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Alberto Pincherle: Giovinezza e maturità di Agostino

La copertina del libro edito nel 1930

La copertina del libro

 

 

 

GIOVINEZZA  E MATURITA' DI AGOSTINO

di Alberto Pincherle

tratto dal libro Sant'Agostino d'Ippona, vescovo e teologo, pp. 77-81 pubblicato a Bari da Laterza nel 1930

 

 

 

Abbandonare, dunque, l'esercizio della professione: ma subentrarono subito considerazioni di opportunità. Alipio era libero, dopo aver funzionato da adsessor, cioè da consigliere tecnico, come giurisperito, di un magistrato che tra le altre funzioni doveva esercitare anche quelle giudiziarie, senza avere le necessarie cognizioni di diritto; e attendeva di riprendere l'esercizio della professione libera. Agostino era invece ancora impegnato dalla scuola e così Nebridio che per consiglio degli amici aveva accettato di fare da assistente al grammatico Verecondo. Ma non mancava ormai molto alle vacanze autunnali, fissate definitivamente da un editto di Valentiniano II e Teodosio fra il 22 agosto e il 15 ottobre; Agostino decise dunque di aspettare la fine dell'anno scolastico, per lasciare il suo posto senza dar troppo nell'occhio; anzi, poiché cominciava a sentirsi stanco, respirava male e la voce già non era più limpida e forte, fu deciso che avrebbe offerto le dimissioni per motivi di salute: un pretesto, in sostanza, ma non infondato.

Anzi nei primi trattati egli adduce questa sola ragione di aver abbandonato l'insegnamento: è chiaro che preferiva insistere su questa. E non è improbabile ch'egli avesse ragione di temere che al suo improvviso ritiro, in un momento tanto grave, qualcuno fosse tentato di annettere un significato politico. Verecondo, amico comune, marito di una cristiana ed egli stesso intimamente già convertito, ma più desideroso di seguire la vita ascetica che di vivere in mezzo al mondo anche dopo aver ricevuto il battesimo, mise a loro disposizione la sua villa.

Sorgeva questa a Cassiciacum, che già il Manzoni credette di poter ravvisare nel villaggio di Casciago presso Varese; ma è, con molta più probabilità (e anche il Manzoni poi si ricredette) Cassago in Brianza, nella regione che serba ancora nel nome il ricordo dei primitivi abitatori Liguri e Celti. Il paese, discretamente ameno, è in vista dei monti della Valassina, ai quali possono alludere certi versi di Licenzio. Accenni di Agostino stesso al clima e alla serenità del cielo rendono probabile l'identificazione e in ogni modo impediscono assolutamente di pensare alla Bassa Lombardia. Là Agostino e i suoi amici trascorsero l'autunno e l'inverno, trattenendosi spesso, anche a lungo, all'aria aperta, sotto quel cielo di Lombardia, così bello, quando è bello, ma tanto diverso da quello dell'Africa. E sono un discreto gruppo: Agostino, Alipio, Licenzio i e Trigezio, i cugini di Agostino, Lastidiano e Rustico, suo fratello Navigio, Monnica, e il giovinetto Adeodato. Venuta la fine delle vacanze, Agostino inviò le sue dimissioni e scrisse anche ad Ambrogio, chiedendogli quali libri avrebbe potuto leggere per essere confermato nella fede.

Il vescovo gli indicò Isaia; che Agostino, dopo un primo tentativo, mise tuttavia da parte. Secondo il racconto delle Confessioni, la vita che si conduceva nella villa di Cassiciaco era suppergiù quella di una comunità d'asceti, la lettura preferita e ordinaria quella dei salmi; ma le Confessioni stesse notano che i libri scritti colà e le discussioni che vi si tenevano, sapevano ancora di scuola: come avviene, dice Agostino, all'atleta che mantiene il respiro affannoso anche durante i riposi.

La giornata doveva essere ben divisa, sì che il tempo trascorreva piacevolmente; ma senza che le varie occupazioni fossero ripartite in maniera fissa. Si occupano dell'andamento delle faccende agricole; i giovani continuano i loro studi e le loro esercitazioni, leggono e commentano Virgilio, probabilmente le Georgiche, Licenzio continua a comporre il suo poema su Piramo e Tisbe; ma Agostino cerca di distoglierlo dalla poesia, per attrarre anche lui verso la filosofia. E, insieme con qualche lettura edificante, soprattutto di filosofia si occupano per l'appunto, leggendo ma molto più discutendo: Agostino presiede alle dispute, dirigendone il corso, e traendo le conclusioni, Monnica, appena libera dalle faccende domestiche, interviene, con la parola della fede sincera e semplice che, in ultima analisi, si trova sempre essere d'accordo con le conclusioni cui perviene, ragionando e dimostrando, la vera e sana filosofia.

S'interessano a questioni naturali: un giorno, i giovani osservano che le due parti di un verme, tagliato con lo stilo che hanno seco, continuano a vivere, e le portano ad Agostino e Alipio, proseguendo l'esperimento in loro presenza. Una vita, dunque, più da libera comunità di studiosi, che da monaci veri e propri; ma non bisogna dimenticare che vivevano in mezzo alle verdi campagne della Brianza, non nei deserti d'Egitto e di Siria; che aspiravano "a convincersi sempre più della bellezza, della bontà, dell'ordine dell'universo creato, non a sfuggire il male insito nella materia o nell'uomo; che aspiravano a conquistare la pace dell'animo e la suprema salvezza, non a combattere il demonio o a mantenersi pronti come in attesa della prossima fine del mondo; che, infine, la piccola comunità non doveva dipendere dal proprio lavoro per il sostentamento ed era composta di equilibrati latini educati - e non solo per essere vissuti a contatto con la corte - a osservare in tutto un decoro romano; che, infine, san Benedetto non era ancora venuto a regolare minuziosamente, accogliendo concezioni nate più tardi, la giornata dei monaci in ogni particolare; e che, infine, Agostino e i suoi amici non erano ancora cristiani. Molto vicini, però, al cristianesimo: a una religione cioè che prescriveva di credere, per spontaneo atto di fede, quello che la ragione era in grado di scoprire da sè e dimostrare.

Questo è, in sostanza, il motivo fondamentale e dominante negli scritti di questo periodo: a redigere i quali Agostino deve anche aver dedicato parecchio tempo, probabilmente mentre i giovani attendevano ai loro studi; e non è improbabile che, man mano che li veniva componendo, li leggesse ai compagni; come poi, una volta finiti, li mandava a Nebridio rimasto a Milano. Attività letteraria intensa e senza precedenti nella vita di Agostino: e già per questo solo fatto sarebbe notevolissima. Ma anche altri caratteri distinguono il gruppo delle opere scritte a Cassiciaco e negli anni immediatamente successivi, da tutto il resto della produzione agostiniana.

Questi caratteri sono l'unità e l'organicità, in primo luogo, e, in secondo luogo, la rispondenza a un piano determinato, che non è difficile ritrovare. "Strettissimo è il vincolo che unisce l'uno all'altro questi scritti, ciascuno dei quali riprende e sviluppa in modo particolare un singolo punto; ma il motivo fondamentale è il medesimo, cioè che conoscere la verità è possedere Dio, e la sapienza è predominio della ragione sui sensi. A questo conducono tanto il cristianesimo quanto la filosofia, ma quest'ultima mediante l'esercizio della ragione, e quindi in maniera ben superiore: avversario comune, il manicheismo. Chè anche il Contra academicos, rivolto in apparenza contro gli scettici dell' Accademia nuova è in realtà un'esortazione alla filosofia: il suo scopo è di mostrare che la verità si può conoscere e che lo scetticismo degli accademici non fu se non un'arma polemica contro gli stoici, ma la dottrina di Platone si è trasmessa attraverso l'insegnamento esoterico fino ai filosofi contemporanei di Agostino.

Questa conoscenza della verità e moralità superiore, alla quale conducono, per strade diverse, religione e filosofia, è la beatitudine; a riconoscere l'esistenza di Dio si giunge mediante la vita contemplativa, che permette di riconoscere l'ordine che regna nell'universo. E a quest'ordine deve corrispondere la via seguita dall'anima umana nel ritorno sopra sè stessa: l'ordine degli studi. Non è dunque improbabile che il De ordine fosse concepito come introduzione a quell'enciclopedia delle arti liberali, alla quale Agostino allora pensava. Ma la tesi del ritorno dell'anima su sè stessa, cioè alla funzione impostale dalla sua natura divina, implica appunto l'immortalità dell'anima stessa, e per conseguenza la sua immaterialità. E sull'immortalità dell'anima Agostino si trattiene nei due libri dei Soliloquia, in forma di dialogo tra l'autore e la sua stessa ragione.

 

Era venuta intanto la primavera; al principio della quaresima, Agostino ritornò dunque a Milano, con Alipio e Adeodato, per ottenere l'iscrizione tra i competentes, i catecumeni cioè ritenuti maturi che avrebbero ottenuto il battesimo per la Pasqua successiva. E nella notte sul 25 aprile 387 egli otteneva il lavacro rigeneratore, per mezzo di Ambrogio. Una leggenda tardiva attribuisce ai due santi uniti in questa circostanza solenne la composizione del Te Deum, di cui ciascuno avrebbe cantato, improvvisandola, una strofa.

Non è che una leggenda dell'alto Medioevo, ma molto bella, e piena di significato.