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don Giuseppe Riva
Giuseppe Riva
IL SOGGIORNO DI AGOSTINO A CASSICIACUM
Settembre 1968
1. Itinerari della vita di S. Agostino
2. Il soggiorno di S. Agostino a Cassiciacum
3. La questione del Cassiciacum
- Come è sorta
- Come si presenta attualmente Cassago
- Antichità di Cassago
- Il nome
- Il flumen
- Le tradizioni locali
- La distanza Cassago-Milano
- Il carmen di Licenzio
4. Conclusione
1. ITINERARI NELLA VITA DI S. Agostino
A Tagaste - oggi Souk-Ahras in Algeria - città della Numidia, nacque il 13 novembre del 354 Aurelio Agostino da patrizio e da Monica. Il padre, piccolo proprietario e magistrato del comune, conduceva una vita paganeggiante e superficiale; solo nei suoi ultimi anni si avvicinò al cristianesimo facendosi catecumeno e fu battezzato poco prima di morire. La madre invece era una cristiana zelante. L'attività dei genitori fu tutta indirizzata a dare al figlio, che dimostrava un'intelligenza di prim'ordine, un brillante avvenire.
Questa unica prospettiva li rese colpevoli di parecchie negligenze nella educazione di Agostino. Agostino ricevette a Tagaste la prima istruzione e poiché il padre lo voleva retore fu inviato nella vicina Madaura a proseguire i suoi studi. Passò poi a Cartagine, città allora fiorentissima sotto l'aspetto culturale, dove condusse una vita molto irregolare e libertina, sfrenatamente abbandonato alla ricerca del piacere sensuale. Da una relazione irregolare ebbe, nel 372, un figlio, Adeodato, che amò sempre di tenerissimo amore. In quel tempo disprezzava la religione della madre definendola un insieme di "leggende da vecchierelle".
La lettura dell'Ortensius di Cicerone contenente una esortazione alla filosofia determinò una prima svolta nel corso della sua vita. Egli infatti attesta: "Questo libro cambiò veramente i miei sentimenti, mutò perfino le mie preghiere verso di te, Signore, rese diverse i miei propositi e i miei sentimenti." (Conf. III, 4) Poco dopo si iscrisse come auditor al manicheismo, cioè a quella dottrina che concepisce la storia del mondo e la vita come una perenne lotta tra la luce e le tenebre, tra il buio e il male. Quando nel 374-375 tornò a Tagaste, dopo aver terminato gli studi, per insegnarvi le arti liberali, Monica non volle riceverlo in casa perché si era allontanato dalla fede dei padri. Un vescovo confortava la madre, che incessantemente elevava preghiere accompagnate da lacrime per il figlio traviato, assicurandola con queste parole: "Non può andare perduto un figlio di tante lacrime." (Conf. III, 12) Nel 375 trasferì la sua scuola a Cartagine dove si insegnò fino al 383.
Verso la fine di questo periodo della sua vita i dubbi sulla verità del sistema manicheo andavano aumentando sempre più. Verso i 29 anni, dopo 9 anni di entusiastica adesione, mette seriamente in discussione la dottrina dualistica. Fu decisivo l'incontro con Fausto, famoso oratore manicheo. Dal contatto con questo uomo eloquente ma ignorante, anche se umile, la sua fede nella dottrina manichea cominciò a crollare, anzi ogni suo sforzo "a progredire in questa setta dopo aver conosciuto quest'uomo cadde del tutto" e ben presto si pentì "di essere entrato in questa setta " (De utilitate credendi 8, 40).
Questo cambiamento Agostino lo attribuirà, come del resto tutti gli avvenimenti della sua vita, alla divina Provvidenza: "Fosti tu, o Dio, l'autore del mio cambiamento, poiché i passi degli uomini sono diretti dal Signore ed egli sceglierà la sua via." (Conf. V, 7) Un altro evento che lo avvicinò a dio fu il trasferimento a Roma, nonostante le ostilità della madre che si opponeva con tutta la sua energia e la forza di cui è capace l'affetto materno. Motivo di questo cambiamento era la persuasione che in quella città "i giovani studenti vivevano più tranquilli ed erano tenuti a freno da una più rigorosa ed ordinata disciplina scolastica." (Conf. V, 8) Ma a Roma non si ferma molto tempo perché ottiene una cattedra dello Stato a Milano e così va "dal vescovo Ambrogio, conosciuto da tutto il mondo come uno dei migliori tra i vescovi" (Conf. V, 8).
Quivi Agostino incomincia ad ascoltare i suoi sermoni, non tanto mosso dal desiderio di un nutrimento cristiano, ma per vedere se Ambrogio fosse "quale lo si diceva o se fosse di più o di meno." (Conf. V, 8)
L'anno dopo, quando Monica, incurante dei pericoli che si potevano certamente incontrare allora nella navigazione, lasciò la città africana per raggiungere il figlio a Milano, Agostino poté confidarle che non era più manicheo, pur non essendo ancora cristiano.
Milano e le persone che vi incontrerà sarà la città che si glorierà di aver dato il natale cristiano a uno dei più grandi dottori della Chiesa e degli uomini di tutti i tempi. Dapprima incontrò il vescovo Ambrogio la cui eloquente parola di dotto e di vescovo lo spinse ad affrontare i sacri testi: si libera definitivamente dalle impressioni di ripugnanza per la poca eleganza della forma riscontrata gli anni addietro. Altrettanto gli gioveranno i contatti con Simpliciano, uomo tutto di Dio, che gli narrò la storia della conversione di Vittorino, da Agostino poi riportata per sommi capi nelle sue Confessioni. Ebbe un altro incontro proficuo con Ponticiano, africano e suo concittadino impiegato al palazzo imperiale, il quale, non solo col suo esempio di cristiano, ma anche e soprattutto con il racconto della vita di Antonio, monaco del deserto, influì molto sullo stato d'animo di Agostino.
Tutti questi incontri, questi episodi sconvolgono l'animo del Retore che tuttavia non riesce a decidersi e la cui anima si consuma in una lotta senza tregua. Apprendiamo da lui stesso la descrizione di questa battaglia interiore: "Ecco che è giunta l'ora, è giunta l'ora ! - Già a parole mi avviavo alla decisione e stavo lì lì per fare e non facevo." (Conf. VIII, 9)
Infine un episodio, più che mai insignificante e banale, fu per lui l'occasione immediata che lo portò definitivamente alla decisione. Raccogliamo pure questo episodio dalla sua abile penna. In preda a una terribile lotta interiore che lo fa spasimare e piangere come un bambino perché si vede debole e incapace di decidersi a Cristo, dà sfogo alle sue lacrime, appartato sotto un fico in un giardino: "Ed ecco che, da una casa vicina, ascolto una voce che canta, forse di bimbo o di bimba, che diceva e speso ripeteva: ‘prendi leggi. Prendi leggi'. Subito cambiai viso e, con la massima attenzione mi metto sotto a riflettere se era costume dei fanciulli cantare simile ritornello in qualche loro gioco: ricordavo di mai averlo udito.
Frenato l'impeto delle lacrime, mi alzai, interpretando quella voce come divino comando affinché aprissi il libro e leggessi quel versetto che per primo si fosse presentato allo sguardo. Infatti avevo sentito raccontare di Antonio che, essendosi imbattuto per caso nella lettura del Vangelo nel versetto: ‘Va vendi tutto ciò che possiedi ed il ricavato donalo ai poveri ed avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni e seguimi', lo aveva interpretato come un consiglio rivolto a lui e per tale comando si convertì subito a te. Ritornai perciò in fretta là dov'era seduto Alipio; avevo posato ivi il libro dell'apostolo quando mi ero alzato. Lo afferrai, lo aprii e silenziosamente lessi quel versetto che per primo mi capitò sott'occhio: ‘Non nelle gozzoviglie e nelle ubriachezze, non nelle morbidezze e nella impudicizia, non nella discordia e nella invidia, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non curatevi della carne nelle concupiscenze' (Rom. 13, 13-14).
Né volli leggere di più, non v'era bisogno. Giunto alla fine del versetto, subito come se nel mio cuore fosse stata infusa una luce di certezza, si dileguarono tutte le tenebre del dubbio." (Conf. VIII, 12)
Da questo momento inizia il trionfo della grazia in Agostino. Prima decisione: lasciare il "mercato delle chiacchiere" per riflettere e riposarsi, perché il suo stomaco risentiva le fatiche dell'insegnamento. Verecondo, suo intimo amico, gli offrì ospitalità in un suo podere per tutto il tempo che voleva colà intrattenersi. Per questa generosa ospitalità, Agostino si sentirà in dovere di riconoscenza verso l'amico, il cui ricordo verrà definitivamente immortalato nelle confessioni in una preghiera elevata dal Santo a Dio, perché ricompensi l'Amico per un così grande favore.
"Tu, fedele alle promesse, renderai a Verecondo il compenso per avermi ospitato nella sua villa a Cassiciaco, dove trovai riposo in te dalla tempesta del mondo e gli concederai le delizie del tuo paradiso eternamente verdeggiante, poiché gli perdonasti i peccati sulla terra, lassù, sopra il tuo monte ricco e ubertoso, sul tuo monte assai fertile." (Conf. 9, 3) Dopo aver rinunciato all'insegnamento, all'inizio dell'autunno del 386, Agostino si ritirò nella villa rustica dell'amico per prepararsi al battesimo che riceverà il sabato santo (25 aprile) dell'anno 387, in unione al figlio Adeodato e all'amico Alipio, per mano di Ambrogio. Aveva allora 32 anni. Da allora in poi il suo spirito, libero dai ceppi della sensualità, e corroborato dalla grazia divina, si dedicherà tutto e per sempre alla ricerca della verità. Alcuni mesi dopo aver ricevuto il battesimo sentì il richiamo della sua patria. Nel viaggio di ritorno, in una sosta a Roma, a Ostia Tiberina, la madre lo lasciò per sempre.
Rimase a Roma ancora per un anno circa. Nell'ottobre del 388 ritorna a Tagaste e dopo un periodo di circa tre anni di ritiro ascetico, nel 391 viene consacrato sacerdote e cinque anni dopo vescovo di Ippona. Anche da vescovo continuò a condurre una vita quasi cenobitica in unione con il suo clero, tutto teso allo studio delle Sacre Scritture e della dottrina cattolica, curando con particolare zelo la predicazione. Gran parte del suo tempo la dedicava a scrivere opere apologetiche per confutare alcune eresie del suo tempo; in particolare combattè contro il manicheismo, il donatismo e il pelagianesimo. Agostino morì settantaseienne il 28 agosto dell'anno 430. La morte lo colse con in mano i sacri testi che, ultimamente non potendo più muoversi, si faceva mettere davanti. Il suo corpo fu in seguito trasportato in Italia e le sue spoglie mortali sono tuttora venerate in una preziosa urna sotto l'altare maggiore della chiesa di S. Pietro in ciel d'oro a Pavia.
2. IL SOGGIORNO DI S. AGOSTINO A CASSICIACUM
Dopo aver premesso questo sommario profilo storico degli itinerari si S. Agostino per inquadrare la sua venuta a Milano e i motivi che lo portarono al soggiorno campagnolo nella villa di Verecondo, vediamo in particolare il luogo, il tempo e le circostanze di questa vacanza. Nell'estate del 386, dopo l'episodio del giardino, Agostino è seriamente deciso a farsi cristiano: abbandona la scuola di Milano. L'amico Verecondo lo ospita nella sua villa a Cassiciacum, dove può trattenersi tutto il tempo che vuole; come unico impegno gli chiede di sorvegliare i lavoratori dei campi, suoi schiavi o liberti.
Un altro amico, Romaniano, mentre gli affida il figlio Licenzio per un periodo di vacanza e di ripetizione, gli fornisce i mezzi per mantenere sé e i suoi. Lo accompagna infatti la mamma Monica, suo figlio Adeodato, il fratello Navigio, i cugini Rustico e Lastidiano, l'amico Alipio e, infine, i discepoli Licenzio e Trigezio. Verso la fine di agosto o all'inizio di settembre (Biraghi fisserebbe la data con più precisione dopo il 23 agosto), di buon mattino, al piccola comitiva, composta in tutto da nove persone, dovette mettersi in cammino. Senz'altro si incamminarono sulla strada romana che doveva congiungere Lecco a Milano, attraversando la collinosa Brianza quasi in linea retta, mentre aggirava le timide colline.
Dopo qualche sosta intermedia, verso sera furono sul luogo. Il paesaggio doveva presentarsi loro nella migliore stagione: il magnifico arco delle Prealpi lombarde racchiudeva una ondulata distesa tutta verde intenso mai visto fino allora da Agostino; si intravvedevano qua e là tinte diseguali: le macchie più scure dei boschi e quelle più chiare dei prati. Incominciava una nuova esperienza per Agostino.
E Papini così la immagina: " Difatti, a Cassiciacum, Agostino è tutto un altro: non più l'affannoso e angosciato schiavo che sbatte piangendo gli ultimi passi della catena, ma un sereno maestro, consolato dall'amicizia, rafforzato dalla speranza, illuminato dall'appressamento a Dio. Scherza con Alipio, riprende lepidamente il poetino Licenzio, racconta apologhi, legge poesie, fa giochi di parole - insomma sorride ..." Questo periodo di vacanza non va concepito come intendiamo la vacanza nella nostra attuale mentalità: per Agostino è un tempo ricco di riflessioni e di favori divini il cui solo ricordo solleverà nel suo animo sentimenti di profonda riconoscenza verso Dio: "Quando potrò avere il tempo sufficiente per ricordare tutti i grandi benefici ricevuta da te in quel periodo ?" Infatti Agostino, accondiscendendo generosamente alla grazia divina che lavora in lui, si dedicava a conoscere meglio la Bibbia di cui, fino ad allora, aveva letto solo qualche brano sparso: inoltre la sua conoscenza proveniva, per la maggior parte, attraverso le critiche manichee.
Ora gusta particolarmente i Salmi, le cui espressioni elevano il suo spirito purificando insieme il suo cuore: "Quali sospiri innalzavo nel leggere quei Salmi e come mi sentivo infiammato d'amore per te ed ardevo dal desiderio di recitarli, se avessi potuto, davanti a tutto il mondo, contro l'orgoglio del genere umano." (Conf. IX. 4) Il contatto con Dio non lo isola certamente dai suoi familiari ed amici, anzi i loro colleghi sono l'occasione di alcuni "dialoghi" nati in questo periodo. Agostino stesso ci dà testimonianza di questa attività letteraria: "La mia attività ivi svolta nel campo delle lettere, orlai già al tuo servizio, ma pulsante ancora, come in una pausa, dell'orgoglio scolastico, è attestata dai libri che contengono: le discussioni con i presenti, i miei colloqui con te e le lettere che scrissi al lontano Nebridio attestanti le discussioni avute con lui." (Conf. IX, 4)
Sicuramente in questo periodo videro la luce quattro opere tra le prime scritte dal santo. Il primo libro terminato a Cassiciacum è certamente il "De beata Vita", opera dedicata al problema della felicità. Il Dottore dice di averlo iniziato il giorno del suo trentatreesimo compleanno, esattamente il 13 novembre ("idibus novembris mihi natalis dies erat). Dopo il pranzo, assai frugale, tenuto in compagnia degli amici, incomincia, sotto la guida di Monica, la discussione per la ricerca della vera felicità. Al terzo giorno, eliminate tutte le falsi sorgenti della felicità (piaceri, ricchezze, onori ...), di comune accordo, stabiliscono che "essere felici vuol dire essere sapienti, della sapienza di Dio."
L'opera "Contra Academicos" ebbe inizio "alquanti giorni dopo che presi a vivere in campagna" (Libro I cap. I), ma in seguito subì dei rimaneggiamenti. Sono tre libri in cui combatte lo scetticismo degli accademici: Agostino dimostra che la verità è conoscibile e la felicità non consiste nella ricerca continua, ma nel riconoscimento della verità. Il "De Ordine", in due libri, è la terza opera di questo soggiorno e la prima in cui Agostino affronta il problema del male. Il Santo si domanda da che cosa derivi il male che c'è nel mondo, rispondendo poi che non proviene da Dio ma dall'uomo peccatore. (Per l'esatta successione cronologica di questi dialoghi cfr. O. Perler - Recherches sur les Dialogues et le site de Cassiciacum, in Augustinus pagg. 345-352, Madrid 1968)
Ancora a Cassiciacum furono per lo meno iniziati i Soliloquia che sono testimoni del profondo lavoro interiore che si va svolgendo nell'anima del neoconvertito. Questo lavoro, per lo slancio lirico e l'uguale volo dell'animo a Dio, anche se ha meno consistenza dottrinale, si affianca per importanza all'opera fondamentale e notissima delle Confessioni. Sebbene nessuna di queste opere attesti specificatamente e si attardi a descrivere appositamente qualche particolare del paesaggio o caratteristica del luogo ove videro la vita, tuttavia, qua e là affiorano elementi che rivelano la loro provenienza rurale. Ora è l'episodio del centopiedi tagliato in due dai discepoli Licenzio e Trigezio, ora è l'acqua portata ai bagni attraverso il canale di legno che col suo rumore ineguale tiene sveglio e fa riflettere Agostino, ora sono i topi che non lasciano dormire l'amico, infine attirano l'attenzione due galli che litigano sull'aia.
Piccoli episodi da cui Agostino, in un modo o nell'altro, trae occasione per una discussione o per elevare una lode a Dio per le perfezioni del creato e che a noi rivelano anche le caratteristiche del luogo della loro provenienza. La carità reciproca che lega parenti ed amici, lo spirito di preghiera che pervade l'animo di tutti che sinceramente cercano di piacere a Dio, la profonda meditazione nella quale si immergono semplici e dotti, il lavoro al quale attendono nelle diverse mansioni discepoli e maestri caratterizzano la proficua permanenza della nostra comunità a Cassiciacum. Sorge spontaneo, per il fervore cristiano che scopriamo in tutti, il confronto con la primitiva comunità di Gerusalemme dove tutti erano un cuor solo ed un'anima sola mettendo tutto in comune: soprattutto qui si partecipano i beni spirituali. Pare non manchi neppure la presenza di Dio con fatti straordinari, proprio come avvenne dopo la prima Pentecoste.
Agostino stesso ci ha lasciato scritto qualche esempio di questi interventi straordinari di Dio. Così racconta nelle Confessioni: "Mi avevi mandato allora un tormentoso dolore di denti, tanto forte da non poter parlare. Mi saltò in mente di incitare a pregarti in mio favore, o Dio di ogni salute, tutti i parenti che erano con me. Io scrissi su una tavoletta cerata e la diedi loro da leggere. Appena che, con animo supplichevole, ci inginocchiammo, quel dolore scomparve. Quale dolore ! E come scomparve ! Ebbi paura, te lo confesso, o Signore Dio mio. Mai nulla di simile mi era accaduto dalla mia fanciullezza. Fui perciò tanto profondamente penetrato dalla potenza del tuo volere e, lieto della mia fede, lodai il tuo nome. Quella fede però non mi lasciava tranquillo per i miei passati trascorsi, perché non mi erano stati ancora rimessi dal tuo battesimo."
Penso non sia temerario pensare questo intervento straordinario della potenza divina come l'unico vissuto da Agostino in questo periodo: la modestia del santo non gli avrà certamente permesso di ricordare tutti i doni spirituali che Dio elargisce alle anime privilegiate. Nella ritrovata pace interiore e nell'amenità del soggiorno i mesi corrono veloci: alle ultime giornate d'estate piene di sole e ai campi smaglianti di colore segue il primo autunno col febbrile lavoro della vendemmia, poi l'umido novembre e le giornate secche d'inverno che si alternano a quelle di neve allargando i confini dell'orizzonte, mentre gettano su tutto un profondo silenzio favoriscono la meditazione. Con le giornate serene preannuncianti la primavera e la pasqua, Agostino e la sua équipe devono lasciare l'amata campagna perché è imminente il giorno della definitiva consacrazione a Dio nelle acque battesimali e per l'inizio della Quaresima deve essere a Milano per una preparazione più immediata all'incontro con Cristo. "Giunto il tempo di dover dare il nome per il battesimo, lasciammo la villa per far ritorno a Milano."
Il Biraghi fisserebbe questo ritorno il lunedì 22 o martedì 23 marzo dell'anno 387. Di Cassiciacum, della sua pace, degli amici e dei favori divini ivi ricevuti, Agostino conserverà per tutta la vita un nostalgico ricordo: "Quando mi sarà possibile ricordare ogni cosa di quei giorni di vacanza ?" (Conf. IX, 4)
3. IL CASSICIACUM DI S. AGOSTINO
La questione
A vantare l'onore di aver ospitato S. Agostino, fino alla metà del secolo scorso, ì certamente solo un paese di Brianza che attualmente porta il nome di Cassago. Infatti Tristano Calchi nella sua Mediolanensis Historia (1490) individua senza esitazione alcuna Cassiaco come posto scelto dal Dottore ipponense; così pure Giuseppe Ripamonti nella sua Historia Ecclesiae Mediolanensis del 1617 (pagg. 229 e 234). Anche il card. Federico Borromeo nel "De christiane mentis iucunditate" registra tra i "loci amoenissimi", le cui bellezze naturali contribuiscono a rallegrare lo spirito, Cassagum, identificandolo con Cassiciacum agostiniano: "Id porro cassiciacum, quem locum incliti doctoris verba celebrant, nos credidimus esse Cassagum, comiecturamque nostram et natura looc, et ratio nomine et veterum aedificiorum reliquia, plurimaque vestigia antiquitatis adjuverunt." (De christiane mentis iucunditate, Medioalni 1632, pag. 87). Questa identificazione si riscontra ancora incontrastata nella prima metà del secolo scorso.
L'arciprete don Francesco Bombognini, nella sua nota e pregevole opera "L'antiquario della diocesi milanese" (1828), non esita a registrare la tradizione comune e di Cassago dice senz'altro che è l'antico Cassiciacum. Dal 1845 in poi le cose cambiano. A dare corso a una questione nuova intervenne la penna di Alessandro Manzoni, che spostò l'attenzione su un altro paese del varesotto: Casciago. Vediamo come venne a interessarsi di questo paese dando il via a una insolita questione. Il Poujoulat, storico francese, lavorava attorno ad una vita di S. Agostino (Histoire de St. Augustin, Losanna 1846) e, trovandosi imbarazzato a identificare la posizione della villa di Verecondo, scrisse al Manzoni per avere chiarimenti in merito. Il noto poeta, con una lunga lettera in data 11 luglio 1843, rispondeva che sebbene riconoscesse che la sola tradizione esistente poneva il "rus Cassiciacum" a Cassago, tuttavia si doveva concludere che occorreva ricorrere a Casciago di Varese, sulla strada da Varese a Gavirate, a 65 Km da Milano, cioè una distanza doppia che non da Cassago Brianza.
E le ragioni ? Il Manzoni le riassumeva nella pretesa impossibilità glottologica di una corruzione di Cassiciacum in Cassago, nella forte probabilità per una corruzione in Casciago attestatagli da un certo signor Cossa, addetto allora alla biblioteca di Brera, nonché nella rispondenza topografica Casciago, diceva il Manzoni, è luogo ameno e montuoso, come Agostino lascia intendere che fosse quella del suo ritiro; Cassago invece è su di una collina poco elevata e gode, sempre secondo il Manzoni, di una vista mediocre; di più, Agostino dice che a Cassiciacum c'era un corso d'acqua derivata da un fiume, la quale acqua era condotta da ligneolibus canalibus dopo un certo corso, itinere, e formava un bagno ut homines lavarent, e che poi strepebant silicibus irruens : questo si legge nel primo libro del De Ordine, che espone precisamente le dispute fatte nei discepoli durante il soggiorno nella villa di Verecondo: e il Manzoni, in un proscritto, avvertiva il Poujoulat che a Casciago c'è un torrente - e dove tra i colli non ve ne sono ? - mentre a Cassago "d'acqua corrente mi si assicura non v'è in nessuna stagione": per ultimo a Casciago c'è una piccola valle erbosa la quale calza benissimo alle espressioni usate dal santo nella descrizione delle sue filosofiche passeggiate, pratum descendere, in pratuli propinqua descendere: il Manzoni però non diceva se a Cassago, oltrechè non esserci acqua, non ci fosse per avventura, neppure un prato !" (F. Meda, Miscellanea agostiniana, vol. II pagg. 50-51).
Tale lettura venne dal Poujoulat pubblicata nella sua opera, così te tenuissime basi con cui si spodestava Cassago ebbero incremento per la fama dello scrittore che le asseriva. Da allora in poi storici e critici si videro costretti prima di una decisione a studiare la questione. Si attennero, pertanto, più o meno decisamente, per Cassago, Biraghi, De Vit, D'Arbois de Iabainville, Bertrand, Meda. Morin, Papini, Olivieri. Per Casciago, invece, dopo il Manzoni, Cossa, Flechia, Rota. Sette anni dopo la pubblicazione del Poujoulat, il Biraghi, primo fra tutti, pubblicava nei fascicoli VIII, X, XI, XII del periodico "L'amico cattolico" di Milano alcune sue ricerche raccolte poi in un volumetto, con cui cercava di dare fondamento storico alla tradizione fino allora incontrastata di Cassago quale luogo del soggiorno di S. Agostino.
Questo studio diede buoni frutti: il Manzoni si ricredette. C'è infatti nell'archivio parrocchiale di Cassago una lettera (21 giugno 1855) del parroco don Ambrogio Clerici a mons. Biraghi, in cui dopo aver annunciato la scoperta di un nuovo canale che dal palazzo Visconti mette alla Fontana di S. Agostino, il degno sacerdote scrive: "Le partecipo in pari tempo e con mia consolazione che nell'anno scorso in casa del signor parroco di Renate nel dì della sua principale festa ricevetti le scuse dell'esimio ed illustre scrittore D. Alessandro Manzoni, per mezzo di suo figlio D. Enrico, per aver esso accreditato lo scritto del già coadiutore Morganti Carlo col quale dichiarava ignorantemente falsa l'idea che tenne sempre questa popolazione che S. Agostino si è disposto in Cassago per ricevere poi il battesimo, ma che ora dichiara, il sullodato scrittore, di essere pienamente convinto che Cassago e non altrove fu il luogo che Agostino fece penitenza e si dispose al santo battesimo."
Prima del Manzoni s'era già ricreduto il Poujoulat, del quale esiste pure nell'archivio parrocchiale di Cassago una lunga lettera (6 maggio 1857) indirizzata a Mons. Biraghi in cui egli dichiara che in seguito alla lettura della sua opera, si è pienamente persuaso che Cassago non può essere contestato. La ritrattazione dei principali autori della nuova teoria non ottenne però l'effetto desiderato dagli stessi. Non mancò qualche studioso che si accinse a dimostrare che Casciago vale l'agostiniano Cassiciacum. Quindi si rende ancora necessario passare sempre attraverso un esame critico di alcuni elementi propriamente legati agli scritti del Dottore per scoprire quale paese ha diritto di vantare la dimora agostiniana.
Come si presenta attualmente Cassago Brianza
Cassago Brianza si trova su di una ideale retta che congiunge Milano-Lecco: si individua appena superata la metà salendo da Milano a Lecco, a sinistra, tra i paesi Barzanò, Veduggio, Cremella, Nibionno, Barzago. Attualmente conta 2715 abitanti, politicamente appartiene alla provincia di Como, religiosamente alla Diocesi di Milano; sorge a ridosso di una collina, a nord del Baciolago, su un'estensione di 355 ha a 350 m. sul livello del mare. La parte vecchia del paese, con le sue case agricole, predomina sul restante territorio molto diseguale, cosparso ormai nella maggior parte di casette private. La parrocchiale col campanile, dopo l'abbattimento della villa Visconti e la sua torre ottagonale, è senz'altro l'edificio più elevato del paese e si staglia contro la pineta del grande parco che fu dei Visconti, ma attualmente diviso tra proprietari privati. La posizione è più che mai suggestiva perché vi si gode, oltre che un'aria salubre e una quiete non ancora turbata dai grandi complessi industriali, un magnifico paesaggio.
L'occhio infatti, abbraccia una immensa distesa di piani verdi dai quali affiorano vaghe collinette, sullo sfondo appaiono le Prealpi comasche, il Bollettone, il Cornizzolo, il gruppo delle Grigne, il Resegone. All'ultimo orizzonte, nelle giornate limpide, quasi ad unire cielo e terra, elevano la loro cresta i massicci del Rosa e del Bianco mostrando tutto il loro suggestivo e policromo panorama nevoso. La villa di Verecondo doveva sorgere sull'area dell'ormai demolita villa Visconti, i bagni invece più a sud, appena dietro l'attuale chiesa parrocchiale. Per la posizione piuttosto elevata, Agostino e i villeggianti romani di allora avranno ancor meglio gustato la bellezza di quel fascinoso paesaggio, perché non era ancora tanto avanzata l'opera trasformatrice dell'uomo che modifica qual che v'è di suggestivo e spontaneo nella natura vergine.
Antichità di Cassago
Da storici e archeologi è ammessa incontestabilmente l'antichità di Cassago. Per provare tale antichità non si può pretendere di trovare grandi monumenti o opere romane cospicue, perché sappiamo dalla stessa testimonianza agostiniana trattarsi di un luogo di soggiorno, cioè di ville private di cittadini ragguardevoli ma non strapotenti come gli imperatori, perché dove questi andavano vi edificavano città la cui memoria il tempo edace non cancella tanto facilmente.
Tuttavia le lapidi, le are, gli epitaffi rinvenuti in tempi più o meno recenti, a Cassago e nelle località attorno rivelano la presenza dei Romani nei primi secoli della nostra era. Ne elenchiamo solo alcuni come esempio. La prima che documentiamo è stata rinvenuta proprio nel territorio di Cassago. "Nell'anno 1756 nel demolirsi della vecchia e cadente chiesa parrocchiale, venne in luce una lunga antica pietra di serizzo e in essa a bei caratteri l'elegante epigrafe seguente:
MARILLA R. OMINI. F. O. V. M. F.
Che io leggo MARILLA Rubrii OMINI Fortunati (uxor) Optimo Viro Monumentum Fecit.
Ho detto elegante: perché di tutto gusto latino e di aurea semplicità. Tal era l'uso dei buoni tempi che il nome del marito si metteva nel secondo caso e il titolo uxor si sottintendeva, come per esempio Crispina AUGusta IMPeratoris COMMODI AUGusti (uxor) nelle monete. Indicato così nella seconda linea il nome del marito vengono chiarissime e ragionevoli le sigle comuni della linea terza che indicano a chi e che fece Marilla, così detta Maria per vezzeggiativo, essa da Domizia, Domitilla. Un monumento così elegante indica i tempi del gusto latino avanti la fine del IV secolo." (Biraghi)
Ultimamente poi è stata ritrovata in località Crotto, sempre a Cassago, una tomba etrusca, fortunosamente sottratta per tempo all'inconsapevolezza di una moderna escavatrice. Essa ha portato alla luce cocci e vasi, ancora ben conservati, che gli studiosi fanno risalire al II-III secolo prima di Cristo. Ancora, alcuni privati sono in possesso di piccoli, ma significativi, reperti come mattoni, capitelli, tegole, tutti rinvenuti in scavi o demolizioni di vecchie costruzioni, attestanti la loro origine romana. Biraghi, nella sua opera, analizza altri monumenti antichi rinvenuti in paesi vicini o confinanti con Cassago, che noi citiamo solo a titolo di esempio.
A Bulciaghetto, a meno di un chilometro sopra Cassago, nella piazzetta antistante la cappella di S. Stefano è visibile un'ara di serrizzo dedicata agli dei mani; nella cappella sotterranea dell'antichissima e preziosa cappella di S. Salvatore a Barzanò abbiamo un'ara di grosso granitone o ceppo dedicata a Giove: un'ara dedicata a Mercurio è stata scoperta nel 1850 a Casatenovo nella chiesa di S. Margherita; di più recente rinvenimento è la lapide dedicata a Giove che si può vedere a Cremella.
Il Nome
La più antica testimonianza scritta dell'odierno Cassago è attestata in una pergamena del monastero di S. Ambrogio di Milano redatta nell'854. Riporta un contratto celebrato in Lecco che ha per oggetto la vendita di un terreno da parte di Lupo da Olcio a Guiderissi figlio di Agemundo da CASSIACO.
In un'altra pergamena del monastero di Pontida, scritta nell'anno 1117, il nome di CASSIAGO, riferito al paese a noi interessato, vi ricorre ben cinque volte. Nel libro in pergamena della basilica di Monza, dove sono registrati gli affitti col rispettivo dei luoghi in margine, cominciando dall'anno 121, vi leggiamo: Casiago, Cassago, Caxiago. Da queste affermazioni possiamo dedurre che nel Medio Evo Cassago era chiamato indifferentemente Cassicaco, Cassiago, Caxago, Cassago. Tra tutti questi nomi prevale Cassiaco che si fissò poi, col comparire della stampa, in Cassago (Cassagum) perdendo definitivamente la ‘i'. Di fronte a questa incontestabile testimonianza storica che ci porta ad identificare l'attuale Cassago col Cassiaco medioevale è inevitabile chiederci come sia possibile arrivare al Cassiciacum agostiniano. Diversi critici hanno cercato di risolvere questa questione. Dopo la risposta del Manzoni, che riteneva impossibile una corruzione di Cassiciacum in Cassago, appoggiando invece una trasformazione in Casciago, Biraghi intraprese le sue ricerche per avvalorare proprio la tesi negata dal poeta suo contemporaneo. Egli per prima cosa si chiese quale nome avesse scritto originariamente S. Agostino.
Secondo lui, avrebbe scritto Cassiaco, contrariamente alla lezione più nota scelta dai francesi padri maurini nella loro edizione critica delle Confessioni. Egli fondava la sua lettura sull'esame di 14 codici, tutti italiani, di cui ben otto portano forme come Cassiaco (Pergamena n. 3 dell'Ambrosiana, 1300 circa; Codice C 80 sec. IX circa; così pure i dodici codici della Vaticana), mentre nei rimanenti sei codici si leggono forme che si avvicinano a questa "quanto si allontanano da Cassiciacum."
Altra autorevole ragione per leggere Cassiaco è il contesto: "ma quand'anche codici autorevoli nol dicessero, lo direbbe sempre il contesto medesimo che qui Agostino scrisse Cassiaco o casiago; tanto è evidente l'allusione a ‘caseo o casio' che pronunciava la plebe la quale infine ne formò la parola italiana cacia da oleo olio. ‘O Signore, dice dunque Agostino in quel luogo, di quella maniera che Verecondo invitò ma al monte caseato ossia abbondante di latte e di cacio, monte incaseato, monte tuo, monte uberi', chè con tal frase nel salmo 67, è adombrata la S. Chiesa cattolica ricca del latte celeste, ed elevata alta al cospetto di tutti." (Biraghi pag. 14)
Dimostrando che Agostino ha scritto Cassiaco, forma nota nel Medio Evo per indicare Cassago, risolve la questione senza dimostrare il passaggio da Cassiciacum a Cassago, perché secondo lui la forma più lunga sarebbe una corruzione dell'originale Cassiaco agostiniano. "Questa argomentazione però non poteva persuadere, perché non spiegava come si fosse fatta strada, presso i padri Maurini così esperti e diligenti, una lezione Cassiciaco da un'originaria Cassiaco, e magari Casiaco: mentre poi l'affinità fonica e retorica coll'incaseato - se è vero che ha riscontro in qualche confusione di amanuensi che arrivarono ad uno scambio completo copiando rure caseato e monte cassiaco - per quanto conforme all'uso letterario del tempo, è campata in aria e non si presenta attendibile. Lo stesso mons. Biraghi si era data ragione che sarebbe che sarebbe stato soverchio, tanto più che non era necessario fondarsi per identificare Cassago con Cassiciacum sulle sue particolari vedute circa l'autorità dei testi diplomatici, e al paragrafo 48 della sua monografia scriveva: "Da ultimo per un soprappiù, noterò che quando pure nel testo originale delle Confessioni fosse stato scritto Cassiciaco, tuttavia non sarebbe meno assicurata la gloria di Cassago, perché anche da Cassiciago viene ovvio e naturale l'abbreviato nome Cassiaco o Cassaco con la omissione non solo di una ‘i', ma anche di due, di tre, di più lettere, come da Inticiaco venne Inzago, da Badaggio Baggio ... Laonde questa sola ragione per sé non farebbe grave difficoltà e la cosa correrebbe come prima."
Questa argomentazione conclusiva valeva ben più di tutte le pagine scritte dal Biraghi nel difendere la priorità della lezione Cassiciaci, difesa che, tra l'altro, lasciava senza risposta la facile domanda: come mai un originario Cassiaco si ritrovi in un successivo Cassiciaco, mentre è perfettamente spiegabile il rovescio." (Meda, o. c. pag. 52) Questo studio sebbene non risolvesse completamente la questione linguistica, però favoriva senz'altro Cassago. Senonché il prof. Flechia (Di alcune forme dei nomi locali dell'Italia superiore) arrivò a concludere che Cassiciaco si deduce da un nome gentilizio romano e che oggi vale foneticamente Casciago.
"Ma l'errore del prof. Flechia fu di raccogliere il nome Casciago sulle carte e non dalla viva voce del popolo: così egli l'ha inteso Ca-sciago, mentre è Cas-ciago: il che vuol dire che il gruppo sc riproduce due suoni originari forti distinti, e che non può quindi essere il prodotto di elisioni foniche: per dedurre Cas-ciago da Cassiciacum - anziché come è evidente da Castiagum - è d'uopo sostituire al processo normale che addita la sparizione progressiva del gruppo dolce ci un processo disgiuntivo, per cui avrebbe dovuto scomparire il gruppo forte si." (Meda, o. c. pag. 53) Dopo di lui il prof. Carlo Salvioni arrivava a concludere che nessuno dei due paesi vale l'antico Cassiciacum e che quindi tale località è ancora da ricercarsi.
Riaprì la questione Carlo Massimo Rota. Egli "con grande lusso di raffronti e di esempi interpretati secondo certe sue leggi corografiche, oltrechè con grande passione" (Meda) si adoperò per dimostrare ad ogni costo che Casciago vale l'antico Cassiciacum. Dopo aver escogitato quattro leggi attraverso le quali sono passati i nomi latini delle località dell'alta Italia arriva a queste conclusioni: "La dialettologia nostra non ha assolutamente modificato, né alterato affatto la pronuncia latina di questo nome Cassiciaco; e come i Romani scrivevano e leggevano Cassiciaco, così noi oggi leggiamo e scriviamo Cassiciaco, sorvolando per brevità sul si mediano afono: Cas..ciago, Cass..ciago, Casciag. Quindi la nostra ortografia rende benissimo il suono, la pronuncia del nome." (Rota: La villeggiatura di S. Agostino a Cassiciaco, Varese, 1928).
Il Beretta così commenta: qui lo scrittore, come ognun vede, scioglie la questione a orecchio, alla brava come si suol dire. Ammette come provato quello che si dovrebbe provare, ossia che la forza premillenaria di Casciago sia Cassiciaco. In realtà per ora non si può affermare che questo e cioè che da Castiago, Castiaco ne venne l'attuale Casciago (Casciag) col solo cambiamento del t in c di più facile pronuncia, benchè dal suono duro (Cas-ciag)." (Beretta, Del rus Cassiciacum di S. Agostino, Carate 1947) Infatti il Rota non aveva ancora consultato la pergamena di S. Maria di Velate - conservata nell'archivio di Stato a Milano - dove l'attuale Casciago è sicuramente attestato col nome Castiaco e con l'equivalente aggettivo castiasca. Pertanto si deve concludere, col Beretta, che Casciago è derivato da Castiaco e non viceversa, "come volle sostenere il Rota, il quale ha erroneamente affermato 'che la voce originaria, genuina, la più antica e perfetta è Casciago-co, e che Castiago non può essere che un'alterazione posteriore, perché i primi documenti danno Caslago, Cascliago, Casgiago, Casciaco." (Beretta o. c. pag. 11)
Nel 1927 il Padre Germano Morin pubblicava nella Scuola cattolica (fasc. del 15 gennaio) una sobria ma seria nota in risposta alla tesi negativa del Salvioni che eliminava Casciago e Cassago. Egli ripropone la questione in questi termini: "E' veramente necessario che il nome volgare attuale rimonti alla forma latina primitiva e autentica ? Non è possibile, assai più probabile, che egli provenga da una forma già alterata, raccorciata di questo vocabolo primitivo ? E poiché vi sono esempi di abbreviazioni di nomi anche in Lombardia, anche se meno frequenti che non in Piemonte ed Emilia, è possibile perciò che esistesse, accanto a quella classica Cassiciacum usata da Agostino, una forma volgare più breve che finì col prevalere.
Da questi elementi si potrebbe trarre questa conclusione, che non è ancora possibile provare pur presentandosi probabile, che cioè l'attuale Cassago deriva da una forma volgare di Cassiciacum seguendo un processo di trasformazione analogo a quello subito in altre forme lombarde, come, per esempio, dal medioevale Anticiaco si è passati a Inticiaco e infine a Inzago, nome che attualmente porta un paese del basso milanese."
Il Flumen
Passiamo ora a vedere qualche elemento topografico più propriamente "agostiniano" che ci permetta di portare una ulteriore luce sulla località in cui sorgeva la villa di Verecondo. Da tutto il contesto delle opere agostiniane ricaviamo che si doveva trattare di una villa padronale costruita su un'altura, separato da essa, con un tratto di strada intermedio, sorgeva l'edificio dei bagni, luogo adatti a discussioni filosofiche (cfr. De beata Vita n. 6).
Dobbiamo necessariamente ammettere una certa distanza tra la villa e i bagni, perché più di una volta Agostino parla di un tratto di strada da percorrere per arrivare alla località dei bagni ... ire ceperamus in balneas: illee nim nobis locus ad disputandum aptum ... e più avanti: deinde perreximus quo propositum erat (sempre riferito ai bagni) . (De ordine I, 25) Possiamo ancora stabilire con certezza che la camera dove egli con i discepoli dormiva aveva una finestra rivolta ad ovest o sud-ovest (cfr. Lo studio di Othmar Perler). Ma più importante per la nostra ricerca è la menzione, sempre incidentale, di ligneolibus canalibus che portano acqua ai bagni. Riportiamo per intero il passo in questione citando la traduzione che ne fa il Biraghi. "Era una notte verso la fine di novembre, e secondo il solito i discepoli Licenzio e Trigezio dormivano in camera con Agostino sotto la sua vigilanza: "Quando vigilando io, - così racconta Agostino - e desti per caso di sorci i due discepoli, ecco il suono dell'acqua scorrente dietro ai bagni chiamò la mia attenzione: chè con mia meraviglia dell'acqua ora scrosciante con maggior rumore ora con minore nel precipitare a basso pe' massi, silicibus irruens ... precipitante flumine. Che è ciò ? Onde viene ? Alcuno che vi passi ? Alcuno che vi lavi masserizie o panni ? e che a tempo a tempo interrompa il corso delle acque ? ... Ma è notte buia e chi mai in quest'ora ? ... Oh la cosa è chiara, disse Licenzio.
Le foglie che d'autunno si levano di continuo e spesso vengono cadendo, affollate in qualche passo entro l'angusto canale, sono a quando a quando sospinte innanzi e cedono: passata poi l'onda che spingeva nuove se ne raccolgono e vi si stipano: ovvero sarà altro caso simile di foglie galleggianti che ugualmente valgano ora a frenar quella corrente ora a rilasciarla. Questa spiegazione per verità mi quadrò: e sollevatasi una disputa sull'avere ogni cosa la sua causa, dimmi Licenzio, ripigliò Agostino, parti egli che questa acqua venga giù scorrendo a caso, ovvero per causa ordinata ? Imperocché, essa, aqua ista ... ligneolibus canalibus superlabitur et ducitur scorre sopra canali di legno e viene condotta sino agli usi nostri: or ciò può appartenere all'ordine. Imperocché quest'opera venne eseguita dagli uomini dietro ragione, onde facendo quest'acqua un solo viaggio, uno eius itinere, essi ad un tempo potessero e bevere e lavarsi, ed essendo i luoghi opportuni all'opera, ne conseguiva riuscita certa." (Biraghi op. cit. pag. 23) Deduciamo dunque che si trattava di un acquedotto artificiale, costruito in legno, che portava acqua ai bagni, la quale poi fuoriusciva precipitando in basso sbattendo contro i sassi con strepito: strepebat silicibus irruens ... precipitante se flumine.
Biraghi per primo collegava questo canale con un torrente che scende dai monti di Sirtori per scorrere a Nord di Cassago; da questo "flumen" i Romani, un po' in alto, avrebbero prelevato l'acqua da portare ai bagni. Sempre secondo Biraghi, il nome che attualmente porta questo torrente, bevera del Gambaione, risulterebbe da una riduzione di due parole latine canalis e balneorum: canalbalneorum, canalbalineus, canbalionum, ganbaliono e infine l'attuale Gambaione. Questa geniale supposizione attira la nostra attenzione, ma non si può spiegare il passaggio dal nome del canale al fiume dal quale deriva, mentre sarebbe più normale il contrario. Più convincente invece sembra la recente ricerca di Pasquale Cattaneo: "Faccio notare che il Gambaione non era un torrente o fiume, ma una località e precisamente la località attraversata dal canale dei bagni del tempo di S. Agostino." Da questa località poi ha preso nome il torrente che a Cassago è noto sotto il nome di Bevera del Gambaione. Nel registro della Basilica di Monza è detto: "anno MCCXVII ... in territorio de cremella ubi dicitur in prato canbalionum." Che poi sia stato chiamato Gambaione anche il torrente è spiegabile, come è spiegabile il nome Gambaione dato al mulino costruito al principio del secolo scorso dai Visconti. E l'acqua che alimentava il canale dei bagni non era derivata dal torrente, ma da una sorgente vicina, sul pendio di Cremella, appena poco sopra il ponticello che attualmente attraversa il torrente Gambaione sula strada della Valle di Sotto. Anche l'acqua che alimentava la vasca del mulino del Gambaione non è mai stata presa dal torrente Gambaione, ma da vari ruscelli dai prati del Gambaione, iniziati proprio in questa località dove iniziava il canale dei bagni. Individuato così il canale dei bagni, è facile anche individuare i bagni della villa di Verecondo, che dovevano sorgere a sud del Palazzo Visconti, ad un livello tale da permettere apunto di ricevere l'acqua dal canale di legno, da una distanza ragionevole, circa quattrocento metri." (Cattaneo, Da rus Cassiciacum a Cassago Brianza, 1967 pag. 10)
Queste prove sono sufficienti per renderci ragione di quanto ha lasciato scritto S. Agostino, nonostante il Rota si sforzi di dimostrare che non esiste acqua corrente a Cassago, rendendosi oltre tutto ridicolo adducendo come prova nientemeno che il nome Campi Asciutti di una cascina molto al di sotto di Cassago al confine Nord della quale scorre il torrente da noi descritto.
La tradizione locale
Passiamo ora ad interrogare la tradizione locale per scoprire se ci può fornire qualche dato interessante.
Vi sono, in paese, alcuni monumenti ai quali è legato il nome glorioso di S. Agostino, come la fontana omonima nel già parco Visconti, una via dedicata al Santo in paese, una cappella con effigie del santo nella parrocchiale, ma la loro origine è troppo recente, anche se precede la questione manzoniana, per essere presi in seria considerazione. Degna di nota è una pagina manoscritta che troviamo nel Registro 2° Battesimi-Morti-Matrimoni conservata nell'archivio parrocchiale e redatta da don Filippo Balsamo, parroco di Cassago negli anni 1631-1661.
Questo documento rappresenta la prima attestazione scritta dell'esistenza di una particolare devozione al Santo. Il redattore del documento, nella sua cronaca latina, ci informa che "per grazia di Dio e per i meriti dei santi patroni di questa chiesa Giacomo, Brigida ed Agostino, "oppidum istud illesum servatum est", il paese fu preservato immune dalla crudelissima pestilenza - licet oppida circumcirca gravisime afflicta fuerint - quantunque i paesi circostanti siano stati colpiti nel modo più micidiale." Il cronista proseguendo fa notare che è costume del buon cristiano - moris christiani - stendere una memoria dei favori ricevuti - beneficiorum accepturum - e attribuirli a qualche santo protettore. In conseguenza il borgo di Cassago - non immemor tantae gratiae - oltre ai santi patroni annovera S. Agostino vescovo di Ippona dottore inclitus della Chiesa, dal quale implorò nella lugubre circostanza l'ausilio. La speranza del pronto intervento del Santo in favore del paese era sostenuto dalla coscienza che doveva essere caro al santo quel luogo - eoque magis - molto più che la storia - memoriae proditum - ci fa fede che qui dimorò - patrios lares habitasse ipsum sanctum - il nostro santo. Gli storici non s'accordano nello stabilire di quale peste si tratti: Biraghi opta per quella di S. Carlo (1576) piutosto che per quella del card. Federico (1630).
Beretta esclude decisamente la prima. Cattaneo l'ascrive al 1566, rifacendosi a una peste gravissima che ha colpito i paesi della Brianza e documentata dal Cantù. Il documento non permette nessuna congettura sulla data dicendo unicamente "tempore". Tuttavia si potrebbe dire che la peste non dovrebbe essere accaduta durante il periodo in cui il parroco governava il paese, perché avrebbe certamente segnato anche la data di tale miracolo. Forse il fatto era solo ricordato a viva voce dal popolo e il parroco, temendo che il ricordo andasse perduto, pensò bene di fermarlo per sempre sul registro parrocchiale. Comunque si risolva, la questione della data ha una importanza relativa. Il documento diventa ancor più prezioso nella restante parte, quando cioè fa memoria di una pietra d'altare connessa dalla tradizione alla presenza di S. Agostino in paese. Vediamo per intero questa ultima parte: "Insuper in hac Ecclesia servatur petra cerisia in qua apparet locus et signum denotans illum fuisse altare; immo dicitur super eam eundem sacra S. Augustinus celebrasse quae petra erat posita in quodam altari constructo in oratorio veteri quod erat constructus in loco illo in quo nunc est aedificata cella vinaria istius domus parochialis et ista Ecclesia fuit dirupta de mandato ordinarij sicuti apparet per ordinationem factam anno 1611 per emin. Cardinalem federicum Borromeum. Attamen illud quod dicitur quod sanctus Augustinus celebraverit supra illud altare credo non esse verum quia habetur in Breviario sanctum Augustinum sacris in Africa fuisse initiatum, post discessum suum e Mediolano a Valerio episcopo." E' inutile far notare l'elemento leggendario, già sfatato dal redattore del documento, che la fantasia popolare ha aggiunto nei secoli a tale venerato monumento, cioè che Agostino vi abbia celebrato la Messa.
Per spiegare tale credenza popolare non è neppure necessario far derivare questa pietra dall'Africa, dove il santo l'avrebbe usata. Anzi è probabile che essa esistesse già durante lo stesso soggiorno di Agostino in qualche locale della villa come mensa riservata ala celebrazione dei divini misteri per i cristiani che qui venivano in vacanza )sappiamo infatti che la moglie di Verecondo era cristiana). Oppure. Con più probabilità fosse una semplice tavola sulla quale i villeggianti occasionali avranno consumato i loro pranzi. Meglio ancora non ci sembra assurdo pensarla un comune tavolo sotto i portici dei bagni intorno al quale si saranno certamente seduti maestro e discepoli nei giorni di cattivo tempo per le loro lezioni. Questa pietra, in seguito, dato il ricordo a cui era legata e per la sua facilità ad essere conservata sarebbe stata adattata a pietra d'altare. Infatti il documento dice che era "posita in quodam altari constructo in oratorio veteri" e che questo oratorio si identificava - al momento della stesura del documento - con la cantina del parroco (cella vinaria). Alla luce di questi fatti è possibile stabilire che questo oratorio veteri era detto vecchio in rapporto all'allora chiesa parrocchiale di S. Brigida e Giacomo che si fa risalire al sec. XII e XIII. Dall'antichità di questa chiesa si può dedurre che l'oratorio veteri è senz'altro anteriore ad essa, quindi da porsi nel piano del Medio Evo. Quest'oratorio venne abbattuto per decreto e comando del card. Federico Borromeo, come risulta dall'ordinanza da lui emessa nel 1611: in quell'ampio locale, situato un po' più al di sotto di tutto l'edificio, trovò posto la cantina del parroco. La pietra, per la sua facilità ad essere trasportata, venne allora conservata nel battistero della chiesa parrocchiale. Ma anche la chiesa di S. Brigida e Giacomo divenne, col passare degli anni, insufficiente e cadente. Allora il conte Francesco Antonio Visconti-Pirovano propose agli abitanti del paese (28 aprile 1756), in cambio dell'area della chiesa e della vecchia casa parrocchiale coll'orto annesso, di cedere un luogo più adatto per costruire una nuova chiesa e un'altra casa parrocchiale. Il 18 luglio di quell'anno si compilarono gli atti dello scambio e furono abbattuti i vecchi edifici.
Il conte Francesco da una parte concorreva generosamente ad un'opera buona, dall'altra veniva così ad offrire maggior respiro alla sua villa, perché i vecchi edifici poggiavano a ridosso delle sue scuderie. La pietra, nella nuova chiesa inaugurata nel 1761, trovò definitivamente il suo posto nella cappella di S. Agostino, murata a forma di paliotto nella parte prospiciente verticale, più visibile al popolo. Non si sarebbe ottenuto tale effetto qualora si fosse collocata in forma di mensa, coperta per di più da tovaglie, a uso sacrificale, come nell'antico oratorio. Con una intuizione geniale il parroco di allora, prima di abbattere i vecchi edifici, fece diligentemente riprodurre in appendice allo stesso registro 2°, in cui troviamo il documento sopra ricordato, dopo parecchie pagine in bianco, una pianta particolareggiata di tutto il fabbricato in demolizione. Grazie a tale mappa possiamo ora ubicare ora con precisione la cella vinaria della demolita casa parrocchiale, corrispondente all'oratorio veteri in cui trovò la sua prima sistemazione la nostra pietra d'altare. Manca tuttora però l'apporto dell'archeologiche che dovrebbe senz'altro, in seguito a scavi in questa area, portare alla luce interessanti reperti. L'analisi di questo documento ci permette di verificare le riserve del Beretta che vorrebbe attribuire la tradizione popolare di Cassago ad origine recente, cioè si sarebbe diffusa in seguito alle opere di Calchi e del Ripamonti.
Soprattutto avrebbero contribuito a rendere popolare le loro affermazioni i legati istituiti dal marchese G. Vincenzo Modrone nel 1797 per l'annuale celebrazione della festa del Santo (28 agosto). Inoltre la pietra con la documentazione vista annulla quest'altra affermazione: "Nemmeno risulta che vi fosse un oratorio, una cappella, una reliquia, una statua, quadro o una pittura qualsiasi che vi ricordasse comunque S. Agostino (Beretta o. c. pag. 16). Lo stesso card. Federico Borromeo, del resto, identificando Cassago col luogo celebrato dalle parole dell'inclito dottore, fondava la sua affermazione oltre che sulla natura del luogo e la ragione del nome anche sui resti di antichi edifici allora esistenti: veterum edificiorum reliquia, plurimaque vestigia antiquitatis (o. c. pag. 87). Infine spieghiamo la mancanza di una chiesa antica dedicata al santo ricorrendo all'usanza di affidare la protezione delle chiese solo a martiri. Pare di poter concludere che a Cassago non sia mai venuta meno una particolare devozione al santo ipponense e appena le leggi ecclesiastiche prescrissero l'uso dei registri, la tradizione orale e comune venne, anche se occasionalmente, fissata per sempre nei libri della parrocchia.
Se la tradizione di Cassago ha suscitato riserve per il Beretta, quella di Casciago non è nemmeno degna di considerazione perché è posteriore alla questione manzoniana. A nulla valsero e valgono le ricerche condotte dal Rota per cercare di avvalorare la sua tesi che, per altro, dava per certa in partenza.
La distanza Milano-Cassago
Recentemente il prof. Othmar Perler dell'Università di Friburgo, dopo un protratto soggiorno a Cassago e Casciago, ha pubblicato un breve ma serio studio dove, con l'aiuto del prof. Schürer dell'Istituto Astronomico dell'Università di Berna, cerca di stabilire la cronologia dei dialoghi scritti da Agostino a Cassiciacum. Inevitabilmente deve prendere in esame alcuni viaggi compiuti da Alipio a Milano durante i giorni delle discussioni. Da considerazioni tratte dal viaggio effettuato da Alipio nel pomeriggio del 10 novembre (Contra Academicos 1, 2, 5 e 3, 8) Perler dedurrebbe che la distanza Cassiciacum-Milano dovrebbe aggirarsi sui 30-40 Kilometri, non esclusa una distanza inferiore. Confermerebbe questa distanza il fatto che Alipio partendo dopo pranzo, sarebbe dovuto arrivare a Milano verso le 17, ora in cui cala il sole in tale periodo, e poco dopo il tramonto, perché "l'oscurità e spesso la nebbia umida e fredda rendono il viaggio disagevole, se non dannoso."
Dunque il tempo impiegato da Alipio per tale viaggio (4 ore: partenza verso le 12 dopo il pranzo consumato probabilmente alle 11 e arrivo prima delle 17) sarebbe necessario e sufficiente per coprire la distanza Cassago-Milano (33 Km). Comunque, concludendo il suo studio, Perler premette di ritornare sula questione per analizzare altri dati degli scritti agostiniani riguardanti Cassiciacum. Non ci rimane che attendere (cfr. O. Perler o. c.).
Il carme di Licenzio
Il carme di Licenzio è annesso alla lettera 26: Licenzio ad Agostino. Infine rimane da esaminare la descrizione di Cassiciacum fatta da Licenzio in una lettura poetica inviata da Roma al maestro ormai da sei anni in Africa. Egli ricorda con piacere i bei giorni passati con Agostino a Cassiciacum descrivendolo tra alti monti: montesque per altos. Orbene, i critici sogliono argomentare che un poeta non avrebbe tralasciato di ricordare il panorama di Casciago che presenta alla vista ben cinque laghi, per optare in favore di Cassago. Dobbiamo però onestamente dire che anche a Cassago, se non cinque, si può vedere più di un lago, nelle belle giornate, se si sale solo di poco sulla collina del Baciolago, senz'altro meta di gite per la felice brigata in vacanza. Anche questo elemento porta un tenue ausilio in favore di Cassago.
CONCLUSIONE
Da quanto abbiamo esposto ci pare di poter concludere che Cassago presenta alcuni elementi che non solo non contrastano con le affermazioni occasionali lasciateci dal santo, ma visti e studiati oggettivamente confermano gli stessi dati agostiniani.
A questi elementi si collega una tradizione plurisecolare del popolo che ha sempre avuto la certezza che la sua terra, un tempo lontano, è stata calcata da una grande santo, il quale, dal cielo, ora protegge ancora il suo paese e, appena pregato, è pronto ad intervenire con favori straordinari. Tuttavia attualmente, nel milanese, a livello popolare è più conosciuto Casciago come località del soggiorno agostiniano. Spieghiamo così questo fatto: molti, anche tra gli studiosi, continuano ad appoggiare la tesi manzoniana fidandosi dell'autorità e della fama dello scrittore; a livello popolare, invece, valse e vale ancora a diffondere questa credenza la convinzione del compianto card. Schuster che fece dedicare alcune nuove chiese del varesotto al vescovo di ipponense.
Forte delle sue prove, Cassago deve nuovamente far riconoscere a tutti la legittimità della sua tradizione. Da parte sua deve però sentire un premuroso dovere di salvare alcuni luoghi per destinarli alla venerazione che giustamente meritano. Prima di tutto occorrerebbe accaparrare quanto prima l'area archeologica che circonda la zona della villa Visconti, per poi effettuare gli opportuni scavi. Inoltre, si spera, che, per interessamento di qualche pubblica associazione o per interessamento del Comune, si metta a disposizione almeno un locale in cui raccogliere e conservare i ritrovamenti archeologici e trovino posto opere, mappe, fotocopie di pergamene e manoscritti onde permettere di studiare sempre meglio la questione per approdare, quanto prima, a una soluzione definitiva.