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Francesco Petrarca: sant'Agostino IN RURE CASEATO

 

SANT'AGOSTINO IN RURE CASEATO

di Francesco Petrarca

 

 

Francesco Petrarca (1304-1374) coltivò una grande ammirazione per sant'Agostino, di cui portava sempre con sé una copia manoscritta delle Confessioni. Un dialogo fra Petrarca e sant'Agostino è l'operetta De Secreto conflictu curarum mearum scritto in Valchiusa fra il 1342 e il 1343 e ritoccato a Milano fra il 1353 e il 1358. Altri ricordi agostiniani traspaiono in numerose opere petrarchesche fra cui il De Vita Solitaria, da cui è tratto il brano riportato. Ideato nel 1346 come esercizio quaresimale, ma ricorretto e ampliato più tardi, questo libro dovrebbe costituire l'esaltazione della solitudine e del silenzio come strumenti di libertà e tranquillità spirituale. In esso vengono presentati dallo scrittore esempi famosi di vita solitaria, fra cui quello di Agostino in ritiro a rus Cassiciacum.

Petrarca chiama questo luogo Caseatum con un evidente parallelismo con il dettato agostiniano delle Confessioni. Di estremo interesse è anche l'accostamento di questo brano petrarchesco con un posteriore scritto cinquecentesco di un funzionario della curia milanese che riprende l'espressione così personale di Petrarca.

Fra il 1353 e il 1354 Petrarca, persuaso dalle molte insistenze dell'arcivescovo Giovanni Visconti, signore di Milano, si decise a recarsi in questa città, dove dimorò per otto anni fino al 1361 presso la chiesetta di S. Agostino, in un luogo ricco di testimonianze agostiniane, tanto che "c'è solo la basilica di S. Ambrogio - scrisse - a frapporsi tra la casa dove io abito e la piccolissima cappella nella quale Agostino soffrì il segreto dissidio delle opposte passioni e ne uscì vincitore".

 

Nondum nos Mediolano egredi magnus alter eiusdem urbis habitator sinit, Augustinus, quem Deus Ambrosio malis erroribus infectium, quasi egrotum filium docto medico pius pater dedit, ut is eum undis salubribus ablutum curatumque Deo redderet. Ille ergo cum ignarus omnium, que erga se clam divina pietas ageret, Mediolanum veniens, ubi tunc sacer flotebat Ambrosius, vitam tandem mutare decrevisset, civitate relicta, solitudinem ruris appetiit, tu, qui cum multis insanierat, solus resipisceret. Caseatum vocat ipse, et id manet hactenus ruris nomen.

 

Non ci lascia ancora uscire da Milano Agostino, un altro nobile abitante di questa città. Quand'era ancora permeato di funesti errori, Dio, pietoso padre, lo affidò ad Ambrogio, come un figlio malato a dotto medico, perchè glielo restituisse curato e lavato con le salubri onde del battesimo. Agostino dunque, avendo finalmente deciso di cambiare vita dopo essere venuto a Milano, ignaro di tutto quanto verso di lui celatamente la pietà divina stava tessendo, abbandonata la città, dove a quel tempo insegnava il venerabile Ambrogio, cercò la solitudine della campagna. Con molti era impazzito, da solo si ravvide. Caseato la chiama e tale persiste fino ad oggi il nome di quella campagna.

 

 

FRANCESCO PETRARCA, De Vita Solitaria, II, 4