamente gotici, appartenenti forse ad una antica struttura monastica (di cui non conosciamo peraltro specifica documentazione d'archivio); ma le pessime condizioni dei corpi rendono difficile l'indagine". Di tale ‘antica struttura monastica' non c'è alcuna traccia nei documenti, che fino al XVI secolo parlano solo di cassina. Che poi nella villa vi sia tuttora un bastione che possa aver avuto funzioni di castrum è ipotesi molto verosimile ma compatibile con le esigenze di una struttura abitativa nobiliare seicentesca e non necessariamente peculiarità dell'epoca medievale
(6) - Carlo Vergani, TOPONOMASTICA BRIANZOLA, 2004
(7) - ad esempio: Luciano Golzi Saporiti, I toponimi del Seprio, 2012
(8) - Luigi Beretta, La villa di Verecondo nei dialoghi di Sant'Agostino - Relazione per la Settimana agostiniana 1993
(9) - A proposito della località Pieguzza (Piégüza nella parlata locale), non mi stupirei se l'etimo fosse da ricercare in prea-güza, "pietra aguzza", come se ne vedono tante (e sono massi erratici in serpentino, serizzo, ghiandone) da queste parti: basti andare a Zizzanorre, dove una campeggia nel cortile della villa Secentesca e dove negli anni ‘70 ne sono state raccolte una decina nell'area dietro la adiacente cascina per liberare i campi, un paio di queste a forma aguzza; un'altra è posta invece a far da confine tra Cremella e Barzanò all'accesso ai campi sotto cascina Maria ma dalla parte opposta, dalla fine di via Confalonieri, ma se ne possono vedere un po' ovunque nel territorio comunale di Cassago. Può darsi che alla Pieguzza, considerate le tombe ritrovate in loco, vi si trovasse una pietra aguzza eretta a culto, a mo' di mehnir, come ne sono state individuate nelle vicine località di Bulciago e Barzago: magari in tempi successivi, priva ormai del suo significato religioso, potrebbe essere stata riutilizzata come segnale stradale romano
(10) - Archivio Comunale Cremella, cart. 2
(11) - Zizanore/Cizanore (estimo del Monte di Brianza, 1456) e Cizano/Zizano (Status animarum loci Cassaghi 1571)
(12) - Questa diversa radice del toponimo rispetto a Zizzanorre o Prebone può essere spiegata sia per differenziare il nome delle località sia perché frutto di epoche diverse.