Contenuto
Percorso : HOME > Cassiciaco > Vexata quaestio > Ignazio CantùIgnazio Cantù: Cassago luogo di soggiorno di Agostino
Il frontespizio del libro di Ignazio Cantù
Parte del testo di Ignazio Cantù
CASSAGO LUOGO DI SOGGIORNO DI AGOSTINO
di Ignazio Cantù
in IL CALEIDOSCOPIO - MISCELLANEA ISTRUTTIVA E PIACEVOLE - FASCICOLO I
a cura di Tito Delaberrenga
Venezia, coi tipi di ALVISOPOLI, 1842
LA VILLA M . . . . A BARZANO' IN BRIANZA. ALL'EGREGIO ED ILLUSTRISSIMO CONSIGLIERE DOTT. C. M.
Signor cortese, e poiché tal m'assenti
Copia d'affetto, giubilando il dico!
Ti chiamerò con più soavi accenti,
Col sì dolce a ridir nome d'amico;
Odi quali gustai gaudi innocenti
Dal dì che venni sul tuo poggio aprico,
E se al verso armonia manca e valore
Pur vi favella schiettamente il core.
Per rio malor pallido il volto e stanco
Queste membra alle coltri io commettea;
Vinta da febbre la virtù del fianco
Ogni potenza, ogni vigor perdea;
Riarse eran le tempia e già sul bianco
Viso scolpito il turbamento avea,
Chè degli infermi nel pensier si desta
Facile nube d'un'idea funesta.
Né la solerzia d'un'eletta amica,
Ristoro di mia vita e mia baldanza,
Che coll'assidua dell'amor fatica
Vegliava a studio dell'inferma stanza,
Né mi rendeva alla salute antica
L'operosa de' farmachi possanza,
Né potea sulle guancie lamentose
Novellamente risvegliar le rose.
Ma alfin la sponda abbandonai del letto
E con ansia affannosa ancor mirai
Della superba mia città l'aspetto,
E orme novelle per le vie stampai;
Ma di che doglie attrito era il mio petto
Come spenti negli occhi erano i rai,
Come il piè vacillante, e come anch'essa
Fioca la voce in rivelar sé stessa.
Ora alfin ridonato alla sì pura
De' miei campi nati rara vaghezza,
A questi colli ove spiegò natura
Tutta la pompa della sua ricchezza,
A questo april che senza tempo dura
Che lo smalto de' fior desta e accarezza,
Rapida sento nella stanca vena
Di fresca vita rifluir la piena.
E colla foga che la gioia infonde
L'aura saluto de' beati clivi;
Que' pampini saluto e quelle fronde
Che li fan sì feraci e sì giulivi;
L'acque saluto alle cui belle sponde
Tante volte spiccai ne' dì festivi,
Fanciulletto innocente, un'erba, un fiore
Che alla madre porgea del casto amore.
Nè da qui più sospiro alla festante
Città che sorge agl'Insubri regina;
Nè più ravviso cocchio alto, volante,
Che l'annoiata vanità trascina;
Nè i palagi dorati ove pur tante
Punte d'affanno l'ambizion trascina,
Nè i crocchi clamorosi, ove i sospetti
Muti serpeggian fra i pensier, fra i detti.
Di piagge un'armonia, che il cielo e l'arte
Con emula virtù pinge ed abbella,
Che contemplata in ogni guisa e parte
Sempre dischiude una beltà novella,
Qui che teatro d'allegria comparte!
Di che tenere voci al cor favella!
Mentre comprese di stupor le ciglia
Volan di meraviglia in meraviglia.
D'ampie foreste sull'ombrose schiene
Corre l'avido sguardo e giù per valli;
O si perde tra i fior d'aiuole amene,
Che si specchian dell'onde entro i cristalli,
O in lontananza seguitando viene
La brulla striscia degli alpestri colli,
O su villa, o casal, borgo trascorre,
O su campestre chiesa o grigia torre.
Deh! come lusinghiera e come cara
E la sembianza delle agresti mure,
Dov'è la scaltra infedeltà sì rara
E son le menti come l'aura pure;
Dove la turba villereccia impara
La santità delle più belle cure,
E in tutte l'opre che contempla, vede
Saldo argomento di pietà, di fede.
Poco saper, ma le virtù sorelle
Qui regnano sui cori, informatrici
D'almi costumi, senza cui nè belle
Chiamar le genti, nè potrai felici;
Qui non marmi non or, nè qui novelle
Vedi pompe de' templi adornatrici,
Ma più ricco ornamento è l'umil schiera
Che devota vi accorre e prega e spera.
Né qui conturba la serena vista
Una ciurma indolente e inoperosa
Che tra le noie e le apatie s'attrista
D'ogni fatica, d'ogni idea sdegnosa;
E che pur dritto di cianciar s'acquista
D'ogni alto intendimento e d'ogni cosa,
E intanto che l'inerzia erge sublime
Le sudate del saggio opre deprime.
Qui se dal sommo del pendio le ciglia
Dirigo al piano, al poggio, alla foresta
Veggo dall'alba a sera una famiglia
Sempre alla lena del lavor ridesta;
Fa de'campi maggior la meraviglia
Se ai torrenti dà norma e i danni arresta,
Se una zolla che inerte ancor si giace
Con nutritivi umor rende ferace.
Delle fatiche, de' campestri studi
Per le vie, per le case arde il coraggio
Chi la gleba governa; uopo è che sudi
Altro del verno a riparar l'oltraggio;
Chi col subbio affatica e colle incudi,
Chi coll'ago e la sega, e chi al servaggio
Il ruminante avvezza o nuovo traccia
Sentiero o il campo d'una siepe allaccia.
Quando muor sulle cose ogni colore
E terra e ciel solennemente tace
Come s'avviva in queste pie dimore
Più luminosa d'allegria la face;
Stretti fra i nodi di concorde amore
E fra l'ebbrezza di sicura pace
Chiama i cultori nel tranquillo tetto
Premio dell'opre, il rustical banchetto.
Fra tanta di fatica e di vaghezza
Ampia scena e di giubilo e di calma,
Sento la foga d'inusata ebbrezza
Che si diffonde a consolar quest'alma,
Il respiro vital che mi accarezza
De' miei mali l'ardor lenisce e calma,
E la mia vena già percossa ed egra
Di vigor nuovo allieta e la rintegra.
Ma più che l'olezzante aurea vivace
Che spirar sento dal terren natio,
Più che il sorriso e la beata pace
Che qui la destra prodigò di Dio,
Più che la gioia tenera e vivace
Che dal teatro de' miei colli uscìo,
Mi chiama ai gaudi d'una vita nova
Di tua bontà l'indubitabil prova.
Tu cortese a gustar mi conducesti
L'ampie delizie di tua villa amena,
E della stanza abitator mi festi
Dove un cantor di così facil vena,
Che dell'Olona ammaestrò le agresti
Voci de' carmi all'armonia, la pena
(D'altro spirto gentil per cortesia)
A temprar de' suoi mali un dì venia (1).
In tenerezza di bontà mi guidi
Fra le fraganze de' tuoi bei giardini,
Ove i rapiti degli estranei lidi
E già nutriti in fonti pellegrini
Fiori all'aiuole del tuo poggio affidi,
E gli esul fai nostri e cittadini
E cogli estranei incensi e l'ombra molle
Rendi più bello e più gradito il colle.
Dei fior, dell'erbe dottamente il nome
La patria, il sesso e le virtù mi dici;
E i botanici arcani, e quando e come
Venner le nostre ad abitar pendici
Di che arbusti intrecciar più suol le chiome
La donzella dell'India, e de' felici
Piani d'Arabia, e qual con più diletto
Orni le nevi del circasseo petto.
Vaga prole d'amor, fiori crescete
Ai prodigi dell'arte e di natura;
Conoscenti di grate aure spargete
La destra che vi educa e v'assicura;
E la man d'un cortese e lo sapete
–Se è ver che i fiori han sentimento e cura –
D'un cortese che il raro in sè raduna
Ornamento de' saggi e la fortuna.
Ma la lode che pur suona sincera
Già t'incresce, o signor, già ti dispiace;
Ebben ritorno a vagheggiar l'altera
Scena d'agreste libertà, di pace;
E la pupilla attonita e leggiera
Dal balcon d'onde guardo, erra fugace
Or d'appresso or da lungi e in ogni oggetto
Sente d'arte e natura alto intelletto.
Al mio piè si distende ampia una villa
Che fresco mutò nome e signore,
Ne distinguo i meandri e la tranquilla
Laguna e l'ara d'un compianto amore (2),
Odo vicina risuonar la squilla
Della chiesetta, un dì tempio migliore
Oggi grigia per anni e impoverita
E di gramigna e d'edera vestita (3).
Una Torre qui vedo, ancor rammenta
D'età maligna la tiranna voglia;
Oggi che l'ira delle guerre è spenta
Entro i suoi fessi il cardo irto germoglia(4)
Bel contrasto! allo sguardo or s'appresenta
De' cenobiti la campestre soglia;
Il mio pensier la varca, entro vi vede
Pace, pietà, benevolenza e fede (5).
Di Brianza sul colle ecco romito
Il celebrato campanon s'avanza,
Che dava ai tempi bellicosi invito
Di tumulti, d'assalti e di speranza;
A quel tocco dovea correre ardito
Il popolo de' colli a radunanza,
E ad ogni instante minacciar di guerra
Sorgere a scudo della patria terra (6).
Indi lo sguardo irrequieto io getto
Sul culmine di Nava, ove famosa
Reggia poneva, ed ospital ricetto
Già d'Agilulfo la devota sposa;
E fea giocondo anche il vallon soggetto
Risanando le paludi e la limosa
Terra chiamando a partorir di lieti
Frutti dovizia e d'alberi e vigneti (7).
E perchè la terrena industre cura
Per celeste pietà fosse più bella
Di femineo cenobio ergea le mura
Sul balzo ove pompeggia alto Cremella,
E accortamente n'affidò la cura
Opra solenne a prediletta ancella,
E il cenobio rendea ricco fra quanti
Di privilegi e dritti ebber più vanti (8).
Nel soggetto Cassago - ancor risuona
Fama, e tacer dovria sì bella istoria? -
Venne il pentito Manicheo d'Ipona
Meditando di Dio l'opra e la gloria;
E più lune vi stette e nella buona
Alma il pungea mesta d'un dì memoria,
Ma la ferita gli molcea nel core
La man pietosa del celeste amore (9).
Oh! se m'avesse il ciel dato i divini
Sensi e del verso l'armonia l'incanto,
E i Tebani concenti e i venosini!
Come vorrei rinnovellar quel canto
Che un tempo qui destar Monti e Parini.
Quando venièno a celebrare il vanto
Delle piazze dilette e le felici
« Dell'Eupili lagune irrigatrici ».
Quei colli d'Erba io vedo e li saluto
Pieno di sacra riverenza il petto;
E in una dolce illusion perduto
Quell'aura ascolto ragionar d'affetto;
E offrir d'incensi e d'armonia tributo
A quei grandi a cui diè culla e ricetto
a mia terra, e le fu premio sublime
L'onor di viver nell'eterne rime (10).
Varia sembianza! alle colline apriche
Di mille erbe olezzanti e mille fiori,
Ai piani allegri di vigneti e spiche
Dei ruscelletti ai nutritivi umori;
Al fresco rezzo delle piante amiche
Ai soavi di zeffiro tepori
Succede, e chiude la superba scena
D'alpestri gioghi maestosa schiena.
Ma qui s'arresta il mio pensier; nè imprime
Fra perigli smarrito e fra paura
Nell'ardue nevi dell'eccelse cime
L'orma lenta, inusata e mal sicura;
E a te, signor, s'inchina e le sue rime
Dubitoso ti porge, e tu procura
Volgergli amico riso e lo consola
Col sorriso gentil d'una parola.
Bergamo, 28 Novembre, 1841.
IGNAZIO CANTU'.
(1) Domenico Balestrieri qui veniva per cortesia del proprietario d'allora San Pellegrini, e su questa villa dettava un sonetto nel vernacolo milanese, e un capitolo toscano che si leggono nelle sue rime.
(2) La villa Pirovano, oggi Manara, conserva in un'isoletta nel cuor del lago un monumento d'affezione per amica perduta.
(3) La canonica di Barzanò è una delle più antiche chiese della diocesi e conserva tuttora la simbolica architettura dei primi tempi dell'era cristiana.
(4) Da non molto i barnabiti possiedono a Barzanò una casa di campagna, ed una chiesa di buona archittetura.
(5) La torre di Barzanò è una reliquia dell'età de' municipi. – Io ne ho mostrata l'importanza storica nelle mie Vicende della Brianza, e nella mia Guida pei monti di Brianza.
(6) Le storie parlano di questo campanone, al tocco del quale chi fra gli uomini della Brianza era atto all'armi doveva accorrere al cenno del consolo o del capitano.
(7) È fama che la regina de' Longobardi Teodolinda erigesse sul monte di Nava una reggia campestre, e n'additano ancora il sito e l'estensione, e che rasciugasse delle paludi che contristavano la valle di Rovagnate.
(8) Il convento delle monache fondato a Cremella da Teodolinda, di cui fece prima abbadessa una sua ancella, fu de' più illustri, e durò fino alla soppressione generale dei monasteri.
(9) A Cassago si ritirò sant'Agostino in casa di un tal Verecondo per disporsi a ricevere il battesimo da sant'Ambrogio.
(10) Sono note le odi di Parini sul Lago di Pusiano e le terzine di Monti sulla Villa Amalia ad Erba. Parini nacque a Bosisio in Brianza il 23 maggio 1729; Monti fece lunghe dimore nella già villa Amalia e in casa Aurezzi a Corovera, parimenti in Brianza, sulla quale ha pure dettate varie poesie.
Ignazio Cantù nacque a Brivio nel 1810 e ricevette il nome di battesimo dal nonno paterno. La fama del fratello Cesare, assai più famoso per cultura e per vastità di interessi, ne ha oscurato il nome e l'opera, tanto che di Ignazio ben pochi conoscono la vita e l'impegno letterario. Parecchi dizionari nemmeno lo citano e perfino l'Enciclopedia Treccani ne parla sommariamente. Tuttavia Ignazio Cantù resta, nel panorama culturale italiano dell'Ottocento, se non un protagonista di certo una personalità di rilievo, impegnata non solo nella narrativa, ma anche nella ricostruzione di vicende storiche, come dimostra una sua fatica, ancor oggi interessante e ricca di spunti, intitolata Le vicende della Brianza e dei paesi circonvicini, opera in due volumi edita a Milano negli anni 1836-1837. Muore a Monza nel 1877.