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SANTA MARCELLINA

 Medaglia di santa Marcellina realizzata per le suore Marcelline di Milano

Medaglia di santa Marcellina

 

 

 

SANTA MARCELLINA

 

 

La vita

Marcellina fu sorella di Ambrogio e di Satiro. Primogenita, si crede che sia nata a Roma verso l'anno 330, quando ancora reggeva l'impero il grande Costantino Magno. Discendeva da una famiglia, quella degli Ambrosii, che in quel quarto secolo costituiva una delle espressioni più illustri per ricchezze e stato sociale della nobiltà romana. Fra i suoi avi poteva annoverare consoli, prefetti e senatori. Nell'ultima persecuzione di Diocleziano in Roma, la sua famiglia aveva saputo esprimere uno straordinario esempio di fede cristiana con la vergine e martire santa Sotere, che più volte viene citata da Ambrogio, che se ne fa un vanto.

La sua Passio narra che fu tentata col dolore e nel pudore, ma paziente e forte, Sotere seppe resistere. Infine fu martirizzata col taglio della testa l'11 febbraio dell'anno 304. Marcellina in gioventù crebbe probabilmente all'ombra di simili virtuosi esempi di fede cristiana sia a Roma sia a Treviri dove verso l'anno 340 la sua famiglia si trasferì dopo la nomina del padre Ambrogio a prefetto delle Gallie. L'importanza della carica, che era stato chiamato ad assolvere dall'imperatore Costante, denota il prestigio della famiglia di Ambrogio.

A Treviri nacque il fratello Ambrogio che portò lo stesso nome del padre. Non molto tempo dopo questa nascita, probabilmente a motivo della morte del padre, la famiglia fece ritorno a Roma, dove i tre fratelli Marcellina, Satiro e il più giovane Ambrogio ebbero l'opportunità di concludere gli studi e di avviarsi alla vita adulta. Mentre Satiro ed Ambrogio iniziarono a percorrere il cursus dell'amministrazione imperiale, Marcellina scelse la vita consacrata a Dio. Verso il 353 a Roma, nel giorno di Natale o forse durante la festa dell'Epifania, Marcellina fece professione di verginità. La velazione avvenne nella basilica vaticana davanti al vescovo di Roma, il pala Liberio, il quale pronunciò in quella occasione un discorso che sant'Ambrogio ricorda nel trattato sulla Verginità.

Come era consuetudine di quel secolo Marcellina continuò a vivere per alcuni anni in casa sua con un'altra vergine e la madre, finché questa visse. Poco più che ventenne, Ambrogio sperimentò in prima persona questa scelta e ne serbò il ricordo per tutta la vita. La consacrazione verginale di Marcellina è uno dei primi esempi in occidente di una scelta di vita cristiana che invece era largamente comune nella Chiesa orientale, in particolare in quella egiziana. Forse la stessa scelta di Marcellina va rivisitata alla luce degli influssi che in quegli stava esercitando la Chiesa orientale in Roma soprattutto grazie al vescovo egiziano Atanasio, che vi era stato mandato esilio dall'imperatore Costanzo II per la sua ferma posizione antiariana. Giunto a Roma nel 339, ospite di papa Giulio nella casa di una certa patrizia Albina, egli era riuscito, con il concorso di due monaci egiziani che lo accompagnavano, a suscitare un grande entusiasmo parlando dei santi monaci eremiti che nel deserto egiziano della Tebaide si dedicavano alla vita ascetica. La figlia di Albina, Marcella, fu la prima a seguire gli insegnamenti di Atanasio. Ad essa si associarono poi altre giovani donne dell'aristocrazia romana, Asella, Fabiola e Principia, che, come poi fece Marcellina, vissero la loro esperienza di ascetismo e continenza fra le mura domestiche. Quando Ambrogio fu nominato consularis a Milano o forse in occasione della sua nomina a vescovo qualche anno più tardi, Marcellina da Roma partì per Milano o un paese nelle sue vicinanze per stare più vicina ai suoi fratelli Ambrogio e Satiro. Durante il suo episcopato il fratello la informava personalmente degli eventi memorabili di cui era protagonista con lettere piene d'affetto che sono per noi documenti storici determinanti. Dopo la morte di Ambrogio visse ancora alcuni anni, forse fino al 400. Fu sepolta da Simpliciano nella basilica Ambrosiana, dove ancora oggi si trova la sua tomba, collocata nel 1812 in un altare laterale.

La sua memoria liturgica si celebra il 7 luglio.

 

Marcellina e Ambrogio

Specialissimo fu il rapporto d'intensa amicizia fraterna fra sant'Ambrogio e la sorella Marcellina. La scelta di Marcellina di votarsi alla vita consacrata a Dio certamente fu un esempio, che Ambrogio soppesò accuratamente durante la sua vita sia in occasione della sua consacrazione a vescovo di Milano sia nella sua intensa azione tesa a favorire le vocazioni per una consacrazione totale a Dio. Probabilmente Ambrogio non dimenticò mai per tutta la sua vita quel giorno in cui sua sorella espresse pubblicamente davanti al Papa l'intenzione di vivere tutta la vita da vergine rinunciando al matrimonio. Ambrogio in età adulta fu entusiasta di questa prospettiva di vita per le giovani e i giovani cristiani e non mancò occasione di sottolineare l'importanza della totale consacrazione al Signore. Negli anni di episcopato il suo insegnamento suscitò in molte ragazze il desiderio di vivere una vita consacrata nella verginità e nella preghiera, tanto da venire perfino accusato di parlare male del matrimonio e di opporsi alle nozze delle giovani di nobile famiglia.

L'esempio di Marcellina o fors'anche i suoi suggerimenti diedero ottime argomentazioni al vescovo di Milano per controbattere a queste accuse. Non gli fu difficile rispondere che si deve parlare bene del matrimonio perché è conforme ai progetti di Dio che l'uomo e la donna si uniscano a costruire una famiglia; ma pure non si deve negare che la vita matrimoniale è difficile e talora non aiuta ad avvicinarsi a Dio, perché le molte preoccupazioni materiali rischiano di deviare dal loro vero fine sia la mente che il cuore degli sposati. Ambrogio è convinto che bisogna far di tutto per accondiscendere al desiderio di coloro che vogliono consacrarsi a Dio. Anzi sostiene che non bisogna disperarsi di fronte alle difficoltà, perché esse permettono di maturare con più convinzione la propria scelta: "I genitori si oppongono - scriverà alle vergini - ma vogliono essere vinti; resistono all'inizio perché hanno paura di fidarsi troppo: si arrabbiano spesso per insegnarti a vincere. Questi contrasti sono per te un esercizio ... se vinci in casa tua, sei pronta a vincere il mondo." (Ambrogio, Le Vergini I, 64)

Le proposte vocazionali di Ambrogio non avevano tuttavia sempre successo: anzi ci sono momenti in cui si lamenta apertamente dell'ostilità delle famiglie milanesi a cui contrappone la generosa disponibilità di altre città anche lontane. "Qualcuno mi dirà: tutti i giorni ci vieni a cantare le lodi delle vergini - al che replica con asciutta chiarezza ai milanesi: E che posso farci se continuando giorno per giorno a cantarvi la stessa musica ottengo così poco ? Non è colpa mia. Vengono da Piacenza, vengono da Bologna, vengono dalla Mauritania per consacrarsi al Signore. E' una cosa straordinaria: predico qui e convinco altrove. Se è così mi conviene andare altrove per convincere voi. Perché mi seguono quelli che non sono qui ad ascoltarmi e i presenti non mi seguono? Io so di parecchie ragazze che pure avevano questa intenzione e le loro mamme hanno proibito loro persino di uscire di casa. Ma ditemi: se le vostre figlie volessero sposare un uomo, la legge lascerebbe loro la scelta. Ora se possono scegliersi un uomo, non potranno scegliere Dio ? " (Ambrogio, Le Vergini I, 78-79) Gli sembrava incredibile che dopo tanta predicazione le ragazze di Milano restassero insensibili. Non solo, ma non approvava la decisione di certi genitori di opporsi a quelle che pure erano bene disposte. A quelli poi che sostenevano che una decisione così importante non poteva essere lasciata alla libera scelta delle giovani, Ambrogio rispondeva che una vocazione andava indubbiamente provata, poiché non poteva essere il risultato di una scelta affrettata o improvvisata. Marcellina gli insegnava che più dell'età, in questi frangenti conta la disposizione dell'animo e la capacità di impegnarsi a dominare i capricci e le vanità tipiche della giovinezza.

Altri suggerimenti, altre indicazioni si leggono qua e là negli scritti e nelle lettere di Ambrogio: "E' giusto mangiare a sufficienza - scriverà - perché la giovinezza deve essere vigorosa, ma nuoce esagerare: anzi qualche rinuncia e qualche digiuno aiutano a vincere i capricci che possono diventare vizi e trascinare al male, come capita per esempio a chi beve troppo vino. E' giusto aver cura del modo di presentarsi in pubblico, ma non diventare fanatici dei propri riccioli. E' giusto amare la compagnia, ma chi trascorre tutto il giorno sulla pubblica piazza non troverà il Signore, che preferisce piuttosto i luoghi silenziosi per poter parlare al cuore dei suoi amici." Al di là di questa raccomandazioni Ambrogio preferisce però indicare degli esempi, che sono più efficaci di qualsiasi discorso. Ricorre nei suoi scritti il famoso esempio della vita di Maria, che secondo lui esprimeva nei fatti la regola più completa per una vita santa. "Maria era vergine, non solo di corpo ma anche di mente - avrà ripetuto più volte alla sorella e alle vergini che desideravano consacrarsi - e non falsò mai con la doppiezza la sincerità degli affetti. Umile di cuore, riflessiva, prudente, non loquace, amante dello studio divino, non riponeva la sua speranza nelle instabili ricchezze, ma nella preghiera dei poveri. Assidua al lavoro, modesta nel parlare, cercava come giudice dei suoi pensieri non l'uomo, ma Dio. Non offendeva nessuno, era caritatevole con tutti, rispettava i più vecchi, non invidiava gli eguali. Fuggiva l'ostentazione, seguiva la ragione, amava la virtù ... Nulla di bieco nello sguardo, nulla di arrogante nelle parole, nulla d'inverecondo negli atti. Non un gesto incomposto, non un passo precipitato, non voce altera. L'aspetto stesso della sua persona rifletteva la santità della mente ed era espressione di bontà." (Ambrogio, Le vergini II, 7)

 

L'epistolario di Marcellina

Le lettere che Marcellina scrisse e che ci sono state conservate costituiscono un osservatorio privilegiato per comprendere la sua personalità. Alcuni suoi insegnamenti denotano una finissima sensibilità verso le persone che la circondavano, un affetto caritatevole verso i fratelli e una capacità tutta femminile di meditare sui problemi e sulle questioni aperte della sua epoca.

Del suo epistolario abbiamo scelto tre lettere che, toccando tre diversi aspetti della sua vita, i rapporti cioè con la chiesa milanese, la vita di comunità e la propria intima solitudine, sono in grado di darci un quadro della sua personalità e del suo modo di vivere l'esperienza cristiana e verginale a cui aveva consacrato la sua vita fin dalla gioventù. La prima che esaminiamo è di tipo esortatorio e fu indirizzata a Torquato, un lettore della Chiesa milanese. L'argomento trattato prende in esame proprio le modalità del leggere in chiesa, i difetti e le virtù di coloro che leggono la Parola di Dio ai fedeli in assemblea. Per Marcellina il lettore deve essere in grado di suscitare l'attenzione partecipe dei fedeli e pur di raggiungere questo obiettivo non deve tralasciare alcun espediente. Anzi va a cercare paragoni proprio in quelle attività, tipo l'avvocato o l'attore, che nulla lasciano d'intentato per riuscire a riscuotere non solo l'attenzione ma la partecipata commozione degli astanti. "Quando un avvocato pronuncia la sua arringa in tribunale - scrive con vigore - si prende cura di tutto quanto può servire a convincere il giudice: il tono della voce, i gesti, l'espressione del viso, il rigore della argomentazione, la pertinenza degli esempi. Può raggiungere una tale efficacia che gli ascoltatori sono indotti al riso, al pianto, allo sdegno, alla compassione. Quando un bravo attore recita la sua parte in teatro, la sua voce cura l'effetto delle parole che dice e gli spettatori sono come catturati dalla vicenda raccontata tanto da provare i sentimenti dei protagonisti." Marcellina confida che suo fratello Ambrogio non trascurava per nulla questo aspetto della predicazione della Parola di Dio, anzi si ingegnava per rendere il più gradevole possibile l'ascolto dei fedeli. "Il mio santo fratello Ambrogio, di venerata memoria, curava in ogni modo la proclamazione pubblica della scrittura e la predicazione." Per dare maggiore spessore al sistema adottato dal fratello introduce tra le righe un'ulteriore personale confidenza che riguarda Agostino e i suoi rapporti con Ambrogio. Val la pena di notare che Marcellina già poco prima del 400 chiama quest'uomo, ormai vescovo, con l'appellativo di santo.

"Non furono pochi - confessa - coloro che, come il santo vescovo Agostino, proprio attraverso la predicazione di Ambrogio ricevettero incoraggiamento alla conversione." A fronte di tanta premura fraterna che così tanto bene riuscì a compiere, Marcellina contrappone i suoi tempi miserevoli e lamenta il disagio che serpeggia fra i fedeli: "Al contrario quando leggono alcuni lettori poco preparati sembra che la parola delle Scritture sia ridotta a un mormorio confuso e noioso: l'assemblea ascolta rassegnata e inerte, qualcuno chiacchiera, qualcuno s'appisola, molti seguono i loro pensieri. Non sempre e non tutto si deve attribuire alla cattiva volontà e superficialità dei fedeli."

Marcellina è convinta che nelle Sacre Scritture la Parola di Dio è "viva, efficace, e più tagliente di ogni spada a doppio taglio" (Eb. 4, 12) e sottolinea che il Verbo di Dio si presenta come un cavaliere vittorioso citando Apocalisse 19, 15: "dalla sua bocca esce una spada affilata per colpire con essa tutte le genti." Per Marcellina la Parola di Dio è come un fuoco che divampa, come un attraente legame d'amore, come una sorgente d'acqua purissima e fresca: ma talora la proclamazione nell'assemblea è così scialba e incomprensibile che il fuoco sembra trasformarsi in un fumo fastidioso. Per questi motivi essa trova l'ardire di scrivere a Torquato, che doveva essere un lettore non proprio impeccabile, "per chiedere a te - ricorda - che sei lettore di leggere meglio ! Qualche volta capita che la pigrizia, la vergogna, la paura di fare figure inducano molti a non accettare di essere lettori. Coloro che si fanno avanti pensano d'avere compiuto un atto meritorio e d'essere benefattori della comunità solo perché sono tra i pochi che accettano di fare quanti altri rifiutano: e non si può certo disprezzare la generosità, occorre piuttosto essere loro grati.

Se però la loro lettura spesso fraintende le parole, non tiene conto delle pause, sbaglia il tono, degenera in noiosa cantilena, trasforma le domande in affermazioni, incespica nella lettura di parole sconosciute e di nomi ebraici difficili, allora invece di rendere un servizio questi generosi arrecano un danno." Incominciano a questo punto a snodarsi numerosi suggerimenti, che conservano tuttora una modernità di vedute pienamente condivisibile. Queste sollecitazioni sono indirizzati a Torquato, ma valgono anche per noi, per poter gustare con più intensità la parola di Dio: "Non ti sembra doveroso, diletto Torquato, che la lettura pubblica delle Scritture debba essere ben preparata ? Come coloro che cantano, come il prete che deve tenere l'omelia, per prestare un servizio degno è necessaria adeguata preparazione: altrimenti tutto diventa squallido e noioso. Non ti sembra necessario che, mentre tu leggi, risulti evidente a chi ti ascolta che tu capisci quello che stai leggendo ? e come potrai capirlo se improvvisi la lettura di testi talora molto complessi come quelli dell'apostolo Paolo o di esortazioni con molte sfumature come i testi dei profeti o di poesie raffinate come i salmi ? Non ti sembra indispensabile che quando tu leggi la parola letta sia udita anche da coloro che stanno in fondo alla Chiesa ? Non ti sembra giusto che la parola letta trasmetta agli ascoltatori le intenzioni di chi la scrisse ? E come potrà una parola far pensare, l'altra commuovere, questa dare coraggio, quella indurre a pentimento, un testo aprire il cuore all'esultanza, se tu leggi tutto con il medesimo tono monotono e inespressivo ? "

Marcellina non si stanca di sottolineare che il ministero del lettore è troppo importante per consentire che sia trascurato. Anzi richiama alla necessità di cercare di avere almeno quel minimo di attenzioni che vengono insegnate nelle scuole dove si prepara chi deve dare notizie parlando in pubblico. Non manca poi di lamentare che non dovrebbe succedere che una prestazione cominciata come un servizio si trasformi in un privilegio dal quale sia arduo staccarsi, dato che il bene della comunità deve prevalere sull'amor proprio del servitore. La carità del servizio deve essere lo spirito del lettore: su questo punto Marcellina è chiara e non manca di ricordare una serie di problemi che esistono per chi ascolta e che possono essere superati solo con amorevolezza di comprensione dei bisogni altrui: "Infatti il passar degli anni - scrive con sincera discrezione - può rendere più roca la voce, più confusa l'articolazione delle parole e noi, povere donne attempate e devote, fatte un po' dure d'orecchio, talora non riusciamo quasi neppure a sentire che venga letto qualche cosa. Eppure dire a qualcuno di non leggere più sembra quasi un affronto e un'offesa."

 

  APPROFONDIMENTO

La lettera si conclude con una amorevole esortazione finale a Torquato, dove affiora tutta la profonda umanità di Marcellina verso sè e gli altri: "Ti ho scritto - conclude - con un po' di sfacciataggine, perché so che ti sta veramente a cuore d'essere un buon servitore della tua comunità e già ti sono grata perché so che farai tesoro delle mie parole per aiutare noi tutte che desideriamo ascoltare la parola di Dio, intenderla meglio e lasciarcene più profondamente toccare." Ricchissima di implicazioni morali è un'altra lettera che Marcellina indirizzò alle sue sorelle nella verginità a proposito dell'uso della parola nei rapporti quotidiani fra persone. Per Marcellina la parola è un vero bene preziosissimo, un dono di Dio. Essa è il legante delle persone, lo strumento che permette di comunicare se stessi, essa è perciò necessaria e indispensabile all'umanità perché possa costruire una società vera, una società autenticamente cristiana. Come in altre occasioni la lettera si apre con una serie di esempi che mostrano la forza che abitualmente viene associata alla parola, una forza così efficace da condizionare nel bene e nel male i rapporti fra le persone.

"Carissime sorelle - esordisce Marcellina - si dice di un famoso scultore che, stupito egli stesso della potenza espressiva che aveva saputo far emergere dal marmo, esclamasse:

'Perché non parli ?'.

Si dice anche dei cagnolini:

'Gli manca solo la parola', per dire che l'animo ben intenzionato della padrona rimane colpito dalle reazioni della bestia e le interpreta come fossero sentimenti e affetti quasi umani. Al contrario quando tocca ascoltare certe sfuriate risentite o certi elenchi interminabili di lamentele o racconti infiniti e pieni di ripetizioni, viene da domandarsi: 'perché non tace?' e di qualche donna interessante, efficiente, attraente, capita di sentir dire:

'peccato che parli !'."

Marcellina preferisce esaltare la funzione positiva della parola. Sottolinea con vigore che la parola è un grande dono che è stato dato all'uomo e, forse ancor di più, alle donne per fare del bene. La parola acquista un valore simile ai talenti della parabola raccontata da Gesù, e come i talenti essa deve essere usata a servizio del bene. Ogni altro uso improprio genera tristezza e un grande senso di solitudine. Anche a quei tempi si svolgevano scene che troviamo purtroppo ripetute nei secoli: "Com'è triste infatti - sbotta Marcellina - dover confessare: 'Con la mia cognata non parlo più.' Un diverbio, un malinteso possono capitare anche tra le persone che si vogliono bene, figuriamoci quando entra nel giro delle relazioni quotidiane una persona, la cognata, la nuora, la vicina di casa ... che viene da tutt'altra educazione e sensibilità! E quanta umiltà ci vuole per evitare che una divergenza si incancrenisca in un risentimento inestirpabile, che impedisce persino il saluto e l'augurio di buon onomastico! "

Ancora una volta per Marcellina è la carità ad aiutarci, a darci lo stimolo per spingerci ad agire subito, a non permettere che il trascorrere del tempo renda abituale e perciò sopportabile il mutismo e il rancore. Perché il frutto della parola sia buono, il parlare deve venire dal silenzio e dalla carità. Il silenzio infatti consente di ascoltare dentro di noi le parole che stiamo per dire e ancor più profondamente di ascoltare lo Spirito che parla in noi. Vengono così smascherate le tentazioni di parlare solo per ferire, per il desiderio di mettersi in mostra, per vendicarsi stupidamente e inutilmente di un torto subìto, per sfogare una antipatia o una invidia irragionevoli. Il silenzio consente anche di domandar-si, prima di parlare, quali conseguenze possa avere la parola che stiamo per dire. La carità, ancora, induce a parlare per edificare il bene: "Tutto si faccia per l'edificazione " ricorda Marcellina citando I Cor 14, 26. Anzi sente la necessità di approfondire la questione con una serie di osservazioni che hanno ancora il sapore della modernità e apre la via della correzione fraterna prendendo spunto da comuni lamentele del tipo: "Ho ragione di lamentarmi e di criticare, perché il nostro prete non fa questo e quest'altro; si ricorda solo di quella e di quell'altro" oppure: "Non è per mormorare: dico solo le cose come stanno". Ebbene Marcellina chiede di interrogarci nel profondo con questa domanda: "ma queste parole servono per edificare il bene o solo per aumentare il malumore? " Forse queste questioni non erano di poco conto a quei tempi, se Marcellina si sente quasi in dovere di scrivere una regola per una comunità di vergini consacrate dove vorrebbe fosse inserito il voto di non lamentarsi mai. C'è quasi una sottolineatura dell'urgente necessità che la Chiesa milanese reagisca alla tentazione del malumore e dello scontento e, insiste Marcellina, un compito speciale tocca proprio a chi si consacra verginalmente a Dio, "forse - precisa - tocca a noi cominciare, a noi, donne che vorremmo farci sante." A Marcellina sembra che qualche volta il Vangelo venga letto dai fedeli alla rovescia.

Ella che ha ben chiaro l'insegnamento Gesù riportato in Matteo 18, 15 dove si trova: "Se il tuo fratello commette una colpa va' e ammoniscilo fra te e lui solo ... se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone ... se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea ..." prova grande dolore per la disdicevole abitudine di criticare senza remore, un atteggiamento questo, che pare fosse luogo comune nella Chiesa milanese. Purtroppo - si lamenta Marcellina - "è abitudine anche tra noi che se un fratello o una sorella commette una colpa, anzitutto lo si dica a tutti e di rado si trovi qualcuno che non cerchi di non criticare, ma di correggere chi sbaglia." Suggerisce umilmente che tutti dovremmo piuttosto imparare l'arte di "dire una buona parola": è quell'arte di cui dovrebbero essere esperte le nonne e le zie che talvolta raccolgono le confidenze di giovani in difficili rapporti con la mamma o con la scuola o con la vita. E' l'arte delle donne sagge che stanno vicine ai preti e li vedono talora troppo stanchi, troppo sensibili alle critiche e alle incomprensioni. E' quella stessa arte delle donne che apprezzano l'amicizia e sanno riconoscere i momenti in cui è opportuna una visita a chi da troppo tempo non può uscire di casa o si sente troppo sola e depressa. Questa capacità di dire una buona parola richiede una grande libertà interiore, una disponibilità a farsi umili e a dare l'impressione di non aver bisogno mai di nulla sino a quando gli altri non siano tutti felici e contenti. Marcellina sostiene che la capacità di saper parlare bene si impara con la sapienza che viene dall'alto e, citando Genesi 3, 17-18, ricorda che essa "è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace." Di tutt'altro genere è la terza lettera che vogliamo esaminare in questa occasione. Indirizzata alle sorelle della comunità di vergini, scritta dopo la morte del fratello Ambrogio e presumibilmente, quindi, pochissimi anni prima della sua morte, essa ci apre uno squarcio lacerante nell'intimità della sua anima di fronte al mistero della morte. La penetrante profondità delle sue meditazioni e la dolce poesia che affiora tra le righe rendono questa lettera una specie di testamento spirituale di rara efficacia.

Subito, in apertura, Marcellina confessa le sue nuove preoccupazioni, la desolazione in cui spesso la sospinge la solitudine. Quando alle spalle si chiude la porta, sembra che il tempo per lei prenda un passo stentato, trascinando la giornata in quel modo penoso e stanco che diventa proprio insopportabile. La situazione si è manifestata apertamente soprattutto da quando è morto colui che lei chiama "il mio santo fratello Ambrogio." Da quel momento ha cominciato a capire meglio le confidenze e gli sfoghi che riceveva dalle altre vergini che le parlavano del peso della solitudine. Anche per lei ora il pensiero si aggrappa alla memoria e ripercorre i tempi felici quando Ambrogio era vescovo, quando ogni giorno era interessante, quando la gente le riportava le notizie e ne traeva motivo di letizia o di apprensione. Ella ora ama ricordare le lunghe lettere che Ambrogio le scriveva, ove le descriveva gli eventi più trepidi. E così leggeva e rileggeva quelle lettere per nutrire la sua preghiera e per tenere vivo il suo pensiero. Con quale piacere ella ricorda l'aiuto che le davano i suoi scritti a vivere la sua consacrazione al Signore ! Una velata malinconia scende sui suoi ricordi di quei tempi quando poteva sentirsi importante perché Ambrogio le chiedeva un consiglio, proprio lui un uomo che tutti ammiravano e che perfino l'imperatore teneva nella massima considerazione! "Ora che Ambrogio è morto - scrive Marcellina - la vita solitaria, che pure ho scelto volentieri per dedicarmi al Signore, conosce giorni di tristezza e mi sembra d'essere come una casa abbandonata. Condivido perciò con più intensa partecipazione la solitudine di cui talora vi lamentavate. Ecco: rientri in casa, dopo una visita in chiesa, dopo una preghiera sulla tomba delle persone amate, dopo avere fatto le spese necessarie, sostando volentieri se un amico o un negoziante ti trattiene a chiacchierare. Rientri a casa: e lì non c'è nessuno."

La sua esperienza personale la aiuta a condividere altri drammatici esempi di dolorosa solitudine e immagina quello che accade in alcune case, dove resta il ricordo di tempi migliori, come motivo di più sofferta desolazione, quando la vita ferveva e il tempo correva troppo in fretta, quando c'era il marito con il suo lavoro, le sue esigenze e le sue tenerezze, quando c'erano i figli, il chiasso dei bambini, le giornate memorabili delle grandi scelte e i momenti difficili della malattia o della guerra, le ore di gioia incontenibile per la nascita di un nipotino. Ora in quelle case rimangono soltanto i ricordi, qualche ritratto di volti amati, cimeli di giorni felici. Chissà per qual motivo le visite di persone care ora si sono diradate, proprio quando sono più necessarie. Malinconicamente Marcellina non tace neppure gli episodi più tristi e la falsa ipo-crisia dei nipoti che sembrano venire volentieri solo quando si aspettano un dono. Se fosse sempre Natale almeno verrebbero sempre ! Quale pena poi, quando un malinteso, un dissenso, una gelosia ha reso difficili i rapporti, proprio con le persone più care e succede persino che la nuora impedisca ai nipoti di andare a salutare la nonna e a giocare nel suo giardino. Come vivere la solitudine, si interroga Marcellina. Orbene, come tutte le stagioni della vita, anche la solitudine di una donna anziana è una possibilità, poco desiderabile forse, ma inevitabile. Tuttavia possiamo viverla bene o viverla male. Marcellina confessa che forse non è abbastanza saggia da poter dare consigli, però arde dal desiderio di confidare qualche suo pensiero, ed il primo è rivolto alla carità.

"Finché abbiamo tempo - sostiene - facciamo del bene. Il bene è più facile quando è fatto tutto insieme: perché dunque non vinciamo un poco la pigrizia e non uniamo le forze? La visita ai malati, l'assistenza ai sacerdoti, la preparazione di una minestra per i poveri: quanto bene aspetta d'essere compiuto! E noi ne abbiamo di tempo."

Marcellina non si nasconde le difficoltà della sua proposta di vita in comune, poiché sa che fare il bene insieme ad altri richiede molta virtù. Chi è abituato a star solo fa fatica ad accettare che qualcuno fissi gli orari ed inoltre è fortemente sensibile a chi muove una critica. Per di più, e questo era un malessere che si avvertiva anche fra le vergini che vivevano nelle loro case, in una vita comunitaria sorgono spesso questioni e problemi difficili da dirimere: c'è chi sente insopportabile quella che ha la pretesa di comandare, quella che ride troppo, quella che non la finisce mai di enumerare le sue malattie e le sue disgrazie. Nonostante ciò o forse proprio a causa di ciò, Marcellina ribadisce la bontà del suo proposito e invita ad esercitarsi un po' anche nella virtù della pazienza, piuttosto che chiudersi in casa ad affliggersi per il malumore. La questione è veramente grave perché la solitudine è spietata e non dà tregua. In casa infatti bisogna pur sempre rientrare e le lunghe serate sembrano non finire mai. Per di più allorché il sonno se ne va nel cuore della notte e non torna più, proprio allora mille pensieri assalgono il nostro animo. "E se mi sento male, chi se ne accorgerà? Che nuova malattia sarà questo dolore che sento qui sul fianco? mi basteranno i soldi per la spesa di domani? e dove sono finiti tutti quelli ai quali ho fatto del bene? " Marcellina però non dispera neppure in questa occasione, ma ripone la sua fiducia nella sua fede cristiana e non trova rimedio migliore che la preghiera e la lettura.

In questi frangenti le sembra che la sua casa vuota possa ospitare il cielo e quando dal groviglio degli affanni riesce a elevare il suo pensiero al Signore Gesù, finalmente si sente libera ed è in grado di parlare con devozione alla Vergine Madre e riesce a meditare gli esempi dei santi martiri, delle sante vergini, dei santi missionari. "Che grazia quando la preghiera diventa un incontro - scrive - e mi pare d'essere circondata da una splendida corona di persone amiche e gloriose e di sentirne l'affetto! 'Coraggio! siamo con te!' mi dicono i miei santi fratelli, i miei genitori, i santi tutti della Chiesa." Anche la lettura risulta un utile esercizio per la mente e l'anima, per quanto lo consenta la vista che s'è fatta stanca e nonostante che il pensiero talora non riesca a concentrarsi a lungo perché si confonde di fronte alle pagine difficili.

"Ad ogni modo mi sorprendo contenta - conclude - perché mi accorgo che la lettura di opere sapienti mi apre orizzonti e mi rivela lo splendore della verità cristiana: forse l'ho sempre saputa e ripetuta e persino insegnata senza comprenderne veramente la bellezza."

Nonostante questi orizzonti di sereno ottimismo Marcellina non si stupisce se ci saranno dei giorni davvero tristi. Tuttavia amorevolmente ci ammonisce che anche in questo caso vale la pena di non affliggersi troppo, ma piuttosto di aspettare giorni migliori e di continuare a invocare la gioia di Dio.