Contenuto
Percorso : HOME > Cassiciaco > Vexata quaestio > Luigi TodescoLuigi Todesco: S. AGOSTINO
Foto del Sepolcreto Visconti prima dell'anno 1928
S. AGOSTINO
CORSO DI STORIA DELLA CHIESA
VOLUME II - L'EPOCA DEI PADRI
edito a TORINO - ROMA - DITTA da PIETRO MARIETTI CASA FONDATA NEL 1820 - DI MARIO E. MARIETTI - EDITORE - LIBRAIO - TIPOGRAFO PONTIFICIO DELLA SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI E ARCIVESCOVILE DI TORINO
anno 1934
di Luigi Todesco
Pag. 182 e segg.
Cap. XV
S. Agostino
Ed eccoci ad Agostino, il più illustre dei Padri e uno dei personaggi più grandi di tutte le età; il dottore della grazia, il Platone cristiano, l'uomo che plasmò il pensiero e segnò per i secoli l'indirizzo degli spiriti. «Dove trovare nella storia d'Occidente, chiede l'Harnack, uno scrittore che possa essere paragonato a costui nell'influsso che esercitò?». Di Agostino possiamo parlare con ricchezza di particolari grazie a tre libri: le Confessioni, racconto della sua vita, le Retractationes, esame dei suoi scritti, e la Vita Augustini, vergata nel 432 dal discepolo Possidio e comprendente il periodo dal 387 in poi.
Di queste tre fonti, la più nota, stampata innumerevoli volte e recentemente dal Ramorino (Bibl. SS. Patrum, Roma), popolare in Italia nella, versione di Enrico Bindi, è quella che porta il titolo di Confessioni, in 13 libri, composti verso il 400. Agostino vi racconta con sincerità mista ad umiltà la storia dei suoi traviamenti, dei dubbi, delle angoscie e del ritorno a Dio. È un'illustrazione fatta con l'esperienza di un'anima ardente, della sentenza che si legge nelle prime righe «fecisti nos (Domine) ad te, et inquietun est cor nostrum donec requiescat in te»; è una lunga effusione, un lungo sfogo, un lungo colloquio con Dio, al quale l'autore parla come a medico, a consolatore, a padre, celebrandone nel tempo stesso le lodi. Confessioni dunque non solo nel senso ordinariamente inteso con questa parola, ma anche nel senso di lodi a Dio, come espressamente dichiara l'autore nelle Retractationes; libro squisitamente umano, composto di parole impregnate d'amore o macerate nell'aroma della contrizione, e che agitò, illuminò, elevò innumerevoli anime e alimentò la pietà traverso i secoli cristiani (1).
Aurelio Agostino vide la luce a Tagaste di Numidia il 13 novembre 354. Il padre Patrizio, curiale della città, era pagano. Monica, invece, la madre, era cristiana. Alle compagne, che le mostravano i segni delle battiture ricevute dai mariti, essa rispondeva che dovevano incolparne la loro lingua. Da parte sua riuscì a raddolcire Patrizio, uomo di carattere violento e a persuaderlo ad abbracciare, poco prima della morte (371) la religione del Vangelo. Ascrisse il figlio tra i catecumeni, gli pose sulle labbra il sale benedetto e lo segnò in fronte con la croce di Cristo. «Hoc nomen, scrive Agostino, Salvatoris mei Filii tui in ipso adhuc lacte matris tenerum cor meum pie biberat et alte retinebat, et quicquid sine hoc nomine fuisset, quamvis litteratum et expolitum et veridicum, non me totum rapiebat». In occasione d'una grave malattia il giovanetto chiese il battesimo; ma poi migliorò e il sacramento venne rimandato, secondo l'uso generalmente invalso di differirlo all'età matura. Dalle scuole di Tagaste passò a quelle di Madaura e da Madaura all'accademia di Cartagine, città ancora semipagana, che vedeva, per le sue vie processioni in onore di Astarte fenicia, formate di sacerdoti, eunuchi, cortigiane e musici che intonavano oscene canzoni. Agostino cadde e dovette confessare alla madre un legame colpevole. Quantunque nella caduta conservasse una certa, dignità, dichiara però sinceramente che, per timore di essere disprezzato, si faceva più vizioso di quello che fosse in realtà e vantavasi di colpe mai commesse «pudebam non esse impudentem».
Schiavo della materia e nel tempo stesso avido di Dio, sentiva anche la brama di spezzare la sua catena, specialmente dopo la lettura dell'Ortensio di Cicerone, che lo accese d'amore per la verità. «Viluit mihi repente omnis vana spes, et immortalitatem sapietiae concupiscebam aestu cordis incredibili». Ma se l'Ortensio l'entusiasmò e una sola cosa dispiacevagli in quel libro, cioè quod nomen Christi non erat ibi, rimase invece offeso della forma negletta della Scrittura e delle (apparenti) contraddizioni in essa contenute, p. e. fra le due genealogie di Matteo e di Luca. Nel tempo stesso si lasciò ammaliare dalle promesse dei manichei, dalla speranza di poter abbandonarsi alla libera speculazione filosofica e appagar la sete d'una spiegazione razionale del male, e dall'affermazione dell'irresponsabilità morale, scaturiente dalla dottrina dualistica che attribuisce la colpa, a un principio estrinseco «Adhuc enim mihi videbatur non esse nos qui peccamus, sed nescio quam aliam in nobis peccare naturam; et delectabat superbiam meam extra culpam esse». Sicché in età di appena 19 anni si ascrisse alla setta manichea, cominciando a impugnare la fede cattolica miserrima et furiosissima loquacitate.
Monica dapprincipio sembra fosse assai indulgente col figlio e procliva a scusarne la vita dissipata (2). Vedendo però che col passar degli anni non si emendava e specialmente quando seppe che erasi fatto manicheo, lo bandì dalla sua tavola e dalla sua presenza. Ma nel tempo stesso ne provò un gran dolore e piangeva la morte spirituale di Agostino «più che non le altre madri piangano i figli morti corporalmente». Piangendo un giorno davanti un vescovo, costui la consolò con le parole «fieri non potest ut filius istarum lacrymarum pereat».
Frattanto, dopo un breve magistero a Tagaste, Agostino tornò a Cartagine per insegnarvi rettorica. Il suo ingegno gli procurava abbondevolmente adulazioni e applausi; ma questi non bastavano a saziare il suo cuore e quetare i dubbi, che ben presto ripresero a torturarlo. Sperava nel vescovo manicheo Fausto. Tutti gli dicevano «quando verrà Fausto!». Venne finalmente costui. Ma era un cialtrone come gli altri. Ecco come Agostino narra l'episodio: «Per annos ferme ipsos novem, quibus eos (Manichacos) animo vagabundus audivi, nimis extendo desiderio venturum expectaban istum Faustum. Ceteri enim eorum, in quo forte incurrissem, illum mihi promittebant, cuius adventu collatoque colloquio facilissime mihi haec et si qua forte maiora quaererem, enodatissime expedirentur. Ergo ubi venit, expertus sum hominem gratum et iucundum verbis, et ea ipsa quae illi solent dicere, multo suavius garrientem. Sed quid ad meam sitim speciosorum poculorum decentissimus ministrator? Iam rebus talibus satiatae erant aurea meae; nec ideo mihi meliora videbantur, quia melius dicebantur; nec ideo vera quia diserta; nec ideo sapiens anima, quia vultus congruus et docorum eloquium». (Conf. V, 10).
Nell'agosto 384 il grande inquieto veleggia alla volta di Roma. Vi apre una scuola, ma la chiude presto perché gli alunni erano restii a corrispondergli il compenso. Frattanto il prefetto della città Simmaco gli assegnava una cattedra di rettorica a Milano. In questa città Agostino venne raggiunto dalla madre. Ormai aveva abbandonato il manicheismo(3), ma neppure erasi decisamente avviato verso la verità cattolica e se ne stava aspettando «donec aliquid certi eluceret, quo cursum dirigerem». Dopo un breve periodo di desolato scetticismo, si sente accendere d'ammirazione per Plotino e i neo-platonici, gli scritti dei quali conobbe nella versione stesa da quel Caio Mario Vittorino, africano egli pure, maestro di rettorica a Roma, ove ebbe perfino una statua, fattosi in età matura cristiano, e che per qualche tempo aveva dovuto lasciare la cattedra in forza dei liberali editti (così li giudica G. Negri) dell'Apostata.
Agostino grazie a Platone andava liberandosi dall'imperio della materia, e grazie ai sermoni di Ambrogio e ai privati colloqui avuti con questo grande vescovo, accostavasi al Vangelo. Mentre però striscie luminose rompevano il tenebrio e l'aurora dorava le vette della sua intelligenza, nel suo cuore la lotta fra spirito e senso continuava furibonda. Per le preghiere di Monica, la compagna di Agostino era tornata in Africa ed erasi consacrata a Dio (4); ma Agostino dichiaravasi incapace di viver casto. Quando un giorno ode una voce che lo invita: tolle, leqe. Apre la Scrittura e l'occhio cade su quel luogo dell'ep. ai Romani XIII, 12 «Nox praecessit, dies autem appropinquavit. Abiiciamus ergo opera tenebrarum et induamur arma lucis. Sicut in die honeste ambulemus, non in comessationibus et ebrietatibus, non in cubilibus et impudicitiis, non in contentione et aemulatione; sed induimini Dominum Jesum Christum». Quelle parole sono come un colpo di fulmine. Agostino si sente trasmutato e insieme con la madre Monica, l'amico e discepolo Alipio e il figlio Adeodato si chiude nella solitaria villa di Cassiciacum (Cassago Brianza), alfine di prepararsi al battesimo (386). In quel pio ritiro vergava i tre libri Contra Academicos per combattere lo scetticismo di questi filosofi (5), il dialogo De beata vita ove dimostra la vera felicità consistere nella conoscenza di Dio, l'altro dialogo De ordine ove studia la parte riservata al male nell'armonia dell'Universo, e i Soliloquia sull'immortalità dell'anima, operetta questa imitata nel M. Evo da una quantità di apocrifi. Anche pose mano a un trattato delle sette arti liberali: grammatica, musica, dialettica, rettorica, geometria, aritmetica, filosofia; ma non ne lasciò che brevi schizzi, non tutti conservati, meno i sei libri De Musica, finiti in Africa e che sono qualche cosa più d'un semplice abbozzo.
Annotazioni:
1) La storia della conversione di Agostino narrata nelle Confessioni, è ben chiara e sicura. Eppure Harnacck, Boissier e Thimme pretesero correggerla affermando che Agostino fino al 390 fu semplicemente un neo-platonico. Giunsero a questa conclusione insistendo nelle differenze tra le Confessioni, scritte nel 400, e i libri composti a CASSICIACUM prima del battesimo. " Le differenze realmente esistono; ma per spiegarle non è necessario negare la sincerità di Agostino; basta tener conto del diverso argomento e della diversa età dell'autore.
(2) «Lasciatelo fate. Non ha ancora ricevuto il battesimo» dicevasi a quel tempo per attenuare la colpa di uno scapestrato. " Qualche scrittore si domanda come mai Monica non abbia provveduto a collocare il figlio in onesto matrimonio, come pur facevasi allora in età molto giovane.
(3) Il disgusto di Agostino per questi settari era cresciuto da quando conobbe le stranezze alle quali si abbandonavano. Mostravano orrore per le carni e le bevande fermentate, ma si rifacevano divorando frutta e legumi conditi con spezie piccanti, le quali credevano ricchissime di elementi ignei e luminosi; e quando il palato bruciava dalle droghe, tracannavano vin cotto o melato, sugo d'uva e d'agrumi, ecc. Erano ghiotti sopratutto di funghi e tartufi, cibi mistici per eccellenza. Gli eletti poi prendevano indigestioni, poiché si offrivano loro a gara succulenti banchetti e leccornie d'ogni sorta, credendo che in tal modo venissero liberate la luce e la sostanza divina imprigionata in quelle vivande.
(4) Costei è madre di Adeodato, giovane d'indole egregia, che Agostino amava teneramente e volle sempre al fianco. Quando morì, appena quindicenne, poco dopo ricevuto il battesimo, Agostino lo pianse amaramente. Qualcuno trova strano che Agostino non abbia ricevuto come sposa colei che gli aveva fatto compagnia per dieci anni e che, a quanto pare, non era indegna di lui. Invece Agostino ebbe un nuovo legame colpevole.
(5) Così argomenta contro gli scettici: «Non temo che mi si dica: se t'inganni? " Se io m'inganno, io sono. Chi non esiste, non può ingannarsi, e per ciò stesso che m'inganno, risulta che io esisto». " Si ricordi il cogito, ergo sum di Cartesio.