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Percorso : HOME > Cassiciaco > Vexata quaestio > Carlo CarenaCarlo Carena: Agostino a cassiciaco
La copertina del libro
AGOSTINO A CASSICIACO
Da "SAN PAOLO E LE SUE LETTERE"
di Carlo Carena
Nell'inverno del 387 Agostino era a Cassiciaco, nella quieta campagna brianzola, col cuore in tumulto. Dopo l'incontro col manicheismo e col neoplatonismo cercava ancora una via di uscita dai suoi problemi metafisici e psicologici. Avvenne allora per lui un incontro decisivo: "Mi buttai con la massima avidità sulla venerabile scrittura del tuo spirito [di Dio], prima di tutti sull'apostolo Paolo. Scomparvero ai miei occhi le ambiguità [...], mi apparve l'unico volto delle espressioni pure e imparai a esultare con apprensione [...].
Altro è vedere da una cima selvosa la patria della pace e non trovare la strada per giungervi, frustrarsi in tentativi per plaghe perdute, sotto gli assalti e gli agguati dei disertori fuggiaschi guidati dal loro capo, leone e dragone insieme; e altro tenere la via che vi porta, presidiata dalla solerzia dell'imperatore celeste [...].
Questi pensieri mi penetravano fin nelle viscere in modo mirabile, mentre leggevo l'ultimo fra i tuoi apostoli. La considerazione delle tue opere mi aveva sbigottito". "Contro Academicos" 2.2.5 conferma i modi e l'importanza di questa lettura, descritta nelle "Confessioni" (7.21.27).
Le Lettere di san Paolo rimangono da allora aperte sul tavolo di questo lettore eccezionale nella villa di Verecondo (cfr ivi 8.6.14) fino alla crisi risolutiva nel giardino, scatenata ancora da un versetto del capitolo 13 dei "Romani": "Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze [dalla Vulgata]. Non volli leggere oltre, né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono" (8.12.2 9).
Quella di Agostino è un'esperienza estrema ma esemplare, la resa sorprendente di una grande intelligenza ad un testo quanto meno sconcertante e in un certo senso rozzo. Bossuet, quasi ironicamente elogiando dall'alto della sua bravura, nel panegirico del santo, questa rozzezza e semplicità che racchiuderebbero una volta tanto una predica "abbassata agli umili", avverte i "delicati della terra" dall'orecchio fine, dell'ignoranza dell'oratoria e del disprezzo della filosofia in Paolo.
I suoi scritti però contengono una "virtù più che umana", la quale persuade contro tutte le regole, della parola non meno che del pensiero, o meglio: "che non persuade nemmeno ma cattura le menti; che non lusinga le orecchie ma porta i suoi colpi direttamente al cuore"; grazie a questa "virtù divina" la semplicità dell'Apostolo ha sottomesso tutto, rovesciato gli idoli, convinto milioni di esseri umani ad affrontare persino la morte e rivelato tali segreti, che "i più sublimi spiriti, dopo essersi lungamente esercitati nelle più alte speculazioni a cui poteva spingersi la filosofia, discesero da quelle vane altezze al suo magistero". A questi "sublimi spiriti", ai "delicati" non meno che agli umili non possono in realtà capitare un uomo e una prosa altrettanto ricchi di difetti e di qualità, strepitosi e puerili, inerti o sconvolgenti. Sedici secoli dopo Agostino, Loisy confessava ancora che qualsiasi storico critico fatica a intendere e a cogliere la personalità di uno scrittore che ha espresso in modo tanto alterno e contrastante, in tanti toni diversi, quasi in lingue diverse, anche nelle lettere sicuramente autentiche, pochissime idee. Però credute e propagandate con una fermezza inaudita, sconosciuta fino ad allora nel mondo occidentale.
È facile cogliere quelle due o tre intuizioni fondamentali. L'essere così poche, e l'averle assolutamente credute, fa la sua forza, come quella di altri rivoluzionari. Divincolarsi dalla grandiosità abbagliante e sconcertante di queste realtà, impiantare il loro nucleo semplicissimo e in sé quasi elementare, è il tormento dello scrittore quando deve esprimere il credente e persuadere il non credente in questo quasi unico principio: che come mostra l'Antico Testamento, l'uomo creato puro da Dio decadde, ma ora Dio stesso si è incarnato nella persona del Figlio ed è morto per i nostri peccati ed è risorto; per cui anche tutti noi, se appena crediamo in questa mediazione, mediante la Grazia siamo giustificati, entriamo col battesimo a formare il suo corpo mistico animato dallo Spirito santo e come Gesù abbiamo una vita eterna.
Ma nemmeno: Gesù è morto per noi ed è risorto, per cui anche noi tutti risorgeremo giustificati. Però a questo semplice raggio tutto muta. Il regno dell'antica Legge, da cui pure Paolo attinge alcune concezioni di base come il Dio unico e personale, creatore e signore, e l'idea della colpa e della vendetta; quest'epoca finisce, le sue norme non hanno più senso e valore, i privilegi di un popolo eletto si comunicano e ampliano a tutta l'umanità; nascono un mondo nuovo e cieli nuovi, attesi fin dall'inizio dei tempi e proiettati nell'eternità futura. Si è stabilito un patto che annulla la vecchia lettera e la sostituisce con lo spirito, rende futili le forme e le pratiche esteriori sostituendole e rinnovandole, incommensurabilmente più sublimi, con l'atto delle fede e con un'unica pratica, l'amore di dio e del prossimo.