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Copertina della prolusione a stampa di Dante Isella
ALESSANDRO MANZONI E IL « RUS CASSICIACUM » DI S. AGOSTINO
di Dante Isella
A legare sorprendentemente il Manzoni a Casciago, paese fuori dai confini della sua geografia biografica, non fu, come si penserebbe, o fu solo per via indiretta il figliastro Stefano Stampa con i suoi possedimenti, villa e teme, di Morosolo.
Certo, dopo il secondo matrimonio, dell'inizio del 1837, gli sarà avvenuto più volte di sentire discorrere di quei luoghi e della bellezza del paesaggio di acque e di boschi e di monti che vi si dispiega in larghissimo giro d'orizzonte. Ma le occasioni in cui gli accadde di scrivere o di pronunciare il nome di Casciago gli vennero offerte per più alti tramiti dall'opera di Sant'Agostino, uno dei "fari" del cenacolo di Port Royal e dunque uno degli "autori" della sua conversione: modello inarrivabile e sempre a lui presente nell'assiduo interrogarsi sul mistero dell'uomo e del suo destino.
Nell'estate del 1843 uno studioso francese, Jean Joseph Poujoulat, che aveva collaborato con il Michaud alla Bibliotbèque des Croisades e ai Mémoires pour servir à l'histoire de France (lo stesso che due anni prima aveva pubblicato una nota Histoire de Jérasalem) aveva scritto al Manzoni per chiedere, in servizio di una Histoire de Saint Augustin a cui attendeva (edita poi nel 1845), notizie circa il luogo, nominato Cassiciacum, in cui Agostino, abbandonata la cattedra milanese di retorica, si ritirò nel 386 in meditazione; e dove, sulla strada ormai della conversione dal manicheismo, scrisse le sue prime opere filosofiche (Contra academicos, De beata vita, De ordine, Soliloquia) per poi, nella primavera del 387, rientrare a Milano e ricevere il battesimo.
Fu allora che Manzoni scoprì Casciago: nel senso che fu lui, per primo, a stabilire, nella rsposta al Poujoulat, un nesso tra la vita di Sant'Agostino e Casciago anzi Cas'ciago (Cas'ciagh) nella pronuncia ancora viva degli abitarti. Gli faceva difficoltà sul piano fonetico identificare il rus Cassiciacum delle Confessiones (IX 3, 5) con Cassago (oggi Cassago Brianza) che, secondo una tradizione abbastanza diffusa, si proponeva come il glorioso eremo di Agostino: suoi unici titoli, però, in appoggio alla dubbia derivazione onomastica, un mernoriae proditum esse di un documento del secolo XVII e una pietra, nella chiesa, su cui era voce che il Santo avesse celebrato. Del tutto persuasiva, invece, la continuazione di Cassiciacum tra Cas'ciago che, peraltro, gli sembrava corroborasse la propria candidatura anche con l'esatta congruenza della sua situazione topografica con l'amenità e la montuosità che Sant'Agostino attribuisce indirettamente a Cassiciacum: connotati che il Manzoni, nella sua lettera, descrive al Poujoulat con la maestria del grande paesaggista; e da perfetto conoscitore, come chi ne avesse un'antica familiarità.
A quella data, invero, egli non aveva ancora visto Casciago con i propri occhi (lo ammirerà infatti solo nel luglio del 1847 quando, in viaggio per Lesa, fu ospite di Stefano a Morosolo dalla domenica 11 alla domenica successiva); ma lo aveva sentito descrivere più volte e da più di una persona: certamente da Stefano e da sua madre; né si azzarderebbe troppo a pensare che egli si fosse potuto valere, nella descrizione al Poujoulat, di qualche schizzo o quadro a olio del figliastro, buon pittore dilettante, già allievo del D'Azeglio e poi dell'Hayez. È noto come la tesi manzoniana sia stata fortemente contrastata dai sostenitori di Cassago. Non è questo il luogo di ritornate sulla interessante questione; ma è evidente, come vide bene già nel 1899 Carlo Salvioni, che il punto di partenza non può essere altro che l'accertamento testuale delle Confessioni. Ora, sia nelle edizioni filologicamente condotte dell'Ottocento, sia nella recentissima (1983) edizione critica, la lezione a testo è rus Cassiciacum; Cassiacum invece figura in apparato come lezione testimoniata soltanto dai codici dei piani bassi dello stemma (recentiores et deteriores). Sicché viene a cadere affatto la candidatura di Cassago, probabilmente nata proprio su questo fragile fondamento.
D'altra parte non mancherebbero obbiezioni alle difficoltà poste dallo stesso Salvioni a Cas'ciago quale esito fonetico di Cassiciacurn; né si può tacere il sospetto, nei suoi confronti, di un eccessivo ossequio, da neogrammatico, al rigore di leggi fonetiche astratte, scarsamente applicabili in un campo particolare come la toponomastica.
Della sua visita a Casciago il Manzoni (che peraltro si vorrebbe rinunciasse in anni più tardi, alla propria tesi) dovette serbare vivissimo il ricordo, stando a quanto ce ne testimonia Ruggero Bonghi. Esule dalla sua Napoli, questi era approdato ventiquattrenne sulla riva piemontese del lago Maggiore, dove dall'estate del 1850 fino alla primavera del '51 (e poi, dopo un soggiorno a Parigi di nuovo dal giugno del '52 all'inizio del '53) fu ospite dell'abate Rosmini che, interessato ai suoi studi di filosofia e al suo lavoro di traduttore di Platone e di Aristotile, gli aveva offerto a Stresa, nella villa Bolongaro, cordiale asilo e libero uso della ricca biblioteca. In quel suo soggiorno lacustre il Bonghi ebbe la singolare ventura di essere spesso presente agli incontri quasi quotidiani degli amici Manzoni e Rosmini: a Stresa oppure a Lesa, dove si recavano a farsi reciprocamente visita; talvolta, nelle giornate di bel tempo, passeggiando, da buoni camminatori quali erano, tra l'uno e l'altro borgo rivierasco.
Ne sono nate Le Stresiane, quattro dialoghi così intitolati sul modello delle Tuscalane di Cicerone, in cui è fermato il ricordo di alcuni di quegli incontri e delle dotte conversazioni, non senza arguzia e bonomia, che ne nascevano. Talvolta accadeva che vi prendesse parte anche il marchese Gustavo di Cavour, fratello di Camillo, appassionato di filosofia e seguace del Rosmini. Nella registrazione del Bonghi, la conversazione, intesa per vie diverse alla ricerca del Divino, si concede pause descrittive, in ossequio a[ suo illustre archetipo; e indugia ora su questo ora su quel particolare del paesaggio che fa da sfondo alla numerata compagnia di amici: la raccolta quiete del lago, lo svariare della luce con il passare del giorno. Nel finale del secondo Dialogo (scritto tra il 30 agosto e l'11 ottobre 1852) il discorso, che ha per oggetto il problema, tipicamente agostiniano, della predestinazione, si è arrestato a un nodo che chiederebbe assai più tempo di quanto ne conceda il declinare del sole. I bagliori occidui accendono l'opposta riva lombarda del lago e gli occhi di tutti vi scorrono lungo l'ondulata linea dei monti e delle colline, disseminati di case, fermandosi, insieme con il pensiero, su un punto, che il Manzoni individua ormai con sicurezza: il rus Cassiciacum di Sant'Agostino. Lo indica agli amici, invitandoli a fissare quel "caseggiato bianco, così nitido che quasi luccica": un luogo, come gli augura il Rosmini, a cui guardare spesso, per trovare «quell'ardire e quell'umiltà che aveva quell'anima ardente e docile dell'Ipponese».
Il testo della lettera del Manzoni a Jean Joseph Poujoulat è ripreso dall'edizione delle Lettere manzoniane, a cura di Gsare Arieri, in Tutte le opere di A. M.,volume VII, tomo II, pp. 305-9 (I Classici Mondadori), Milano 1970. Per il brano del secondo Dialogo delle Stresiane, di Ruggero Bonghi ci si è attenuti alla recente ristampa a cura di Pietro Prini, Camunia, Brescia-Milano, 1985, pp. 122-23. Sarà opportuno rilevare che i nomi geografici contenuti in questo passo (Bussino, Messago) sono erronei, non trovando nessun riscontro nella toponomastica dei luoghi descritti; né del rutto persuasive sono le identificazioni, latinamente proposte dai diversi editori, con il Bisbino e rispettivamente con Masnago, o con altri toponimi.
COMMENTO
Quando Agostino si ritirò a Cassiciaco nel 386 in meditazione, era sulla strada ormai della conversione non "dal manicheismo", come sostiene l'autore, ma dallo scetticismo e dal relativismo. La trattazione complessiva non introduce novità, ma riprende posizioni già note da altri autori. Gli aneddoti che vengono citati abbelliscono l'impianto espositivo, tuttavia non hanno alcuna utile relazione con la problematica della identificazione della località agostiniana dal punto di vista storico-archeologico.