Contenuto
Percorso : HOME > Cassiciaco > Vexata quaestio > Angelo ParediAngelo Paredi: Vita di sant'Agostino
Il centro di Milano verso l'anno 1300 - Disegno di Ugo Monneret de Villard
DOVE FU BATTEZZATO SANT'AGOSTINO
di Angelo Paredi
Milano, Biblioteca Ambrosiana, Pasqua 1965
Estratto dall'Archivio Storico Lombardo, Miscellanea in memoria del prof. GIAN PIERO BOGNETTI, Anno XC, Serie IX, Vol. IV, 1964, (Milano, 1967).
1. - S. Agostino ricevette il battesimo a Milano nella Pasqua dell'anno 387: precisamente nella notte tra il sabato 24 e la domenica 25 aprile. Nelle Confessioni (9, 6, 1) egli dice che lasciò la villa di Cassiciaco ubi tempus advenit, quo me nomen dare oporteret. A dare il nome, ad iscriversi tra i battezzandi, S. Ambrogio capitava che invitasse già nella festa dell'Epifania (cfr. expos. evang. sec. Luc. 4, 76). Il momento preciso di iscriversi, nell'uso milanese del nono secolo, era la domenica della Samaritana, come si chiamava la domenica che in antico si diceva la prima, ed ora invece si usa dire la seconda domenica di quaresima. Al termine della lettura del vangelo, il diacono proclamava: Qui vult nomina sua dare, iam offeret - chi vuol iscriversi per ricevere il battesimo nella prossima Pasqua, venga adesso a dare il nome [1]. Vi sono buone ragioni per ritenere che questa disciplina, attestata per il nono secolo, sia già stata in vigore a Milano nel secolo quarto.
Se S. Agostino espressamente dice che lasciò Cassiciaco e venne a Milano «per dare il nome», ossia per mettersi insieme con gli altri battezzandi competenti [2], che cioè insieme chiedevano quell'anno il battesimo, noi dobbiamo dalle sue parole et baptizati sumus (Confess. 9, 6, 2) concludere che egli fu battezzato insieme con gli altri nella usuale cerimonia che si compiva una volta all'anno, nella notte pasquale, nel battistero dove usava battezzare S. Ambrogio. Dove si trovava questo battistero?
2. - La parola «battistero» si trova due volte negli scritti di S. Ambrogio. Spiegando il battesimo egli dice che il battistero lo si può considerare come la seconda tenda, o santo dei santi, del santuario mosaico (cfr. Hb 9, 1-7); il secondo tabernacolo mosaico è ora il battistero in quo vos introduxit sacerdos, in quo semel in anno summus sacerdos intrare consuevit, hoc est ad baptisterium ubi virga Aaron floruit (de sacram. 4, I, 2) [3].
Le vicende dell'assedio alle basiliche nella settimana santa del 386 S. Ambrogio le descrisse in una lettera alla sorella Marcellina: quando gli vennero a dire che veniva posto il sequestro alla basilica Porziana, egli stava nel battistero: symbolum aliquibuss competentibus in baptisterii tradebam basilica (epist. 20, 4): stava nella basilica del battistero, cioè nell'aula, nella sala, nell'ambiente del battistero [4].
In un'altra pagina, ancora parlando del battistero, lo chiama con un altro nome: ingressus es regenerationis sacrarium. (de myster. 2, 5)
3. - Molte volte S. Ambrogio accenna alla vasca d'acqua che si trovava nel battistero; sempre la chiama fons, sempre al singolare:
• de sacr. I, 2, 4: venimus ad fontem ...
• de sacr. I, 3, 9: vidisti fontem, vidisti et sacerdotem supra fontem ...
• de sacr. I, 4, 12: qui per hunc fontem transit ...
• de sacr. I, 5, 18: usus hoc habeat, ut ante fons consecretum, tunc descendat qui baptizandus est.
• de sacr. I, 6, 24: de sacro fonte libasse mysteria ...
• de sacr. 2, 6, 16: venisti ad fontem, descendisti in eum ... levitas, presbyterum in fonte vidisti.
• de sacr. 2, 6, 19: cum veniret ad fontem et mergeretur in fontem ... Ideo fons quasi sepultura est.
• de myst. 3,14: et in hunc fontem sacerdos praedicationem dominicae crucis mittit ...
• de myst. 4, 23: in hunc fontem vis divina descendit.
• de myst. 5, 28: descendisti igitur ...
• de myst. 6, 29: post haec utique ascendisti ad sacerdotem ...
• de myst. 6, 31: ascendisti de fonte ...
• de myst. 9, 59: superueniens in fontem spiritus ...
• in ps. 37, 10: Iordanis enim descensio et adscensio est; quoniam qui in fontem sacrum descenderit et ascendit ...
• exp. evang. sec. Luc. 2, 79: licet etiant in ipso fonte sanctificatio divinitatis adspiret ...
• exp. evang. sec. Luc. 5, 25: servemus igitur vestem, quam nos sacro dominus emergentes fontes vestivit ...
Come queste citazioni dimostrano, Ambrogio ripetutamente afferma che nel fonte il battezzando discende giù; che, dopo, battezzato, sale fuori. In altro luogo dice che il battezzato durante il battesimo viene lavato in tutto il corpo:
• in ps. 118, 16, 29: nunc quoque in evangelii mysteriis recognoscis quia baptisatus licet toto corpore, postea tamen esca spiritali potuque mundaris:
La vasca quindi doveva avere notevoli dimensioni. Doveva essere provvista di gradini per scendete giù nell'acqua, e per poi risalire fuori [5]. Dato che parecchie persone vi scendevano in una stessa notte pasquale, dobbiamo supporre che vi fosse acqua corrente, o almeno, che l'acqua potesse essere di frequente cambiata. Doveva essere quindi provveduta di un canale per addurre l'acqua, e di un canale di deflusso. Con ogni probabilità vi erano anche dispositivi per riscaldare l'acqua: perché a Milano nel mese di aprile un bagno freddo non lo fa nessuno.
4. - Il battistero a Milano al tempo di S. Ambrogio doveva trovarsi nelle immediate adiacenze della cattedrale: egli dice che i neofiti, subito dopo aver ricevuto il battesimo, partecipavano alla celebrazione dell'eucaristia, andavano all'altare. Cfr. AMBROS, de sacr. 3, 2, II ; 4, 2, 7 ; de myst. 8, 43; PAULIN., V. A., 48. Il battistero e la cattedrale quindi dovevano essere due edifici complementari, contigui.
5. - Ogni città episcopale aveva una sola cattedrale; e quindi di solito un solo battistero. La «gravissima eccezione» di un secondo battistero nella stessa città, come a Ravenna e a Salona, deve spiegarsi con l'esistenza di due diverse comunità cristiane, per esempio una cattolica e una ariana o scismatica; o per ragioni speciali, come il battistero extraurbano di S. Pietro a Roma [6]. A meno che venga dimostrato vero il contrario, a Milano nel quarto secolo è da presumere che il battistero fosse unico e che si trovasse vicino alla unica chiesa cattedrale.
6. - Della chiesa cattedrale di Milano S. Ambrogio parla almeno due volte. All'inizio della epist. 20 scritta alla sorella Marcellina nel 386 egli la chiama basilica nova, hoc est intramurana, quae maior est. Questa basilica maior della epist. 20 sembra che nel pensiero di S. Ambrogio sia lo stesso edificio di cui egli parla nella epist. 63 scritta nell'anno 396. Ricordando gli avvenimenti dell'anno 355, S. Ambrogio scrive che i vescovi Dionisio di Milano ed Eusebio di Vercelli furono strappati fuori dalla cattedrale milanese per essere condotti in esilio: cum raperentur de ecclesia maiore (epist. 63, 68).
Alla medesima cattedrale accenna pure S. Ilario di Poitiers nel ricordare anch'egli le vicende del concilio di Milano del 355. S. Ilario scrive che le riunioni dei vescovi ad un certo punto la fazione ariana le fece trasferire dalla cattedrale al palazzo imperiale: e dominico ad palatium transeunt (CSEL, 65, 1916, p. 187). Paolino scrive circa l'anno 422 la prima biografia di S. Ambrogio. Parlando della cattedrale, nella quale ha luogo l'elezione del successore di Aussenzio, la chiama semplicemente ecclesiam (V.A., 6) ; invece nel riferire i funerali di S. Ambrogio, la chiama ecclesiam maiorem. (V.A., 48).
Una carta dell'anno 787 conserva l'atto di fondazione dell'ospedale che l'arciprete Dateo ha voluto erigere nella sua casa milanese, la quale si trova iuxta ecclesiam maiorem (Cod. Diplom. Langob., n. 61, col. 115), cioè presso la cattedrale. Il sacramentario Bergomense, scritto poco dopo la metà del secolo nono, nota che la seconda messa di Pasqua viene celebrata in ecclesia maiore (cfr. ediz. di Bergamo, 1962, pag. 168); e così pure per parecchie altre messe.
Altrettanto ci è testimoniato dall'evangeliario del secolo nono della Biblioteca Ambrosiana (ms. A. 28 inf.), ed anche dall'evangeliario di Busto Arsizio (ms. M. I. 14, della Capitolare di Busto) [7].
7. - Forse nel secolo quinto, e certamente prima del secolo ottavo, la ecclesia maior o cattedrale di Milano fu dedicata a Santa Tecla e cominciò a chiamarsi ecclesia sanctae Teclae. Che le due denominazioni si riferiscano ad un solo e medesimo edificio lo dimostrano con certezza vari passi del Liber Notitiae Sanctorum Mediolani [8] e di Galvano Fiamma. Il più antico documento che ci parla di una chiesa milanese di S. Tecla e che quindi ci attesta che la cattedrale milanese si chiamava anche chiesa di S. Tecla, è la silloge di iscrizioni che un monaco di Lorsch trascrisse circa la fine del secolo nono e che ci è conservata nel ms: Vaticano Palatino lat. 833. Il De Rossi e il Silvagni hanno dimostrato che il monaco Laureshamense copiava da una raccolta scritta. [9] Dai marmi originali le aveva copiate con ogni probabilità un erudito pellegrino (facilmente un Franco) nel secolo ottavo.
Alla prima iscrizione il raccoglitore dà come titolo:
IN CIVITATE MEDIOLANIVM IN ECCLESIA SCAE TECLE
PRISCA REDIVIVIS CONSURGUNT CULMINA TEMPLIS
IN FORMAM REDIERE SUAM QUAE FLAMMA CREMARAT
REDDIDIT HAEC VOTIS XPI QUI TEMPLA NOUAVIT
EUSEBII MERITIS NOXIA FIAMMA PERIT
Alcune parole di questi versi sembrano tolte da un Sermone in reparatione ecclesiae Mediolanensis, attribuito a un S. Massimo, e che fu tenuto a Milano nell'anno 452, in occasione della inaugurazione dei restauri, compiuti dal vescovo Eusebio, nella cattedrale, dopo l'incendio causato dai barbari di Attila [10]. La più ragionevole spiegazione delle concordanze verbali tra l'epigramma e il sermone è questa: che le due composizioni non soltanto si riferiscono allo stesso edificio, ma anche furono probabilmente scritte dal medesimo autore.
8. - La stessa cattedrale, chiamata maior da S. Ambrogio, dal biografo suo Paolino, dai libri liturgici milanesi del nono secolo, denominata «di Santa Tecla» nella silloge Laureshamense, comincia nel secolo nono ad essere chiamata anche ecclesia aestiva. Essa viene indicata con questo nome nel testamento di Ansperto dell'anno 879 (Cod. Dipl. Lang., n. 290, col. 492); nell'evangeliario di Busto citato sopra, e poi nel Beroldo. La ragione di questa nuova denominazione sta nel fatto che circa l'anno 836 accanto alla chiesa di Santa Tecla venne costruita una chiesa più piccola, detta di Santa Maria, o hyemalis, che serviva per l'ufficiatura nella stagione invernale, dalla terza domenica di ottobre fino al sabato santo.
9. - Nella silloge di Lorsch, dopo l'iscrizione che stava nella chiesa di S. Tecla, segue come seconda iscrizione milanese un epigramma, che, secondo il raccoglitore, è composizione di S. Ambrogio; e stava nel battistero della medesima chiesa di Santa Tecla.
VERSUS AMBROSII AD FONT. EIUSD. ECCL.
OCTACHORUM SCOS TEMPLUM SURREXIT IN USUS
OCTAGONUS FONS EST MUNERE DIGNUS EO
HOC NUMERO DECUIT SACRI BAPTISMATIS AULAM
SURGERE QUO POPULIS VERA SALUS REDIIT
LUCE RESURGENTIS XPI QUI CLAUSITA RESOLUIT
MORTIS ET E TUMULIS SUSCITAT EXANIMES
CONFESSOSQ. REOS MACULOSO CRIMINE SOLVENS
FONTIS PURIFLUI DILUIT INRIGUO
HIC QUICUMQ. VOLUNT PROBROSA(E) CRIMINA VITAE
PONERE CORDA LAVENT PECTORA MUNDA GERANT
HUC VENIANT ALACRES QUAMUIS TENEBROSUS ADIRE
AUDEAT ABSCEDET CANDIDIOR NIVIBUS
HUC SCI PROPERENT NON EXPERS ULLUS AQUARUSN
SCS: IN HIS REGNUM EST CONSILIUMQ. DEI
GLORIA IUSTITIAE. NAM QUID DIVINIUS ISTO
UT PUNCTO EXIGUO CULPA CADAT POPULI
«Questo tempio dalle otto nicchie fu innalzato per uno scopo santo, il fonte ottagono è degno di una tale funzione. Era ben conveniente che su questo numero venisse costruita l'aula del sacro battesimo, mediante il quale viene alle genti la salvezza vera, nella luce del risorgente Cristo, che apre le porte chiuse della morte, e chiama fuori dalle tombe i morti; mentre quelli che si riconoscono peccatori egli li libera dalle loro brutte colpe e li lava nella corrente del fonte purificatore. Tutti coloro che sentono il desiderio di liberarsi dalle colpe di una vita di obbrobrio, comincino a lavare il loro cuore, a venire con animo puro. Vengano qui volonterosi. Per quanto uno si senta avvolto dalle tenebre della colpa, venga qui con fiducia: si troverà partendo più candido della neve. Si affrettino a venire qui anche i santi: nessuno, anche se santo, può far senza delle acque del battesimo: in esse è il regno e il disegno di Dio, lo splendore della sua giustizia. Quale cosa infatti potrebbe essere più divina di questa, che in un breve istante le colpe del popolo vengano tolte via? ».
L'autenticità del lemma, che introduce l'iscrizione (cioè che tale iscrizione fu letta nel battistero accanto alla chiesa di S. Tecla), non si vede quale ragione ci possa essere per metterla in dubbio, come già hanno osservato G.B. De Rossi, A. Silvagni e A. De Capitani d'Arzago. Invece l'autenticità ambrosiana della iscrizione molti l'hanno negata. La questione fu studiata ancora di recente da Giovanni Battista Pighi in un articolo del 1944: il Pighi osserva con ragione che non si può rifiutare la tradizione unanime che attribuisce tale epigrafe a S. Ambrogio: per il solo fatto che tale tradizione ci è attestata soltanto dal secolo VIII in poi [11].
Grafico di Alberto De Capitani d'Arsago
Per altra via, cioè con argomenti interni, ha dimostrato l'autenticità ambrosiana dell'epigrafe Othmar Perler in un notevole lavoro del 1951 [12]. Adducendo molti luoghi paralleli da opere autentiche di S. Ambrogio, il Perler ha fatto vedere la perfetta identità di vocabolario, di stile, di idee tra gli otto distici dell'octachorum e altri scritti del santo. In modo particolare Perler ha dimostrato la perfetta consonanza tra varie espressioni dell'iscrizione e passi paralleli dell'opuscolo de sacramentis. Anzi il Perler crede di poter affermare che nell'iscrizione il vescovo ha derivato frasi dal de sacramentis, e che quindi la iscrizione deve ritenersi composta probabilmente dopo l'anno 386. Veramente, se ci sono evidenti affinità tra il de sacramentis e l'octachorum, nessuno può dire se questo derivi da quello o invece viceversa. Inoltre il de sacramentis è uno stenoscritto di istruzioni che il santo vescovo ebbe a ripetere press'a poco uguali per oltre vent'anni. Non sembra quindi che si possa dare una data agli otto distici solo in base alle affinità con il de sacramentis. Sono pensieri e parole che S. Ambrogio doveva avere abituali; persuasioni, su le quali ritornava di frequente, e che perciò noi ritroviamo in parecchie sue opere.
Importa qui rilevare come sia un'idea cara a S. Ambrogio il simbolismo del numero «otto», della «ogdoade»: tal numero è il simbolo dell'ottavo giorno che si aggiunge alla settimana dell'antico testamento, del giorno quindi della risurrezione di Cristo, della Pasqua, del riposo eterno, a cui si giunge con la salvezza che ci ha ottenuto il Risuscitato, e che ci comunica con il battesimo, il quale viene appunto amministrato nel giorno di Pasqua. Tutta la epist. 44 è una lunga esposizione dei valori simbolici prima del numero sette, che a S. Ambrogio sembra il numero proprio dell'Antico Testamento; e poi e più ancora del numero otto, simbolo della perfezione che abbiamo nel Testamento Nuovo. «Novit ogdoaden istam, quam octavam Latine dicimus, vetus testamentum, siquidem ait Ecclesiastes: Da parem illis septem, et illis quiden octo» (Eccle. II, 2). «Hebdomas veteris testamenti est, octava novi, quando Christus resurrexit ». (Epist. 44, 6). E ancora: «Abiit ergo hebdomas, ·venit octava. Abiit heri, venit hodie… Abiit ergo ille dies testamenti veteris, venit dies novus, quo testamentum consummatum est novum…» (ibidem 17). «In octavo numero resurrecitonis est plenitudo»: expos. ev. sec. Luc., 7, 173.
Vedi anche: explan. ps. 47, I, 3; expos. ps. 118, prol. 2.
10. - Nel 1870 per sistemare le acque di scolo in piazza del Duomo il municipio fece scavare una trincea davanti alle porte della cattedrale milanese. Nel sottosuolo furono trovati gli avanzi cli un edificio circolare e ottogonale di età romana. Non si capì allora l'importanza di una tale scoperta e il suo significato. In uno studio del 1914 Ugo Monneret de Villard sostenne per il primo che in quegli avanzi si doveva riconoscere il battistero ottogonale dell'età ambrosiana.
Nel 1943, dovendosi preparare in quella stessa area un rifugio antiaereo, Alberto De Capitani poté verificare i reperti del 1870 e almeno iniziare lo scavo per scoprire il battistero [13]. Nel 1960 in occasione dei nuovi scavi per una stazione della linea metropolitana Mario Mirabella Roberti cominciò uno scavo nuovo. Ai fini di questo nostro studio interessano soprattutto i risultati riguardanti non la basilica di S. Tecla, ma quelli dell'edificio ottagonale.
Nelle immediate vicinanze dell'abside della chiesa di S. Tecla venne scoperto un ampio battistero. Lo scavo del battistero fu iniziato nel maggio 1961 e compiuto alla fine del 1962. È questo battistero che nel medioevo venne chiamato ecclesia sancti Iohannis ad fontes. Lo scavo rivelò «un perfetto ottagono, ampio esternamente metri 19,30 fra due spigoli opposti. In ogni lato si apre all'interno una nicchia, alternamente semicircolare e rettangolare. Ad ogni angolo interno, fra le otto nicchie, stava una colonna su base con plinto quadrato. Al centro è la grande vasca ottagona col fondo in lastre di marmo, e il giro di gradini in mattoni (un tempo rivestiti di marmo) trovati quasi del tutto asportati. La vasca misura fra due lati opposti m. 5,16; il lato è di m. 2,14 È profonda cm. 80 dal piano di calpestio del battistero, che si trova a m. 2,80 in media dal piano del sagrato della piazza attuale. Una vasca davvero molto ampia ... Attorno alla vasca, incluso nel muro perimetrale, è un canale di adduzione dell'acqua, in cui quattro rotture simmetriche suggeriscono bocche di adduzione, come nelle vasche dei frigidaria delle terme ... Un canale di scarico è stato scoperto sull'asse della porta meridionale ... ». [14]
Si noti la perfetta corrispondenza di questi reperti archeologici con la descrizione dell'epigrafe: costruzione ottàcora, a otto nicchie; e fonte ottagono. Un battistero accanto alla cattedrale milanese con ogni probabilità esisteva da parecchi decenni prima che S. Ambrogio fosse eletto vescovo. Ma la iscrizione Octachorum da lui composta e da lui fatta collocare nel battistero accanto a Santa Tecla è un forte argomento per indurci a ritenere che sia stato lui S. Ambrogio a dare a quel battistero la forma ottagona; o insomma almeno a ornarlo, a dargli nuovo splendore. Questo lavoro o di innovazione o di trasformazione è sommamente probabile che sia stato fatto nei primi anni dell'episcopato di S. Ambrogio, negli anni in cui Satiro lo coadiuvava precisamente in fabricis ecclesiae (de exc. Sat., I, 20).
Pur nelle molte opere sue queste tre parole del discorso in morte del fratello, tenuto nel 378, costituiscono l'unico accenno che il vescovo faccia a costruzioni da lui promosse. Sembra che a nuovi edifici per la chiesa abbia pensato soprattutto nei primi anni del suo episcopato (avviene così anche ora, di solito). Certamente egli fece costruire due nuove basiliche a Milano, la Romana (poi chiamata Nazariana) e l'Ambrosiana, entrambe anteriori al 386. Prima che a costruire tali due basiliche, è probabile che S. Ambrogio abbia cominciato a sistemare, a fare, o almeno ad abbellire il battistero accanto alla cattedrale: first things first, dicono gli inglesi.
Riassumendo diversi studi recenti, J. G. Davies ha osservato che i battisteri più antichi, cioè del terzo e quarto secolo erano quadrati o rettangolari. Tale tipo persiste fino al secolo settimo in Egitto, Grecia, Africa, Palestina. In occidente invece (in Italia, Gallia, Istria, Dalmazia, Austria) dalla metà del secolo quinto in poi al tipo quadrato si sostituisce il tipo rotondo oppure ottagonale. Caratteristico il caso del battistero Laterano, che negli anni 432-440 viene trasformato in ottagono. Il Davies sarà lieto di vedere confermata la sua osservazione dagli scavi del battistero milanese e di sapere che la stessa osservazione l'aveva già fatta il Mirabella Roberti al Congresso di Archeologia Cristiana di Ravenna nel 1962.
11. - In un secondo tempo questo stesso unico battistero accanto alla cattedrale milanese fu o restaurato o ricostruito (si ricordi la devastazione che fecero a Milano gli Unni di Attila nella primavera del 452), e certamente ornato di marmi, di pitture, di un nuovo soffitto, per iniziativa del vescovo Lorenzo I (circa 489; circa 511). Lo sappiamo dal seguente epigramma di Ennodio; nel quale il poeta gioca anche su la omonimia del vescovo di Milano con il santo diacono di Roma:
VERSUS IN BAPTISTERIO MEDIOLANENSI FACTOS
MUNDIOR EXCOCTI FULGESCAT LUCE METALLI,
MUNERA DISPONIT QUI DARE DIGNA DEA.
ANTE VAPORATIS LAURENTI VITA CAMINIS
CONSTITIT, UT BLANDUM NOBILITARET OPUS.
MARMORA PICTURAS TABULAS SUBLIME LACUNAR
IPSE DEDIT TEMPLO, QUI PROBITATE NITET.
AEDIBUS AD PRETIUM SIC MORES CONDITOR ADDIT,
VELLERA CEU SENUM MURICE TINCTA FERAS,
QUALITER INCLUSAS COMIT LUX HOSPITA GEMMAS,
NIX LAPIDIS QUOTIENS PULCHRIOR ARTE RUBET [15]
«Più nitido brilli della luce del metallo fuso chi si accinge a fare donativi degni di Dio. Per dare maggiore nobiltà all'elegante lavoro, la vita di Lorenzo fu prima esposta ad ardente fuoco. Colui stesso che per le virtù sue già risplende ha dato in dono a questo sacro edificio marmi, pitture, quadri e il sublime soffitto. Il fondatore al valore dell'edificio quello pure volle aggiungere delle virtù sue, quasi uno che la costruzione l'adorni con cortine di seta tinta con la porpora dei Seri; come quando la luce che entra nell'edificio rende lucenti le gemme che ci sono dentro, ogni volta che il candore niveo della pietra, reso più bello dall'arte, dà riflessi purpurei». Ennodio visse a Milano dal 496 circa fino al 513. Con il vescovo milanese Lorenzo egli era stretto da vincoli di parentela e gli fece da segretario e, nonostante le sue astruserie, fu considerato come il poeta ufficiale a Milano in quegli anni. Si noti però che i reperti ottenuti dal recente scavo di questo battistero milanese di S. Giovanni accanto a S. Tecla, secondo il Mirabella Roberti, sembrano da riferire all'età di S. Ambrogio piuttosto che al tempo di Lorenzo I, almeno per l'impianto ottagono e il pavimento musivo. Lorenzo I potrebbe aver fatto dei restauri, o una nuova volta a mosaico.
Come si è detto sopra, il battistero di Santa Tecla venne usualmente chiamato chiesa di San Giovanni al Fonte nei documenti medievali: cadente ormai dopo un millennio fu demolito nel 1355, o meglio nel 1416. [16]
12. - Alcuni anni dopo lavori compiuti da Lorenzo I nel battistero di San Giovanni, sappiamo da un altro epigramma di Ennodio che il vescovo Eustorgio II (circa 511) forse costruì e certamente provvide di nuovi impianti d'acqua il battistero di Santo Stefano. La più antica testimonianza che possediamo della esistenza di questo secondo battistero milanese (che la tradizione posteriore afferma riservato alle donne) è appunto il seguente epigramma di Ennodio:
DE FONTE BAPTISTERII SANCTI STEFANI
ET AQUA QVAE PER COLUMNAS VENIT
EN SINE NUBE PLUIT SUB TECITS IMBRE SERENO
ET CAELI FACIES PURA MINISTRAT AQUAS.
PROFLUA MARMORIBUS DECURRUNT FLUMINA SACRIS
ATQUE ITERUM ROREM PARTURIT ECCE LAPIS.
ARIDA NAM LIQUIDOS EFFUNDIT PERGULA FONTES,
ET RURSUS NATIS UNDA SUPERNA VENIT.
SANCTA PER AETHERIOS EMANAT LIMPHA RECESSUS,
EUSIORGI VATIS DUCTA MINISTERIO [17].
«Ecco che qui a cielo sereno, senza pure una nube, piove, e la serena faccia dell'azzurra volta lascia scendere giù l'acqua. Onde scorrevoli discendono lungo i sacri marmi, e una volta ancora ecco che dalla pietra scaturisce l'acqua. Da un arido pergolato zampillano fonti limpide e un'onda celeste scende su quelli che sono rinati. L'acqua sacra per cura provvida del vescovo Eustorgio fluisce da cavità eteree».
Nei Manuali ambrosiani del secolo X-XI vengono ricordate nella ufficiatura domenicale al termine del matutino una processione de ecclesia in baptisterium, e una seconda processione de baptisterio in aliud (cfr. Man. Ambr. ediz. Magistretti, II, Milano 1905, p. 25, e la nota a pag. 170 della ediz. del Beroldus, Milano 1894). Fino a prova contraria, non si possono far risalire queste processioni e questa «pluralità» di battisteri a Milano oltre il secolo VI, appunto perché il secondo battistero (per le donne) con ogni probabilità fu una innovazione del vescovo Eustorgio II. Tale battistero di S. Stefano stava su l'area su la quale ora sorge la sacrestia aquilonare del Duomo; ad una distanza di circa 150 metri dal fianco orientale del battistero di S. Giovanni. La vasca del battistero di S. Stefano venne scoperta nel 1899 dall'architetto Gaetano Moretti sotto il pavimento della suddetta sacristia. Anche questa vasca è ottagona e anch'essa si trova a metri 2,80 sotto il pavimento attuale; ma è molto più piccola della vasca del battistero di S. Giovanni: questa ha il diametro di m. 5,16 e ogni lato è lungo m. 2,14; invece la vasca di S. Stefano ha il diametro di m. 3, e ogni lato misura m. 1,20. [18]
13. - Che un altro battistero paleocristiano sorgesse a Milano presso la chiesa di S. Eustorgio fuori porta Ticinese è una leggenda. Ivi venne costruita nel secolo XII una chiesetta di S. Barnaba al Fonte, che venne restaurata e rifatta dal card. Federico Borromeo nel 1623, e poi fu soppressa nel secolo seguente. In tale luogo e in tale fonte il secondo vescovo cli Milano, San Caio, avrebbe battezzato i primi cristiani milanesi: questo è il racconto che abbiamo dall'anonimo autore dell'opuscolo De situ civitatis Mediolani. Ma questo opuscolo è una composizione del secolo XI, come bene hanno giudicato il Duchesne e il p. F. Savio. [19]
Una iscrizione che stava una volta su tale fonte di S. Barnaba faceva risalire la costruzione della chiesetta al tempo di S. Protaso, vescovo del secolo IV. Tutti ora ammettono, dopo quanto hanno scritto il De Rossi, il Mommsen e il Duchesne, che quella iscrizione è «alciatina», ossia è una falsificazione o una esercitazione letteraria di Andrea Alciato (1492-1550). Scavi recentissimi nella basilica eustorgiana hanno messo in luce nuove tombe, anche cristiane: alcune del quarto secolo. Di un battistero antico non si è trovato nessuna traccia. Nessuna traccia neppure di un qualche edificio cultuale paleocristiano. Non si capisce quindi come si sia potuto scrivere che i recenti scavi di S. Eustorgio danno ora un fondamento storico alla leggenda barnabiana: già Achille Ratti nel 1897 disse e pubblicò che tale leggenda è scientificamente insostenibile.
14. - Che un altro battistero paleocristiano sorgesse a Milano presso la basilica di San Lorenzo rimane una pura ipotesi. Gli scavi compiuti da Gino Chierici sotto la cappella di S. Aquilino hanno accertato «la mancanza di ogni traccia di fonte battesimale» [20]. Non ostante questo sicuro reperto, tanto il Chierici che il Calderini scrivono che tale cappella è «nata forse come battistero».
L'unica prova per questa loro teoria sarebbero due cunicoli profondi centimetri 15, e larghi centimetri 25. Queste misure sembrano veramente minime, se tali cunicoli furono fatti come canali di adduzione e di scarico dell'acqua di un fonte battesimale. Comunque, supposto anche che la cappella di S. Aquilino sia stata costruita o iniziata come fonte battesimale per l'attigua basilica cli S. Lorenzo, rimane sempre da dimostrare che il complesso risalga veramente al secolo IV, e non invece al V.
15. - La tradizione che S. Agostino sia stato battezzato nella chiesetta a lui dedicata e che sta in via Lanzone a pochi passi dalla basilica Ambrosiana, già nel 1695 Ludovico Antonio Muratori la dimostrò senza fondamento storico e non antica. [21]
Non erano ancora passati vent'anni da quando i monaci Cistercensi vi avevano murato la lapide che vi si vede ancora con l'iscrizione che consacra tale tradizione: eppure il Muratori non ebbe scrupolo di sostenere che la lapide diceva il falso. Il battistero antico di Milano, sosteneva il Muratori, doveva sorgere non fuori dalle mura, ma nel centro della città, vicino alla cattedrale. Citava quindi dalla Historia Mediolanensis, composta da Landolfo Seniore circa l'anno 1100, le righe seguenti: Tandem nutu divino (Augustinus) non post multos dies, sicut multis videntibus et sibi consentientibus palam oberraverat, sic in fontibus qui beati Johannis ascribuntur, Deo opitulante, a beato Ambrosio, cunctis fidelibus huius urbis adstantibus et videntibus, in nomine sanctae et individuae Trinitatis baptizatus et confirmatus est. [22]
Queste righe di Landolfo dimostrano che a Milano nel secolo XI si sapeva benissimo prima di tutto che la cattedrale antica era Santa Tecla e non Santa Maria Maggiore; e poi che il battistero del tempo di Sant'Ambrogio era quello accanto a Santa Tecla, quell'edificio che veniva chiamato ecclesia sancti Johannis ad fontes. La Historia Mediolanensis di Landolfo Seniore fu pubblicata nel IV volume dei Rerum Italicarum Scriptores nel 1723 per cura di Orazio Bianchi su un codice della biblioteca del Capitolo Metrop. milanese, codice che poi andò perduto e che, in margine al passo citato sopra, portava scritto di mano antica: Fuit ergo b. Augustinus baptizatus in ecclesia S. Joannis ad fontes, quae erat inter ecclesiam maiorem et S. Theclae funditus eversae (cfr. RR. II. SS., IV, Mediolani 1723, p. 65). Questa nota la riporta anche W. Wattenbach nella sua edizione (MGH, Script., VIII, 1848, p. 41). Si noti che questo annotatore, probabilmente del secolo XV, chiama per errore ecclesiam maiorem la chiesa di S. Maria Maggiore.
Contro il Muratori sostenne la tradizione della chiesetta di S. Agostino Nicola Sormani (1732), un tipico difensore di cause perse, che nella serie dei dottori della Biblioteca Ambrosiana non brilla davvero di chiara luce. Invece il suo prefetto Giuseppe Antonio Sassi accettò e riportò gli argomenti del Muratori. Altrettanto hanno fatto Serviliano Latuada nel quarto tomo della sua Descrizione di Milano (1738), il conte Giorgio Giulini nelle sue Memorie (IV, Milano 1760, p. 460), Angelo Fumagalli nel quarto tomo delle Antichità Longobardico-Milanesi (1793), Giulio Ferrario nel suo splendido volume su i monumenti della basilica di S. Ambrogio (1824).
Nel 1843 viene interessato della questione anche Alessandro Manzoni. J.-J.-F. Poujoulat stava allora preparando la sua Histoire de Saint Augustin: per conoscere dove si doveva collocare la villa di Cassiciàcum e dove era stato battezzato il grande africano si rivolse al Manzoni come a «l'illustre représentant de la pensée catholique à Milan», Così in appendice al primo volume del Poujoulat (Paris 1845, pp. 325-330) leggiamo la lettera di risposta del Manzoni, in data 11 luglio 1843. Questi scrive che «les recherches que j'ai faites auprès de plus savants que moi n'ont abouti qu'à me faire ignorer en connaissance de cause ce qu'il m'intéresserait plus que jamais de connaitre de la manière la plus positive », Fa lunghe considerazioni su Cassiciàcum; poi per il luogo del battesimo scrive: «A Milan il n'y a malheureusement aucune trace des lieux que la conversion de saint Augustin aurait dû illùstrer à jamais. Près de la basilique ambrosienne il y a une petite église dédiée au grand saint, dans l'endroit où l'on a cru assez longtemps qu'il avait reçu le baptème. Mais cette opinion, tout a fait arbitraire et contraire à l'usage de ces temps, de n'admettre qu'un baptistère dans chaque ville (V. SASSI, Archiepiscoporum Mediolanens. Series, etc. T.I., page 83, et les auteurs qui y sont cités), est abandonnée de tout le monde .... ».
Le persone più erudite di lui il Manzoni deve averle cercate alla Biblioteca Ambrosiana. Il prefetto di allora Bartolomeo Catena (1838-1855) in una memoria letta all'I.R. Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti il 14 dicembre 1843 apertamente combatté la tradizione della venuta di S. Barnaba a Milano [23]; e deve essere suo anche l'articolo che fu pubblicato anonimo da L'Amico Cattolico nel novembre 1843: «Dov'era in Milano il battistero in cui da S. Ambrogio fu battezzato S. Agostino ?» quattro pagine precise e documentate, scritte per dimostrare falsa la opinione che il Manzoni nella lettera dice abbandonata da tutti. L'articolo con ogni probabilità fu scritto appunto in seguito alle «consultazioni» di Alessandro Manzoni.
Non è senza motivo che qui insistiamo su questa polemica del settecento, e del primo ottocento. A Pavia nell'anno 1887 Francesco Magani pubblicò una monografia su «La data e il luogo del battesimo di Sant' Agostino». Era allora il Magani prevosto del Carmine a Pavia; poi nel 1893 divenne vescovo di Parma. Si era fatto conoscere con la pubblicazione di tre volumi su Ennodio nel 1886. Nel nuovo libro del 1887 il Magani sosteneva contro il Muratori che S. Agostino era stato battezzato il 5 maggio e non a Pasqua [24] e, sempre contro il Muratori, che era stato battezzato nella chiesetta di via Lanzone. A leggere oggi le verbose pagine del Magani e i suoi strambi ragionamenti ci si meraviglia come ci fosse gente che lo prendeva sul serio. Eppure ancora nel 1930 un uomo come Filippo Meda in una sua monografia su S. Agostino si attiene alle opinioni del Magani e si sforza di trovarle non del tutto improbabili. Il p. Fedele Savio invece pubblicando nel 1913 la sua fondamentale opera su i vescovi antichi di Milano non cita mai il nome del Magani, neppure quando parla di Ennodio e di Lorenzo I; il che significava, a chi voleva capire, la nessuna fiducia che i libri del Magani meritavano.
16. - Speriamo che tra breve tutti potranno scendere a vedere gli avanzi del battistero paleocristiano di Milano. E molti verranno da molte altre contrade a meditare su l'incontro della Pasqua 387 tra il vescovo di Milano e il futuro vescovo di Ippona. Lo scavo ha dato ragione non soltanto alle intuizioni dei nostri migliori storici del settecento, ma anche ai pochi solidi dati della più antica tradizione milanese.
Annotazioni:
(1) - Cfr. Manuale Ambrosianum, ediz. Magistretti, vol. II, Milano, 1905, pag. 135; Evangeliario di Busto, fol. 5or
(2) - Si chiamano competenti «de ... simul petendo atque unum aliquid adpetendo»: AUGUST., serm. 216, I (P.L. 38, 1865, col. 1077). S. Agostino attesta formalmente di aver avuto il battesimo dalle mani di S. Ambrogio: per illius (i. e. Ambrosii) ministerium: AUGUST., epist. ad Paulinam, 147, 23, 52 (CSEL, 34, 3 28)
(3) - L'opuscolo de sacramentis viene comunemente ora riconosciuto come autentica opera di S. Ambrogio ; cioè sermones tenuti da lui ai neofiti, ma a quodam excepti, cioè non pubblicati da lui. Per talune recenti sconsiderate negazioni si veda A. PAREDI, La liturgia del «de sacramentis» in «Miscellanea Carlo Figini», Venegono Inf. 1964, pp. 59-7
(4) - Il p. O. Faller mi assicura (sua lettera del 12-1-65) che nella maggioranza dei mss. finora da lui esaminati per la edizione critica dell'epistolario si legge non in baptisteriis trabebam basilicae, ma in baptisterii tradebam basilica
(5) - Vedi la foto dei gradini nel battistero di Cuicul (Djémila) in F. VAN DER MEER, Saint Augustin pasteur d'âmes, II, Paris 1955, pag. 145, tav. VIII ; vedi pure lo schema del battistero ortodosso di Salona con quattro gradini in E. DYGGYE, History of Salonitan Christianity, Oslo 1951, fig. III, 9 ; nei mosaici bizantini raffiguranti il battesimo cli Gesù, questi è nell'acqua fino al ventre o fino al petto: cfr. il mosaico del battistero di San Marco a Venezia, quello del battistero ortodosso a Ravenna (cfr. Garucci IV, tav. 226), quello della chiesa di Daphni in Grecia; cfr. anche DACL, 2, 1910, col. 361, 362, 369, 370, 372, 374, 407
(6) - Per il battistero di S. Pietro a Roma dr. A. FERRUA, in Civiltà Cattolica, 1939, II, pp. 146-157; per l'unico battistero nelle città episcopali, dr. G. VISCONTI, Observat, ecclesiast. vol. I, Mediolani 1615, pp. 19-24 ; E. MARTENE, de antiquis ecclcsiae ritibus, vol. I, Rotomagi 1700, p. 12; P. TESTINI, Archeologia cristiana, Roma 1958, p. 623
(7) - Si vedano le attestazioni di questi evangeliari riportate da A. DE CAPITANI D'ARZAGO, La chiesa maggiore di Milano, Milano, editrice Ceschina 1952, pp. 61-72
(8) - « Item dicam si vobis placet audire quare ecclesia salvatoris ubi dicitur sancta Tegla est maior illa sancte Murie…»: Liber Notitae Sanctorum Mediolani, ediz. M. MAGISTRETTI - U. MONNERET DE VILLARD, Milano 1917, col. 340 B ; il Liber Notitiae fu compilato nel 1304-1311, ma contiene materiali molto antichi. Vedi i testi di Galvano Fiamma in DE CAPITANI, op. cit., pag. 82-8
(9) - Cfr. A. SILVAGNI, Studio critico sopra le due sillogi medievali di iscrizioni cristiane Milanesi, in Rivista di Archeologia Cristiana, XV, Roma, 1938, pp. 107-122 ; 249-279
(10) - Il sermone In reparatione ecclesiae Mediolanensis si trova nel MIGNE, P.L. 57, col. 469-472. Sì veda su questo discorso quanto scrive il DE CAPITANI, op. cit., pp. 29-35; anche vedi F. SAVIO, Gli antichi vescovi d'Italia, La Lombardia, parte I, Milano, Firenze 1913, pp. 172-173. La «prima» cattedrale, la chiesa « maggiore» rimase sempre questa di santa Tecla; anche quando dal secolo nono in poi ci fu vicino a S. Tecla la chiesa di S. Maria Maggiore. Questa di Santa Maria fu la cattedrale «seconda», la minore, la iemale; precisamente come a Roma la basilica di Santa Maria «Maggiore», o Liberiana, non soppiantò mai nella qualità di chiesa cattedrale la basilica Lateranense. Queste cose già le ha dimostrate il SAVIO (cfr. volume citato pp. 868-869) fin dal 1913; eppure vari autori ancora continuano a confondere e dicono Santa Tecla la cattedrale seconda e Santa Maria la prima: cfr. per esempio il Leclercq in Dict. d'Arch. Chrét. et Lit. XI, Paris 1933, pag. 1065
(11) - Cfr. lo studio di G. B. PIGRI in «Aevum» 18, Milano 1944, pp. 16-23. Da dove ha potuto sapere il collettore dell'epigrafe che i versi erano una composizione di sant'Ambrogio? «Io penso - mi scrive il p. Antonio Ferrua in una lettera del 22.2.1966 - che egli lo seppe da qualche parte in prosa della epigrafe che egli non trascrisse, come fecero alcuni di questi collettori che andavano dietro soltanto alle belle poesie e lasciavano tutto il resto. Così fece appunto lo stesso collettore di Lorsch per il carme di Gorgonio, Nereo ed Achilleo, Eusebio, altri. Né erano gente da far richieste su gli autori delle poesie, che essi copiavano»
(12) - Cfr. OTHMAR PERLER, L'inscription du baptistère de Sainte-Thècle Milan et le De Sacramentis de Saint Ambroise, in «Rivista di Arch. Cristiana», 27, Roma 1951, pp. 145-166. Al verso 9 il PERLER legge uolent : io preferisco la lezione del manoscritto che è uolunt invece si deve leggere, come fa il PERLER, probrosae, e correggere l'errore del copista
(13) - Per gli scavi del 1870 e più ancora per quelli del 1943 si veda il volume citato di Alberto De Capitani d'Arzago. Lo studio di U. MONNERETE DE VILLARD, Note di archeologia Lombarda, è in «Arch. Storico Lombardo», XLI, Milano, 1914, pp. 5-46. Si deve ricordare che il suo volume su la chiesa maggiore di Milano il De Capitani lo lasciò manoscritto e incompiuto, non deve quindi meravigliare che egli basandosi sul Savio (op, cit. pp. 877-879) parli di un battistero accanto alla basilica vetus e di un diverso battistero accanto alla basilica nova (cfr. nel suo libro citato, pag. 85). Questo duplice battistero fu immaginato dal Savio in funzione della sua teoria su la posizione della vetus. Se avesse potuto condurre a termine il suo studio anche il De Capitani avrebbe dovuto concludere che il battistero milanese nell'età ambrosiana non poteva essere che uno solo, dovunque fosse. Anche quanto dice il Perler (art. cit. p. 166) su il battistero della vetus suppone che la vetus sia da identificare con San Lorenzo; e che accanto a S. Lorenzo ci fosse un battistero: cose tutte ipotetiche
(14) - Cito da MARIO MIRABELLA ROBERTI La Cattedrale antica di Milano e il suo Battistero, in «Arte Lombarda» VIII, Milano 1963, pp. 77-98. Ci permettiamo di osservare al chiar.mo professore che quanto egli dice a pag. 91, cioè che il famoso epigramma «Octachorum» fu letto da Ennodio nel battistero, è cosa assai probabile, dato che Ennodio visse a Milano quasi vent'anni prima di diventare vescovo di Pavia; ma non provata da alcun testo di Ennodio. Che poi s. Ambrogio abbia portato a Firenze reliquie degli Apostoli (pag. 95) non è vero: a Firenze S. Ambrogio portò qualche reliquia dei martiri Vitale e Agricola dai lui dissepolti a Bologna (cfr. AMBROS., exhortatio virginitatis, Migne. P. L. 16, 1880, col. 351). Utili grafici e foto dei battisteri paleocristiani si trovano nel volume di J. G. DAVIES, The Architectural Setting of Baptism, London 1962
(15) - Testo di VOGEL: MGH, Auct. Antiq. VII, Berolini 1885, p. 157; cfr. anche DACL, XI, Paris 1933, p. 1014; SAVIO, op. cit., p. 209
(16) - Sembra da assegnare al 1410 la definitiva demolizione della chiesa-battistero di San Giovanni al Fonte, perché in quell'anno il 16 luglio fu consacrato un nuovo altare in Duomo e dedicato a San Giovanni Battista: in esso furono messe le reliquie che stavano nella demolita chiesa-battistero: cfr. la nota di Magistretti in Beroldus, pag. 171
(17) - Testo di VOGEL: op. cit., pag. 271; DACL, XI, col. 1015, SAVIO, op. cit., pag. 217-218
(18) - La relazione degli scavi del 1870 è riportata da De Capitani nel volume citato, pp. 187-191
(19) - Il problema dell'età della redazione del de situ fu già risolto e definitivamente da L. DUCHESNE nei Mélanges G.B. De Rossi, Paris-Roma 1892. Ampiamente riprese la questione F. SAVIO, op. cit., pp. 661-758, che giunse alle stesse conclusioni del Duchesne. Non è vero che il Monneret nella sua introduzione al Liber Notitiae abbia «dimostrato» la impossibilità di attribuire il de situ a Landolfo Seniore. Già L. A. Muratori consigliava ai lettori di Landolfo la massima prudenza: adagio a credere alle sue affermazioni, perché è un falsario! E così lo hanno giudicato anche il GIESE-BRECHE, Geschichte der deutschen Kaiserzeit, II, 574; e il WATTENBACH MGH Script., VIII, p. 34. Le lunghissime pagine di ALESS. COLOMBO nella prefazione alla nuova edizione del de situ nei RR.II.SS., Bologna 1952, non apportano nulla di novo. Anche A. VISCARDI, che riporta nella Storia di Milano, III, 1954, pp. 736 ss. le considerazioni del Colombo, sembra consentire alla sua opinione e fa risalire la composizione del de situ all'età di Carlo Magno o all'età di Ansperto. Questi studiosi non hanno capito la forza dell'argomento «liturgico»; il Duchesne prima di scrivere le sue pagine si prese cura di esaminare sette messali milanesi del secolo X-XI. Il nome di Barnaba lo si legge per la prima volta nei testi liturgici milanesi nel secolo XII ineunte, cioè nel Calendario così detto Sitoniano (cfr. MAGISTRETTI, Beroldus, pp. 7 e 139) e poi nel messale di Bedero (ms. ambrosiano D. 87. sup., fol. 221 r) del secolo XII, e poi in tutti i messali posteriori. Manca invece in tutti i messali del secolo IX e X e XI. Vedi la prefazione alla edizione recente del Sacramentario Bergomense, Bergamo 1962, pag. XXII. L'argomento «liturgico» documenta in maniera indiscutibile che il de situ. non può essere anteriore al secolo XL Si vedano le recensioni al lavoro del Duchesne in Civiltà Cattol., serie XV, vol. VI, 17 giugno 1893; e in Analecta Bolland, VII, 1893, pp. 454-459: pagine ancora utili ed efficaci
(20) - Cfr. A. CALDERINI, G. CHIERICI, C. CECCHELLI San Lorenzo Maggiore, Milano, 1952, pp. 183, 49, 110, 141 ecc.
(21) - L. A. MURATORI, Anecdota quae ex Ambrosianae bibl, codicibus nunc primum eruit ... , tom. I, Mediolani 1697, pp. 174-175
(22) - MGH, Scriptor., VIII, 1848, pp. 41-42; Migne, P. L. 147, Paris 1879, col. 833. Dopo il battesimo, continua Landolfo, i due santi cantarono il Te Deum. Questa è la più antica attestazione «milanese» della leggenda dell'origine ambrosiano-agostiniana del Te Deum; mentre in Francia è già ricordata in uno scritto dell'anno 859 di Hincmaro di Reims, cfr. Migne, P. L. 125, 1879, col. 290. Vedi E. KÄHALER, Studien zum Te Deum, Göttingen 1958, pp. 111-113. Il passo citato di Landolfo Seniore è tolto dalla sua Historia Mediolanensis, che non ha niente a che fare con La Datiana o de situ. Anche il Kähaler , come ancora il Leclercq (DACL. XV, 1950, col. 2030), cita quel passo come se fosse da una Chronica Datii o Datiana: questo errore è già in parecchi scrittori (il Corio, l'Alciati ecc.), come già spiegò il Muratori nella prefazione a Landolfo (Rer. Ital. Script., IV, 1723, p. 51). Difatti una mano recenziore al principio del ms. ambrosiano H. 89. inf., che contiene la Historia Mediolanensis, scrisse il titolo spurio di Chronica Datii. La mano recenziore fu sicuramente quella di Francesco Castelli (1532-1578), come si può vedere confrontando nel ms. il fol. 8R con il fol. IR. Invece fu il primo L. Biraghi a dare il titolo di Datiana Historia all'opuscolo de situ civitatis Mediolani nella sua edizione del 1848. Vedi il Savio, op. cit., pp. 661-662
(23) - Cfr. Giornale dell'I. R. Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti e Biblioteca Italiana, tomo VIII, Milano 1843, pp. 153-179
(24) - Nei martirologi a partire dalla fine del secolo XV, e quindi anche nel Martirologio Romano, la Conversione di S. Agostino è segnata al 5 maggio «Quaerenti quam ob causam conversio S. Augustini ad diem 5. maii recoli coepta sit, id unum reponimus non eo die sed proximo 7. mii in hieronymianis iterato recurrere memoriam Augustini episcopi, quem tamen non esse Hipponensem alio loco ostendimus»: così i Bollandisti nel Martyr. Roman. scholiis historicis instructum, Bruxelles 1940, p. 174. Nei libri liturgici milanesi non c'è la memoria della Conversione di S. Agostino; invece la festa della sua depositio al 28 agosto c'è in tutti i messali fin dal secolo nono, ma non c'è nei due evangeliari milanesi più antichi vuol dire che tale festa si introdusse a Milano nel secolo ottavo, non molti anni dopo che il re Liutprando circa il 726 fece portare dalla Sardegna a Pavia le reliquie del santo: cfr. Socram Bergomense, Bergamo 1962, pp. XXIII-XXIV.