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Percorso : HOME > Cassiciaco > Vexata quaestio > Ruggiero BonghiRuggiero Bonghi: Dizionario Corografico
Busto di Ruggiero Bonghi alla Camera dei Deputati a Roma
DAL DIALOGO II DELLE "STRESIANE"
di Ruggiero Bonghi (1826-1895)
Interlocutori: Manzoni, Rosmini, Bonghi, Marchese di Cavour.
Stresa, iniziato a Villa Bolongaro il 30 agosto 1852.
Lesa, concluso a Villa Stampa l'11 settembre 1852.
MANZONI
- Un'altra cosa, però, non s'è detta oggi: credo l'abbia detta jeri l'altro il Rosmini, quando a lei, che gli domandava delle quistioni, propose questa della creazione tra altre tre. Ed è: sia pur che quest'atto creativo sia libero e che Dio potesse non farlo, ch'è il solo modo in cui noi accoppiamo a questa parola di libero un concetto del quale possiamo renderci conto. Come in Dio, però, non ci ha altro che un atto, non ci sarà che questo libero col quale anche crea: e dico anche perché con questo stesso dev'essere.
Or se gli è tale rispetto al creato che può non essere, sarà tale anche rispetto all'esistenza stessa di Dio. Dunque Iddio potrà non essere e così non conoscere e non amarsi, per contrario di quello che lei ha accordato poco tempo fa. Or così, non solo sarà accidentale che egli sia, ma che sia com'egli è. E qui quanti altri rigiri e capitomboli saremmo costretti a fare è inutile che gliel dica io: infiniti, alla lettera.
BONGHI
- Lo vedo da me: ma credevo e credo, che si cansassero, dicendo che Dio fosse necessitato moralmente a creare, e che però fosse libero, perché necessitato moralmente non può essere che un ente libero.
MANZONI
- Gli cansate; è vero, ma per urtare in quegli altri che vi dicevo un poco fa, e che consistono in questo, che mettiamo parole insieme, senza badare se esprimano, poi, un concetto che abbiamo davvero o no. È inutile ripetergli uno per uno, né spicciolare quegli che nascono dallo scompagnare, viceversa, il concetto di necessità morale da quello di libertà. Prima ci accade di non capirlo più, non concependolo noi che coordinato coll'altro, e poi ne nascono due assurdi contraria a quelli che abbiam visto sorgere dalla libertà scompagnata dalla necessità. Vo, dire, che l'atto creativo sarebbe necessario, e a Dio tanto essenziale il mondo quanto sé medesimo.
Per concludere, di queste due parole, necessità e libertà, chi voglia parlare di Dio, non sa che farne: unite o divise, c'impacciano e ci lasciano con nulla di nulla in testa. D'altra parte non ne abbiamo altre; e un Dio, la cui esistenza e la cui essenza, trinitaria insieme ed unitaria, non fossero necessarie ed il cui atto creativo non fosse libero, oltre che non sarebbe il Dio nostro cristiano, non sarebbe Dio.
ROSMINI
- Chi aggruppa meglio i nodi, li sa sgruppar meglio; non è vero?
MANZONI
- Dicono, ma non pare che sarebbe il caso di ora. Almeno, per oggi, io non veggo altro se non che non ci veggo nulla.
MARCHESE DI CAVOUR
- Ha pigliato dunque la via per la quale diceva che volevo condurli io. Ci ha posti affatto al bujo per aguzzarci gli occhi.
MANZONI
-- Ma c'è pure chi ci vede chiaro e non ha bisogno d'assuefarsi: pure fa il cocciuto e non vuol parlare.
ROSMINI
- E se pure volesse, mancherebbe il tempo. Non vedono come quelle cime dei monti di Bussino già si possono poco distinguere dal cielo col quale confinano? Se non fosse quella striscia d'oro pallido che fascia un po' più su l'orizzonte e che ci ricorda che il sole è ito a dormire e noi dobbiamo tornare a Stresa?
BONGHI
- Che importa il Bussino, se così discosto? Non vede come spiccano bene quelle verdi colline d'Ispra che occupano il primo piano del quadro? Mai la vista di queste spiaggie è più bella che sul far della sera. Questa luce così fusa e mite pare che convenga loro meglio che non l'abbagliante e pieno splendore del sole. Mi dica un po', Manzoni: non dovrei, dietro al Bussino, scovrire quella sega - o non la chiama così? - del Resegone?
MANZONI
- Appunto: io ne veggo appena appena qualche dente abbozzato e sfumato in quel poco di nebbia.
BONGHI
- E in ispirito, o magnetizzato chi sa, vedrebbe Lecco a traverso quei monti e Renzo a braccietti con Lucia?
MANZONI
- Ah, ah! Se potessi vedere cose che non son più, non guarderei già lì, per dar forma ai miei deliri di giovine!
BONGHI
- E dove?
MANZONI
- Più in qua, a destra, tra quelle valli che fanno i monti d'Ispra. Vede quel villaggetto, là, dove gl'indico?
BONGHI
- Sì.
MANZONI
- È Messago. Guardi ancora più in là, a destra sempre. Ci ha un caseggiato bianco, così nitido che quasi luccica. L'ha fissato?
BONGHI
- Ebbene?
MANZONI
- Ebbene, amico mio, lo chiamano Casciago, ed io credo sia quel Cassiciacum, di cui parla sant'Agostino nelle sue Confessioni. Lì doveva esser la villa di quel suo amico Verecondo, che si voleva far cristiano sì, ma nel solo modo in cui non poteva. La diede a prestito, come sa, ad Agostino, ad Alipio, a Romaniano, i quali lì requieverunt ab aestu seculi in Deo, e, pregando, ottennero a Verecondo di volersi far cristiano cristianamente, e si prepararon loro al battesimo. In quel luogo adunque, sant'Agostino scrisse i libri contro gli Accademici e pensò tanto di Dio. Orbè: quando io volessi immaginare di vedere qualche cosa che non vedo, guarderei a quel caseggiato bianco, e non al Resegone.
ROSMINI
- E guardi spesso, questa sera e dimani. Son sicuro che il pensiero di quell'uomo straordinario le aggiungerà lena a trovare il capo di questo nodo che ha così bene imbrogliato quest'oggi. Bisogna, in quistioni siffatte, portare quell'ardire e quell'umiltà che aveva quell'anima ardente e docile dell'Ipponese. E mi dica: quando non si richiede altro che umiltà ed ardire, ha bisogno il Manzoni di chicchessia che l'aiuti?
MANZONI
- Povero me; che sta a dire?
MARCHESE DI CAVOUR
- Niente altro che il vero.
ROSMINI
- E come al vero non si ha ad aggiunger niente, chè tutto lo disadorna e gli è superfluo, dopo questa verità, che pure non era faticosa a trovare, io le dico felice sera ed apro la via.
COMMENTO
Il riferimento al soggiorno di Agostino a Cassiciaco nel 386-387 è piuttosto generico e le affermazioni che vengono attribuite a Manzoni sono imprecise in due occasioni. Anzitutto Romaniano, il mecenate di Agostino, non fece parte della compagnia che risiedette nella villa di Verecondo. In secondo luogo, Verecondo, il proprietario ed amico di Agostino, non risulta da alcuno scritto dell'Ipponate che sia stato convertito dalle preghiere dei presenti a Cassiciaco: famosa è una loro preghiera, ma si riferisce ad Agostino, quando improvvisamente fu guarito da un atroce mal di denti. Gli aneddoti che vengono profusi nel testo traggono forza dal tono poetico della discussione, ma non hanno alcuna utile relazione con la problematica della identificazione della località agostiniana dal punto di vista storico-archeologico.