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Tristano Calchi

Stemma dei Nobili Calco dallo Stemmario Trivulziano

Stemma dei Nobili Calco dallo Stemmario Trivulziano

 

 

TRISTANO CALCHI

Tratto dal DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI

Alla voce "CALCO", vol. XVI - Edizioni Treccani

 

 

 

Figlio di Andrea e di Maddalena Caimi, nacque presumibilmente poco prima della metà del secolo XV; sposò Susanna Calcaterra ed ebbe un figlio, Giovanni Francesco. Benché molti studiosi lo definiscano allievo del Merula, probabilmente in base al fatto che il Calchi definì costui "praeceptor noster", nulla sappiamo della sua istruzione scolastica e della sua formazione culturale. Qualcuno ritiene che fu allievo del Puteolano; risulta comunque che godette della protezione del cancelliere sforzesco Bartolomeo Calco, del quale non fu parente stretto, pur appartenendo allo stesso ceppo famigliare.

Il suo nome compare per la prima volta fra quelli dei coadiutori in una lista di impiegati della cancelleria segreta milanese del 1470. Nell'ottobre del 1487 è scriba dello stesso ufficio, quando Gian Galeazzo Sforza concesse a lui e ad uno dei fratelli, Carlo, un terreno in Milano vicino alla loro casa, oltre il ponte di S. Eustorgio. Del 1489 è il suo primo componimento di carattere storico: un'operetta in latino dal titolo Nuptiae Mediolanensium Ducum, dedicata a Lodovico Maria Sforza e scritta in occasione delle nozze del duca Gian Galeazzo con Isabella d'Aragona.

In esso è narrato con dovizia di particolari l'invio dei gentiluomini che dovevano scortare a Milano la sposa, quindi il viaggio per mare fino a Genova, l'incontro di Isabella col Moro in questa città e con Gian Galeazzo a Tortona, i festeggiamenti prima a Tortona, poi a Vigevano, le nozze a Milano.

L'opera, che non presenta naturalmente alcuna prospettiva storica, è però caratterizzata da un acuto spirito d'osservazione, da descrizioni pittoricamente vive, da uno stile elegante e privo di pomposità. Un codicetto pergamenaceo conservato nella Biblioteca Ambrosiana (H 55 sup.), contenente questa composizione, presenta correzioni di mano dell'autore. Il secondo componimento del Calchi, le Nuptiae Mediolanensium et Estensium Principum, è un'opera dello stesso genere e ha per argomento il doppio matrimonio avvenuto, all'inizio del 1491, fra Lodovico il Moro e Beatrice d'Este da una parte ed il fratello di quest'ultima Alfonso con Anna Sforza nipote del Moro dall'altra.

Vi si narra il viaggio di Beatrice diretta nel ducato con i genitori ed il fratello, il matrimonio a Pavia, dopo una sosta a Piacenza, quindi il trasferimento a Milano, dove gli sposi parteciparono a feste splendide tra addobbi favolosi. La narrazione prosegue con il secondo matrimonio, le giostre che seguirono, notevoli per il numero e la qualità dei partecipanti, e il viaggio di Anna verso Ferrara. Sul finire non è dimenticata la nascita del figlio di Gian Galeazzo, Giovanni Francesco. Chiude il componimento un sonetto di Paolo Lanterio in celebrazione del nuovo nato. Lascia forse un po' perplessi costatare che delle tre operette dello stesso genere dal Calchi scritte, questa è la più breve anche se in essa i matrimoni descritti sono due, anziché uno.

Il testo è inoltre privo di lettera di dedica e termina non con le lodi del Moro, come sarebbe stato naturale, visto che delle nozze di questi si trattava ma con voti augurali al primogenito del duca legittimo, Gian Galeazzo. Sempre nel 1491 il Calchi, ancora coadiutore nella cancelleria, ebbe l'incarico di riordinare i fondi documentari e librari della biblioteca ducale del castello di Pavia di cui probabilmente era bibliotecario già dal 1478. Fra il 1491 ed il 1492 egli recuperò presso vari privati parecchi volumi che appartenevano alla biblioteca, assolvendo contemporaneamente all'incarico principale; nell'ottobre del 1492 stava finendo di riordinare le carte, che aveva trovato nella massima confusione e si riprometteva di prendersi successivamente cura dei libri, quasi cinquecento dei quali avrebbero dovuto essere restaurati. Nel 1494 il Calchi compose le Nuptiae Augustae in occasione delle nozze di Bianca Maria Sforza, nipote di Ludovico il Moro con Massimiliano d'Asburgo, avvenute nel novembre dell'anno precedente. L'impianto del lavoro è simile a quello delle altre due operette precedenti: fatto cenno ai preliminari, si passa a trattare dell'arrivo degli ambasciatori tedeschi, si narra il solenne sposalizio per procura, lo sfarzo delle celebrazioni, il viaggio in Germania, l'arrivo ad Innsbruck, ed infine si riporta anche il discorso pronunciato in quell'occasione da Giasone del Maino. Nell'Ambrosiana si conserva, dono di L. Cotta, un codicetto pergamenaceo (Z 43 sup.), contenente quest'opera, di mano di Giorgio Galbiato, con correzioni autografe del Calco. In esso la data della lettera dedicatoria a Erasmo Brasca, 15 luglio 1497, è aggiunta in un secondo tempo, ed il titolo appare corretto in Nuptiae Augustae da Nuptiae Romanorum Regum. Fra il novembre del 1494 ed il maggio 1495, cioè durante la discesa di Carlo VIII, il Calchi compì un viaggio, forse non ufficiale, di cui non conosciamo il fine preciso, nel corso del quale egli in più lettere (Archivio di Stato di Milano, Autografi, cart. 117), dirette sempre e solo a Bartolomeo Calco, dette da Firenze prima, poi da Acquapendente, quindi da Finale Ligure notizie sulla consistenza dell'esercito francese, liste e descrizioni di compagnie, informazioni dirette e indirette sulle mosse del re e notizie di preparativi di guerra dalla Francia e dall'Italia.

Intanto, nel marzo del 1494, era morto a Milano Giorgio Merula. Questi aveva ricevuto da Lodovico Maria Sforza l'incarico di redigere una storia dei Visconti, che il Moro considerava i suoi diretti antenati. L'opera era rimasta, alla morte dell'autore, interrotta al 1339. Al Calchi, per iniziativa di Bartolomeo Calchi e fors'anche su sollecitazione di Giacomo Trotti, fu affidato, dopo circa due anni, l'incarico ufficiale di continuare la narrazione del Merula. Una volta iniziato il lavoro, egli rinunciò però a continuare il testo dell'Alessandrino, secondo l'incarico ricevuto, ma volle ricominciare l'opera dall'inizio, trasformandola da storia di una famiglia in storia di una regione e di uno Stato, in quanto giudicò la trattazione del suo predecessore meramente agiografica, manchevole dal punto di vista della ricerca documentaria e sprovvista di senso critico. La Historia va dalle origini di Milano al 1322 ed è divisa in 22 libri. In essa per il periodo classico e per quello alto medievale l'autore utilizza ampiamente le fonti epigrafiche e documentarie da lui consultate di prima mano, come ad esempio i diplomi bobbiesi di Berengario I e di Ugo e Lotario del 20 marzo 939 (falso per L. Schiaparelli, I diplomi di Ugo e Lotario, Roma 1924, n. LI, pp. 153-6).

Per quanto riguarda la storia delle origini dei Visconti il Calchi ricostruisce con secca obiettività le prime vicende della famiglia sulla base della documentazione offerta da atti privati del XII secolo, ancora una volta in polemica con il Merula, che ne aveva accettato ed esaltato la mitica discendenza dai re longobardi. Il suo atteggiamento è in contrasto con quello del dotto umanista anche riguardo ai giudizi vacuamente moralistici che questi dà, ad esempio, rispetto ai Longobardi o a Federico II. Il Calchi infatti (cfr. una sua precisa enunciazione metodologica a questo proposito in I. O. Graevius, Tesaurus Antiquitatum, II, Lugduni Batav. 1704, coll. 255 s.) racconta gli avvenimenti così come sono testimoniati dalle fonti, rifiutandosi di giudicare e di prendere posizione. Con questo atteggiamento, però, egli, pur collocandosi consapevolmente e criticamente fra gli storici eruditi in contrapposizione con gli stilisti umanisti, denuncia una evidente carenza interpretativa ed in definitiva la sua narrazione storica, così diligente, così fedele alla verità ufficiale, finisce col rimanere alla superficie delle cose. Il suo latino è semplice ed elegante, efficace nella sua stringatezza. Oltre alla utilizzazione dei documenti originali degli archivi di Milano, Pavia, Lodi, Cremona, Bobbio, Genova, il Calco usò almeno una ventina di fonti narrative antiche e meno antiche oltre quelle adoperate dal Merula.

Per le ricerche archivistiche condotte in preparazione della sua opera egli godette della massima collaborazione delle autorità e usufruì di lettere di presentazione e di salvacondotti del Moro per archivi, biblioteche e privati nel ducato e fuori di esso, nell'ottobre del 1496, nel novembre dello stesso anno ed ancora nell'aprile del 1499. Del 6 giugno 1498 è una lettera del duca di Milano, diretta alle autorità di Pavia, che autorizzava alla consultazione dei libri e documenti ivi conservati non solo lui, ma anche lo storico contemporaneo Bernardino Corio, il quale aveva avuto l'incarico ufficiale di redigere una storia di Milano già dal 1485. L'opera del Corio, che, persino con l'adozione del volgare, scelse di rivolgersi ad un pubblico non esigente che gustava la ricerca dell'effetto e che si contentava della trasposizione in blocco nell'opera dei lavori degli storici precedenti, si differenzia nettamente proprio per queste sue precipue caratteristiche da quella del Calco.

Quest'ultima si distacca totalmente anche dalla narrazione, ancora tutta cronachistica, di Donato Bossi, altro storico ufficiale, il cui nome compare accanto a quello del Calchi in una lista di pagamenti dell'università di Pavia del 1498. Nella Biblioteca Ambrosiana si conserva una redazione autografa della Historia, costituita di più codici: il primo (A 188 inf.), pergamenaceo e finemente illustrato con disegni a penna acquerellati, contiene i primi cinque libri dell'opera: il secondo (H 256 inf.) è un codice fattizio, la cui prima parte contiene i libri dal VI al XX e la seconda i due ultimi libri, i quali, come si dirà più avanti, ritrovati nel Seicento in una biblioteca privata, furono poi donati all'Ambrosiana. Il Calchi non vide pubblicata la sua opera, che fu edita a Milano soltanto nel 1627, con il titolo Tristani Calchi mediolanensis Historiae patriae libri viginti, stampata dalla tipografia Malatesta, con frontespizi disegnati ed incisi da G. B. Crespi, detto il Cerano, primo volume di una collana storica municipale, la cui realizzazione era stata decisa nel 1622 dal Consiglio dei decurioni di Milano. Nel 1644 Giov. Pietro Puricelli dava alle stampe i Tristani Chalci mediolanensis historiographi Residua, che costituivano una vera e propria appendice alla collana di cui si è detto, che si era fermata al secondo volume. Venivano così alla luce i due ultimi libri delle Historiae, le Nuptiae Mediolanensium Ducum, le Nuptiae Mediolanensium et Estensium Principum e le Nuptiae Augustae, di cui l'editore aveva rinvenuto nella biblioteca di Lucio Adriano Cotta i manoscritti, poi donati all'Ambrosiana. Le due edizioni furono successivamente inserite in I. G. Graevius, Thesaurus ..., II, I, coll. 81-440 e coll. 441-536. Prima della pubblicazione dei Residua, la Historia patria del Calchi aveva avuto un continuatore in G. B. Ripamonti, che, storiografo patrio dal 1635, proseguì l'opera del Calchi, riprendendo la narrazione dal 1313 e conducendola fino al 1631.

Le Antiquitates Vicocomitum del Merula limitatamente ai primi dieci libri, erano state invece pubblicate fin dall'anno 1500 da Alessandro Minuziano, già allievo dell'Alessandrino e precettore dei figli di Bartolomeo Calco. Il Calchi forni per l'edizione una copia dell'opera, il materiale della quale evidentemente gli era stato affidato quando aveva ricevuto l'incarico di proseguire la narrazione. Durante il suo lavoro di riordino della biblioteca di Pavia, della quale era divenuto prefetto nel 1496, e compiendo, nel 1498, il riordino dell'archivio ducale, il Calchi aveva avuto modo di raccogliere la documentazione per redigere una genealogia dei Visconti. In questa compilazione il Calchi non mancò di far notare quanto "iure nascendi" Luigi XII fosse vicino alla famiglia Visconti, sottolineando così la legittimità dell'occupazione francese del ducato di Milano. Opportunismo politico, probabilmente, ma anche conferma di quella sua tiepidezza nei confronti del Moro già notata e che era risultata evidente anche dalla trasformazione della storia del Merula destinata all'esaltazione di una famiglia nella storia di uno Stato.

La genealogia dei Visconti del Calchi è edita in G. Volpi, Historia de' Visconti, II, Napoli 1748. Essa, preceduta da una dedica a Stefano Poncher, presidente del Senato di Milano datata 10 agosto 1502, fu fornita all'editore, trascritta "ex authographo", dall'archivista milanese Giovanni Sitoni de Scotia nell'anno 1739, ed è probabilmente la stessa opera che l'Argelati vide nell'Archivio Visconti, con il titolo De stemmate Vicecomitum, munita però di una lettera di dedica a Luigi XII del 1499. Un'altra opera del Calchi è il De magistratibus Mediolanensibus libri tres, conservata inedita nella Biblioteca Apost. Vat., alle cc. 71-118 del Cod. miscellaneo Vat. lat. 3923, di cui dette notizia per primo il Pélissier (Louis XII., p. 323). Il Calchi non fu soltanto uno storico, ma anche un filologo. Il suo interesse per gli autori classici è testimoniato da uno scambio di lettere da lui avuto con il Poliziano negli anni 1489-90; messo in contatto con il grande umanista dai buoni uffici di Iacopo Antiquario, il Calchi gli manifestò il suo entusiasmo per i Miscellanea e gli chiese in prestito un buon codice dell'Apologetico di Tertulliano. Le richieste del Calchi furono di buon grado accolte ed egli colmò le lacune del suo esemplare, che apparteneva a Giorgio Merula,e scrisse di propria mano un intero codice conservato ora nel British Museum (Ms. Add. 21187), che contiene, oltre all'Apologeticum contra gentiles, anche la copia della lettera che il Poliziano aveva indirizzato al Calchi su questo argomento il 12 gennaio 1490.

La corrispondenza fra i due umanisti si concluse in apparenza senza motivo nell'ottobre del 1490. Forse è possibile mettere in relazione questo improvviso silenzio con l'insorgere appunto in quell'anno della polemica fra l'umanista fiorentino e Giorgio Merula. Questi, come si sa, l'anno prima della sua morte aveva compiuto il memorabile ritrovamento dei codici bobbiesi. Sembra legittimo ritenere che dopo la sua morte il Calchi abbia avuto accesso ai codici recuperati. Ciò sembra comprovato da numerose correzioni autografe ed integrazioni fatte dal Calchi in un codice, scritto di mano del Galbiato, contenente i testi di Velio Longo, Adamanzio Martirio, Probo, lo Pseudo-Frontone, Fortunaziano, Damaziano e Cesio Basso, conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli (Napol. IV a II); in esso il Calchi intervenne sui testi di Velio Longo, Fortunaziano, Damaziano e Cesio Basso. Non sappiamo di che genere fu questa collaborazione fra il Calchi e l'antico segretario del Merula, certo il Galbiato, editore, in collaborazione con Giovanni Crastone, del De litteris, syllabis et metris Horatii di Terenziano nel 1497, in questo caso sembrò limitarsi soltanto ad un'opera di copista. Comunque i testi contenuti nel codice napoletano non furono editi né dal Calchi, né dal Galbiato.

Nel 1499 usci a Parma a cura di Taddeo Ugoleto una nuova edizione di Ausonio. Come si legge nell'introduzione, fu il Calchi che fornì all'editore un codice "verae sinceraeque lectionis", contenente il Ludus septem sapientium ed il Catalogus nobilium urbium. Nel 1503 il Calchi pubblicò il De die natali del Censorino. Questo volumetto, stampato dal tipografo milanese Giovanni Angelo Scinzenzeler contiene, oltre ad una lettera dedicatoria a Stefano Poncher ed al testo del Censorino, che l'editore dice di avere emendato e corretto rispetto a quello pubblicato dal Beroaldo per mezzo di un codice di veneranda antichità, le vite di Nerva, di Traiano e di Adriano di Dione Cassio, tradotte in latino dal Merula, ed anche due orazioni di S. Basilio e il De differentia inter odium et invidiam di Plutarco. Inoltre nella Bibl. naz. di Parigi si conserva un piccolo codice di mano del Calchi (Par. lat. 8783), contenente due trattatelli dai titoli: Quaestio in auctorem rhetoricorum ad Herennium e Ordo creationis magni Rhodiorum magistri, ai quali è premessa una lettera di dedica a Stefano Poncher, datata 14 settembre 1505, per il primo dei quali la Belloni dimostra come esso sia un vero e proprio plagio del Calchi di un'opera medita del Merula. Oltre a quanto si è detto precedentemente, sappiamo che nel 1500 durante il breve ritorno del Moro a Milano, il Calchi fu uno dei segretari ducali.

La carica di regio segretario che ricopriva sicuramente nel 1503 e nel 1506 e le dediche premesse alle sue opere al presidente del nuovo Senato fanno supporre nel Calchi una lealtà priva di nostalgie verso il nuovo regime. Alcuni fanno risalire la sua morte al 1514, altri al 1515; certo è che nel 1516 il Calchi era sicuramente deceduto.