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SETTIMANA  agostiniana di Pavia: 1970

Sant'Agostino di Juan de Borgoňa a Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

Sant'Agostino: di Juan de Borgoňa

Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

 

SANT'AGOSTINO, I SANTI PADRI E LA MUSICA

Relazione in margine alla Settimana agostiniana del M. Guido Farina del Conservatorio di Musica «G. Verdi» di Milano

 

 

La settimana agostiniana voluta dal nostro caro ed amato Vescovo lo scorso anno ha suscitato in me emozioni profonde e soavi ricordi. La bravura degli oratori, esaltanti la eccezionale figura del Santo Dottore, la conoscenza della Sua vita travagliata ed illustre, la lettura di alcune insigni Sue opere, oltre ad avermi procurato ore di immenso diletto spirituale, ore indimenticabili, mi hanno dato la certezza della validità del pensiero agostiniano, della sua alta ispirazione e perciò della sua possibilità di inserirsi in un costruttivo colloquio con la società moderna. Mi sembra però che in queste conferenze non si sia mai accennato ad Agostino musico, ed avrei voluto che a parlarvene quest'anno fosse colui dal quale ho preso le mosse per inserirmi nella trattazione di questo argomento, e cioè il canonico prof. Giuseppe Casati, il quale ha scritto su Agostino e Boezio alcune belle e significative pagine.

La « presenza » spirituale e fisica del grande Santo Agostino è sempre stata da me profondamente sentita sin da ragazzo e considerata uno smisurato dono fatto nei secoli alla nostra Pavia, la gemma splendida, il tesoro più grande che la nostra città ha il privilegio di possedere e di custodire. Più passano gli anni e m'avvicino al fine dell'esistenza, più grande si fa in me il rimpianto per ciò che non ho potuto apprendere perchè è soprattutto ciò che non so di cui oggi sento il bisogno.

Quando nel limitatissimo campo dell'insegnamento della Composizione polifonica vocale che io svolgo al Conservatorio di Milano, vedo l'enorme produzione esistente negli archivi di tutto il mondo che attende di essere scoperta e pubblicata, o quando mi indugio a scorrere i Monumenti dedicati alla Polifonia classica, rimango atterrito per l'impossibilità di prenderne conoscenza profonda nel breve ciclo che rimane da vivere. Per S. Agostino il discorso non vale, perchè sembra che Egli conosca tutto, e, nello spingere la sua curiosità nei più svariati campi, compreso quello musicale, Egli ci offre scritti incantevoli, pagine meditate e profonde, geniali intuizioni che ancor oggi ci sorprendono e ci seducono.

Ma, vedete? Noi veneriamo i Santi e guardiamo ai Geni con ammirato stupore; ma cosa sono essi se non una piccola prova della compiacenza divina che ha elargito questi doni per dare testimonianza del suo smisurato potere? Questo ce lo insegna la Chiesa e Agostino ci ripete più volte che la vita e l'arte sono doni che vengono da Dio e a Dio devono tornare per cantare la Sua gloria. Secondo Lui la via per giungere a Dio non può essere che quella di seguirne le tracce nelle creature: tracce che non sono se non quelle del vero e del bello. « Il vero e il bello », afferma Agostino, «sono la partecipazione di Dio alle creature », e mi piace, per Lui, pensare a questa discendenza diretta da Dio a Sua Madre e dalla Madre a questo singolarissimo Figliolo prodigo, elargitore in ogni campo di beni temporali e spirituali.

Ma perchè io oggi sono qui a parlarvi del Santo Dottore? In parte ve lo dissi: perchè Agostino fu anche musico, ma non di quelli così chiamati, perchè più o meno superficialmente scrivono quattro righe esaltati dall'ascolto di una pagina musicale; Egli fu un vero musico, oggi diremmo un musicologo, ma un musicologo coi fiocchi, un precursore di idee e orientamenti moderni, un trattatista insigne che seppe racchiudere in una sua opera, il « De Musica » tutta la scienza del suo tempo e le conquiste dei secoli precedenti. Desidero subito precisare che Egli, nel « De Musica », non è copiatore del pensiero antico e nemmeno novatore: Egli tenta di fondere il pensiero classico degli autori greci e romani in una visione cristiana con spiritualità grande e comprensione pronta e rapida dei problemi del suo tempo. Del « De Musica », scritto a Milano nel 387, Egli stesso ci parla in una lettera inviata a Memorius.

Eccola: «Ho scritto sei libri sul ritmo; avevo intenzione di scriverne altri sei, forse sul Melos (cioè sulla melodia o intorno alle regole della successione melodica); però da che mi è stato imposto il peso delle cariche ecclesiastiche, ho dovuto rinunciare a queste gradevoli occupazioni ». In questi libri Agostino mostra la conoscenza non soltanto dei dialoghi musicali contenuti nella «Repubblica » di Platone o nel « Politica» di Aristotele, ma cita anche i pitagorici e le loro ricerche scientifiche, le dottrine di Ermione risalenti al 500 a.C., le relazioni tra poesia e musica di Aristosseno, e, infine, i libri delle « Discipline » di Varrone. Un portento di dottrina e di conoscenza, al quale però la cultura non impedisce di chiamare «mentecatti» coloro che conoscono soltanto la tecnica e la scienza della musica, e di reputare anime molto limitate quelle che, solo per grande sottigliezza di conoscenza, vorrebbero appropriarsi questa disciplina. Così si esprime Agostino: « Tale è quel musicista le cui dita si muovono soltanto perchè sono state domate dallo studio e preparate dagli esercizi ». Il musico per Agostino dev'essere colto, perseverante nella ricerca del possesso della scienza, ma insieme munito di doni naturali e soprattutto spirituali. Egli ritiene anche che tutti siano in grado di ascoltare con profitto la musica e afferma: «Il sentimento musicale viene dalla natura. La natura ha dato a tutti il senso musicale, con il quale si giudica questa disciplina ».

E ancora: «Il sentimento della musica è innato in noi; perciò anche che coloro che ignorano qualsiasi nozione musicale sono sensibili alla musica ». Lino Maione in una sua bella collana di scritti (Pretesti di letteratura musicale), ci parla mirabilmente di Agostino musico ed asserisce che l'erudizione del Santo Vescovo risalta profonda e vasta in tutto il De Musica, in cui si trovano disquisizioni fisiche e matematiche, grammaticali e retoriche, poetiche e oratorie, filosofiche e teologiche; e conclude dicendo: «il trattato può essere definito: forma elevata d'arte, di fede, di scienza e di orazione ». Ma non soltanto in questo De Musica, che è un grande studio sulla ritmica a carattere, direi, quasi prevalentemente tecnico, Agostino ci parla della musica, della sua funzione, del suo contributo alla formazione di una spiritualità cristiana e di una felicità terrena, ma in numerosi altri scritti. Sentite, se mai è stato fatto un onore più grande, un elogio più bello alla musica, di questo del nostro Santo: « Impredicabile è Iddio, (è un grande predicatore che parla, un professore di eloquenza e di retorica) intraducibile in parole e pure impossibile a tacersi. Lo canterai senza costrizione di sillabe (ecco che qui Agostino mostra la sua predilezione per il concentus in contrapposizione all'accentus che amava meno) e il cuore godrà, libero dall'impaccio delle parole ». Mirabile inno alla Musica, che Agostino pone al disopra della parola che pur sapeva tanto stupendamente usare!

Ma prima di continuare su questa strada, è necessario che io dia un rapido sguardo alle condizioni della musica all'epoca di Agostino. Dopo il periodo degli Dei «falsi e bugiardi», certo non adatto a fornire ispirazioni alte, durature e perenni, la Musica riesce ad esprimere sin dai primi secoli della fede cristiana, motivi toccanti e profondi. La Chiesa assume il compito di custodire queste voci, di fissarle, di proiettarle nel tempo. Ed è un grande merito, sapete, questo che si aggiunge agli infiniti altri della Chiesa, perchè si tratterà di cogliere la prima apparizione storica della musica nella grande Cantica del Cristianesimo, che giungerà sino a noi attraverso l'opera di monaci sapienti, consapevoli ed eroici, creatori di nuovi sistemi di notazione, e di insigni scuole, da Solesmes a Camaldoli, da Montecassino a Monserrat, e molti altri centri di custodia e di paziente divulgazione musicale orale e scritta. Sono musiche toccanti ed ispirate quelle che vengono annotate nei loro tre andamenti: diretto, responsoriale e antifonico, musiche esclusivamente vocali, meglio adatte ad esprimere la parola e i moti dell'animo, senza alcun « disturbo » strumentale e polifonico. Esse rappresentano la più intima commozione, la più alta espressione della parola cantata, perchè sgorgata dall'anima degli Apostoli, dal cuore dei Santi, forse dalla stessa voce di Cristo ... Queste musiche si diffusero rapidamente dall'oriente all'occidente per la necessità di dare una voce all'inesprimibile, per colmare una lacuna esistente tra la nostra povera scarna parola e Dio, e rappresentano l'unità della Chiesa al di sopra dei movimenti corrosivi e dissolvitori. Ancor oggi, infatti, noi sentiamo intonare gli stessi canti plurimillenari a Roma come a Calcutta, a Costantinopoli come a Nuova York.

Non solo, ma con lo svilupparsi della polifonia nel medioevo e nel rinascimento, essi diverranno ancora il fulcro vitale, il centro propulsore attorno al quale la fastosa polifonia dei secoli XVI e XVII si svolgerà e trarrà ispirazione, tecnica ed espressività. Di qui, come ornamentazione al Cantus firmus della Chiesa cattolica, sorgeranno tutte le grandi composizioni sacre di Josquin Després, di Orlando di Lasso, di Ludovico da Vittoria, di Pier Luigi da Palestrina e di moltissimi altri, che da questa santa e sublime fonte di ispirazione attingeranno la luce intima delle loro magnifiche creazioni. Agostino ha, dunque, già un grande patrimonio musicale a disposizione, e sarà proprio la sua epoca (il IV secolo) quella delle innovazioni musicali in seno alla Chiesa. I grandi temi della Passione, della Morte e Resurrezione, della Vergine Madre, delle Beatitudini, della povertà, della morte, verranno sempre più sviluppati, evolvendosi dal canto solistico al canto corale, e la partecipazione dei fedeli al canto, introdotta dall'Oriente in Occidente, si farà sempre più intensa, sentita e solenne, anche per merito della severa e maestosa lingua latina. Agostino, natura sensibilissima e poetica, ricercatore della bellezza per eccellenza, di una bellezza come presenza di Dio sulla terra, ne è commosso ed esaltato. Esclamerà: «Deliciae spiritus nostri, divina cantica»; oppure: «Cantamus voce, ut nos excitemus, corde cantamus, ut Deo placeamus ». E infine: «Dio stesso ci insegna come dobbiamo cantare: rinunciamo a cercare le parole, come se potessimo conoscere quelle di cui Egli si compiace. « Cantate nella giubilazione ».

E che cos'è questo canto giubilatorio? (è sempre Agostino che scrive). E' il canto di colui che ha compreso l'inefficacia delle parole ad esprimere ciò che canta nel cuore. Coloro che cantano nei campi, durante la vendemmia o eseguendo qualsiasi lavoro, si infiammano quando hanno preso ad inebriarsi nel canto, e, pieni di tanta letizia da non poterla esprimere a parole, si liberano dal peso delle sillabe abbandonandosi a gorgheggi. A chi si addicono tali vocaboli, se non a Dio ineffabile? Dio è, infatti, inesprimibile, e tuttavia non puoi tacerlo (ecco che ritorna su questo fondamentale concetto): che ti rimane, allora, se non la giubilazione? Il cuore gode senza parole, e la immensa beatitudine del gaudio non è inceppata dalle sillabe ». Sentite infine la commozione di Agostino, nell'ascoltare per la prima volta in Milano gli Inni di Sant'Ambrogio, nati durante la Pasqua del 386, durante l'assedio degli Ariani alla Cattedrale difesa, insieme ai suoi fedeli, dal Santo vescovo milanese: « Come piansi di commozione, o Signore, quando nella tua Chiesa intesi cantare gli Inni e i Cantici in Tua lode! Questi suoni entravano nelle mie orecchie e la Tua verità si insinuava con essi nel mio cuore... ».

E infine: « Da poco tempo la Chiesa milanese aveva introdotto l'uso di questi canti che consolano ed innalzano lo spirito, e i fedeli li praticavano con ardore, unendo i cuori alle voci in questi sacri canti. Infatti, solo un anno prima o poco più, l'Imperatrice Giustina, madre del giovane Imperatore Valentiniano, avendo abbracciato l'eresia ariana, aveva incominciato a perseguitare il Tuo servo Ambrogio. Tutti i fedeli si accamparono allora nella chiesa, pronti a morire con il loro vescovo e Tuo servo. In tale circostanza (è sempre Agostino che parla), onde impedire che il popolo si lasciasse cogliere da scoraggiamento, si istituì il canto degli Inni e dei Salmi, secondo l'uso della Chiesa d'Oriente, e da allora l'uso venne mantenuto fino ad oggi, e molte chiese di tutte le parti del mondo l’hanno imitato ». Qui le citazioni agostiniane potrebbero diventare infinite, ma è tempo di ricordare Colui che, anche in campo musicale, può considerarsi il maestro di Agostino, e cioè Sant'Ambrogio, il quale, com'è noto, col suo Genio e la sua autorità personale dette al canto liturgico un'importanza nuova ed un impulso tutto particolare con la diffusione dei testé citati Salmi ed Inni, che Egli voleva fossero cantati in forma responsoriale, cioè con la partecipazione al canto dell'intera comunità (anticipava così le raccomandazioni del recente Concilio ecumenico).

La raccolta di questi e di altri canti, è rimasta nella storia della musica col nome di canto ambrosiano, canto che il Papa Adriano I riconobbe e mantenne (come continua ancor oggi) in memoria del venerato vescovo milanese. Sant' Ambrogio già si esprimeva così nel proemio all'esposizione del Salmo 118: «Per quanto soave sia la dottrina morale, essa tuttavia diletta ancor più orecchi e cuore, se esposta in cantici piacevoli e dolci ». E ancora: «Quanto non é mai difficile il tenere il popolo in silenzio nella Chiesa, allorché nella stessa viene solo recitato qualche cosa! Ma si può star certi, che all'intonare dei Salmi, immantinente tutto s'acqueta all'intorno ». (Si noti come per la prima volta nella storia della Musica, S. Ambrogio affermi il valore didattico ed educativo del canto per facilitare la conoscenza della Verità). I libri di storia della musica ecclesiastica, compresa l'apprezzata « Storia compendiosa » di Mons. Giovanni Battista Katschthaler, ignorano Agostino, mentre ricordano Ambrogio e, dopo di lui, passano a S. Gregorio Magno per i suoi meriti di estensore e di riformatore di canti liturgici, per esaltarne l'intervento decisivo nella storia del canto cattolico. Ma di Agostino musico si ricorda bene il nostro venerato Papa Pio XII nella ispirata lettera enciclica «Musicae Sacrae Disciplina », che è tutta di ispirazione agostiniana. Pio XII pone, infatti, il nome di Agostino al paragrafo l° della Sua lettera enciclica e, dopo averne spiegato i motivi, afferma con Agostino che la musica è dono di Dio.

« Fra i molti e grandi doni di natura dei quali Iddio, in cui è armonia di perfetta concordia e somma coerenza, ha arricchito l'uomo, creato a sua «immagine e somiglianza », deve annoverarsi la musica, la quale, insieme con le altre arti liberali contribuisce al gaudio spirituale e al diletto dell'animo. A ragione così scrive di essa Agostino: «La musica, cioè la dottrina e l'arte del bene modulare, a monito di grandi cose è stata concessa dalla divina liberalità anche ai mortali dotati di animo razionale ». E, dopo aver mirabilmente tracciato la storia della musica sacra nell'ambito classico, presso il popolo d'Israele, nella Chiesa primitiva, e ricordati S. Paolo, Tertulliano, S. Gregorio e il periodo meraviglioso della Polifonia classica, rammentati gli sforzi della Chiesa in ogni epoca per il progresso della musica sacra e lamentato che: «in questi ultimi anni alcuni artisti, con grave offesa della pietà cristiana, hanno osato introdurre nelle chiese opere prive di qualsiasi ispirazione religiosa, e in pieno contrasto anche con le giuste regole dell'arte », Pio XII torna ancora ai principi già espressi da Agostino, affermando che «l'uomo e tutte le sue azioni devono manifestare, a lode e gloria del Creatore, la infinita perfezione di Dio e imitarla per quanto è possibile. L'uomo perciò, destinato per natura a raggiungere questo fine supremo, nel suo operare deve conformarsi al divino archetipo e orientare in questa direzione tutte le facoltà dell'animo e del corpo ordinandole rettamente tra loro e debitamente piegandole verso il conseguimento del fine. Pertanto anche l'arte e le opere artistiche devono essere giudicate in base alla loro conformità con il fine ultimo dell'uomo; e l'arte certamente è da annoverarsi fra le più nobili manifestazioni dell'ingegno umano, perchè riguarda il modo di esprimere con opere umane l'infinita bellezza di Dio, di cui essa è quasi il riverbero ». Ma le citazioni agostiniane contenute nella lettera enciclica «Musicae Sacrae Disciplina» non sono ancora terminate; nel paragrafo « Dignità e finalità della musica sacra », il Santo Padre Pio XII afferma: «E infatti in questo consiste la dignità e la sublime finalità della musica sacra, che cioè per mezzo della particolare bellezza delle sue armonie e della sua magnificenza, essa apporta decoro ed ornamento alle voci sia del sacerdote offerente sia del popolo cristiano che loda il Sommo Dio, attira i cuori dei fedeli a Dio per una sua intrinseca forza ed efficacia, rende più vive e fervorose le preghiere liturgiche della comunità cristiana, perchè Dio Uno e Trino da tutti possa essere lodato e invocato con più intensità, slancio ed efficacia. Per opera della musica sacra adunque viene accresciuto l'onore che la Chiesa porge a Dio in unione con Cristo suo Capo; e viene altresì aumentato il frutto che i fedeli, rapiti dai sacri concenti, percepiscono dalla sacra liturgia e sogliono manifestare con una condotta di vita degnamente cristiana, come dimostra l'esperienza quotidiana e confermano molte testimonianze di scrittori antichi e recenti.

S. Agostino, parlando dei canti « eseguiti con voce limpida e con melodie perfettamente rispondenti », così si esprime: «Sento che le anime nostre assurgono nella fiamma della pietà con un ardore e una devozione maggiore per quelle sante parole, quando sono accompagnate dal canto, e tutti i diversi sentimenti del nostro spirito trovano nel canto una loro propria espressione, che li risveglia in forza di non so quale occulto, intimo rapporto ». Stupenda citazione! Leggendo questa mirabile Enciclica, mi ha sempre impressionato il fatto che, un uomo colto, ispirato, raffinato anche in materia musicale, un esperto come era Pio XII, per soccorrere, confortare il Suo pensiero non trovasse di meglio che citare il nostro grande Agostino. Quanti secoli sono passati dopo di Lui, quanti musici importanti e studiosi insigni sorsero, quante mirabili opere anche nel campo della teoria musicale e della musicologia sono venute ad arricchire il patrimonio della Chiesa; ma la ispirata voce di Agostino in campo musicale è stata ritenuta, ancor oggi, più viva e seducente che mai.  

 

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Cosa può valere, ora, la mia povera parola dopo tanti sublimi e soavi insegnamenti? Il nostro venerato Vescovo di Ippona che la carità e l'amore di Liutprando volle qui tra noi, ha dovuto, purtroppo, assistere a periodi infelici della storia musicale sacra: gli ultimi due secoli sommersi dal dilagare della musica operistica, l'organo costretto ad intonare motivi operistici e persino operettistici, imposto un repertorio volgare di trascrizioni e di arrangiamenti, affidata l'esecuzione a maestri e complessi non sempre qualificati. Il dilettante, così commovente nella sua dedizione all'arte, si autodefinisce spesso eccellente e non accetta raccomandazioni da chicchessia. Se si dice: «cantate male », si offendono maestri e cantori, specialmente quando costoro insegnano e cantano veramente male. E' una storia vecchia questa, e le cronache musicali ricordano che persino l’Imperatore Carlo Magno restò assai male quando, orgoglioso dei suoi cantori dalla voce squillante e generosa, li portò a Roma con la convinzione di sentirne le lodi.

Si sentì dire, invece, dagli esperti musicali del Pontefice, che costoro, anziché cantare, « mugghiavano come tori ». Il grande Imperatore, invece di offendersi, volle sentire un’esecuzione della cappella papale in Roma e, non solo capì, allora, quale differenza esistesse tra i due diversi modi di cantare, ma insistette tanto per ottenere dal Papa, che era Leone III, in prestito alcuni dei suoi virtuosi, perchè insegnassero ai «tori mugghianti» come si dovessero emettere dei veri suoni musicali in Chiesa. Invito perciò tutti, Parroci, maestri e cantori che volessero veramente onorare la Chiesa con esecuzioni degne di questo nome, a rileggere il « Motu proprio » di San Pio X sulla musica Sacra a servizio del Culto, nonché la più volte citata lettera enciclica di S.S. Pio XII. Vorrei anche, che in ogni Cantoria fossero incorniciate ed esposte in bella vista le parole recentemente pronunciate da S. Santità Paolo VI, il quale, ben degno anche in questo campo dei suoi grandi predecessori, continuando la serie millenaria dei colloqui tra la Santa Sede e la Musica, ci ha recentemente detto cose veramente belle e grandi, delle quali vi farò partecipi, anche se non potrò comunicarvele tutte, perchè in gran parte improvvisate come dilatazioni di un testo letto, come ricordi della Sua vita milanese, dei suoi incontri con le grandi istituzioni musicali del Conservatorio Verdi e della Scala, della Cappella del Duomo e della Polifonica Ambrosiana (e furono le parti più commoventi del discorso). Ebbene, Paolo VI ci disse: «E' una grande missione, la vostra. La musica, la più immateriale e arcana espressione d'arte, che può avvicinare l'anima fino ai confini delle più alte esperienze spirituali, ha la sua grande parola da dire anche davanti al mondo di oggi; ha il compito tremendo e affascinante d'interpretarne le aspirazioni, le inquietudini, il brivido di assoluto; di placarne con un messaggio di serenità le oscure crisi di pensiero e di sentimento; di temperare la aridità e il freddo, in cui lo possono avvolgere i pur raffinati strumenti del suo tecnicismo; ha una missione da svolgere in nome dei valori umani più alti e veri e duraturi, quasi per una propedeutica alle ardue conquiste dello spirito. Ma anche la Chiesa attende dal vostro magistero artistico qualcosa di grande, di bello, di umano, di schietto, di sofferto: sia perchè le nuove esigenze, introdotte nel culto dalla recente riforma liturgica, richiedono il contributo personale, valido, esperto dei musicisti del nostro tempo, per poter lasciare una testimonianza d'arte e di fede, non indegna del passato; sia perchè è oggi più che mai necessario uno stretto e operante accordo tra gli uomini di Chiesa e gli uomini dell'arte, per un mutuo arricchimento, di cui essi non potranno che reciprocamente gioire. Avremmo tante cose da confidarvi su questo argomento, che ci sta grandemente a cuore, per la speranza che noi riponiamo in voi, per il contributo che Ci ripromettiamo dal vostro talento e dalla vostra ispirazione, per l'importanza che vogliamo dare alla musica e al canto nelle celebrazioni liturgiche ed eucaristiche della Chiesa, nella quale, secondo le parole di S. Ambrogio, deve «cantare all'unisono lo spirituale accordo del popolo e il suo giubilo, fuso in uno stesso suono. Purtroppo il tempo limitato non Ci permette di più.

Vi basti l'accenno, che vi abbiamo fatto, nella certezza che esso trovi in voi spiriti sensibili e pronti, volontà consapevoli, propositi fervidi e generosi. Il nostro augurio diventa preghiera per voi e per la vostra quotidiana fatica, invocandovi dal Signore la pienezza soave della sua luce e auspicandovi la musica interiore di una coscienza sempre in pace con lui ». Mirabili parole, degne del grande animo di Paolo VI! Sublimi parole, con le quali Paolo VI ogni giorno ci stupisce e ci investe di umana ed artistica commozione, e che sono ben degne di figurare accanto a quelle del nostro grande Agostino! Accomuniamo in un pensiero grato, affettuoso e riverente, a S. Agostino maestro e dottore, tutti i Santi Padri solleciti verso la nostra cara Musica che essi definiscono «prima tra le arti belle» (Pio XII), anima, profumo, respiro della civiltà.