Sant'Agostino: di Juan de Borgoňa
Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte
IL PROBLEMA DELL’EDUCAZIONE RELIGIOSA: LA RICERCA DEL METODO DIDATTICO
di mons. Giulio Oggioni
PREMESSA
Lasciamo a questo contributo il tono e lo stile della lezione orale. Solo ci permettiamo di aggiungere una bibliografia essenziale. Sul De Catechizandis Rudibus abbiamo scritto un articolo (il «De Catechizandis Rudibus» di Agostino, catechesi per i lontani. La Scuola Cattolica, 91 (1963) 117-126), di cui ci siamo serviti nello stendere questa lezione. Alla bibliografia lì ricordata, aggiungiamo questi titoli:
G. ISTACE, Deux essais de synthèse chez St. Augustin, tesi presso l'Università di Lovanio, 1955.
J. DANIÉLOU, L'histoire du salut dans la catéchèse, in «Maison Dieu », n. 30 (1952) p. 22 ss.
G. NEGRI, La disposizione del contenuto dottrinale del «De Catechizandis Rudibus» di S. Agostino, Roma, 1961, (estratto di una tesi di laurea presentata al Pont. Athaeneum Salesianum nel 1956-1957, dal titolo, «Il contenuto kerigmatico del De Catechizandis Rudibus»).
L. J. VAN DER LOF, The date of the de Catechizandis Rudibus, in «Vigiliae Christianae », 16 (1962), p. 198-204 è contrario all'opinione di Farges e Combes che la composizione di quest'opera pongono nel 405; essa invece sarebbe stata composta nel 399.
A. ETCHEGARAY, Storia della catechesi, Roma, E.P. 1967: l'edizione spagnola è del 1962; nell'edizione italiana sono dedicate alla catechesi di Agostino e quasi unicamente al De Catechizandis Rudibus le pagine 138-148.
R. CORDOVANI, Il De Catechizandis Rudibus di S. Agostino. Questioni di contenuto e di stile, in «Augustinianum» 6 (1966) pagg. 489-527; Le due città nel De Catechizandis Rudibus di S. Agostino, ibidem 7 (1967) pagg. 419447; Lo stile del De Catechizandibus Rudibus di S. Agostino, ibidem 8 (1968) pagg. 280-301. J.
DANIÉLOU - R. DU CHARLAT, La catechesi nei primi secoli, Torino LDC, 1970 (l'edizione francese è del 1968): alla catechesi di Agostino, cioè in pratica al De Catechizandis Rudibus sono dedicati le pagg. 205-235 della edizione italiana.
La traduzione del testo è presa normalmente da: S. AGOSTINO, De Catechizandis Rudibus, a cura di Antonio Mura, Brescia, La Scuola, 1956.
Agostino è veramente un autore versatile: controversista, filosofo, teologo, predicatore, pastore d'anime, ecc., attira l'attenzione degli studiosi e dei cristiani tutti or sull'uno ed ora sull'altro dei suoi molteplici aspetti. Da secoli il suo pensiero viene approfondito soprattutto sotto il profilo strettamente filosofico o teologico; ma solo ultimamente esso viene accostato in modo sistematico nella sua dimensione « pastorale »: un'opera fondamentale e pionieristica in questo senso fu quella di F. VAN DER MEER dal titolo: S. Agostino pastore d'anime, pubblicato nel 1951. La settimana pavese di studi agostiniani vuole approfondire appunto quest'anno un aspetto di Agostino come Maestro di pastorale: quello pedagogico. Ed il nostro contributo intende illuminare il problema specifico dell'educazione religiosa. Agostino ha scritto parecchie opere su questo argomento, interessandosi sia dell'aspetto metodologico che di quello contenutistico. Basti ricordarne alcune: De Magistro, De Agone christiano, De Doctrina christiana, Enchiridion de fide spe et charitate, De Catechizandis rudibus; a prescindere dai molti sermoni ai catecumeni, ai neofiti ed ai fedeli ed agli spunti sparsi in molte sue opere. Prima e più di ogni altro autore cristiano egli ha approfondito i due aspetti fondamentali di un insegnamento cristiano: quello dell'attenzione alla Parola di Dio da annunciare - e qui l'opera fondamentale è il De Doctrina christiana- e quello dell'attenzione al soggetto che viene evangelizzato - e qui l'opera più notevole è il De Catechizandis rudibus. Per sviluppare adeguatamente il problema dell'educazione religiosa in S. Agostino, occorrerebbe dunque percorrere tutte le opere e gli scritti indicati. Siccome però questo supera le nostre competenze ed anche quelle di una onesta e chiara lezione, mi pare di dover accettare la limitazione suggerita dal sottotitolo della lezione stessa, restringendo il nostro discorso all'analisi del De Catechizandis rudibus per cogliervi le idee agostiniane circa il metodo ed il contenuto di una catechesi, da rivolgersi a chi si presenta la prima volta a chiedere l'ammissione alla Chiesa cattolica. Prima di analizzare la sua dottrina sentiamo come Agostino si presenta a noi. All'inizio dell'opera, rivolgendosi a Deogratias, diacono della Chiesa di Cartagine, che gli aveva chiesto di aiutarlo con alcuni suggerimenti ad adempiere il suo compito di maestro dei precatecumeni, egli scrive: «Ed io veramente quando, grazie alla generosità di nostro Signore, posso offrire qualcosa con l'opera mia, e quando il Signore stesso mi comanda di aiutare coloro che ha fatto miei fratelli, sono spinto da quella carità e da quel servizio che debbo non solo a te in particolare, ma anche alla nostra Madre Chiesa in generale, a non rifiutare in alcun modo l'aiuto, ma anzi a darlo con volontà devota e pronta. Quanto più infatti desidero che sia largamente distribuito il tesoro divino, tanto più, se so che i miei fratelli trovano difficoltà a dispensarlo, sento di dover fare quanto sta in me perchè essi possano fare con facilità e prontezza quello che vogliono con diligenza ed ardore ». (De C. r. l, l). Con queste parole Agostino non si rivolgeva unicamente a Deogratias ma a tutta la Chiesa e quindi anche a noi, perchè anche noi apparteniamo a quella Chiesa che elenca Agostino tra i suoi Padri più grandi, e perchè anche noi abbiamo oggi difficoltà a presentare il tesoro divino in questo mondo ritornato « non credente ». Il nostro discorso vorrebbe essere non tanto un commento quanto un servizio, che aiuta a meglio comprendere il messaggio e il servizio di Agostino.
L'OPERA, IL SUO SCHEMA ED IL SOGGETTO A CUI E' RIVOLTA
1) Composta attorno al 400, quest'opera appartiene al periodo della piena maturità di Agostino e ad un tempo di intensissimo lavoro. Anch'essa, come la quasi totalità delle sue opere, è dovuta non ad una scelta autonoma e personale ma alla richiesta di un amico « il fratello Deogratias »: «mi hai chiesto che ti scriva, ... qualcosa che possa esserti utile sul modo di catechizzare i principianti (rudes). Mi dici infatti che ti vengono spesso condotte a Cartagine, ove sei Diacono, persone da iniziare alla fede cristiana ... Mi dici però che quasi sempre ti trovi in difficoltà, quando devi adeguatamente esporre quelle stesse verità a cui dobbiamo credere per essere cristiani. E da tale necessità sei stato condotto a sollecitare me, e a chiedermi in nome della carità che ti debbo, che non mi sia grave, tra le mie occupazioni, scriverti qualcosa sull'argomento ». (De C. r. 1, 1). Superando la stessa richiesta di Deogratias ed attingendo qui ad una scelta e ad una intuizione personale, Agostino non si limita soltanto a dare dei consigli e dei suggerimenti tecnici - suggerimenti che egli sente come « sufficienti » -, ma propone anche due esempi pratici di catechesi ai «rudes », offrendoci così un'opera estremamente interessante, dove la comprensione delle due parti può avvalersi di un confronto, stimolante e illuminante, tra teoria e pratica. Ecco infatti cosa scrive all'inizio del cap. 10, 14: «A questo punto, forse, vuoi (o Deogratias) un esempio di discorso che ti mostri in modo concreto come si debba mettere in pratica i miei consigli.
E io te lo darò certamente, come potrò con l'aiuto del Signore. Prima però debbo parlarti, come ti ho promesso (cfr. 2,4) della gioia che occorre suscitare. Perchè, riguardo alle norme (cfr. ancora 2, 4) del discorso da fare per catechizzare un principiante ho già mantenuto la mia promessa, a quel che mi pare, in modo sufficiente. Ed è senza dubbio inutile che io stesso faccia in questo trattato quel che insegno a fare. Se lo farò sarà un di più, ma non posso farlo prima di aver saldato il debito, cioè quello sul discorso della gioia ». Ed un po’ sotto, prima di presentare i due esempi concreti, annota: « Ora però stai per chiedermi una cosa che non ti dovevo prima di promettertela. Che io ti stenda cioè, e ti metta davanti agli occhi un esempio di discorso, come se fossi io medesimo a catechizzare qualcuno ». (15, 23).
2) Queste osservazioni mettono in evidenza anche lo schema del nostro libretto, schema particolarmente perspicuo e luminoso. Dopo una introduzione (l, l - 2, 4) in cui Agostino espone, da par suo, l'occasione del libro, segue lo sviluppo dell'opera divisa in due parti. Nella prima egli presenta le regole del metodo dell'insegnamento catechistico ad un «rudis », regole suggerite in parte dalle scienze retoriche ed oratorie di allora e riassumibili nella « narratio » e nella « exhortatio ». La « narratio », nella catechesi al principiante, consiste nel racconto della storia della salvezza attraverso la Scrittura (3, 5 - 6, 10). La « exhortatio» è l'applicazione morale ed etica della «narratio» all'uditore, e per questo deve essere particolarmente adattata all'uditore medesimo (7, 11 - 9, 13). Questa prima parte termina con un excursus sulla « hilaritas », cioè sul modo di non annoiare l'uditore (G. OGGIONI, a.c. La Scuola Cattolica, 91 (1963) p. 118-119). Nella seconda parte Agostino presenta due esempi pratici di catechesi ai « rudes ».
Il primo esempio contiene un discorso della lunghezza di due ore, il massimo che Agostino concede al catechista per questo accostamento (26, 51). Premesso che bisogna adattare il discorso alle condizioni e al grado di cultura dell'uditore e che egli suppone di rivolgersi a un « rudis », proveniente dall'ambiente cittadino (15, 23), Agostino sviluppa la sua catechesi in modo conforme alle linee descritte nella prima parte, articolando anzi meglio qualche punto. - Agostino incomincia con un esordio, dove si suppone l'interrogazione del principiante circa gli scopi che egli si prefigge diventando cristiano, e dove si espone il fine della dottrina cristiana (16, 24 - 17, 28); - continua con la narrazione, cioè con l'esposizione del piano divino di salvezza dalla creazione allo Spirito Santo e alla Chiesa (18, 29 - 23,41); - giunge alla esortazione, che contiene le verità finali (giudizio e Resurrezione), le argomentazioni in favore della fede (profezie), le istruzioni (contro le tentazioni e gli scandali e circa i precetti) e l'invito alla speranza (24, 42 . 25, 49); - termina con un accenno al segno della Croce ed al « sacramentum salis» (26, 50). Il secondo esempio contiene, con il medesimo schema, un discorso molto più breve, di mezz'ora, (26, 51 - 27, 55).
3) Abbiamo detto (Cfr. sopra, pago 78) che il De Catechizandis rudibus è un'opera dove l'argomento del come presentare il messaggio cristiano è considerato dal punto di vista del soggetto a cui ci si rivolge. Questa intenzione comanda tutto lo svolgimento dell'opera; e ciò deve essere tenuto accuratamente presente, come ben nota Gian Carlo Negri in un suo notevolissimo studio (La disposizione del contenuto dottrinale, nel De C. r. di S. Agostino, Roma, 1961, pagg. 11-25), se si vuol leggere lo scritto in una prospettiva veramente agostiniana. Questo principio esige che noi abbiamo innanzitutto a intenderci sul significato di «rudis ». Il termine non significa nè rozzo nè tanto meno "idiota" (Cfr. De Cat. rudibus 15, 23. Rosmini ha usato questo termine nella sua traduzione di quest'opera: Del modo di catechizzare gli idioti, Venezia 1821: il senso di 'idiota' inteso da Rosmini non è però quello corrente, ma quello di persona non dotata di cultura); esso ha per Agostino e per il suo tempo un significato tecnico, «Rudes » indicava una determinata categoria di persone in confronto del cristianesimo: quella dei principianti, degli aspiranti; noi oggi potremmo chiamarla la categoria dei «precatecumeni ». Per comprendere in modo adeguato questo termine occorre tener presente la situazione di coloro che volevano diventare cristiani ai tempi di Agostino. Nel sec. IV i pagani, che volevano iniziarsi al Cristianesimo, si moltiplicarono enormemente, e per questo la Chiesa sentì il bisogno di organizzare in modo adeguato, serio ed impegnato l'istituto del catecumenato; anche perchè molti erano condotti al Cristianesimo da motivi di opportunismo e non da sincero desiderio della fede. Nella struttura del catecumenato in questo periodo possiamo distinguere tre gradi e tre momenti: quello dei «rudes », quello degli «accedentes », quello dei «competentes ».
I «competentes », così detti perchè insieme domandavano (cum-petentes) il battesimo, erano costituiti da coloro che avevano chiesto, prima della Quaresima e dopo l'invito della Chiesa fatto pubblicamente nel giorno dell'Epifania, il battesimo. Vi si preparavano durante tutta la Quaresima con l'ascolto quotidiano della Parola di Dio, con la « traditio symholi et orationis dominicae », e vedevano coronato il loro desiderio nella veglia pasquale, mediante i Sacramenti di iniziazione: Battesimo, Cresima ed Eucaristia, che da semplici cristiani come già erano, li costituivano perfetti fedeli. I «rudes» invece erano coloro che si accostavano per la prima volta, individualmente o a piccoli gruppi, in qualsiasi tempo dell'anno, per chiedere di essere ammessi alla Chiesa. Nelle Chiese più importanti, come a Cartagine, c'era una persona appositamente incaricata, come il diacono Deogratias, per accogliere ed esaminare tali richieste. Qui il rapporto doveva essere personale, e lo scopo quello di constatare le vere intenzioni del richiedente, di presentargli il contenuto del messaggio cristiano, senza ledere la disciplina dell'arcano, ed in modo tale che nascesse nel candidato il desiderio di meglio approfondirlo. Se il risultato di questo o di questi incontri era positivo, si terminava con il rito liturgico della imposizione del segno della croce e del « sacramentum salis ».
Ecco cosa ci dice Agostino nella sua opera: «dette queste cose (cioè finita la catechesi) si deve domandare al catechizzando se crede a queste verità e se desidera osservarle. Risposto che egli abbia affermativamente, dobbiamo fare su di lui silenziosamente il segno della croce e lo dobbiamo trattare secondo il rito della Chiesa. Quanto al sacramento del sale ... » (26, 50) (Cfr. G.C. NEGRI, O.c. pagg. 29-30). Questi riti facevano del « rudis » un vero cristiano, anche se catecumeno, e lo inserivano tra gli « accedentes »: egli poteva e doveva partecipare oramai ai riti cristiani fino alla «Missa fidelium » esclusa; era tenuto ad una condotta morale conforme al cristianesimo stesso; ed era soggetto all'autorità della Chiesa. Nel grado degli « accedentes » i catecumeni dovevano rimanere per un certo tempo (alcuni anni); ma purtroppo molti vi rimanevano per un tempo più lungo, rimandando il battesimo tante volte alla fine della vita e quasi sempre al periodo dopo la giovinezza, anche quando erano stati fatti catecumeni dai genitori, sin dall'infanzia. Da quanto abbiamo detto risulta che i « rudes » erano dei precatecumeni, che chiedevano di diventare cristiani, ma che ancora non lo erano; lo diventavano, sia pure nel grado di catecumeni, con l'imposizione del segno della croce e con il sacramento del sale, in attesa di diventare cristiani fedeli con i sacramenti di iniziazione.
LA CATECHESI STORICO-KERIGMATICA
Il principio dell'attenzione al soggetto deve guidarci anche nell'interpretare il tipo di discorso che Agostino rivolge al « rudis ». Per indicare questo tipo di discorso Agostino suggerisce il termine di « catechesi », - il libro infatti si intitola « De Catechizandis rudibus » -; però si tratta piuttosto, come abbiamo visto, di una « precatechesi ». Ed è estremamente interessante la differenza tra il discorso che Agostino fa ai cristiani fedeli e quello che fa ai precatecumeni. Il discorso ai cristiani - come ben dimostrano opere quali il De Agone cristiano (del 396) e l'Enchiridion de fide, spe et charitate (del 421) si sviluppa secondo lo schema del simbolo, del Credo; il discorso ai principianti invece si sviluppa secondo la storia: la presentazione del messaggio cristiano è fatta seguendo l'iter della rivelazione di Dio in Scripturis Sacris. Semplificando un po’, si può dire che il discorso ai cristiani è dottrinario, quello ai precatecumeni è kerigmatico.
1) La varietà delle catechesi in rapporto ai vari momenti degli uditori di fronte al battesimo e la scelta di una catechesi di tipo storico-kerigmatico per i principianti appartiene all'uso cristiano più antico; è già presente infatti embrionalmente nelle Sacre Scritture. L'elemento storico-kerigmatico prevale nelle catechesi petrine degli Atti, catechesi che sono senza dubbio per un primo accostamento del cristianesimo, anche se coronate subito dal sacramento del battesimo. Si veda la catechesi di Pietro dopo la discesa dello Spirito Santo (Atti 2, 14-39) e, ancor più significativa, quella a Cornelio (Atti 10, 34-41). Il vangelo di Marco, che si presenta come un seguito di fatti storici più che la proposta di una dottrina, potrebbe essere considerato come lo sviluppo di una parte, quella relativa a Cristo, della catechesi petrina. Paolo stesso, quando parla per la prima volta ad un pubblico, preferisce una catechesi a carattere storico-kerigmatico e questo non soltanto con i giudei (Atti 13, 36-41), ma anche, in sostanza, con i gentili (Atti 17, 22-32). Ridotta all'essenziale questa presentazione storico-kerigmatica si esprime così: il Padre ci ha salvato in Gesù Cristo; e noi dobbiamo credergli, se (ma si tratta di un «se» asseverativo) vogliamo la salvezza.
Il discorso degli Apostoli nelle lettere diventa diverso: rivolgendosi qui a gente oramai cristiana, gli Apostoli propongono ancora il kerigma, ma con « didascalia »: cioè spiegano e confortano l'annuncio dell'opera del Padre per salvarci in Cristo e quello del dovere di credere e di agire in modo conforme con argomentazioni profetiche e con osservazioni di valore umano che conferiscono al discorso un andamento dottrinale: si osservi il tono ed il procedimento delle lettere paoline ai Romani ed ai Galati, con la loro distinzione tra parte teorica e pratica. Questo duplice modo di presentare il messaggio rivelato continuò anche presso la Chiesa dei primi secoli, adeguandosi alle varie situazioni e all'indole del maestro. Le apologie, ad esempio, opere di primo accostamento, seguono nella parte espositiva l'ordine storico, punteggiato e confortato dalle profezie; le lettere di Ignazio, invece, perchè indirizzate a gente già cristiana, hanno un procedimento dottrinale-esortativo, non storico-kerigmatico. Queste diversità sono dipendenti dal « genere letterario » della proposta, più che dall'indole dell'autore, tanto che sono reperibili in opere dello stesso autore: ad esempio Clemente Alessandrino segue una ben diversa impostazione nel Protrettico, discorso di primo accostamento, e negli Stromati, opera di riflessione cristiana e teologica (Cfr. G. OGGIONI, a.c. in La Scuola Cattolica, 91 (1963) p. 123-124).
2) Agostino quindi, scegliendo una catechesi storico-kerigmatica per il primo accostamento al cristianesimo, non introduceva nessuna novità nel metodo della Chiesa, ma seguiva e continuava, più o meno consapevolmente, una tradizione antica che, per giunta, nei secoli IV - V bene si adattava anche alla disciplina dell'arcano, la quale doveva essere stata stabilita oltre che per ragioni negative (sottrarre le cose sante a possibili profanazioni) anche per ragioni didattiche e pedagogiche (impossibilità di far cogliere subito i misteri cristiani: quelli «teologici» della Trinità, di Gesù Cristo e quelli « simbolici » dei riti di iniziazione). La disciplina dell'arcano proibiva la proclamazione dei misteri cristiani, della professione di fede (il simbolo) e della preghiera propriamente cristiana (il Pater), davanti ad un pubblico che non fosse completamente di battezzati. Per cui un'esposizione sistematica della fede e dei riti cristiani non era pensabile per i « rudes », per i precatecumeni; ai quali, di conseguenza, si poteva presentare solo una catechesi della storia di salvezza. a) L'originalità di Agostino circa l'esposizione kerigmatica del messaggio cristiano ai principianti, non sta quindi nel fatto della sua scelta, ma nel modo di presentarla, nella ricchezza del suo contenuto, nella consonanza tra la sua propria mentalità e questo discorso. Il problema del modo, con il quale Agostino presenta il messaggio cristiano al «rudis », si sovrappone con quello dell'uso delle regole ciceroniane dell'arte oratoria, per sviluppare questo discorso. Cicerone aveva scritto che il discorso oratorio doveva essere preceduto dall'exordium, sviluppato nella narratio, concluso con la probatio, refutatio, peroratio (De Inventione 1, 27).
Agostino conosceva senza dubbio queste regole, per averle applicate tante volte nei suoi discorsi di retore pagano; per cui, quando all'inizio del De Catechizandis rudibus si fa interrogare da Deogratias sul modo con cui condurre la narratio (1,1), non si riesce a capire se la richiesta è espressa con le parole dell'interlocutore, o è riproposta con il vocabolario del retore Agostino. Ad ogni modo non doveva essere difficile, nell'ambiente cartaginese ed africano, assumere il genere letterario del sermone pagano, per sviluppare il primo discorso con un gentile che chiedeva di diventare cristiano. Ed Agostino meno di altri si sarà sottratto a questo uso, lui che sapeva, per esperienza personale e per contatti pastorali così frequenti e svariati, che gli uomini bisogna prenderli dove sono, per condurli alla meta cui Dio li chiama. Si trattava di applicare sul piano del metodo il principio della condiscendenza e della incarnazione che tante volte è richiamato da Agostino, anche in questa operetta, proprio a proposito dell'attenzione che il maestro deve avere alla situazione dell'alunno, cioè alle sue debolezze, volontà, desideri, richieste, ecc.. Certo che l'uso di queste forme del discorso non significa nessuna acquiescenza a moduli pagani: si tratta solo dell'assunzione di un linguaggio, che viene usato con stile cristiano e che viene riempito di contenuto rivelato. Per quanto riguarda la narratio ad esempio, mentre nel «sermo» pagano si ricorreva alle « auctoritates » profane, qui si ricorre unicamente alla Sacra Scrittura, sviluppata in modo storico; e per quanto riguarda le parti dopo la «narratio », che possiamo indicare con una sola parola exortatio, esse sono interamente orientate ai novissimi, riempite di precetti cristiani ed animate dalla speranza.
b) Più ancora che per l'uso delle norme ciceroniane del discorso, Agostino è originale per il modo con il quale presenta, in questa catechesi storica, il messaggio cristiano. Abbiamo già detto che questo messaggio non è sviluppato dottrinalmente ma storicamente, non è imposto autorevolmente ma è presentato obiettivamente: si descrive quello che ha fatto Dio dalla creazione del mondo fino a Cristo ed alla Chiesa, per pervenire in quelle realtà «temporali », nelle quali l'interlocutore umano si trova, sì da interpellarlo nella sua stessa casa, se è lecito dire così, chiamarlo alle cose eterne e condurlo ad esse, accettando con la fede e con la condotta il messaggio cristiano. Si tace invece sulla «teologia» e sui «sacramenti ». «Ma se badiamo, nota bene G.C. Negri, alla disposizione complessa ed articolata del contenuto di questo sermone» vediamo che tutte le componenti dottrinali e misteriche del cristianesimo sono fatte intravedere come al di là di una porta, che l'interlocutore deve varcare. I temi del De Catechizandis rudibus, sia quelli dichiarati esplicitamente che quelli « sottintesi » (in submissione), comprendono e raccolgono tutte le dottrine essenziali del Cristianesimo: «redenzione (o Piano di Dio), Gesù Cristo, Trinità, carità, Maria Santissima, Spirito Santo, decalogo, ecc.; e il grande accento messo sulla Chiesa supplisce alla mancanza del nucleo liturgico» e alla sottolineatura della autorità e della gerarchia (Cfr. G. NEGRI, o.c. pag. 88).
Non abbiamo molti esempi antichi, pienamente sviluppati, di precatechesi, ma non è senza dubbio azzardato affermare che poche avevano la ricchezza, la suggestività e la capacità di preannunciare, quanto poi sarebbe stato apertamente proposto, in misura pari a questa di Agostino. Un precatecumeno così formato, chissà quante volte sentendo poi le catechesi cristiane vere e proprie, avrà dovuto dire: però questa e quest'altra verità mi era già stata preannunciata in quel punto o in quell'altro della catechesi storica.
c) Un'originalità agostiniana ancora maggiore a me pare rilevabile dalla consonanza tra la scelta di una catechesi storica per il «rudis» ed i principi fondamentali che, secondo Agostino, dovevano regolare l'insegnamento del maestro esterno. Per Agostino il maestro umano, data la sua impossibilità ad entrare nello spirito altrui, si limita a comunicare le « scienze », ma non pretende di dare la «verità» (De Magistro 13-14, 45): la verità è attingibile solo in forza di una luce divina che si accende nell'intimo di ogni intelletto. Il maestro umano guiderà a scoprire tale luce, e questo più con le domande poste, che con le soluzioni presentate; chi accende la luce è Cristo, «Dei virtus et Dei sapientia », lui solo è il vero Maestro (De Magistro II, 38; 12, 40 ecc.). Coerentemente con queste convinzioni il maestro-catechista, di fronte al precatecumeno che si accosta per la prima volta a Cristo e non sa ancora che Lui è il Maestro interiore della verità, dovrà limitarsi ad una presentazione storica della sua venuta - dal primo annuncio nella creazione alla consumazione finale -; per farglielo conoscere, per invitarlo a seguirlo. Dovrà perciò limitarsi a narrargli, la storia sacra « narratio »), e ad esortarlo ( « exhortatio ») a diventare cristiano. Quando poi l'uditore avrà conosciuto con la fede chi è il Maestro interiore (ma allora non sarà più « rudis »), il catechista con appropriate interrogazioni e proposizioni potrà guidarlo a cogliere quella luce, Gesù Cristo, che si accende dentro di lui e che gli rivela la verità (Cfr. G. OGGIONI, a.c. in La Scuola Cattolica, 91 (1963) p. 124-125).
NORME PSICOLOGICHE E DIDATTICHE
Il principio dell'attenzione al soggetto conduce infine Agostino a scoprire alcune regole di psicologia e di didattica che a noi potranno sembrare evidenti e spontanee, ma che rappresentano, sotto alcuni aspetti, delle vere novità nella storia della pedagogia e della didattica. Non è questo il luogo per sviluppare la dottrina «pedagogica » di S. Agostino; qui basta sottolineare due punti della dottrina di Agostino particolarmente interessanti.
1) Il primo è quello dell'adeguazione del maestro alla condizione ed alla situazione del discepolo. Per Agostino un discorso che vada bene per tutti è così impensabile da far diventare inefficace un discorso scritto per un uditore anonimo. Ecco cosa dice nel De Catechizandis Rudibus: «Voglio prima però che tu consideri questo: che altro è l'atteggiamento di colui che detta pensando al futuro lettore; altro è l'atteggiamento di colui che parla davanti ad uno che ascolta. In questo ultimo caso poi: altro è dare ammonimenti a tu per tu, senza nessun altro presente ad ascoltare e a giudicare; altro è insegnare in pubblico, di fronte ad un uditorio di diverse opinioni.
E in questo caso ancora: altro è istruire una sola persona, mentre stanno ad ascoltare altri che, in certo modo, stanno lì a giudicare o a confermare cose a loro già note; altro insegnare quando tutti quanti stanno lì ad attendere quello che stiamo loro per dire. E di nuovo: altro è quando l'ascoltatore è seduto familiarmente e scambia con noi una conversazione; altro quando il popolo in silenzio guarda sospeso colui che parla da un luogo elevato. E cosa molto diversa è, in quest'ultimo caso, quando vi sono o pochi, o molti uditori; quando sono dotti o ignoranti (o anche un po’ l'uno, o un po’ l'altro); quando sono cittadini o campagnoli (o anche questo e quello insieme); e quando, infine, l'uditorio è un misto di gente di ogni ceto.
Non è possibile, infatti, che i presenti chi in un modo e chi in un altro, non facciano impressione sull'oratore che sta per prendere la parola. E non è possibile che il discorso pronunciato non abbia, per così dire, l'aspetto stesso del sentimento di colui che lo pronuncia, e che, secondo la sua varietà, variamente impressioni gli uditori; mentre questi ultimi, con la loro stessa presenza si impressionano reciprocamente e in vario modo. Ma poichè ora stiamo trattando di principianti da istruire, ti posso testimoniare che io stesso sono influenzato ora in un modo, ora in un altro, se mi trovo davanti come catechizzando o un dotto o un indolente, o un cittadino, o uno straniero, o un ricco, o un povero, o un privato, o un magistrato, o uno che ricopre una carica, o uno di questa o di quella stirpe, di questa o di quella età, di questo o di quel sesso, di questa o quella setta, che proviene da questo o da quel volgare errore. E se è vero che a tutti dobbiamo uguale carità, non con tutti dobbiamo adoperare la stessa medicina» (15, 23). Per essere coerente con questi principi Agostino avrebbe dovuto proibirsi un esempio scritto di catechesi; ma condotto dalla carità lo arrischia, cercando però di costruire con chiarezza il suo uditore. « Supponiamo allora che venga da noi con l'intenzione di diventare cristiano uno, che ignori il cristianesimo, ignorante sicuramente, non campagnolo ma cittadino, come tanti che necessariamente ti accadrà di frequentare in Cartagine.
E supponiamo che, interrogato se desidera diventare cristiano per qualche vantaggio della vita presente, o per la pace sperata dopo questa vita, risponda che lo desidera per la pace futura. In tal caso noi lo dobbiamo istruire press'a poco con questo discorso ». (De Cat. rudibus 16, 24). 2) L'altro aspetto pedagogico del Catechizandis rudibus è descritto nei capitoli 10-14 (nn. 14-22) e si riferisce al modo di essere maestri pieni di gioia e di serenità, capaci di infonderla nei discepoli. La «hilaritas », dice Agostino, è il modo di non annoiare l'uditore, superando tutte le cause che possano produrre noia. Egli ne elenca sei, la più grave delle quali è, a mio avviso, la prima. Essa deriva dalla crisi che si crea nel maestro, constatando la impossibilità di dire con parole esterne il pensiero che brilla, «in ictu oculi », all'intelligenza (10, 14-15). E' una difficoltà tipicamente agostiniana, che il nostro autore aveva espresso, come sua personale, già nell'apertura di quest'opera in un testo che è necessario leggere: «Anche a me, del resto, quasi sempre il mio discorso non piace. Desidero infatti farne uno migliore, che spesso mi gusto fra me e me prima di cominciare a pronunciarlo con sonanti parole.
Se però lo giudico inferiore a quello che avevo ideato, mi rammarico che la mia lingua non abbia corrisposto al mio sentimento. Desidero che chi mi ascolta capisca tutto quello che io intendo, e sento che non mi esprimo in modo tale da riuscirvi. Soprattutto perchè quel che intuisco pervade il mio animo con la rapidità di un baleno e il mio discorso è lento, lungo, differente assai. Mentre questo si snoda, quel che intendevo si è già nascosto nei suoi recessi. E tuttavia, poichè alcune tracce ha meravigliosamente impresse nella memoria, queste tracce permangono nelle quantità delle sillabe. Da quelle stesse tracce derivano i segni fonetici che chiamano lingua latina, o greca, o ebraica, o qualsivoglia. Tanto se tali segni sono solo pensati, quanto se sono vocalmente espressi. Quelle tracce però non sono, nè latine, nè greche, nè ebraiche, nè di alcuna altra nazione; ma si producono nell'animo così come l'espressione si produce nel volto. E infatti, la collera è chiamata, in un modo in latino, in un altro modo in greco, in altri modi ancora in altre lingue. Ma l'espressione dell'adirato non è per sè stessa nè latina nè greca. E perciò, se uno dice: «iratus sum », non lo capiscono tutti, ma solo i latini. Quando invece la passione dell'animo adirato si manifesta nel volto, e ne muta l'espressione, chiunque vede, intuisce che ha davanti un uomo adirato.
Ma non si può, col suono delle parole, esteriorizzare e, per così dire, rendere percettibili agli ascoltatori le impronte che la intuizione lascia nella memoria con la stessa forma chiara ed evidente con cui le rende l'espressione del volto. Quelle infatti sono all'interno, nell'animo; questo è fuori, nel corpo. Possiamo perciò congetturare quanto sia lontano il suono della voce dal bagliore dell'intuizione, se neppure l'intuizione è uguale a quel che essa intuizione imprime nella memoria. Quanto a noi poi, ardentemente desiderosi per lo più d'esser utili ai nostri ascoltatori, vorremmo parlare così come abbiamo intuito, mentre per lo sforzo stesso non riusciamo a parlare. L'insuccesso ci tormenta; e, come impegnati in un inutile lavoro, ci sentiamo infiacchiti dal tedio. E per il tedio stesso il discorrere si fa più stentato, più fiacco di quanto non fosse nel momento in cui prese a tediarci» (De Catch. rudibus, 2, 3).
E vi ritorna anche in quest'altro passo: «Se siamo contrariati perchè l'ascoltatore non capisce il nostro pensiero (pensiero dalle cui vette dobbiamo in un modo o nell'altro discendere), allora siamo costretti a indugiarci a sillabare, lentamente, e a preoccuparci del come dire con la bocca, attraverso lunghe e ampie frasi, quel che la mente ha rapidamente intuito. E poichè l'espressione vien fuori alquanto diversa, ci dispiace parlare e ci piace tacere. Pensiamo allora a quel che è stato elargito a noi da Colui che ci dette un esempio, affinchè noi seguissimo le sue orme (1 Pt. 2, 21). Per quanto infatti possa differire la articolazione della nostra voce dalla vivacità della nostra intelligenza, molto più differisce la mortalità della carne dalla immutabilità di Dio. E tuttavia pur rimanendo nella medesima forma, Egli si è abbassato prendendo forma di servo ... fino alla morte in croce (Fil. 2, 7-8) ... Se è vero che l'intelletto gode di sè nelle profondità più pure, gode anche nel capire questo: che la carità quanto più si umilia servizievole, tanto più vigorosa ritorna all'animo, per la buona coscienza del fatto che null'altro chiede a coloro verso i quali si umilia, se non la loro salute eterna» (De Catch. rudibus 10, 15).
Agostino aveva riflesso a lungo sul fenomeno dell'intuizione intellettuale e sul fenomeno della lingua. A proposito dell'intuizione egli aveva colto il balenare istantaneo e improvviso di essa nella parte più alta e più recondita della mente e il suo subitaneo scomparire. Sicchè di essa rimaneva solo una traccia nella memoria, traccia che era difficile reperire già con le parole interiori e più difficile ancora esprimere con parole sonore, dato anche il variare di queste di fronte al permanere uguale in tutti gli uomini di quelle. A proposito della parola esterna (o lingua) una constatazione l'aveva particolarmente colpito: quella della sua successione temporale, sia essa parola parlata che scritta. Per giungere al termine della sua significazione e raggiungere così lo scopo suo, che è quello di essere tramite di comunicazione con un altro, la parola ha bisogno di essere interamente pronunciata, e quindi deve cadere tutta nel passato: in altri termini solo quando la parola è passata può essere presente: ma è una presenza diminuita, una presenza solo nel ricordo.
Da queste constatazioni Agostino trae riflessioni interessanti sulle differenze tra intuizione e pensiero interiore, tra pensiero interiore ed espressione esterna; differenze che sono tutte a vantaggio del pensiero interiore e dell'intuizione fondamentale. Perciò non deve meravigliare l'insoddisfazione nostra, quando confrontiamo l'espressione esteriore con l'intuizione interiore: sono avvenute tali mediazioni e abbiamo dovuto usare strumenti così inadeguati ad esprimere l'intuizione interiore (eterna e spirituale) - quelli dell'espressione esterna legata alle regole del tempo e della materia - che la differenza non può che essere enorme. E viene così la tentazione di chiuderci nel nostro interiore, per sviluppare con parole spirituali le intuizioni balenanti nel nostro spirito. Ma quando si pensa che il Verbo di Dio, discendendo nella carne, ha compiuto un cammino molto più lungo, e si è sottomesso a una umiliazione molto più profonda di quanto noi compiamo quando restringiamo il nostro pensiero alto e spirituale nei limiti angusti di un discorso esterno in servizio dei fratelli, allora la carità supera la nostra noia. Se ci limitiamo ai valori intellettuali, sembra dire Agostino, bisognerebbe rinunciare all'espressione sonora e scritta del nostro pensiero al servizio degli altri, per immergerci totalmente nella contemplazione interiore e spirituale; ma se ad imitazione ed in unione al Verbo Incarnato, ci lasciamo assumere e riempire dalla carità, allora ritroviamo il valore dello sforzo per tradurre agli altri in segni esterni, faticosamente ed inadeguatamente, la nostra intuizione.
LA CARITA' CENTRO DEL DE CATECHIZANDIS RUDIBUS
1) L'aspetto più interessante di uno studio di patrologia è quello della ricerca del centro unificatore, del principio efficiente, della sorgente viva, dello scopo ultimo, del punto focale, della idea centrale di un autore o, nel caso nostro, di un'opera e di un metodo. Quale è dunque il punto focale, lo scopo fondamentale, l'idea unificante del metodo e della catechesi agostiniana per i « principianti? ». Qui le risposte degli autori si diversificano notevolmente. Per Daniélou l'idea centrale della catechesi è quello della « historia salutis» (se ci limitiamo alla «narratio »). Per Istace è la presentazione della carità. Per Negri è la manifestazione della Chiesa, avveramento del piano divino di salvezza. Per il Cordovani è la manifestazione piena di quanto il principiante deve credere fermamente, sperare sicuramente, amare ardentemente (De Catech. rudibus 4, 8) (Cfr. R. CORDOVANI, Il De Cat. Rudibus di S. Agostino, Questioni di conte nuto e di stile, Augustinianum 6 (1966) pagg. 506-507. Per la posizione di Negri cfr. o.c. pago 89).
La varietà stessa delle risposte dice la difficoltà del problema e l'impossibilità per noi di risolverlo in poche pagine: per esempio non possiamo fermarci ad esporre dettagliatamente e a valutare convenientemente le ipotesi ricordate.
2) Ci limitiamo perciò a sviluppare quella che secondo noi è l'idea centrale del metodo e del contenuto di quest'opera, cioè il principio secondo il quale Agostino pensa di poter risolvere le questioni didattiche e pastorali di una catechesi ai principianti. A noi pare di poter dire, con sicura convinzione, che questa idea, questo principio è quello della « charitas ». Il tema ed il termine dell'amore e della carità ritornano frequentissimamente, quasi ad ogni paragrafo in questa operetta, sia nella parte metodica che in quella esemplificativa (Senza pretendere alla completezza, eccone un elenco abbastanza ampio: 1,1-2; 3,6; 4,7-8; 5,9; 6, l0; 7, Il; 10,15; II,16; 13,17-18; 14, 20-22; 17, 27.28; 19,32; 20,35; 22,39; 23,41-43; 24,45; 25,49; 26,50; 27,55). E dalla lettura dei testi al riguardo appare che il principio della carità è guida e luce nel considerare gli aspetti e gli interlocutori di questo dialogo catechistico, cioè il maestro, l'alunno ed il contenuto stesso della catechesi. Come il maestro debba essere animato e guidato dalla carità l'abbiamo già visto quando abbiamo richiamato il modo con il quale egli deve superare la sua noia (v. s. p. 90.91).
3) Ma la carità deve animare anche il gesto e la tensione del principiante.
a) Già il gesto della sua richiesta di entrare nella Chiesa, se è sincero, è animato da una carità che è equivalentemente, noi diremmo oggi anonimamente, cristiana. Da che cosa è mosso infatti questo candidato se non dal desiderio di trovare la felicità, la « requies »? E dove si può trovare questa «requies» e questa felicità se non in Dio? L'esperienza più viva di Agostino, quella della sua conversione, e la sua riflessione più costante (Dal De beata vita, al De moribus Ecclesiae catholkae (I, 3-6), alla lettera a Dioscoro (3, 19), alle Confessiones (X, 22, 32-33), al De Trinitate, al De civitate Dei, ecc.. ) l'avevano portato non solo a sentire la felicità come la richiesta più fondamentale e più universale, ma anche a vedere nell'amore di Dio e non nelle ricchezze o nella gloria o nei piaceri l'esaudimento di questa richiesta: «fecisti nos ad Te Domine et inrequietum est cor nostrum donec requiescat in Te ». (Confessiones I, 1, 1) (Cfr. De beata vita, Confessiones Il, 6, 10 ecc.) Cfr. anche lo schema breve 26, 52).
b) La carità deve permeare però non solo il gesto della venuta del 'rudis' ma deve essere la molla della sua tensione verso la Chiesa e verso i sacramenti. E' ovvio che il candidato, spinto alla Chiesa dal desiderio della felicità e quindi dall'amor di Dio, non possa trovare che nell'amore, il quale si manifesta a noi mediante la carità di Cristo, il coronamento della sua tensione, la «requies », il porto dopo la tempesta; questa è la meta che Agostino addita al suo uditore fin dall'inizio della sua «narratio »: «l'uomo caduto perse la pace che aveva nella divinità del Verbo e la riacquista nell'umanità del Verbo medesimo. Ecco perchè nel momento propizio ..... il Verbo si è fatto carne, ed è nato da una donna .... Gli antichi santi si salvavano credendo che Egli sarebbe venuto, così come noi ci salviamo credendo che Egli è venuto. Affinchè amassimo Dio che ha amato tanto noi da mandare il suo unico Figlio ». (De Catech. Rad. 17, 28). Questa è ancora la conclusione di Agostino alla fine dell'esortazione: «infiammati d'amore e di desiderio per la vita eterna dei santi, ove l'attività non sarà faticosa, nè il riposo ('requies') ozioso» (De Catech. rud. 25, 47) (14).
4) La carità infine è il contenuto ed il senso della catechesi storico.kerigmatica.
a) Diciamo subito che la lettura della storia di salvezza, in chiave di carità, non toglie a questa storia nessun dinamismo e non la rende in nessun modo statica, anzi la sublima proprio come storia perchè la « carità » cristiana è il principio animatore del piano di Dio per salvare l'uomo: la salvezza infatti parte dall'amore del Padre che manda il suo Figlio, sosta e si manifesta, se è lecito dire così, in Gesù Cristo Verbo Incarnato, che per amore del Padre e degli uomini muore e risorge, discende e vive in noi mediante lo Spirito nella fede e nel sacramento, si sviluppa da noi in unione con Cristo verso il prossimo e ritorna nel seno del Padre. Già S. Paolo aveva considerato quello che Egli chiamò il « mistero nuovo » del cristianesimo, rivelato soltanto negli ultimi tempi, come il gesto d'amore di Dio verso l'uomo (Rom. 5, 6-9; Ef. 1,3-14; Tito 3, 4-7). E S. Giovanni, riflettendo sul significato fondamentale e primario di carità, affermava che esso si riferisce alla carità di Dio per l'uomo (I Gv. 3, 16; 4, 7-10) (Cfr. G. OGGIONI, a.c. in La Scuola Cattolica, 91, (1963) pag. 125).
b) Agostino riprende queste idee con consapevolezza e convinzione. La storia della salvezza è la storia dell'amore di Dio per l'uomo in Gesù Cristo Verbo incarnato. Scrive infatti il nostro autore: «La venuta del Signore, quale ragione ha avuto più grande di questa: che il Signore ha voluto manifestare l'amore per noi raccomandandocelo caldamente? Mentre infatti eravamo ancora suoi nemici, Cristo è morto per noi » (De Catech. rud. 4, 7 che cita Rom. 5, 8). Alla luce di questa idea si capisce come il fine di una storia di amore sia quello di condurre all'amore: «ed è perciò, continua subito nel testo ora citato, che fine del comandamento e pienezza della legge è la carità» (De Catech. rud. 4, 7). L'idea piace tanto ad Agostino che la sviluppa ulteriormente, sottolineando la formalità di amore di Dio per noi, che ha la storia di salvezza; il suo scopo infatti è di condurre noi all'amore di Dio e del prossimo: « se dunque Cristo è venuto soprattutto perchè l'uomo conoscesse quanto Iddio lo ami, e per conseguenza, perchè sapesse che deve infiammarsi d'amore per colui dal quale è stato amato per primo, e che deve amare il prossimo secondo il comando e l'esempio di Lui, che si è fatto prossimo dell'uomo, amandolo quando non era ancora prossimo a Lui, ma errava lontano ...; se tutta la Scrittura divina, che è stata prima, è stata scritta per preannunciare l'arrivo del Signore; e se tutto ciò che, dopo la sua venuta, è stato affidato agli scritti sacri e confermato dalla divina autorità, narra di Cristo e raccomanda la carità: allora è chiaro che in questi due comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo, si compendiano non solo tutta la Legge ed i Profeti, - unica Scrittura quando il Signore Gesù diceva quelle cose - ma anche tutti gli scritti sacri che sono comparsi più tardi per la nostra salvezza» (De Catech. rud. 4,8).
E poco dopo, rivolgendosi alla Charità del catechista concluderà, con esempio felice, che la catechesi deve convergere tutta a presentare la storia dell'amore di Dio per l'uomo, onde condurre l'uditore all'amore di Dio e del prossimo, attraverso la fede e la speranza: « dopo esserti dunque proposto questo Amore (quello di Dio per noi) come fine a cui fare convergere tutto quello che dici, qualunque cosa tu esponga, esponilo in modo che il tuo ascoltatore creda ascoltando, speri credendo, ami sperando» (De Catech. rud. 4,8) (Cfr. anche De Cat. rudibus 26, 50 dove dice che bisogna interpretare in senso «spirituale» e «simbolico» quello che letteralmente non si riferisce all'amore). Abbiamo dunque visto che la carità deve permeare lo spirito del catechista, deve essere presente nel gesto e nella tensione dell'uditore, deve essere sottolineata come il centro della storia di salvezza. Si tratta di un unico valore, quello della carità, che però sembra diversamente partecipato e diviso in questi tre settori, o meglio in queste tre persone: Dio, il catechista, il precatecumeno. C'è dunque ancora una divisione? No, perchè questa separazione è superabile e superata nel pensiero di Agostino a questo modo: al centro sta l'amore del Padre e di Cristo, che non solo sollecita l'amore del catechista ed attira quello dell'uditore, ma anche lo anima, lo sostiene, lo vivifica; è l'unico amore di Cristo quello che si esprime nell'amore dei suoi uomini creati e salvati; è Cristo ad amare nel catechista e nell'uditore (Cfr. per l'unione dell'amore di Cristo e dell'uditore il testo appena citato di 4, 8). Mi pare questa una delle più felici contro prove che la carità cristiana è principio fondamentale della catechesi kerigmatica di Agostino, - e non solo di quella -; ed è principio fondamentale della sua didattica.
CONCLUSIONE
Agostino ha avuto una fortuna enorme nella Chiesa e nella civiltà occidentale. Anche il libretto « De Catechizandis rudibus » è stato vivo per sempre nella Chiesa, perfino dopo che è cessato il fenomeno per il quale è stato scritto. Questo ha nuociuto in parte al suo valore e al suo messaggio, perchè ha fatto usare in un senso generico, per ogni didattica catechistica, ciò che invece aveva un compito speciale. Però quando nella Chiesa si verificano situazioni che ripresentano la fattispecie per la quale il libro è stato scritto, cioè una situazione di popoli lontani dal cristianesimo, allora esso ridiventa estremamente attuale. Ciò avviene nel secolo XVI, quando viene scoperta l'America e furono evangelizzati l'India ed il Giappone (Cfr. A. ETCHEGARAY CRUZ, in «Rev. des Études Augustiniens» II (1965) pagg. 277-290). Ciò dovrebbe verificarsi anche oggi, quando diventano paesi di missione i paesi una volta cristiani: ai « rudes » dei tempi di Agostino potrebbero benissimo affiancarsi oggi i « lontani ». Se questo è vero l'opera di Agostino ridiventa estremamente attuale. Essa ci dice che questa categoria deve essere accostata con una carità partecipe della accondiscendenza di Dio; che deve essere catechizzata sulla storia della salvezza, cioè della carità di Dio per noi; che deve essere condotta a cercare il riposo e la felicità, cioè una felicità che è riposo e non ebbrezza, in Dio Padre che invia Nostro Signore Gesù Cristo.