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Percorso : HOME > Cassiciaco > Vexata quaestio > Mons. MannucciMons. Mannucci: Sant'Agostino e il cassiciacum
Parte del testo che identifica Cassiciacum con Cassago
SANT'AGOSTINO e il CASSICIACUM
di Mons. Mannucci
LA CIVILTÀ CATTOLICA - ANNO 83° - 1932 - VOL. I "LA MISCELLANEA AGOSTINIANA" Miscellanea Agostiniana. Testi e studi, pubblicati a cura dell'Ordine Eremitano di Sant'Agostino nel XV Centenario dalla morte del S. Dottore. II. Studi Agostiniani, preceduti dall'Enciclica del Sommo Pontefice, Pio Papa XI, nel XV Centenario dalla morte di S. Agostino. Roma, Tip. Poliglotta Vaticana, 1931, 4°, XXVI - 1042
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Passando a studiare l'uomo interiore, il convertito, il Santo, il R.mo Mons. Mannucci, così benemerito degli studi di patrologia, è condotto a trattare della Conversione di Sant'Agostino e la critica recente. È noto che alcuni critici nazionalisti, non sapendo leggere, col discernimento necessario, gli scritti dal Santo composti a Cassiciacum, la villa di Verecondo, di cui era ospite, dopo la conversione, con la madre, alcuni amici e discepoli (Contra Academicos, De ordine, De beata vita), invece di rivelarcelo cristiano, ce lo presentano come un filosofo neoplatonico in formazione; e con essi non avrebbe avuto altro intento che di superare lo scetticismo da cui allora era dominato. Scrivendo le Confessioni dodici anni appresso, Agostino avrebbe inconsapevolmente (!) travisata la conversione da filosofica in cristiana, sotto la nuova luce delle idee religiose di cui era allora investito.
Questa la tesi di autori, quali il Becker e il Thimme (1908), che sembrò soverchia allo stesso Harnack, il quale, al dire di Mons. Mannucci (p. 27), «ridusse di molto la distanza tra il convertendo e il convertito, così per il rispetto intellettuale, come per quello morale». La tesi non ha nemmeno le sembianze della verità, ed è senza fondamento. Mons. Mannucci, con solide ragioni e originali osservazioni, dissipa, innanzi tutto, i pregiudizi onde sono state avvolte le condizioni spirituali del convertito di Cassiciacum, dal presupposto inverosimile che Sant'Agostino, quasi al momento stesso in cui era diventato vero e sincero cristiano, fosse già anche un teologo perfetto. Al Becker, che è giunto a trovare contraddizione fra quanto asserisce Agostino nel De beata vita, 4, di aver lasciata la scuola per mal di petto, e nelle Confessioni (l. IX, 4), dove quello apparrebbe un pretesto, Mons. Mannucci risponde, con la stessa fonte, che il santo penitente dava quel motivo non come unico, ma come concomitante, e vero: «haec quoque suberat non mendax excusatio»; e ricorda anche le altre testimonianze, dimenticate dal critico, e più esplicite, come in Confessioni, IX, 13, dove il Santo espressamente arreca il motivo di darsi al servizio di Dio e l'altro della salute invalida: «Renuntiavi ... quod et tibi ego servire delegissem, et illi prae difficultate spirandi ac dolore pectoris, non sufficerem».
Così si vede come si ricorra al vanto della critica, quando essa svisa i testi per negare le verità più manifeste. All'altra obiezione, poi, tolta dall'apparente contraddizione fra le lodi della filosofia platonica negli scritti di Cassiciacum, e la condanna nelle Confessioni, in cui considera tale filosofia come uno degli stadi d'errore, da cui Dio l'aveva liberato, Mons. Mannucci risponde, col Mausbach e col P. Boyer, che Agostino, nella filosofia, col buono ben vedeva le lacune e i difetti: la pace e il trionfo su di sé, egli «non l'ebbe dal platonismo ma dal Cristianesimo» (p. 36). Così non ci indurremmo nemmeno ad ammettere col Monceau, nello studio pure inserito nella Miscellanea (p. 70), che a Cassiciacum «à l'idéal de Platon, il mêlait l'idéal du Christ», perché non si trattava punto di mescolanza. Mons. Mannucci (p. 39) ricorda anche, e l'aveva notato il Bertrand, che a Cassiciacum il convertito non era ancora così libero di scegliere gli argomenti da trattare; egli era anche istitutore di due giovani, Licenzio e Trigezio, ai quali andava commentando Virgilio e Cicerone, e doveva insegnare filosofia, secondo la scuola che a lui sembrava migliore. Nel resto, contro il fatto non vale altro argomento: è falso che gli scritti di Cassiciacum, dice l'A., nulla contengano di cristiano, e che nulla rivelino del grave mutamento in lui avvenuto poco prima. «Una minuta enumerazione dei tratti cristiani, in quegli opuscoli, richiederebbe troppo tempo». Basterebbe ricordare De ordine, II, 16, in cui v'è una bella ed esplicita confessione della SS.ma Trinità: «Quem unum Deum omnipotentem ... Patrem et Filium et Spiritum Sanctum docent veneranda misteria». Inoltre il neo-convertito mostra un'alta ed esatta nozione del mistero dell'Incarnazione, quando dice, per es., che esso «quanto videtur vilius tanto est clementia plenius. benché lontano da una totale superbia degli uomini d'ingegno» (p. 42).
Ma è superfluo insistere a ribattere una falsità tanto manifesta, contro verità troppo remota a quadam ingeniosorum superbia.
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Abbiamo tante volte nominato Cassiciacum, sulla identificazione del quale luogo può dirsi non ci fosse controversia, prima che Alessandro Manzoni (1843), esprimesse l'opinione nuova, che la villa resa celebre dai fervori di Sant'Agostino della santa Madre, del caro Adeodato e degli altri, rispondeva a Casciago (Varese). Il ch.mo avv. Filippo Meda, che da tempo ha diligentemente studiato la questione, conferma qui (La controversia sul «Rus Cassiciaciacum) l'opinione che «il possesso tradizionale di Cassago (Brianza), può reputarsi legittimo» (p. 59), come alcuni anni più tardi riconobbe lo stesso Manzoni (p. 56). Gli argomenti dell'illustre letterato erano troppo scarsi; le ragioni arrecate da diversi, a consolidarlo, come le diversità topografiche di Cassago da quelle indicate da Sant'Agostino a Cassiciacum, spariscono con un poco di riflessione.
D'altra parte, studi e scavi più recenti, stanno a favore di Cassago, nelle cui vicinanze scorre il Gambaione, da cui, con canali, si poteva derivare l'acqua pei bagni ricordati da Sant'Agostino. Vestigia di canali in mattone (sostituiti poi, come è naturale, a quelli ligneoli, allora visti dal Santo), furono ritrovati una trentina d'anni addietro. Se si aggiungono le vetuste tradizioni del luogo, si vedrà come già il Cardinale Federico Borromeo (De christianae mentis iucunditate, II, XIV) assennatamente avesse argomentato che «la natura del luogo, la ragione del nome, gli avanzi di antichi edifici, e indizi non pochi dell'età vetusta» persuadevano il legittimo possesso di Cassago in Brianza (cfr. p. 56).
Legittimo e ben più glorioso è il possesso del merito di Sant'Agostino verso la vita monastica in Africa e poi in tutto il mondo cattolico. Lo illustra assai bene il ch. Paolo Monceau trattando (pp. 61-89) di Sant'Agostino e Sant'Antonio; contribuzione alla storia del Monachesimo. Chi legge, facilmente si persuade che la seconda parte del titolo meglio della prima, esprime l'oggetto dell'articolo. Le Confessioni ci hanno conservato l'incantevole racconto dell'occasione e della maniera in cui, la prima volta (nel 386), Agostino intese a Milano rammentare Sant'Antonio, e della viva impressione ricevuta dalla notizia della sua mirabile vita. Il Monceau, che già nella solitudine di Cassiciacum vede (pp. 69-70), adombrata una come comunità regolare, dopo una breve, ma esatta storia del nascere e dello svolgersi del monachismo in Oriente e in Occidente, nota la premura mostrata, fin da quegli inizi da Agostino, d'informarsi specialmente sulla vita cenobitica, che l'aveva subito fortemente colpito, e tanta parte della attività del Santo avrebbe, poi, occupata, nella organizzazione dei suoi monasteri in Africa. Quando egli vi giunse, nel 388, pensa il Monceau, non si ha notizia dell'esistenza di alcun monastero in quella regione. La prima forma di vita monastica, istituita da Agostino a Tagaste, in un podere di sua proprietà (a. 388), presentava ancora l'aspetto di una adunanza di studiosi (Adeodato, Alipio, Severo...); tre anni dopo ordinato sacerdote ad Ippona, vi eresse un monastero nel vero senso della parola, in un giardino donatogli dal Vescovo, ed era il giardino stesso della chiesa. [ ... ]