Sant'Agostino: di Juan de Borgoňa
Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte
SANT'AGOSTINO EDUCATORE
del card. Gabriele Garrone
(Prefetto della S. Congregazione per l'educazione cristiana)
« Fate miei discepoli tutte le genti »
Matteo 28, 19.
L'avvenire della Chiesa, per espressa volontà di Cristo, esige degli educatori. Ma per essere educatore, non basta volerlo. Certi credono di esserlo ma non lo sono. Essi sono semplicemente dei canali per delle verità che li attraversano, senza divenire, per loro mezzo, principio di vita in colui che le riceve. Altri vorrebbero esserlo, e sono coloro che misurano la difficoltà di un tale compito, forse mai come oggi, quando la gioventù oppone all'azione educativa una resistenza così vigorosa che ci si crederebbe talvolta in diritto di disperare. Potranno disperare quelli che pensano di essere soli in questa impresa, e non hanno mai riconosciuto o scoperto nell'anima di coloro che essi formano, un altro Maestro, il solo vero Maestro, Colui del quale l'uomo non è mai altro se non l'umile servitore che agisce all'esterno ed in superficie.
Potranno disperare quelli che Dio non ha scelto per questo ufficio, e che non ne hanno ricevuto la vocazione a qualche titolo particolare: come nella grazia del sacerdozio, nella grazia di una paternità e maternità cristiana, nella grazia di una chiamata laica o religiosa alla grande missione dell'insegnamento. Ma per coloro che Dio chiama ad essere educatori, nessuna epoca, forse, è mai stata più favorevole della nostra. Le difficoltà che i giovani ci oppongono sono, in fondo, un invito a ritrovare nella sua autenticità il senso vero della educazione, che non è mai stata facile per coloro che non si cullavano nelle illusioni. La gioventù d'oggi non rifiuta di avere maestri, anche se pare respingerli, anche se lo dice. La realtà vera è che essa non potrà più accontentarsi se non di autentici maestri: e noi, malgrado la violenza di questa richiesta, forse dobbiamo esserne lieti. Ed è allora che noi potremo trovare in Sant'Agostino uno di quei rari uomini il cui genio alleato alla santità ed applicato esattamente al nostro problema, ci offre allo stesso tempo luce sulla vera natura della educazione e coraggio per affrontarne le prove.
E quale Maestro!
I suoi scritti, i suoi discorsi, la sua intera vita costituiscono nella Chiesa una di quelle vette dove la luce mai si estingue, e dove la Chiesa, dopo quindici secoli, continua ad attingere luce. Chi di noi non è stato in qualche momento debitore a Sant'Agostino di qualcosa: una sua parola che, come una folgore o un dardo di fuoco, colpiva e cambiava la vita; una idea fondamentale che ristabiliva per sempre il difficile equilibrio della fede? Mettiamoci dunque in ascolto perché Sant'Agostino ci ripeta l'una o l'altra di queste semplici verità, il cui peso è tanto grande da penetrare di colpo fino all'intimo dell'anima; e alle quali oggi più che mai l'educatore deve ritornare per rettificare il suo orientamento e rianimare il suo coraggio. Possano questi pochi pensieri, che nascono dal cuore stesso di questa Eucaristia, aiutarci ad essere più presenti - durante questi giorni e nell'interesse del vostro lavoro - a Sant'Agostino, a Cristo verso il quale egli ci conduce, e a tutti coloro infine a cui Cristo nostro Maestro e Salvatore ci manda perché li serviamo.
AMORE APPASSIONATO ALLA VERITA'
Il primo tratto dell'educatore, in Sant'Agostino, è l'amore appassionato della verità. Anche senza avere a tale riguardo un'anima radicalmente insensibile, uno potrebbe restare freddo di fronte alla verità, non essere disposto a combattere per conquistarla, ad impegnarsi per essa, a giocarsi la sua esistenza per difenderla. Chi è fatto così, non possiede l'anima dell'educatore; colui che non ama appassionatamente la verità, non la farà mai amare. Egli potrà ripetere cose vere, ma non sarà mai educatore. Sant'Agostino, è lui meravigliosamente adatto per fare il Maestro. Si è voluto presentarlo, non senza qualche eccesso e nemmeno senza qualche errore, come un maestro di inquietudine, come il patrono di quelli che fanno professione di cercare la verità più che di possederla, che trovano compiacimento in una vaga, dolorosa posizione di spirito, proprio sui margini del dubbio; a chi piace di più, insomma, - per dirla con Pascal - la « quête» alla « prise », ossia «inseguire la selvaggina» più che « prenderla »: e lottano con la verità senza lasciarsi mai vincere da essa o confessare di esserne vinti. Non è di questo genere l'inquietudine di Sant'Agostino. E' invece la sana inquietudine che viene dall'amore appassionato del vero. Egli soffre di non sapere. Soffre di dubitare. Ed è vero che egli non si rassegnerà mai ad una verità parziale: egli vuole la verità tutta intera. Ma lungi dal compiacersi nell'inquietudine come in un bene - dove orgogliosamente l'uomo si arresta e mantiene le sue distanze - Sant'Agostino altro non chiede se non di gettarsi a corpo perduto nella verità, quando egli la conoscerà, rigettando ogni inquietudine, nella gioia di una verità più ricevuta che conquistata, alla quale pienamente si abbandona. E' esattamente il contrario di una rinuncia, perché noi siamo fatti per questo. Il nome di questa verità - che Sant'Agostino conoscerà - è Gesù Cristo: Colui che, come dice l'Apostolo Paolo, ci vuole fare «suoi prigionieri»; Colui nel quale ogni spirito umano ritrova se stesso, nel momento in cui gli si sottomette: « Per te ci hai fatti, o Signore, ed è inquieto il nostro cuore finché non riposi in te ». Dall'inizio alla fine della sua esistenza, Sant'Agostino insegue avidamente la luce. Vuole sapere dove essa è.
La vuole penetrare ogni giorno di più. Ed è così che egli per molto tempo va errando da un ambiente all'altro, da una filosofia all'altra: pronto a darsi, se si risponde veramente alla sua attesa; deciso a rompere di colpo, appena si sente ingannato, sempre profondamente sincero, assolutamente esigente, perfino diffidente, ma solo perché egli vuole conoscere e servire la verità ... fino a quel giorno in cui la parola e l'esempio di Sant'Ambrogio, facendo crollare il sontuoso e ingannevole della sua filosofia, gli aprono finalmente il segreto della divina Scrittura e lo fanno ritornare - paradossalmente - alla silenziosa lezione dell'umile cristiana orante, santa Monica, sua madre. La verità è là: essa non gli domanda nessun sacrificio che la sua ragione possa legittimamente rifiutare; essa gli chiede soltanto di venire, non per costruire ma per ricevere questa Verità alla sorgente. Ella ha un nome: è Cristo. Nell'anima di Sant'Agostino, che ascolta e attentamente osserva Ambrogio a Milano, a pochi passi da questa Pavia dove la Provvidenza lo ha fatto ritornare come al luogo della sua illuminazione: nell'anima di Sant'Agostino nasce allo stesso momento un discepolo di Cristo ed un maestro. Avendo cercato la verità con tutta la sua anima, egli non potrà se non ricercarla ancora, perché trovare Cristo è cercarlo sempre; nulla della sua passata esperienza gli sarà inutile: al contrario, tutto lo aiuterà a divenire - lui, amante appassionato di questa verità « troppo tardi conosciuta » - il più grande, senza dubbio, tra i dottori della Chiesa di Cristo.
UNA VERITA' CHE HA NOME CRISTO
La prima luce essenziale, che ha attraversato, anzi, trapassato l'anima di Agostino, è che la verità ha un nome. Essa si chiama Gesù Cristo: «Io sono la verità... ». Questa parola del Vangelo, che per la massa dei cristiani non è se non una affermazione fra altre, sta per diventare, per questo «convertito », una realtà tutta diversa. Troppo egli ha amato la verità, con troppo ardore e sofferenza egli l'ha cercata, anche per vicoli ciechi, per non abbandonarsi totalmente ad essa ora che finalmente l'ha trovata - o meglio - ora che la verità lo ha conquistato ed egli si è definitivamente arreso.
A poco a poco, questa grande luce riconquista nel suo spirito tutti i lumi sparsi: essi erano come un riflesso anticipato di questa stessa luce. Essa raggiunge tutti i problemi del passato per offrire tutto ciò che lo spirito di un uomo che vive in questo mondo può accogliere come risposta. Quali scoperte meravigliose Agostino continua a fare in questa direzione! Quali tesori egli riesce ad accumulare a vantaggio di tutti coloro che, nel corso dei secoli, si metteranno a servizio della verità! Egli aveva dato l'esempio di appassionato amore del vero: con questo stesso amore prodigiosamente esaltato dalla fede, egli è pronto ormai, come maestro, ad aiutare i cristiani ad acquistare il senso della verità. Due tratti soltanto di questa grande lezione che continua ad illuminarsi. Il maestro umano può credere di essere lui che risveglia o quasi crea la luce che si illumina nell'anima del discepolo. Può pensare che è opera sua e forse provarne qualche orgogliosa soddisfazione. Agostino sa che non c'è nulla di questo. « Di maestri ve n'è uno solo ». Glielo ha insegnato il Vangelo. E questo principio egli vuole farlo penetrare a fondo nei suoi discepoli. Il vero e solo maestro è dentro di noi. Al di fuori, l'uomo che avvicina un altro uomo, può portare un aiuto, spazzare il terreno, preparare la strada ...
Ma il solo che parla e chi fa intendere è il Maestro interiore. L'uomo che insegna non può mai essere altro che lo strumento del Maestro interiore, al quale egli - per primo - ha dovuto sottomettersi, per fare opera utile ed onesta. Voi avete riconosciuto in queste parole la dottrina del De Magistro, al quale la spiritualità cristiana non ha cessato mai di ispirarsi e che voi ancora studierete nel corso di questa settimana sotto la guida dei migliori maestri.
Un altro tratto è quello che chiamerei la gelosia della verità. La verità, quando la si conosce, è la più forte e tremenda di tutte le altre forze del mondo. Essa ha ispirato ad Agostino intuizioni miracolose circa i pericoli corsi dalla fede, ed una potenza di difesa che si è ripercossa lungo i secoli per difenderla. Che cosa nascondeva nel suo fondo la dottrina di un Pelagio, così facile ad accogliersi, così riposante per la nostra ragione: un «Cristo» esemplare che apparterrebbe soltanto alla nostra libertà di seguirlo? In realtà, si tratta di un vero razionalismo morale che si offriva a noi in modo anonimo e all'insaputa di molti. Se Pelagio ha ragione, Cristo non è più necessario. Ma Agostino ha «fiutato» il nemico: Pelagio, nel campo della vita Morale, è un nuovo Ario; Agostino si getta a capofitto e sappiamo bene quale fosse l'oggetto di quelle lotte. Non c'è dubbio che egli così abbia salvato la Chiesa. Ma la sua dottrina rischiara ancora il nostro tempo. Come la sua luminosa critica al Donatismo ancora oggi ci può essere utile per superare il rinascente pericolo di sedicenti «piccole Chiese », più o meno estranee, nel pensiero o nell'intenzione, alla grande ed unica Chiesa.
NON DIVIDERE L'UOMO
In ciò che è stato detto, vi era già qualcosa che tocca da vicino il tema sul quale dovremmo ancora soffermarci un istante. E' uno dei tratti essenziali della fisionomia del vero educatore, ed è così caratteristico che tutta la tradizione agostiniana ne ha fatto una legge fondamentale: Sant' Agostino non accetta di dividere l'uomo. La sua ricerca della verità è stata compiuta con tutto il suo essere, e non solo con il suo spirito. Comunicare la verità sarà per lui sempre l'indirizzarsi a tutto l'uomo ed impegnare tutto l'uomo. L'educatore, e più di ogni altro l'educatore cristiano, non può fare a meno di conoscere ed accettare questa legge. La misteriosa e complessa macchina umana non si lascia scomporre arbitrariamente. Si va alla verità con tutta l'anima e con tutto ciò che siamo; altrimenti non la raggiungeremo mai. Agostino lo ha compreso meglio di ogni altro. La Verità in definitiva è Cristo: e l'uomo non raggiunge Cristo attraverso la sola ragione. Come evitare qui di pronunciare la parola «cuore », nel senso preciso che si trova nel Vangelo? Allora non significa non saprei quale sentimento, come d'altra parte non esclude nulla di ciò che in noi ha qualche valore. Il cuore è il punto segreto dell'essere dove tutto comincia e tutto ritorna; il punto dove si afferma la nostra esistenza e la nostra persona, da dove procedono il bene ed il male che vengono da noi; il centro dove si incontrano tutte le linee della nostra personalità e della nostra natura: intelligenza e volere, sentimento e volontà, spirito e corpo.
Le varie funzioni non si confondono, ma esse non si separano mai. L'educatore non deve mai dimenticarlo. Quando egli si indirizza allo spirito, deve sapere che la sensibilità sta in ascolto. Quando parla alla volontà per dirle qual è il suo dovere, sa che essa non può fare a meno della luce dello spirito. Quando insegna ad una intelligenza, egli forma, lo voglia o no, un'anima, e la dispone più o meno bene, più o meno male, a conoscere e ad amare Dio. Su questo punto, assolutamente, Sant'Agostino è il Maestro dei maestri. Per questo motivo il metodo di Agostino è sempre così differente da un semplice procedimento logico. E' stato detto con molta incisività: il suo metodo consiste nel toccare successivamente tutti i punti, per ricondurli all'unico fine e renderlo evidente sempre. Finalmente, insegnare, educare, per il Maestro è sempre aiutare un cuore ad incontrare Dio in Gesù Cristo. Nessun problema ha senso, se alla fine esso non procura l'incontro tra la Verità ed una creatura umana, che a quella totalmente si apre.
MAESTRO D'INTERIORITA'
Per questo motivo ancora Sant'Agostino appare per eccellenza come il maestro dell'interiorità. Poiché è sempre a Dio che egli riconduce attraverso tutte le vie, Agostino sa che queste vie che portano a Dio non possono non passare attraverso il nostro intimo: «Ab exterioribus ad interiora, ab interioribus ad superiora ». Ammirabile formula che può illuminare tanti dibattiti in cui teologi ed organizzatori della educazione rischiano oggi di andare fuori strada. L'uomo si perderà, e si perderà Dio, volendo ignorare l'intimità umana, e rinunciando a insegnare l'arte dell'incontro con se stessi, del raccoglimento, del silenzio, e attraverso questi anche dell'arte di comunicare con gli altri uomini: in breve, tutto ciò che si offriva o si cercava in un umanesimo tradizionale. Nessuna educazione moderna, tecnica, potrà mai supplirvi. L'educatore che non sa far trovare all'allievo il cammino verso Dio, non è degno del suo compito. Sant'Agostino può essergli di aiuto nel ricordarlo.
* * *
Ma è ora di terminare questa troppo lunga meditazione su di un tema così grande e a partire da un tale Maestro. Tutto sarà detto e detto meglio nei giorni che seguiranno. Vorrei soltanto prima dell'inizio di questo lavoro nutrire un po' la vostra preghiera. E' dunque tempo di concludere, e la conclusione si impone da sé. Non si può esitare un attimo nel formularla. Essa era già presente in tutto ciò che si è detto, come l'anima nel corpo. L'ultima parola di questa dottrina, l'ultima parola di quest'anima, è questa: Dio è Carità. Ciò che san Giovanni ha detto e ripetuto particolarmente nella sua prima Lettera, dove è formulata l'equazione: Dio è Amore, nessuno tra i maestri spirituali l'ha mai compreso meglio, e meglio espresso, o meglio vissuto, meglio accettato di Sant'Agostino. Il suo Commentario sulla prima Lettera di san Giovanni è uno tra i gioielli più puri della nostra letteratura religiosa e certamente uno dei capolavori del Maestro. Dio è Carità. Verità e Carità in Dio si confondono: tale è senza dubbio il valore supremo della fede e il motivo supremo di quel tesoro straordinario che è l'Opera di Sant'Agostino. Ma era anche il segreto della sua santità. E noi raggiungiamo qui il Mistero che ci riunisce insieme. Certo, domandiamo al Signore Gesù, che ha fatto l'anima di Sant'Agostino, di benedire i lavori di questa settimana e di avvicinarci un po' più a Lui mentre illumina il nostro cammino verso l'incontro con Sant'Agostino e la sua opera. Ma soprattutto preghiamo affinché coloro che dovranno formare lo spirito e l'anima dei sacerdoti siano veri, autentici discepoli di Sant'Agostino educatore: e così diventare maestri come questi tempi li esigono e come la gioventù, in fondo, li attende, anche se non sempre lo sa. Raccogliamoci ora un istante per unirci a una preghiera che fu quella di Agostino: «Deus qui nisi mundos verum scire noluisti, Deus Pater veritatis, Pater sapientiae, Pater verae summa eque vitae, Pater beatitudinis, Pater boni et pulchri, Pater intelligibilis lucis, Pater evigiliationis atque illuminationis nostrae, Pater pignoris quo admonemus redire ad te ... ».
E' la preghiera di un Maestro.
Possa essere la nostra: ora e sempre.