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San Giobbe protettore dei bachi da seta
PRODUZIONE DELLE GALETTE
Luigi Beretta
PRODUZIONE DELLE GALETTE A ZIZZANORRE NEL 1600
Nel 1600 il cascinale di Zizzanorre con le annesse proprietà terriere erano possesso della nobile famiglia Nava, che aveva estese proprietà anche in Cassago. La presenza di questa famiglia nel nostro paese è attestata già dagli inizi del 1500, quando possedeva una casa da nobile che corrisponde probabilmente all'edificio della vecchia canonica parrocchiale, dove attualmente risiede il secrista. Le attività agricole direttamente controllate da questa potente famiglia, che conobbe un disatroso tracollo finanziario alla fine del '600, sono indicate nei due documenti riportati. Nel primo è espressa una nota dei beni pervenuti per asse ereditario alla nobildonna Clemenza Carcano Nava dopo la morte del marito Giovanni Nava.
Si tratta di un elenco delle entrate riscosse fra il 1676 e il 1682: le voci elencano prodotti tipici di quel tempo, frumento, segale, scandella, miglio, mais, vino e in particolare seta. Ciò significa che non solo si allevava il baco da seta, ma che pure esistevano filande artigianali per la lavorazione della seta. Questa seta veniva poi venduta sul mercato di Como, come attesta il secondo documento che riproduce una lettera datata da Zizzanorre il 15 dicembre 1666 scritta dal nobiluomo Giovanni Nava.
In essa leggiamo: "Di giorno in giorno sto aspetando un mercante di seta da Como per darli la mia seta. Vostra Signoria mi diede comisione di vendere la sua seta ma non mi disse del prezo per tanto mi havissa acciò saper in che modo govuernarme. Lo ringrazio infinitamente della briga che si è pigliato per un suo servidore per li interessi del minore mio nepote, prego Vostra Signoria a dare le ducento lire al Sig. Rouello ".
PRODUZIONE DELLE GALETTE A CASSAGO NEL 1600
Nel 1600 l'area del castello di Cassago con le annesse proprietà della Possessione della Torre erano possedimento della nobile famiglia Pirovano, che li avevano acquisiti pezzo a pezzo per tutto il '500. Questa famiglia, la cui nobiltà risale al medioevo, aveva dato vescovi e capitani alla città di Milano ed era forse originaria di Lomagna di cui possedeva il castello ancora nel '600. Il documento riportato è un estratto delle Istruzioni per la conduzione dell'Azienda Pirovana redatte nel febbraio 1669, dove si indicano minutamente tutte le disposizioni per il miglior rendimento delle attività agricole. La parte riprodotta dà in particolare vari suggerimenti per la coltura dei bachi da seta e la produzione della seta, che costituivano una rilevante fonte di reddito.
Il testo recita: "L'entrata di Cassago e di Zoccolino, che camminano tutti sotto un possesso, consiste in seta, formento solo, vino, un poco di fieno, nel libro proprio del luogo, che si tiene vi è registrato quello che pagano li Massari, quali hanno il fondo in affitto, la brocca a metà, risservati li Moroni al patrone. Il Signor Giovanni Nava hà la direttione e sovrintendenza del tutto con mandato di procura rogato da Carlo printo nel 1662 à scodere, sono li tempi à operare à primavera per le viti, moroni, in siti de frutti, 2° alla seta, terzo al raccolto de grani, 4° vino, 5° seminerio, 6° à S. Martino à far li conti, 7° l'Inverno per li boschi dà far pali e legna d'abbruchiare le siepi, e cavar li fossi, ritornando al primo li luoghi son ben tenuti, bisognerà solamente mantenerli con rimetter le viti morte, accrescer moroni, dove si sia sito, ò d'insediare altri nel luogo de morti, custodire il Vinazo de novelli, in questa parte il sig. Giouanni è peritissimo, bastarà fargliene memoria à suoi tempi, nella Vigna hò comesso di metter già gran quantità de frutti d'ogni sorte, si continuarà il medemo senza alcuna rifflessione.
E' solito comparsi la semenza de bigati in Milano, che si consegna al sig. Giouanni che à suo tempo la distribuisce, bastano 50 oncie per uso di Casa, si prende di quella di Vigevaono, che s'è pagata Lire 36 per oncia, vi sono li mercanti che la portano, sin hora è sempre riuscita bona, è peso del fattore, che hora è francesco Brambilla l'accudire e riconoscere, se li Massari la mettano, le mude de bigati, quando le galete si leuano dal bosco e si pesano, ed à far seta, piegarla, consegnarla al signor Giouani tutta intiera con la metà della strusa e riportarne ricevuta accertativa che li massari non vendino la foglia, se n'avanzasse, ò mancandone che sia provista per tempo, è consueto formarsi un foglio, che con quella regola s'ha notitia del tutto, ogn'anno se ne farà un simile, alle Maestre della seta si danno n. 8 per lira, oltre le spese che riescano dal fattore à lui bonificate .... finita la faccenda della seta ...."
LA BACHICOLTURA
Sora ai bigatt
Piantaa, ingrassaa, e cultivaa i moron
dann la faeuja ai Bigatt per sagolaj,
finna c'han faa el quart sogn da dormion;
e fagh el lecc, curaj, e nudrigaj:
guardai dal segn, dal maa del riscion,
paa tropp frecc, o tropp cold da soffegaj,
a pareggiagh el bosch, quand hin sul bon
da fà i gallett, e quand hin faa cattaj:
e peú fà trà la seda, e lavoralla,
tensgela, ordilla, mettela in terree,
e tess i drapp par di vestii de galla.
Infin con tanti spes, struzzi e cuntee
fada la stoffa a chi tocca a portalla ?
Anch a di brutt scamoffi, e a di badee.
[Domenico Balestrieri, Rime toscane e milanesi, Milano 1779.]
LA SERICOLTURA
« Poche famiglie coloniche nell'area collinare e dell'ampia pianura lombarda si dedicano esclusivamente all'agricoltura. Le donne in ispecie prendono piccola parte a' lavori campestri (tolto il tempo dell'allevamento dei bachi, che è ad esse in gran parte affidato) si spargono per le filande numerose della Brianza, o attendono in casa a incannare la seta. Le filatrici più esperte, dirette da una donna attempata, si recano anzi nel Bergamasco, nel Veronese, nel Vicentino, ove son loro offerte condizioni migliori che in patria. Gli uomini stessi, quando i lavori agricoli scemano, migrano in buon numero nei territori vicini in cerca di lavoro. Essi hanno in ispecie fama di eccellenti bachicoltori, onde sono chiamati non di rado in lontani paesi, ed allora ottengono, oltre il vitto, una lira e mezzo o due lire al giorno. In tutta la regione l'industria agricola è sposata alla manifattura. Fin dal 1847 si contavano 14.500 telaj per la tessitura del cotone, che impiegavano 29.000 persone, per lo più nel tempo di sosta dell'agricoltura. Oggi l'industria della seta vi è svolta in proporzioni gigantesche. »
[A. Garelli, I salari e la classe operaia in Italia, Torino 1874]
L' ALLEVAMENTO DEI BACHI DA SETA
Le uova
Il seme-baco (cioè le uova) veniva in genere prenotato presso i distributori (alcuni dei quali andavano annualmente a rifornirsi in Giappone), a febbraio, fissando la quantità (un quarto di oncia, mezza oncia, un'oncia) per la quale c'era disponibilità di foglia di gelso. Le uova venivano ritirate tra San Giorgio (23 aprile) e San Marco (25 aprile) e messe a schiudere per lo più nel letto, sotto il materasso, cioè al calore naturale, che si conservava anche durante la giornata (il letto nel periodo dell'incubazione dei bachi era rifatto solo la sera). L'incubazione durava otto-dieci giorni, per cui i primi bruchi nascevano attorno al 4 o al 5 maggio.
A San Giorg se mett la semenza al cold
Se i cavalé in bê mettü a Santa Cròs han da vess nassü
recita un canto popolare comasco.
A Cassago il 10 maggio nel giorno della festa di S. Giobbe a Tremoncino (festa de sajòpp) si benedivano le cosiddette maestà, delle effigi che erano poste a protezione della crescita dei bachi. Si usava dire a tal proposito Sajopp su i cavalé, cioè (la benedizione) di S. Giobbe sui bachi da seta. Non tutte le uova schiudevano contemporaneamente, per cui era necessario operare la cernita, per poter rimettere in incubazione, sotto il materasso, le uova ancora chiuse. Per quest'operazione si usava un foglio di carta con tanti bucolini. Il foglio veniva posto sopra il panno in cui erano tenute le uova. I bachi schiusi, affamati e in cerca di cibo, salivano sul foglio attraverso i bucolini e così potevano venir separati dalle uova (che venivano riposte sotto il materasso). L'operazione veniva ripetuta dalle tre alle quattro volte nel giro di due o tre giorni. I piccolissimi bachi incominciavano ad essere alimentati con foglie di gelso tenere e tritate, su un piccolo graticcio, al giusto e costante calore e al riparo dagli attacchi delle formiche.
Le larve
Il periodo larvale del baco da seta era suddiviso in una successione di momenti di vita attiva e di momenti di riposo. In un arco di trenta-quaranta giorni il baco "dormiva"quattro volte, in coincidenza con le quattro mute della pelle ("fa la müda") e le cinque "età."(L'epidermide della larva è chitinosa e quindi inelastica per cui il bruco ha necessità di abbandonare il vecchio involucro indurito, dopo essersene formato uno nuovo sottostante). Le quattro "dormite" erano dette "de la prima", "de la segunda", "de la tersa"e "de la quarta"(da cui il modo di dire "durmì de la quarta"); o anche "de la brüna"(prima), "de la bianca"(la seconda) e "de la grossa"(da cui, ancora, il modo di dire "durmì de la grossa").
I riferimenti ai colori sono suggeriti dalle colorazioni che i bachi assumono crescendo nelle varie età. Il "busch" era l'assieme dei rami disposti su i "tavul", su cui salivano i bruchi per filare il bozzolo. I "tavul"su cui crescevano i bachi erano talora collocati in locali specificatamente dedicati a questo scopo, ma spesso erano montati nella stalla e negli stessi locali d'abitazione della famiglia contadina, sgombrati per il periodo dei bachi. La "bigatèra", ossia la stanza per l'allevamento dei bachi, c'era nelle aziende un po' grandi e nelle quali si era provveduto ad opere di ristrutturazione e sistemazione edilizia. Nei periodi di attività, i "bigatt", o "cavalè", dovevano essere nutriti abbondantemente e continuamente di foglie di gelso, badando che fossero sempre fresche e non bagnate (se pioveva venivano tagliati interi rami e messi ad asciugare sotto il portico o comunque in un luogo arieggiato e non riscaldato). Per far crescere un'oncia di seme-bachi (che poteva dare poi una produzione di settantacinque-ottanta chili di bozzoli) erano necessari oltre mille chilogrammi di foglia con questa scansione lungo le cinque età:
prima età Kg 5
seconda età Kg 15
terza età Kg 50
quarta età Kg 230
quinta età Kg 700
Nella quinta età i bachi mangiavano "de föria", cioè con estrema voracità, richiedendo cinque o sei somministrazioni giornaliere. L'allevamento dei bachi da seta esigeva dunque un impegno continuo, implicando l'intervento di tutta la famiglia e in particolar modo delle donne. Non va dimenticato che il "raccolto"dei bachi avvenendo tra maggio e giugno, cadeva in un momento molto difficile per l'economia contadina, dopo un lungo inverno, prima dei raccolti dei cereali.
NORME PRATICHE PER LA BIGATTERIA
1. Occorre somministrare i primi pasti con foglia "benedetta", data "dalle mani de giouine e polita donzella vergine": così si è sicuri di favorire la crescita dei bachi.
2. Non bisogna bruciare nel periodo dell'allevamento legno di gelso in bigatèra, se no i bachi si strinano le zampine.
3. Bisogna tenere un ramo di noce in bigatèra per scongiurare al mal del gès e conservare un residuo di ceppo natalizio per consumarlo il primo giorno dell'allevamento.
4. Non si deve far la müda per l'Ascensione, giorno in cui tutto resta immobile e perfino gli uccelli non voltano le uova nel nido, se non si vuol mandare tutto a rotoloni.
5. In caso di malattie giova bruciare un rametto d'ulivo e zolfo per disinfettare l'ambiente.
6. E' sempre onesto tenere sui palchi del barichèl un ramoscello d'ulivo benedetto o la corona del rosario e un lumicino acceso davanti all'immagine di san Giobbe protettore dei bachi.
7. Entrino a suo bel piacere giouani, vergini, donzelle, e vaghi giouanetti quai sieno de usi e d'anni puri et innocenti. E questi habbino libertà quivi cantare con voci basse e soavi, amorose canzoni.
8. Osserverai ancora de non lasciar intra là dove sono i Cavaglieri alcuno c'habbi magnato aglio, porro o cepolla et altre cose d'odor simile nocivo.
9. Se per strano caso tutto il seme si perdesse, il modo di ricurarlo sarà quasi al modo istesso che si ricurano le api. Prenderassi un Bue giovanetto e per venti giorni non se gli lascerà gustar fieno, nè acqua, né altro cibo, o bere, eccetto che si pascerà de frondi di moro. E finiti i venti giorni, ucciderassi: e ucciso, lascierassi così insino che le viscere si amarciscono. Il che avenuto spezzerassi il giovenco e colà sotto alle coste, et al schenale, vedrannosi certi infiagioni a somiglianza d'on fongo amarcito: e saranno veri Bombici quali s'hauranno a raccorre, e notricarli, come già e sudetto, che hauerai il desiato frutto. Et questo si tiene per gran segreto in Spagna. Ma dove non sono i paesi caldi, pare che malageuolmente ciò riesca.
[Da: Avertimenti di Levantio Mantoano Guidiciolo: bellissimi, et molto utili, a chi di diletta di alleuare, et nudrire quei cari animaletti che fanno la seta, pubblicato a Brescia nel 1564.]
L' INDUSTRIA DELLA SETA IN BRIANZA
« Ciò che più guadagna al paese è l'allevamento de' filugelli, e per essi vennero a migliorarsi le abitazioni rusticali e a mutar aspetto e coltura ai terreni, spingendo il gelso fin dove il monte può tollerarlo. Queste piante furono nel Comasco divulgate di buon'ora e nel 1507 il cronista Muralto dicea che le campagne qui davano immagine d'una selva di gelsi. Sappiam pure che un Pietro Boldone , cittadino comasco, restaurò qui l'arte della seta, addestrandovi donne, e pel primo piantò un molino a lavorarla, che noi diciamo filatojo. Ai dì nostri qui si praticarono le prime filande a vapore, e la prima estesa fabbrica di tali macchine (Bruni) ed anche adesso operosissima è quella di Pantaleone Ragazzoni a Como. 62 filande a vapore numera la provincia, con 4.200 aspi, 350 filande a fornelli con 4.700 aspi (in tutta la Lombardia si contano 42.000 caldajuole e vi s'impiegano 95 mila persone per 50 giorni), e vi si lavorano 550 mila libbre di seta, operandovi più di 15 mila fra donne e fanciulle, e da 1.500 uomini, che rappresentano una spesa di circa 1.300.000 lire. [...] Altrettanto cresce l'industria de' torcitoj, talché ne contiamo 210 (in Lombardia ne ha 500 e vi si occupano 12.000 persone), mossi per quattro quinti dall'acqua; e dove si occupano 7.000 persone, guadagnando circa 2 milioni di lire a lavorare 600.000 libbre fra trama e organzino. Sono generalmente introdotti i filatoj alla Vaucanson e princi-palmente a Lecco si sa fabbricarne di perfetti per rapidità e regolarità di movimenti. Anche i primi incannatoj si fecero a Lecco, et ormai diventano generali; nel quale servigio, e nell'incannare alla vecchia col carrello nelle case, guadagna tanta parte delle nostre giovani paesane.»
[Cesare Cantù, «La Provincia di Como», in Grande illustrazione del Lombardo Veneto, Milano 1859-1861.]
PROVERBI LOMBARDI SUI BACHI DA SETA
Chi völ 'na bona galeta
par san March la mèta,
e chi la völ incartada
par san March ch'la sia nada.
Par san Giüsep a se mett i cavalè a let
Sèmm vegnü a cantà 'l Cristè
per fa 'nà ben i cavalé s
e me darì un bel uvètt
farèm 'nà ben i vost galètt
Quand ul cavalè s'imbròia
ul padron al se desbròia.
MALATTIE DEL BACO DA SETA
Pebrina
La pebrina, o mal delle petecchie, era una delle malattie più diffuse e temute negli allevamenti di bachi. E' provocata da un protozoo, il Nosema bombycis. Attaccato da questo protozoo, il bruco perde progressivamente l'appetito, dimagra, si raggrinzisce e incomincia a presentare sul corpo macchie nerastre (petecchie). In dialetto era detto mal del sèga. Questa malattia incominciò a svilupparsi verso il 1853-54 provocando il dimezzamento della produzione dei bozzoli in Lombardia.
Calcino
Altra malattia molto temuta era il calcino, provocata da una pianta crittogama, la Botrytis bassiana. Il nome di calcino deriva dal fatto che lo sviluppo della botrite determina una mineralizzazione dell'animale che si trasforma in una specie di corpo ges-soso, friabile, biancastro. Il dialetto il calcino è detto calsìn, calsèn, calcinett, mal del ges.
Atrofia o macilenza
Va anche ricordata fra le malattie dei bachi da seta, la macilenza o atrofia, che attacca il bruco in ogni momento dell'età larvale, ma in prevalenza nella quarta e quinta età. Colpiti da macilenza, i bachi riducono progressivamente la loro alimentazione, dimagrano e muoiono riducendosi a piccoli cadaveri scuri e mummificati. Se colpito nell'ultima età, il bruco può anche giungere a filarsi un bozzolo piccolo, entro cui però muore senza trasformarsi in crisalide. Nell'uso popolare questa malattia era detta mal di gattin (e gattin erano i bachi colpiti) o anche risciùn o passìt.
Giallume
C'era infine il giallume. Come per la macilenza non sono chiaramente conosciute le cause del male. I bachi colpiti dal giallume si fanno gonfi oltre il normale, flaccidi, color giallastro sporco, poi traslucidi e infine muoiono con la lacerazione della pelle (e la fuoriuscita di un liquido giallastro). Il giallume era noto in dialetto come gialdùn, ciaritt, lüsirö, sciopirö.
Altre malattie
Va infine aggiunto che con il nome negrùn, marsciùn, marciùn erano abbastanza genericamente indicati i bachi afflitti da malattie diverse (escluso il calcino) per le quali morivano come imputridendo e anche i bozzoli nei quali il bruco moriva e marciva. I bozzoli ben riusciti, di prima qualità erano detti real e realìn. Quelli incompleti, difettosi, piccoli erano detti falope o falopie.