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Cesare Cantù: Storia Universale

Copertina del settimo tomo della Storia Universale di Cesare Cantù

Copertina del settimo tomo della Storia Universale di Cesare Cantù

 

 

 

STORIA UNIVERSALE

di Cesare Cantù

SESTA EDIZIONE - TOMO VII - EPOCA VII.

PARTE I.

TORINO PRESSO G. POMBA E C. EDITORI

1844

 

 

 

Pag. 714

 

[ ... ] Or conosciamo le armi adoperate dal paganesimo contro i disertori della sua causa; e ben si voleva gran forza di carattere e assoluto spregio di tutti gl'interessi del mondo per osare d'affrontar questo nuovo genere di persecuzione, esercitato dall'antico culto fin nel secreto asilo della famiglia. Solo il plebeo che neppure poteva pretendere agli onori della calunnia, entrava senza rumore nella società cristiana. Non si può affermare che la generosità di san Paolino [Paolino di Nola] trovasse molti imitatori; se pochissimi patrizii abbandonarono le dignità e le ricchezze per darsi al cristianesimo, una folla d'altri, tenuti sotto il giogo dell'errore dalla speranza d'ottener favore dall'aristocrazia, continuarono ad affaccendarsi contro una religione già indebolita dalle sue proprie dissensioni. Quanta influenza esercitassero i costumi antichi sopra lo spirito di personaggi potenti, vedesi in Licenzio, giovane rampollo dell'aristocrazia pagana, che dopo essersi avventurato alcun tempo sulle vie cristiane, tornò in seno del paganesimo.

Nasceva egli da Romaniano, il principale personaggio della città di Tagaste in Africa, che resosi cristiano, lungamente traviò negli errori del donatismo. Affidò egli l'educazione del figliolo a sant'Agostino, il quale gli pose un amore di padre, e compiacevasi di vedere in lui un futuro propagatore della fede. Licenzio accompagnò sant'Agostino a Milano, e lo troviamo fra i giovani amatori delle lettere e della filosofia, che univansi a Cassiciacum (Cassago, in Brianza o sul Varesotto) per trattare, sotto la direzione del maestro, le questioni più ardue e interessanti, poi tornò in Africa, e prese il parlare e la condotta di cristiano (Vernsdorf, t. III, p. 410).

Tutt'a un tratto le idee di Licenzio vennero sovvertite dalla più futile cagione, da un sogno che gli annunziava come un dì sarebbe console e pontefice pagano. Di più non vi volle per [d]isperdere tutti i frutti dell'educazione tanto accurata del maggior genio di quel secolo: Licenzio abbandonò sant'Agostino, corse a Roma, ove, secondo il suo sogno, tanta gloria l'aspettava, e ben tosto sentì il peso delle catene, che il paganesimo imponeva ai suoi fedeli. Egli vuol giustificarsi agli occhi di sant'Agostino, e cerca le scuse della sua assenza in non so quale disegno di matrimonio (August., t. II. p. 55).

Sant'Agostino, che non s'aspettava una tale giustificazione, al riceverla non frena lo sdegno, e intima all'allievo che senz'altro ritorni (t. II. p. 56), e dà incarico a Paolino di far con esso un ultimo tentativo, gran fiducia ponendo sulle parole d'uno che aveva sacrificato al cristianesimo maggiori dignità, che il sogno non ne promettesse a Licenzio. Paolino diresse al giovane ambizioso una esortazione in bei versi (t. II. p. 51). Altrove allude a questo mal arrivato sogno, fonte di tanti errori (t. II. p. 51): O figliol mio, tu riceverai la corona di grazia, ed allora sarai console e pontefice, non per effetto dei fantasmi d'un sogno, ma della verità. Allora Cristo rivelando il divino suo potere, manderà in dileguo le immagini bugiarde: e tu, o Licenzio, sarai davvero console e pontefice, se seguirai gli apostolici insegnamenti di Agostino. Licenzio non preferì il pontificato promesso da Paolino a quello annunziatogli dal sogno, e tutto conduce a credere che, rientrato nella società pagana, più non ne uscisse.

Pura ambizione avea dunque ricondotto costui verso l'errore: nessun grave pensiero combatté nel suo spirito l'efficacia dei divini precetti del cristianesimo: l'interesse personale, aguzzato da una chimera, bastò per rimettere nelle file dei pagani l'allievo prediletto di sant'Agostino. Giovi il dire che non tutti gli amici de falsi numi obbedivano a così anguste idee. Sovente persone avvedute e calme in apparenza si presentavano per sostenere ancora, contro i capi della nuova religione, discussioni, non più nuove gli è vero, ma pure interessanti perché non prive di gravità, e perché nel quarto secolo i pagani eransi ostinati a non entrare in serie controversie. L'analisi d'una di queste discussioni ci darà a conoscere il carattere delle idee pagane al tempo che i Goti presero Roma: e vedremo se lo spirito pagano avesse fatto alcun notevole cambiamento da quando Simmaco compilò la sua famosa Professione di fede. [ ... ]