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Percorso : HOME > Cassiciaco > Vexata quaestio > Giuseppina BesanaGiuseppina Besana: L'EPIGRAFIA DEL RUS CASSICIACUM
Epigrafe di età romana: X.O.V.M.F.
L'EPIGRAFIA DEL RUS CASSICIACUM
di Giuseppina Besana
Le epigrafi ritrovate in Brianza permettono, nel loro insieme, di delineare la romanizzazione di questa plaga con un buon margine di sicurezza. Numerose sono le località briantee che hanno restituito iscrizioni sacre agli dei pagani o comunque votive.
Anche se in questa sede mi occuperò dei ritrovamenti epigrafici di Cassago, si renderà necessario un costante riferimento alle epigrafi di altre località nelle immediate vicinanze, in particolare Valle Guidino, in quanto il raffronto permetterà quasi naturalmente dei collegamenti degni d'attenzione.
Proprio da Valle Guidino partirà questo breve viaggio tra le iscrizioni romane della Brianza. Valle Guidino è un piccolo centro del Comune di Besana e dista circa 4 Km da Cassago. Verso il 1870 furono portate alla luce tre are nei pressi di alcune abitazioni nel corso di scavi occasionali. Si tratta di are votive di grande interesse conservate al Museo Archeologico del Castello Sforzesco di Milano.
Successivamente, nel 1875, da un pozzo situato nel cortile di alcune case vicine a quelle dei precedenti ritrovamenti, fu estratto un sasso, posteriormente sagomato, recante questa iscrizione incisa sul lato minore a rozzi caratteri:
I. O. M. VERECUNDUS
Presentava una lunghezza di m 1,20 una larghezza di m 0,25 e un'altezza di m 0,17. Il sasso posteriormente è sagomato, perciò potrebbe essere stato reimpiegato, ad esempio come materiale decorativo. Nel corso dell'estrazione, forse per incuria dei lavoranti, si ruppe in cinque parti. Il sasso è stato catalogato sul C. I. L. ,V, 8917. La notizia e le modalità del ritrovamento sono state riportate dal Caimi sulla rivista «Archivio Storico Lombardo», II, 2, (1875).
Il Verecundus citato nella suddetta iscrizione richiama quasi istintivamente il Verecundus, che nella sua villa di campagna a Cassiciacum ospitò S. Agostino. Questo collegamento si rivela molto interessante ai fini della identificazione del Rus Cassiciacum agostiniano. Il problema, ormai una vexata quaestio, mi sembra insolubile se si lavora esclusivamente sul dato toponomastico, cercando cioè di far corrispondere Cassiciacum a qualche località attuale, che nella denominazione moderna sembri collegarsi all'antico Cassiciacum. Ritengo invece che il solo documento concreto, anche se non probante allo stato attuale delle nostre conoscenze, sia il sasso trovato a Valle Guidino.
Non è ovviamente possibile identificare con certezza il Verecundus attestato a Valle Guidino con il grammatico amico del Santo; nulla vieta tuttavia di considerare questo reperto un rilevante e significativo indizio a sostegno della localizzazione di Cassiciaco in Brianza piuttosto che altrove.
L'osservazione diretta del sasso mi è stata possibile solo in un secondo momento, quando avevo ormai concluso le mie indagini e la stesura della mia tesi di laurea. Infatti il sasso in questione non si trovava al Museo Archeologico del Castello Sforzesco di Milano assieme alle altre are di Valle Guidino. Imputai questa assenza a ragioni di ordine pratico in quanto allora il Museo Lapidario era in allestimento e alcuni pezzi si trovavano in restauro, altri ammucchiati nei depositi in attesa di un'ordinata e funzionale sistemazione.
Il Verecundus documentato a Valle Guidino compare in un testo epigrafico essenziale. Anche l'elemento onomastico è di per sé insufficiente per poterne ricavare qualche informazione relativa al dedicante. Le altre iscrizioni del Milanese attestanti questo nome non sembrano avere attinenza alcuna con Verecundus amico di Agostino. Avevo però notato, consultando gli studi e le segnalazioni in merito ai resti epigrafici della Brianza in età romana, una lastra iscritta inserita nel muro di una casa di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, nei pressi della chiesa di S. Eusebio.
L'iscrizione fu segnalata nel 1975 alla Soprintendenza ai Beni Archeologici di Milano dal prof. Lopiccoli. Il testo coincideva perfettamente con il sasso di Valle Guidino di cui s'è detto:
I. O. M. VERECUNDUS
Altezza m 0,13 lunghezza m 1,11 e altezza media delle lettere cm 6. Forse in origine la pietra era stata usata come lastra da offerta. Di solito i nomi rappresentati da un solo elemento, e per i quali si può fornire una sicura datazione, sono tutti posteriori al 300 d. C.
In base a questa osservazione non potevo escludere che l'epigrafe di Valle Guidino fosse tarda e che perciò il dedicante appartenesse alla famiglia di quel Verecundus, che ospitò Agostino.
Il prof. Mario Mirabella Roberti, a commento dell'iscrizione di Cinisello Balsamo, ritenne che il nome tardo antico e la dedica potessero attestare una presenza pagana ancora nel IV secolo. Ciò suggerisce un confronto con il sasso di Valle Guidino, il cui testo coincide perfettamente con l'iscrizione di questa lastra, che vidi personalmente qualche anno fa assieme al compianto presidente dell'Associazione S. Agostino, signor Ernesto Cattaneo. E' mio dovere e desiderio ricordarlo in questa occasione perchè mi è stato molto vicino nel corso della stesura della mia tesi: la sua disponibilità si è trasformata ben presto in una solida e generosa amicizia.
Non mi era stato facile rintracciare l'ubicazione di quel sasso, in quanto pensavo che si trovasse nella chiesetta di S. Eusebio: in realtà era stato murato in una cantina di un edificio privato. Mi fu possibile vedere personalmente l'iscrizione grazie a una segnalazione da parte della professoressa Billanovich, ordinario di epigrafia latina all'Università di Pavia e mia relatrice. Mi fece sapere che era uscito un testo sulla chiesa di S. Eusebio in Cinisello Balsamo che riportava l'esatta ubicazione del sasso. Si trattava di un edificio nelle immediate vicinanze della suddetta chiesa, in via Settembrini 3.
Il sasso è stato ricomposto per essere murato ma sono evidenti le fratture che lo scompongono in cinque parti: le dimensioni coincidono esattamente con quelle del sasso di Valle Guidino.
Il trasferimento del sasso da Valle Guidino a Cinisello Balsamo si spiega evidentemente in questo modo: il parroco di Cinisello, don Vitaliano Rossi, un erudito del tempo e allora anche Ispettore agli Scavi del circondario di Monza, si era occupato del sasso in esame e ne aveva segnalata la presenza in una sua pubblicazione della quale in seguito si persero le tracce.
La passione antiquaria del Rossi e la coincidenza dei testi fanno supporre che l'iscrizione di Valle Guidino sia la stessa di Cinisello Balsamo. Forse il Rossi preferì murare l'iscrizione in una casa privata anziché in una chiesa perchè il testo si rivolgeva a una divinità pagana o forse per altre ragioni di ordine pratico che ci sfuggono.
Il sasso è comunque una prova inconfutabile della presenza in Brianza del nome Verecundus. L'amico di Agostino non si era ancora convertito al cristianesimo e ciò spiega la dedica a Giove.
Cassago continua a restituire reperti di vario tipo che affiorano con una certa frequenza soprattutto, ma non esclusivamente, nella parte alta del paese. Tra questi mi sembra di particolare interesse un masso sagomato di marmo, rotto in due parti che combaciano perfettamente. Sembrerebbe marmo di Luni, dalle tipiche striature verdognole. L'impiego di questo marmo nelle iscrizioni risale all'inizio dell'età imperiale, per generalizzarsi poi più avanti. Dunque in questo caso il materiale rappresenterebbe il termine post quem per una datazione del pezzo.
Eccone le dimensioni e il testo: altezza m 0,175 larghezza m 0,38 e spessore m 0,15.
Reca incisa la seguente iscrizione, allora inedita:
X IV O. V. M. F.
L'epigrafe fu resa pubblica il 21 novembre 1986 ma il suo ritrovamento risale a circa quindici anni prima ad opera di un privato. Dell'iscrizione, mutila, resta soltanto la parte conclusiva, incisa con caratteri rozzi e non particolarmente profondi, alti in media 7 cm.
Dall'evidente frattura del marmo prima del segno X si riconosce che la pietra manca di qualche parte, forse fu appositamente rotta in questo punto per un suo reimpiego. Il retro dell'iscrizione presenta delle scanalature verosimilmente eseguite per consentire l'incastro con gli altri pezzi dello stesso monumentum. Si potrebbe sciogliere la sigla in questo modo:
O (ptimo) V (iro) M (onumentum) F (ecit)
e riferire il testo a una moglie che fece erigere un monumento al proprio consorte defunto. Questa interpretazione, una tra le tante possibili, mi è suggerita dal confronto con un'altra epigrafe di Cassago di cui mi occuperò tra poco. Il segno IV è inciso, con caratteri più piccoli, alti circa cm 2, tra la X e la O, ma non sullo stesso rigo, bensì 4 cm più sotto. Ritengo perciò che l'iscrizione si componga di quattro parti: a noi resta soltanto quella conclusiva, appunto la quarta. IV piuttosto che IIII è tipico della scrittura volgare e di solito non lo si trova documentato sui monumenti d'epoca imperiale. Il IV non fa parte del testo: sembra essere una rapida nota del lapicida, un appunto dal valore puramente pratico, quindi non si può respingere l'ipotesi che questo materiale sia stato reso nella forma corsiva.
I rozzi caratteri, dal solco stentato e impreciso, che costituiscono questo breve frammento d'iscrizione, farebbero pensare alla mano di un lapicida poco abile.
Queste lettere sembrano appena scalfite nel marmo e non si può escludere che si tratti di una prima e provvisoria stesura del testo. Tuttavia è insolito l'uso del marmo in una zona dove si utilizzava quasi esclusivamente il serizzo, facilmente reperibile in grandi quantità e destinato ad un uso non esclusivamente locale. L'iscrizione potrebbe allora essere parte di un monumento funerario di un certo rilievo richiesto da una facoltosa committente.
Le lettere che costituiscono questo frammento epigrafico sono poste nello spazio compreso tra due allineamenti di punti, che, quasi equidistanti e paralleli, scorrono appena sopra le stesse lettere e alla base di queste. Si distinguono chiaramente dai segni di divisione e perciò ritengo che questi punti si possano spiegare come un originale e sbrigativo accorgimento del lapicida per delimitare lo spazio entro cui disporre le lettere dell'iscrizione.
Singolare è l'abbreviazione riportata:
O. V. M. F.
Si trova infatti soltanto in un'altra lapide attestata proprio a Cassago verso la fine del '700. Non si tratta della stessa, perchè quest'ultima, nota indirettamente anche al Mommsen e riportata in C. I. L., V, 5662 ( MARRILLA / ROMINI F. /O.V.M.F.) “pare fosse di sasso scuro ed era posta a circa m 6 da terra nel pilone di S. Giacomo, all'interno della parrocchiale.”
Così si legge in una postilla del signor Vincenzo Confalonieri a una lettera autografa di don Rinaldo Beretta, studioso appassionato di storia locale. Nello scritto, datato gennaio 1930, il Confalonieri riferisce che il sasso fu rinvenuto nel 1929 durante i lavori per l'ampliamento della chiesa e fu poi rotto e buttato sotto il pavimento della stessa.
Il Confalonieri segnalò l'accaduto ma non gli fu prestato ascolto. L'archivio dell'Associazione S. Agostino conserva la lettera in esame, secondo la quale sarebbero state interrate altre tre lapidi non meglio definite ma, ci assicura il Confalonieri, da lui viste di persona.
Non sono mancati studi e interessanti osservazioni relative a questa iscrizione, alcuni in verità troppo fantasiosi, ma tutti concordi nella difficoltà di assegnare un senso convincente all'abbreviazione O. V. M. F. che ritengo un unicum in quanto non compare negli elenchi dei manuali di epigrafia latina più autorevoli quali il Cagnat, il Calderini o la Calabi Limentani.
Il Biraghi (Sant'Agostino a Cassago di Brianza sul Milanese in ritiro di sette mesi, edito a Milano nel 1854, al Capo VI che tratta di “Cassago e suoi dintorni frequentati dai Romani”) studiò questa lapide in un contesto più ampio e ricordava che: "nell'anno 1756 nel demolirsi della vecchia e cadente chiesa parrocchiale venne alla luce una antica e lunga pietra di serrizzo, e in essa a bei caratteri l'elegante epigrafe seguente":
MARRILLA
R. OMINI
F. O. V. M. F.
Fu letta dallo studioso Marrilla R(ubrii) Omini(i) F(ortunati) (uxor) O(ptimo) V(iro) M(onumentum) F(ecit). Questa lettura mi ha suggerito la spiegazione del masso di marmo di cui ho parlato in precedenza.
Si ignora la provenienza e la funzione del sasso, la cui lunghezza doveva essere di circa m 1,50. Davvero singolare è il riscontro della medesima sigla in due iscrizioni della stessa località: attualmente non è possibile giungere a conclusioni sicure, anche se è facile immaginare un rapporto tra questa lapide in serizzo e il frammento di recente scoperta.
Le iscrizioni sono entrambe mutile e per di più una di esse è nota per via indiretta: il raffronto pertanto è impossibile, se non limitatamente alla sigla conclusiva. Se si scioglie l'abbreviazione seguendo il suggerimento del Biraghi è immediato pensare a un dedicante, del resto chiaramente attestata sull'epigrafe di serizzo MARRILLA o MARILLA.
Cassago non ha restituito altri documenti epigrafici rilevanti, tuttavia vorrei segnalare un'ara di buona fattura e conservata intatta, venuta alla luce nel 1953 sul colle della chiesa di Cremella. Attualmente è stata posta su un basamento e collocata al centro del giardinetto retrostante la chiesa parrocchiale.
E' un'ara dedicata a Giove Impetrabili, epiteto questo che si trova generalmente riferito al dio Ercole e comunque scarsamente attestato. Altrettanto interessanti sono due are conservate nella chiesetta di San Salvatore in Barzanò: una in particolare reca l'epiteto Summanus riferito a Giove.
Nel nord Italia ricorre soltanto in questa iscrizione e in una piccola ara di incerta provenienza, ora a Verona.
In origine Summanus era una divinità etrusca trasportata a Roma da Tito Tazio: diverse sono le ipotesi avanzate in merito all'origine di Summano, ma quella riferita, sostenuta anche da Plinio il Vecchio, sembra la più verosimile.
E' particolarmente interessante notare che Agostino in un passo del De Civitate Dei scrive che ai suoi tempi difficilmente si poteva trovare qualcuno che avesse letto questo nome, che ormai non si sentiva più ripetere.
La devozione a Summano venne sempre meno "ut vix inveniatur qui Summani nomen, quod audire iam non potest, se saltem legisse meminerit."
Ecco dunque un'altra iscrizione che ci conduce ad Agostino e che ci consente di utilizzare il dato epigrafico in merito alla questione del Rus Cassiciacum.
Il già citato Biraghi avanzava l'ipotesi che Agostino, durante il suo soggiorno a Cassiciaco, si fosse imbattuto in questa iscrizione di Barzanò: se ne sarebbe ricordato poi nel momento in cui, ventisette anni dopo il ritiro nella villa di Verecondo, stendeva il passo riportato.
La vicinanza di Barzanò a Cassago potrebbe giustificare la cauta supposizione del Biraghi, certamente suggestiva e, forse non del tutto infondata. Non si può infatti escludere che Agostino avesse letto il nome di Summano su una iscrizione o su qualche monumento.
Attraverso le iscrizioni citate ho tentato di ricostruire un legame tra alcune località della Brianza; esse sono la prova inconfutabile della penetrazione romana in Brianza. Il Verecundus attestato sull'epigrafe di Valle Guidino non costituisce certamente un elemento probante ma può indirizzare le nostre ricerche in direzione di Cassiciacum-Cassago.
La presenza poi dell'ara di Barzanò, avvicinata alle righe di Agostino, sembra suggerire una sua personale conoscenza di un luogo sacro a Summano e rende non assurda l'ipotesi che proprio al cippo di Barzanò si riferisse il Santo. Ritengo che gli studi finora condotti abbiano fissato dei punti fermi nell'analisi storica del nostro territorio, come si augura l'Associazione S. Agostino.
Certamente ulteriori approfondimenti e apporti di varia natura contribuiranno a mantenere vivo l'interesse per queste indagini, che si rivelano sempre più interessanti, anche per i non addetti ai lavori.
A questo proposito mi sembra molto appropriata l'esortazione che ci viene rivolta da uno dei geni più universali della letteratura moderna (e di molti altri ambiti), il letterato tedesco Wolfang Goethe, il quale scrisse: «Chi non sa rendersi conto dei millenni lontani resti inesperto, all'oscuro, e viva di giorno in giorno».