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Percorso : HOME > Cassiciaco > Vexata quaestio > Camillo De RomanisCAMILLO De Romanis: Il ritiro di Cassago
La copertina del libro
SANT'AGOSTINO - IL SANTO DOTTORE NELLA VITA E NELLE OPERE
P. ALFONSO CAMILLO DE ROMANIS O.S.A. ROMA
- SCUOLA SALESIANA DEL LIBRO NELL'ISTITUTO PROFESSIONALE PIO XI
DA PARTE NOSTRA NE PERMETTIAMO LA STAMPA -
ROMA 21 SETTEMBRE 1931
P. EUSTACHIO ESTEBAN - PRIORE GENERALE O.E.S.A.
Pag. 67 e segg.
Capo Quarto
- Abbandona "la vendita di ciarle" - Nel silenzio della quiete di Cassiciaco - La notte di Pasqua del 387 - "Te Deum Laudamus" - A Ostia Tiberina - "Eravamo soli in dolcissimo colloquio" - L'Anima pia di Monica si scioglie dal corpo - Un anno a Roma - (anni 386 - 388)
1. Trasformato nell'animo Agostino non ebbe dubbii. Doveva romperla ancora con la sua vita di maestro. La professione del retore non si confaceva assolutamente ai suoi nuovi propositi di totale abbandono a Dio e al servizio della vera sapienza. Benché gli riuscisse pesante, seguitò la scuola per quella ventina di giorni che lo separavano dalle vacanze, non volendo suscitare intorno a sé del rumore - benevolo o malevolo a seconda degli umori - ma certo e largo. «L'aspirazione e il proposito mio avrebbe pur riscosso delle lodi, pareva un atto di vanagloria l'abbandonare una professione pubblica ed esposta allo sguardo di tutti, così senz'altro, non attendendo le vacanze ormai tanto vicine. Il volerle prevenire avrebbe potuto essere interpretato come desiderio di passare, in certo qual modo, per un gran uomo, provocando un' infinità di chiacchiere da parte di tutti coloro che avessero notato, appunto, l'imminenza delle vacanze stesse. Ora, che interesse avevo io a che si facessero apprezzamenti e dispute sulla mia condotta e fosse biasimato il nostro bene?» [1] Inoltre Egli era un professore stimato e se ne aspettavano grandi vantaggi agli alunni. La sua decisione non poteva non sollevare opposizioni. Gli soccorse a buon punto lo stato della sua salute: s'era troppo affaticato a scuola, ed ora sentiva male al petto, respirava con qualche difficoltà, sentiva a tratti dolori e la voce si faceva roca e stanca. Da principio questa cosa l'aveva preoccupato: ora nella ferma, intera volontà di darsi a Dio gli fu d'allegrezza, perché «aveva una buona ragione presso i genitori degli alunni, che per amore dei figli non lo avrebbero mai lasciato libero.» [2]
I giorni lenti, eterni passarono; le scuole si chiusero, passarono ancora le vacanze; al termine di esse Agostino rinunziò alla scuola, [3] e fu libero di raccogliersi nel silenzio e nella solitudine. Ma dove ritirarsi? Gli venne a proposito l'offerta dettata da generosa gratitudine a un amico milanese, il grammatico Verecondo. Nebridio, tanto amico, di Agostino e che per stargli vicino, come dicemmo, era venuto a Milano, pregato vivamente da Verecondo, l'aveva supplito a scuola. Ora Verecondo possedeva una villa poco distante da Milano, Cassiciaco. Egli la mise a disposizione di Agostino e dei compagni. Bell'esempio d'amicizia, che con semplicità e affetto soccorre, anche quando il soccorso dà un dispiacere: ché dispiaceva a Verecondo, non il lasciare agli amici la villa, ma il doversi perciò separare da essi. Egli si sarebbe unito volentieri ad Agostino nella sua nuova vita di perfezione. Ma aveva moglie, una fedele cristiana, benché egli cristiano ancora non fosse. Era uno di quegli uomini ch'hanno per motto: tutto o nulla; interpretandolo talvolta un po' stranamente. Legato in matrimonio, non poteva battere la strada intrapresa d'Agostino «né voleva diventar cristiano che a patto di essere libero com'ero io» dice Agostino; che però soggiunge: «Tu o Signore l'hai fatto tuo. Noi eravamo a Roma quand'egli cadde ammalato e morì. Però, nonostante la nostra assenza, diventò, durante la malattia, cristiano e fedele. Per tal modo Tu mostrasti la tua compassione non solo verso di lui ma anche verso di noi, cui risparmiasti l'intollerabile cruccio di ripensare alla cortesia squisita di quell'amico, senza poterlo annoverare nel tuo gregge.» [4]
E legato dagli impegni assunti neanche Nebridio poté seguire Agostino. La sua assenza dovè essere molto sentita. Indagatore sagace del vero e del bello: «odiava molto risposte brevi a questioni importanti», [5] fin da Cartagine aveva cercato ritrarre Agostino dai deliri degli astrologi. Non sembra sia stato manicheo, anzi appare impugnatore di dottrine manichee [6]. Solo fu infetto dall'errore di non credere reale il corpo di Cristo. Non molto dopo la conversione e il battesimo di Agostino, fattosi cristiano, servendo Dio con delicatissima castità insieme ai suoi, resisi cristiani anch'essi, morì in Africa, circa il 390 [7]. Dal ritiro di Cassiciaco Agostino gli faceva pervenire sue lettere e i trattati che veniva componendo [8].
Dunque lasciato a Milano Verecondo e Nebridio, Agostino con Monica, il figlio Adeodato, il fratello Navigio, Alipio, i cugini Lastidiano e Rustico e due discepoli il giovanetto Licenzio e Trigezio, già ufficiale, [9] si portano alla villa di Verecondo verso la fine di Ottobre o il principio di Novembre [A]. Dagli scritti di Agostino, ivi composti, si può formare una certa idea di Cassiciaco. Posto in amena posizione, donde lo sguardo spaziava per l'opulenta regione, aveva una casa campagnola, non molto grande (infatti per le dispute si radunavano nella sala del bagno); [10] un po' malandata per l'abbandono - se nelle camere la notte se la divertivano i topi. - [11] Però ricompensava con la quiete e la libertà. Aveva, e in molto migliore condizione, un edificio per bagni separato dalla casa. [B] Innanzi alla casa era un orto, accomodatissimo nei giorni sereni ad accogliervi gli ospiti disputanti. Del resto, benché Agostino si fosse ritirato a Cassiciaco nei mesi che precipitavano verso l'inverno, poté pur godere, Egli che tanto amava la luce «dolce amica degli occhi», giornate in cui sorrideva il cielo di Lombardia, così bello quando è bello , e allietava un dolce tepore, tanto gradito ad africani, nati per inebriarsi di sole. Ecco infatti il principio d'una conversazione: «sorto un sole splendidissimo la serenità del cielo e l'aria temperata, quale può aversi d'inverno in quei luoghi, ci fé scendere nel prato». [C]
Agostino in questo ritiro campestre sente vivamente d'essere l'uomo nuovo: tutto d'intorno gli dava le note pel canto della sua vita che ripeteva col profeta: «Cantate al Signore un canto novello». Nuova e rinnovellantesi ogni giorno la vita di Agostino: non più sottomessa alla brama dei piaceri, ormai licenziati; però non triste e grigia: anzi lieta, ché sono scomparsi l'incertezza ansiosa, il conturbamento, il corruccio che l'aduggiavano; il viso s'è spianato in placida calma. A Cassiciaco si mena una vita di preghiera, di meditazione, di studio. Cibo semplice e parco, riposo misurato: per sollievo i bei panorami, il nutrire lo sguardo nella giocondità della campagna e degli spettacoli della natura. Le occupazioni intellettuali s'abbassano di tono nella cura delle incombenze della masseria, che Verecondo ha interamente affidato agli amici; si alternano i lavori campestri. Monica è la madre che cura i bisogni di quei suoi figli così diversi, ma non tralascia di partecipare alle loro discussioni. Alipio di tanto in tanto fa delle gite a Milano [12]. Non sappiamo con certezza il perché; ma sicuramente doveva costringerlo qualche necessità, ché gli doveva riuscire poco piacevole abbandonare la dolce quiete e la compagnia degli amici. Però il sentimento di doverosa carità gli faceva fin d'allora assumere quella divisa di pellegrinante, colla quale in seguito, già vescovo, per bisogni molto importanti e verso terre molto più remote, lo vedremo portarsi in regioni divise da montagne e da mari. Licenzio e Trigezio, ricevono ancora lezioni letterarie da Agostino. Ma ormai le lettere sono state sistemate; non più regine e dominatrici, bensì aiuto a ingentilire l'animo e a diffondere meglio il bene.
Agostino, convertito, non è, neanche nel fervore dei primi giorni, un iconoclasta della letteratura. Certo non la riguarda quale fine, bensì come un mezzo: e i mezzi non si scambiano col fine: ma nemmeno, si buttano via e si calpestano. Perciò a Cassiciaco si legge e si spiega Virgilio: solo non permettendo che assorba o distragga da pensieri più alti e migliori. L'attenzione d'Agostino e dei suoi compagni si concentra sui problemi che si riferiscono alle verità supreme. Le discussioni quotidiane sono precedute da lunga, attenta considerazione e meditazione. Lo studio gli aveva fatto prendere l'abitudine di vegliare almeno metà della notte - la prima o la posteriore secondo l'opportunità - in profondo raccoglimento [13]. In tal modo, preparata la materia, le discussioni del giorno non si riducevano ad accumular parole su parole, a un macinare a vuoto, per assenza di nutrito pensiero. I problemi, già prima predisposti ed esaminati da ogni lato, erano poi ampiamente discussi. Dalle discussioni d'Agostino e dei compagni abbiamo i libri composti a Cassiciaco. Era uso molto comune nel Basso Impero di raccogliere in iscritto discorsi, conversazioni, dispute. In pubbliche adunanze e in riunioni private si chiamavano notarii, i quali non lasciavan cader parola di quanto si veniva dicendo. Agostino volle che alle sue dispute di Cassiciaco, assistesse lo scrivano raccoglitore, non volendo che alcunché perisse e il vento disperdesse il loro lavoro, ma fosse invece conservato per opportuno ammaestramento. Vi fu indotto anche da una ragione di salute. Le sue condizioni fisiche non gli permettevano di forzar troppo la voce e, con ripetizioni, tornar su la materia trattata: la presenza del notario, era garanzia di maggior considerazione nel parlare e insieme dava la possibilità di far rileggere il già detto. [14]
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2. I libri di Cassiciaco conservano tutta la freschezza d'una conversazione, animata, viva, a tratti arguta, e insieme testimoniano profonda dottrina. Meraviglia che siano opera d'un convertito di ieri. Certamente la scienza d'Agostino raggiungerà in seguito vette molto più sublimi: ma fin d'ora è tale da offrire preclaro esempio della sentenza che Egli proferirà un giorno: «Si trovano catecumeni i quali per dottrina e buoni costumi superano molti fedeli.» [15]
Il primo libro è il Contro gli Accademici: Interlocutori principali Agostino e Alipio, dei quali, nonché il senso, sono riportate le parole; Trigezio e Licenzio assumono le parti degli Accademici; dice poche parole Navigio. Per le assenze di Alipio le conversazioni furono interrotte e intramezzate da altre che diedero origine al libro Sulla vita beata [16]. Il Contra Academicos, dedicato a Romaniano, con sentimenti di gratitudine e con intento d'apostolato, essendo il ricco e munifico Tagastense ancora impigliato in errori, gli doveva riuscire particolarmente gradito, perché tra gli interlocutori era il figlio Licenzio. Vi sono confutati i dubbiosi del vero e del bene, tanto numerosi in tempi di rovine e di crisi, come quello di Agostino - e come il nostro -; nei quali la stessa irreligione non è più l'esclusione assoluta e recisa del soprannaturale, negazione che trascende le sue forze, bensì il dubbio che permette però ugualmente rigettare i doveri religiosi e morali.
Dubitando delle verità speculative si crede in diritto di non sottomettersi al Vangelo, alla religione del sacrificio, della carità, dell'umiltà, della mortificazione dei sensi e dell'orgoglio; non compresa, non concepita. Agostino ricaccia in trincea, questa pretesa di non raggiungere il vero, e mostra com'essa sia la morte non solo delle verità speculative, ma d'ogni altra verità e, logicamente, della stessa vita. Dai colloqui pomeridiani, presenti tutti gli ospiti di Cassiciaco meno Alipio trattenuto a Milano, risulta il libro ricordato De beata vita. Seguono i due libri De ordine, e la serie si chiude coi Soliloqui, sublime e solitaria sinfonia, dialogo tra Agostino e la ragione, inteso alla ricerca della scienza di Dio e dell'anima: ridondanti di teneri sentimenti, di profonde considerazioni, sagaci in ricercare e analizzare i desideri e i moti spirituali; che spesso si slanciano in voli arditi. [D] Una caratteristica, benché secondaria non trascurabile, di questi libri è ch'essi ci mostrano Agostino attento osservatore della natura e delle minute circostanze. [E] Il letterato non è davvero morto: ma ora le lettere sono vaso salutare, per porgere pura e refrigerante sapienza. Agostino non è più il puro filosofo. Le sue opere, in nessuna parte sono mero esercizio dell'intelletto. I tempi della retorica e della poesia sono passati: lo sforzo della mente è assorbito o almeno subordinato, a necessità d'apostolato e di perfezionamento religioso. Egli stesso ci mostra il suo animo; (ripetiamo, ché non sarà di danno.) Gli uomini, come naviganti in mare procelloso, cercano raggiungere la sponda del bene. Però il porto della vita beata è serrato da un monte altissimo, causa d'angustie, di pericoli: per girarlo e superarlo fa duopo di cure straordinarie e di precauzioni infinite. La filosofia non basta, anzi la filosofia sola, facilmente, genera essa l'ostacolo, inganna e spinge a fracassarsi fra questi scogli. Bisogna ricorrere all'autorità divina, e bisogna abbandonare ogni vana cupidigia e ogni desiderio di grandezza umana [17]. Questa la nuova filosofia che Egli seguirà e di cui a Cassiciaco ha cominciato a porre gli elementi. Ma sono elementi che si direbbero già scienza completa e alta. Fin da questi primi giorni appare quanto profondo fosse stato il cambiamento di Agostino, e la conversione veramente radicale. Alcuni hanno detto (e vi ho accennato) che la crisi d'Agostino è stata, forse, più famosa [fumosa] che reale, che il professore di Milano, molto più spesso che non si dica comunemente, s'incontra col solitario di Cassiciaco, col monaco di Tagaste e col vescovo di Ippona. Io narro e non polemizzo: ma la semplice narrazione basta a dissipare fin l'ombra dell'affermazione che volesse porre la conversione d'Agostino come un puro mutamento esterno, uno scambio di etichetta. A Cassiciaco la sua vita è una vita di orazione, d'intenso raccoglimento: e la preghiera raggiunge la cima sublime, donde discendono i miracoli. Narra Agostino: «Quando potrò ricordare tutto quello che m'avvenne durante le vacanze? Non ho dimenticato né l'asprezza del martello con che mi battevi, né il pronto soccorso della tua misericordia. Mi mandati un dolore di denti, così spasmodico che non potevo parlare; e allora mi venne in cuore di far capire a tutti i presenti che ti pregassero per me, o Dio autore d'ogni sanità. Scrissi questo mio desiderio sulla tavoletta incerata e la porsi loro a leggere. Metterci in ginocchio e sparire il dolore fu tutt'uno. Che dolore! E come scomparve! Confesso, mio Signore Dio mio, che restai spaventato: perché non m'era accaduto nulla di simile in vita mia. Fu così che mi penetrò profondo il tuo volere e lieto nella fede mia esaltai il tuo nome.» [18]
La malattia dei denti e la miracolosa guarigione da essa avvenne mentre Agostino attendeva ai Soliloqui. I suoi sentimenti erano già al punto da poter dire: «Se tu fossi certo che la vita è un impedimento all'acquisto della sapienza, la desidereresti ancora? Per nulla, la fuggirei in ogni modo.» [19]
Nelle condizioni d'Agostino può sembrare naturale, da non dover ricordarlo, che il suo vitto fosse quanto si può pensare di più frugale, e mantenesse cibi, bevande, ricreazioni nei limiti del puro necessario. Però a chi conosce il cuore umano appare veramente straordinaria la trasformazione delle inclinazioni intime. Non solo lo tira la delicatezza dei cibi, ma sono morti ancora i desideri di quei piaceri sensibili che fino a ieri l'attraevano tanto e che ora con prontissimo vigore non tollera pur s'affaccino [20]. Nell'ardore della preghiera erompe in parole di lode e di giubilo santo. «Che esclamazioni leggendo i Salmi! Come m'accendevo in essi, m'infiammavo nel recitarli per farli sentire, se fosse stato possibile a tutto il mondo, perché si umiliasse l'orgoglio umano ... Avrei voluto che, a mia insaputa, mi fossero stati da presso per ascoltarmi, e che, a mia insaputa, mirassero il mio volto, ascoltassero le mie voci quando, in quel luogo di pace, leggevo il quarto Salmo, perché vedessero quali effetti in me produceva ... M'avessero udito! ma a mia insaputa, affinché non credessero che facevo così, perché c'erano essi. Perché certamente, né avrei detto quelle cose, né in tal modo, se avessi saputo d'essere udito e veduto, né se, dicendole, fossero state prese non come manifestazioni mie intime alla Tua presenza, per effondere, il mio figliale affetto.» [21]
Così in mortificazioni, preghiere, studio fecondo scorreva il tempo d'Agostino a Cassiciaco. Dopo rinunziato alla cattedra di retorica, aveva scritto ad Ambrogio, confessando i suoi trascorsi, manifestando i suoi propositi e domandandogli quale libro della Sacra Scrittura primo dovesse leggere, per prepararsi al battesimo. Ambrogio gli consigliò il profeta Isaia, forse perché più aperto nell'annunzio del Vangelo e della chiamata dei gentili alla Fede. Ma Agostino lo trovò piuttosto oscuro, quindi lo rimise a tempo più propizio. [22
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3. Era consuetudine della Chiesa amministrare solennemente il battesimo ai catecumeni nella solennità della Pasqua. Perciò chi desiderava battezzarsi, almeno dal principio della Quaresima, doveva iscriversi tra i novelli rigenerandi, e per tutta la Quaresima seguire il corso di preparazione, che si teneva per istruzione religiosa e congrua purificazione prima dell'atto solenne. Agostino quindi lasciò Cassiciaco, intorno al marzo del 387, e si ricondusse a Milano per iscriversi tra i battezzandi nella prossima Pasqua. Insieme a lui diedero il nome Adeodato e Alipio il quale, nello spirito di fervore che l'animava, aggiungeva agli altri esercizi di pietà penitenze rigorose, cui Agostino per lo stato delicato della sua salute, non poteva davvero associarsi: Alipio, africano nato per vivere di luce e di calore, camminava nel rigido inverno a piedi nudi, sulla terra ghiacciata. [23]
Non era alieno dalle consuetudini ecclesiastiche il permettere che alcuni, meglio disposti e sufficientemente istruiti nella religione, fossero dispensati dal seguire tutti i corsi preparatori del battesimo. Agostino certo avrebbe potuto usufruire di tale dispensa: ma non consta che ne abbia approfittato. Anzi risulta che fu assiduo e attento nel tempio dal ricordo preciso, che segue immediatamente alla notizia della sua iscrizione tra i battezzandi, delle soavi dolcezze da Lui provate, «nel cantare i cantici risonanti nella chiesa di Dio, nell'udire quelle parole che gli scendevano per le orecchie al cuore, e nel cuore versavasi la verità e si destava la fiamma dell'affetto e scorrevano le lacrime e ne sentiva consolazione.» [24]
Forse queste soavi impressioni spinsero il nostro Santo alla composizione dei suoi sei libri De musica, cominciati certo a Milano, mentre si preparavano al battesimo, sebbene completati e perfezionati, circa il 389, in Africa. La musica che in sé, scissa dalla vita, bene spesso diventa, particolarmente per i giovani, un vero narcotico della personalità e ha una malia che tante volte notevolmente affievolisce l'intelligenza e fiacca la volontà di molti, usata come strumento di alti pensieri, specialmente religiosi, acquista un'efficacia fecondissima di bene. Agostino sperimentava in sé stesso tale efficacia, e a quest'intento dava mano alla magnifica opera sua. Al De musica, (giacché per quanto assorto in maniera predominante dalla preparazione al battesimo, non trascurava gli studi) vanno aggiunti, contemporaneamente composti, De immortalitate animae, De grammatica, e gli esordi dei libri sulle Discipline liberali. [25]
Giunse finalmente la vigilia della Pasqua che quell'anno, 387, cadeva il 25 Aprile. Nella notte avventurata del Sabato Santo il popolo milanese, raccolto in chiesa, intento a cantici e ricordi sacri, nell'attesa dell'aurora felice che avrebbe ancora una volta echeggiato del trionfale Alleluia, perché la fonte della vita già morta, vive e regna, vide con immenso giubilo discendere nella vasca battesimale Agostino, insieme ad Alipio ed Adeodato, e dalle mani di Ambrogio ricevere l'onda di salute, battezzato nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Agostino - ed è naturale in Lui - nulla ci ha detto di quanto ha accompagnato il suo battesimo. Però in Milano, ove sotto il santo governo spirituale di Ambrogio, nella difesa tenace della Fede contro l'arianesimo e gli ultimi disperati sforzi del paganesimo, s'era ridestata una feconda sorgente di spirito religioso, il suo battesimo dové essere un lieto avvenimento, causa di gioia e di serene speranze per il cattolicesimo. Era conosciuto il suo grande ingegno e nota la sua dottrina: quanti non avranno presentito in Lui il forte atleta della Fede? Ma specialmente la piena del giubilo inondava l'anima di Monica. Finalmente erano compiti i suoi voti: le sue lacrime amare sparse per tanti anni, ora brillano d'una luce che le dava proprio senza pena secura dolcezza. Una gentile tradizione vorrebbe che le bianche vesti, onde fu rivestito Agostino, appena uscito dal fonte battesimale, fossero state cucite da Monica che ad ogni punto v'aveva inserito, quasi gemma preziosa, una lacrima di gioia. È vero? non è vero? A che pro fermarsi sul formalismo se esso simboleggia una verità che non potrà mai chiamarsi in dubbio? Altra antica tradizione, e questa molto più diffusa, vuole che subito dopo il battesimo dalle labbra d'Ambrogio e d'Agostino, in uno slancio infrenabile dei propri affetti sia sbocciato l'inno della lode, il Te Deum. Oggi ritengono comunemente che il Te Deum sia del vescovo dacio Niceta di Remesiana: e, tutto considerato, si dirà che .... oggi hanno ragione. [26]
Però è bello mostrare i due Santi che alternano le voci di lode al Signore e di giubilo, in un momento così solenne. La tradizione è vera come simbolo: il canto del ringraziamento e della vittoria doveva udirsi allora che la Chiesa apriva il suo seno materno al più grande dei suoi dottori, condotto a Essa da uno dei suoi più vigorosi e saggi vescovi.
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4. Dopo il battesimo Agostino e i suoi deliberarono di porre a effetto, senza indugi, il proposito di rendersi veri servi di Dio, parole che nel linguaggio d'Agostino son sinonimo di monaci. Ad Alipio e Adeodato e Navigio s'era unito Evodio, già ufficiale dell'esercito, battezzato prima d'Agostino, che aveva abbandonato la milizia, per servire totalmente a Dio. Tutto considerato stimarono che l'Africa offriva le condizioni migliori per tradurre in realtà il loro disegno; e partirono a grandi giornate per Ostia. Li accompagnava Monica, la cui presenza non era d'ostacolo al loro disegno, anzi entrava in esso mirabilmente. La Santa poteva ben considerarsi come ispiratrice e madre della nascente comunità. Così la piccola comitiva, concorde di pensiero e di cuore, s'avviava per ritoccare quelle sponde ch'erano state abbandonate da ciascuno separatamente, alla rinfusa, con animi diversi e fluttuanti. Ma un avvenimento imprevisto ritardò notevolmente il ritorno in Africa. Giunti a Ostia, stanchi e affaticati dal lungo viaggio, [27] sostarono qualche giorno per riposarsi, e aspettando che qualche nave sciogliesse le vele per le coste africane. Ostia era allora in uno splendore del quale gli scavi compiuti e quei che si vengono ogni giorno compiendo ci danno argomenti indubbi. Magnifiche vie, ricche case, sontuosi fôri e templi, ampio anfiteatro: e intensità di vita commerciale veramente straordinaria. Tutto l'Impero v'era rappresentato nei molteplici, svariati tipi dei diversi popoli che lo componevano: e presso il porto, nei fondachi, nel fôro era dato incontrare accanto all'africano abbronzato il biondo germanico; gli asiatici si mescolavano con gli spagnoli, i britanni con gli armeni: tutta gente dedita al commercio, agenti di scambi; costretti dalle necessità della loro condizione ad essere socievoli per forza, ad abbandonare le riserve e stringere relazioni. I nostri viaggiatori si trovarono in quell'agitazione, ma non vi si confusero: nella felice indipendenza del loro distacco dagli affari e dalle preoccupazioni terrene, vissero nella città rumorosa colla più completa libertà di spirito. Tra gli scavi di Ostia ci è mostrato un albergo, abbastanza conservato nelle prime sue mura esterne, dove avrebbero dimorato Agostino, Monica e i loro compagni. Certamente ci sarebbe dolce il potere rintracciare e additare con certezza i luoghi visitati dai nostri pellegrini. Ma se l'indicazione materiale, almeno per ora, non è possibile, la presenza spirituale è permanente; e camminando per le vie della città morta possiamo avvivarla con la presenza invisibile, ma vivace, di Monica, d'Agostino, d'Alipio, d'Evodio, di Navigio, del giovinetto Adeodato. Alzando lo sguardo di sopra a qualcuno di quei muri rimasti in piedi, scomparsa la casa e gli abitanti dileguati, ci pare di vedere, presso la finestra Monica e Agostino, assorti in misterioso colloquio. Rileggiamocela questa pagina, una delle più commoventi ed entusiastiche, che l'esperienza dell'amor divino abbia giammai dettato. Agostino e Monica erano appoggiati al davanzale d'una finestra che s'apriva sul giardino della casa. «Eravamo soli, in dolcissimo colloquio, dimenticando il passato, intenti a quanto si svolgeva innanzi a noi; ci domandavamo in tua presenza, o Verità, quale sarà la vita beata dei santi, che né occhio vide, né orecchio ascoltò, né cuore d'uomo ha mai gustato. Tuttavia la bocca dell'anima nostra aprivasi desiosa verso l'onda superna che scaturisce dalla tua fonte, fonte di vita ch'è in Te, affinché di quella aspersi secondo la nostra capacità, potessimo in qualche modo concepire col pensiero una cosa tanto grande. Era giunto il nostro discorso alla conclusione che il diletto carnale dei sensi, per quanto grande esso sia, per quanto sia grande lo splendore del corpo da cui emana, nonché essere comparato alla gioia di quella vita, nemmeno mette conto che se ne faccia menzione. E con affetto più ardente sollevandoci verso ciò che è sempre il medesimo, trapassammo a poco a poco tutte le cose corporee e il cielo stesso, donde il sole e la luna e le stelle mandano la loro luce sulla terra. E ancora ascendevamo interiormente, pensando, esaltando e ammirando l'opere tue; e arrivammo ai nostri spiriti e li trascendemmo, per attingere la regione della fecondità inesauribile, dove Tu pasci Israele in eterno col pascolo della Verità, dove la vita è la Sapienza, per opra della quale sono tutte queste cose e quelle che furono e quelle che saranno ... Mentre parliamo e sospiriamo a quella ne gustammo alquanto con tutto l'impeto del cuore: e sospirammo, e lasciammo lassù come prigioniere le primizie dello spirito, e ridiscendemmo al suono della nostra voce dove la parola comincia e muore ... Dicevamo dunque: se a un'anima tacciano i bollori della carne, tacciano i fantasmi della terra, delle acque, dell'aria; tacciano anche i cieli e l'anima medesima taccia e trapassi sé stessa, e si slanci, non fermando su di sé il pensiero: tacciano i sogni e le fantastiche visioni, sia intero il silenzio; taccia del tutto quanto si produce di transitorio: ché tutte queste cose, a chi intende, dicono: Non ci siamo fatte da noi; ma ci ha fatto Colui che è eterno; se dopo avere fatto drizzare con queste parole l'orecchio verso Colui da cui furono fatte, senz'altro tacciono, ed Egli solo parli, non per le creature, ma per sé stesso: di modo che noi ascoltiamo la parola di Lui, non espressa dalla lingua dell'uomo, non dalla voce dell'angelo, non dal rombo della nube, non dal velo d'una parabola: ma ascoltiamo Lui stesso che amiamo in coteste cose, ascoltiamo Lui senza udir le cose come ora abbiamo fatto innalzandoci ... se questo stato si continui e siano sottratte le altre visioni d'ordine inferiore, e quest'ultima rapisca e assorba e faccia penetrare nei gaudi intimi colui che contempli, in guisa che la via sia eternamente così, come fu quest'estasi momentanea che ci fa sospirare ancora: non sarebbe cotesta la beatitudine che ci promettono queste parole: Entra nel gaudio del tuo Signore?... »
«Tali i nostri discorsi nei concetti se non nelle parole ... In quel giorno mentre parlavamo di queste cose e il mondo con tutti i suoi piaceri ci diveniva sempre più vile, mia madre disse: figlio mio in quanto a me, nessuna cosa più mi diletta quaggiù. Non so che cosa faccia più al mondo, e perché ancora ci rimanga non avendo più nulla a sperare. Una sola cosa mi faceva desiderare di vivere ancora un poco: vederti cristiano e cattolico. Il mio Dio mi ha esaudita oltre i voti, ché ti vedo sprezzare ogni felicità terrena e servire a Lui. Che cosa faccio io qui? » [28]
Il desiderio fu accolto in Cielo. Appena cinque giorni dopo Monica ammalò. Ella presentì dal primo giorno che la morte, buona e cara sorella, veniva. Un dì, conversando cogli amici, mentre Agostino era assente, la Santa aveva parlato con tanta serenità del disprezzo della vita e del bene della morte che essi ne stupirono; le domandarono se non le dispiacesse lasciare il suo corpo lontano dalla patria: «Oh! - rispose - niente è lontano da Dio, né v'è da temere che alla fine del mondo Egli non sappia dov'è per farlo risuscitare.» [29]
Nella malattia le erano prodigate cure affettuosissime. Benché le stimasse superflue, Monica le accoglieva riconoscente, e ad Agostino, che più degli altri era tenero e premuroso verso di Lei, con dolcissimo affetto diceva ch'egli era buono, che non l'aveva contristata mai, pur con una sola parola. [30] La malattia proseguiva senza soste, verso la fine. Un giorno la sorprese un deliquio, e tutti l'ebbero per morta: stretti tuttavia intorno al letto, spiavano ansiosi se non facesse qualche movimento che desse ancora speranza. Infatti Monica si riebbe e domandato: «dov'ero?» aggiunse con voce ferma: «Seppellite qui il mio corpo.» Navigio cercò contradire: no, ritornerebbero in Africa dove Ella riposerebbe nella tomba che s'era fatta preparare accanto a Patrizio. Non aveva bramato che riposassero insieme le salme di coloro, le cui anime riunite in Cielo gioirebbero in Dio? Ma dalla virtù di Monica, fiore ultimo e profumato, sbocciava questa suprema rinunzia. Purché le anime fossero felici in Paradiso, perché preoccuparsi se la salma fosse in Africa o in Italia? «Seppellite qui il mio corpo dove che sia, né vi prendete troppa cura di esso: solo vi prego che, dovunque vi troviate, vi ricordiate di me all'altare del Signore.» Disse e tacque per la fatica della malattia e per raccogliersi sempre più nella preghiera, aspettando il Signore di cui sentiva momento per momento più prossima la venuta. Morì il nono giorno della malattia, in età di 56 anni, [31] l'anno 387: secondo i calcoli più probabili nella prima decade di Novembre. Appena spirata il giovinetto Adeodato emise un grido straziante, e si gettò, piangendo, sulla salma della nonna. Tutti gli si fecero attorno per calmarlo. Agostino si sentiva lacerare il cuore da un dolore acutissimo, ma era senza lacrime, quasi impietrito. La casa, visitata dalla morte, risuonò del canto dei Salmi. I cristiani di Ostia accorsero numerosi a rendere l'estremo omaggio della fede e della pietà alla salma della vedova che, nei pochi giorni di permanenza nella loro città, era stata di grande edificazione. Tra gemiti e preghiere il sacro corpo fu portato al sepolcro; ivi presso fu celebrato il sacrificio della Messa. Agostino seguiva le funzioni con un'anima nella quale la dipartita dolorosa aveva lasciato una voragine profonda di mestizia: il dolore, essicate le fonti delle lacrime, lo girava e rigirava nell'intimo, strappando crudamente le fibre del cuore. Il volto rigido, marmoreo non aveva contrazioni: ma lo strazio s'accresceva e moltiplicava pel negato sfogo esterno. Compiuto il sacro rito e affidato il corpo alla tomba, Agostino si recò al bagno, sperandone aiuto nell'abbattimento che lo prostrava, come una forte malattia. Espediente inutile: il cuore conservò, senza trasudarla, l'amarezza. Ritiratosi solo, fu preso dal sonno. Allo svegliarsi ritorna col pensiero all'amore, alla santa vita della madre: la commozione finalmente apre ampia via al varco delle lacrime. Il refrigerio del pianto, che come rugiada benefica addolciva le amarezze e fecondava l'aridità del cuore, durò non lungo tempo; ma tanto da farlo sentire meglio. Nelle lacrime trova quiete. Quelle lacrime sono per Agostino una dolce restituzione; e per ricordarle Egli ha trovato accenti così efficaci e commoventi, che non potranno mai languire. «Ora, o Signore, te lo confesso per iscritto: legga chi vuole e interpreti come crede. E se m'ascriverà a colpa d'aver io per breve ora pianto mia madre: mia madre che in vita i miei occhi non dovevano più vedere, che aveva pianto per me tanti anni, affinché io vivessi innanzi agli occhi tuoi, non m'irrida; ma piuttosto s'è infiammato di grande carità, egli stesso pianga per me i miei peccati innanzi a Te, o Padre di tutti coloro che sono fratelli al tuo Cristo.» [F]
A cagione della morte di Monica il ritorno d'Agostino e dei compagni in patria fu rimandato. Circa la metà di Novembre si chiudeva la navigazione, durante i mesi invernali. In quell'anno poi Massimo, proclamatosi imperatore, sceso dalle Gallie aveva dichiarato guerra a Valentiniano II, che con la madre Giustina s'era rifugiato presso Teodosio, a Tessalonica. Teodosio s'apprestava a ricacciare l'usurpatore. Intanto però la flotta di Massimo veleggiava pel Mediterraneo, e bloccava le coste africane. Se pur possibile, il viaggio di ritorno in tali congiunture sarebbe stato sommamente temerario. Quindi Agostino e i compagni lo differirono. Invece però di rimanere in aspettativa a Ostia preferirono ritornare a Roma, dove rimasero almeno fino all'uccisione di Massimo, cioè all'Agosto o Settembre del 388. Ma vi sono buone ragioni per credere che la permanenza del Santo a Roma fu dettata anche da altre ragioni. Con ogni probabilità volle entrare in contatto colla prima Chiesa apostolica, e corroborarsi agli esempi e insegnamenti che fiorivano nella sede del Pescatore, cui Gesù Cristo diede le chiavi di sua balìa. [G]
A Roma agostino compose il De Moribus Ecclesiae Catholicae e De Moribus Manichaerom, importante come fonte di notizie, serrato nel ragionamento, caldo d'eloquenza e con tratti incantevoli di poesia morale cristiana. Inoltre il De quantitate animae, e cominciò il De Libero arbitrio. [32]
Pur dedito al raccoglimento ed allo studio, dov'è prender parte alla vita della Chiesa romana, far tesoro dei suoi insegnamenti. Certamente durante questo tempo conobbe alcuni usi caratteristici della Chiesa di Roma, dei quali parla in diverse riprese nei suoi scritti. Né mancò di fortificarsi via via più in quello spirito di solenne maestà romano-cristiana dei cui fulgori così spesso risplende la sua vita e s'illuminano le sue opere. [H]
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Annotazioni:
(A) Infatti, abbiamo ragione di ritenere che a Milano le vacanze autunnali (vindemiales), corressero dal 23 Agosto al 14 Ottobre. Agostino rinunziò alla scuola, terminate le vacanze (Conf. IX 5), e appena dimessa la scuola, si recò alla villa di Verecondo (De Ordine, I, 5). Che si fosse verso la fine di Ottobre è chiaro ancora da Contr. Acad. 1, 4 ove dice che la disputa cominciò pochissimi giorni dopo la venuta in campagna; ed erano certo al principio di Novembre: infatti il De beata vita, composto non dopo i libri Contr. Acad. ma intramezzato a essi (inter illos, Retr. I, 2) cominciò il 13 Novembre (De beata vita, 6.)
(B) Infatti nel De Ordine, I, 25, Agostino ci dice che un giorno mentre andavano ai bagni innanzi alla porta di casa (ecce ante fores) videro due galli in lotta: si fermarono un po' ad osservare quindi e proseguimmo pel luogo stabilito. Dunque bisognava fare un certo cammino dalla casa.
(C) De Ordine, Riguardo alla ubicazione di Cassiciaco si ritiene fosse dove è oggi Cassago di Brianza. Ivi le tradizioni locali s'accordano a dare il nome di fonte di S. Agostino alla fontana del giardino oggi Visconti - Modrone. La divozione verso S. Agostino a Cassago è antica e profonda. Inclinano a questa sentenza alcune considerazioni topografiche e trasformazioni fonetiche. La sentenza in contrario, emessa dal Manzoni in una sua lettera al Poujolat - da Milano, 11 luglio 1843 - e da Poujolat pubblicata nell'edizione di Losanna, 1846 della sua Histoire de S. Augustin, che vorrebbe fosse Casciago, in quel di Varese, è senza serio fondamento; tanto che il Manzoni e il Poujolat in seguito la ripudiarono. Cfr. in proposito: FILIPPO MEDA: La controversia sul Rus Cassiciacum in «Miscellanea Agostiniana», Vol. II pp. 49-59; che esamina anche i più recenti studi.
(D)) Cfr., Retr., I, 3 e 4. A risparmiarmi ripetizioni e doppioni inutili, avverto una volta per sempre che le citazioni della Ritrattazioni, avendo riportato in Appendice la parte di esse che si riferisce all'occasione, allo scopo, al contenuto delle opere esaminata, mi dispenso dal parlarne io. Si vegga quindi per ciascuna di esse la limpida ed esatta presentazione che ne fa il Santo. Sarò pago di inserire qua e là considerazioni suggerite dalla natura e valore dei libri specialmente più importanti.
(E) Veggasi ad esempio il 6 del I De Ordine: mentre di notte vigila nel letto avverta il diverso rumore dell'acqua scorrente nel canale, che gli porge opportunità per la discussione seguente: ivi, 25, 26, il bel quadretto della lotta dei galli.
(F) Cfr. Conf., IX, 12. Il corpo di S. Monica, seppellito in tomba cristiana a Ostia, durante il Medio Evo, quando Ostia era continuamente esposta a incursioni barbariche, e la città andava declinando verso una decadenza che doveva condurla a completa rovina, fu nascosto in un sotterraneo della chiesa di S. Aurea, costruita proprio sulla linea della via delle tombe, e diventata centro del villaggio medievale, sorto presso l'antica città. Rimase così occultato fino al 1430, quando mirabilmente scoperto il sotterraneo, fu ritrovato il tumulo che portava inciso su lastra di piombo il nome di Monica, e fu trasportato a Roma e deposto nella chiesa di S. Trifone, quindi nella antica chiesa di S. Agostino, in una cappella fatta costruire da Maffeo Vegio, che venne poi incorporata nell'attuale chiesa (cfr. L. PASTOR, Storia dei Papi; Vol. I e III, Desclée, Roma 1931, pag. 59). Una narrazione del canonico regolare Waltero d'Aroasia, nel Belgio (riportata dai Bollandisti il 4 Maggio) vuole che lo stesso Waltero, nel 1162, avrebbe trafugato il corpo di S. Monica, trasportandolo nel suo monastero. Ma la narrazione è piena d'anacronismi, d'incoerenze, incapace di sostenersi criticamente e di meritarsi un qualsiasi consenso. La narrazione del Waltero deve assolutamente cedere di fronte a quella del contemporaneo nella scoperta delle Reliquie, Maffeo Vegio. Quindi non v'è luogo a dubbi: a Roma, nella chiesa di S. Agostino si venerano le reliquie di S. Monica. (Cfr. in proposito uno studio in Bollettino Storico Agostiniano, Firenze; 13 - IX - 1925).
(G) Induce a quest'affermazione il fatto che i suoi compagni partirono prima, e Agostino tornando dall'Italia in Africa, giunse a Cartagine accompagnato dal solo Alipio. (cfr. in proposito: De Civitate Dei, XXII, 8).
(H) Pongo qui qualche osservazione sulla cronologia dei principali avvenimenti della vita di S. Agostino. Essa è stabilita su basi solide e chiare; ma è naturale siasi tentato d'intorpidirla un po', e di sollevare questioni dove di questioni non doveva esser parola. Ecco un prospetto delle date principali: nascita il 13 novembre 354; conversione: Luglio o Agosto 386; battesimo, Pasqua (notte 24-25 Aprile; cfr. Ep. Ambrosii ad Aem) 387; ritorno in Africa, Agosto-Settembre 388 (cfr. Contr. Lit. Petil. III, 25); morte 28 agosto 430 di settantasei anni, (Poss., Vita, 31; per l'età: PROSPER, Chronicon, per l'anno di morte). Posti i due limiti, 354 e 430, gli altri avvenimenti vengono distribuiti secondo il prospetto per queste ragioni: alla morte di Monica Agostino aveva 33 anni (Conf. IX, 11); dunque eravamo nel 387; la Pasqua dello stesso anno era stato battezzato. La conversione, avvenuta circa 9 mesi prima, è dello scorcio dell'estate del 386: infatti pochi giorni dopo il ritiro a Cassiciaco è il 13 Novembre, genetliaco d'Agostino (cfr. De beata vita, 6), che compie in quel giorno 32 anni. Che obiettano in contrario? Il fatto che Agostino aveva proposto di partire per l'Africa subito dopo il battesimo? Ma effettivamente il ritorno fu nel 388: dunque in quest'anno sarebbe da porsi il battesimo e, in relazione a questa, verrebbero spostate le altre date? Ma per far ciò son costretti a un miscuglio d'anni completi con anni incominciati, enumerazioni per consolati, ecc. una cabala ingegnosa, ma di magro costrutto. Basta invece attenersi alla via più semplice. Agostino aveva sì proposto di partire subito; ma, dovuta rimandar la partenza si trattenne a Roma, circa un anno. Il fatto è confermato dalla composizione di opere a Roma; che non è credibile abbia composto nel primo passaggio, vivente ancora S. Monica, giacché allora andarono a Ostia, se non vogliamo dire recto tramite, diremo molto in fretta (cfr. Conf. IX, 19). Inoltre non è affatto probabile che il ritiro a Cassiciaco possa porsi nell'autunno del 387, quando la Lombardia era invasa dalle truppe di Massimo, e la stessa corte era fuggita. Inoltre la persecuzione di Giustina contro S. Ambrogio, l'introduzione del canto degli inni, il ritrovamento dei corpi dei Ss. Gervasio e Protasio, avvenimenti che precedono di poco la conversione d'Agostino si stendono dalla Pasqua al 19 giugno del 386. Ma questa ormai è una storia superata.
(1) - Conf., IX, 2
(2) - Cfr. ib.
(3) - Cfr. ib., 5
(4) - Cfr. ib., 3
(5) - Epistola 98a, 8
(6) - Cfr. Conf., VII, 2
(7) - Cfr. Conf., IX, 3
(8) - La 3a e la 4a : le altre (7a, 9a, 11a, 13a, 14a) sono posteriori: intorno al 389
(9) - Cfr. De Ordine, I, 5
(10) - De Beata vita, 6 e 23; De Ordine, I passim
(11) - Cfr. De Ordine, I, 6
(12) - Cfr. Contr. Acad. I; De Ordine, passim
(13) - Cfr. De Ordine, I, 6
(14) - Cfr. Contr. Acad. I, 4, De Ordine, I, 5
(15) - In Ps. 90°, serm. 2
(16) - Cfr. Rtr. I, 1 e 2
(17) - Cfr. De beata vita, 3 e 5
(18) - Conf., IX, 4.
(19) - Soliloq., I, 20; cfr. anche 12
(20) - Cfr. ib., 10
(21) - Conf., IX, 4
(22) - Cfr. Conf., IX, 5
(23) - Cfr. ib., 6
(24) - Ibidem
(25) - Cfr. Retr. I, 5 e 6
(26) - Cfr., tra altri F. Cayre A. A.: Precise de Patrologie. Desclée, 1927, tom. Prem. C. XVI, I e U. Mannucci Istituzioni di Patrologia: Roma, Ferrari, 1923. Parte II, sezione 2a, C, 2°, par. 3
(27) - Cfr. Conf., IX, 10
(28) - Conf., IX, 10
(29) - Ib., 11
(30) - Cfr. Ib., 12
(31) - Cfr. Conf., IX, 11
(32) - Cfr. Retrac. I ; 7, 8, 9